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A) La funzione oggettiva della colpa L’homo eiusdem professionis et

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 111-118)

A D IMPOSSIBILIA NEMO TENETUR: LA “DOMINABILITÀ” NELL’OMISSIONE E LA “DOMINABILITÀ” NELLA COLPA

7. La “doppia funzione” della colpa.

7.1. A) La funzione oggettiva della colpa L’homo eiusdem professionis et

condicionis: l’agente-tipo nella situazione-tipo.

Ritenere che l’individuazione della regola cautelare rilevi già sul piano oggettivo contribuendo, in particolare, all’individuazione della condotta tipica, presenta l’indubbio vantaggio di assicurare la previa riconoscibilità della regola di diligenza; ciò in maniera pienamente conforme a quella natura deontologica che si è ritenuto di riconoscere tanto alla colpa quanto all’omissione e che, in riferimento all’obbligo giuridico di impedire l’evento, comporta la necessaria conseguenza di una sua individuazione unicamente sulla base di criteri giuridici. La prima e più evidente ragione che conduce ad optare per la sistematica in commento è costituita, a nostro

      

153 F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 330. 154 F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 330. 155 F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 336-337.

avviso, proprio dalle maggiori garanzie che la stessa offre in merito alla predeterminazione della regola cautelare156 e, dunque, alla sua previa riconoscibilità

da parte dell’agente, e non tanto dalla necessità di evitare che l’agente concreto che identifichi il massimo livello di scienza ed esperienza possa beneficiare di un ingiustificato trattamento di favore157. Del resto l’accostamento operato dal

legislatore tra colpa generica e colpa specifica nella definizione del delitto colposo potrebbe essere esaminata non solo, come avviene comunemente, per verificare se i requisiti di prevedibilità e di evitabilità operino allo stesso modo anche nella colpa per inosservanza, ma, ancor prima, per valorizzare anche in riferimento alla colpa generica il requisito che contraddistingue ictu oculi la colpa specifica, costituito appunto dalla preventiva determinazione della regola cautelare158.

Scarsamente convincente si rivela l’obiezione, di per sé sola considerata, secondo la quale la dimensione oggettiva della negligenza, in quanto teleologicamente orientata alla migliore tutela del bene giuridico, verrebbe modellata sul parametro di un ipotetico agente poliedrico fornito di capacità previsionali spesso straordinarie159: l’“uomo accortissimo” che si pretende di assumere quale parametro

di riferimento, in altri termini, sarebbe troppo lontano dalla media che dovrebbe, sia pur simbolicamente, rappresentare160. Il fatto che la dimensione oggettiva della

      

156 Cfr. F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza, cit., p. 184, il quale rileva come la funzione di

orientamento comportamentale propria della regola cautelare richiede che la stessa risulti agevolmente determinabile e riconoscibile ex ante. Analoghe considerazioni in F. GIUNTA, La

normatività della colpa penale. Lineamenti di una teorica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 90. V. anche

G.FORTI, Colpa ed evento, cit., p. 167 che, a proposito della natura normativa della colpa, osserva che “negligenza”, “imprudenza”, “imperizia” e “inosservanza di leggi…” devono indicare situazioni in cui «il soggetto ha avuto la possibilità di operare la sussunzione della propria condotta sotto il divieto e dunque di avvertirne il “richiamo” concretamente»: sarebbero dunque le regole di condotta che, nel reato colposo, svolgono quella funzione di “ammonimento” che nel reato doloso spetta direttamente alla norma penale (p. 176).

157 Così invece G.DE FRANCESCO, Diritto penale, cit., p. 431.

158 In giurisprudenza Cass. pen., Sez. IV, 6 giugno 2000 (dep. 25 agosto 2000), in Cass. pen.,

2001, pp. 1217 e ss. dove, in riferimento ad un’ipotesi di colpa generica, si legge: «È pacifico […] che gli imputati si erano attenuti […] a tutte le regole prescritte da disposizioni regolamentari e consigliate dall’esperienza. […] E allora dove si annida la colpa dei prevenuti? Secondo i giudici dei due gradi di merito nella inosservanza di una innominata regola secondo la quale un attrezzo costruito un certo numero di anni prima […] benché in ogni parte funzionante e come tale collaudato e certificato da chi per legge ne ha l’attribuzione, dovrebbe essere sostituito perché potrebbe nascondere deficienze non percepibili. La regola, come si vede, è nuova, priva di sostegno nell’esperienza, dettata a titolo di convinzione personale del giudice per regolare il caso di specie […]. Ma, nella materia, le convinzioni personali del giudice non possono avere spazio, tanto meno costituire la base per l’affermazione di responsabilità penale». Le cadenze argomentative sono significativamente coincidenti a quelle su cui si fonda il c.d. modello di sussunzione sotto leggi scientifiche, elaborato per garantire un rigoroso accertamento del nesso di causalità materiale: F. STELLA, Leggi scientifiche e

spiegazione causale nel diritto penale, Milano, Giuffrè, 2000, II ed., in particolare pp. 80 e ss.. 159 Pressoché letteralmente, F.GIUNTA, Illiceità e colpevolezza, cit., p. 154.

160 G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza, cit., p. 191. Non del tutto adeguato pare l’esempio

portato dall’Autore per dimostrare gli esiti negativi cui potrebbe condurre il parametro della miglior scienza ed esperienza: il caso è quello dell’automobilista che, prima di intraprendere un viaggio, accerti la presenza di una fessura nella scatola dello sterzo; egli si rende conto che questa fessura

colpa venga accertata sulla base di un parametro assai lontano dall’agente concreto o dalla cerchia tecnico-sociale in cui lo stesso è inserito, tuttavia, è proprio la caratteristica che, per definizione, contraddistingue la sistematica in commento. Si faccia il caso di un automobilista che, non arrestando tempestivamente il veicolo, investa un pedone che attraversi la strada in assenza di segnaletica orizzontale e verticale: l’individuazione della regola cautelare su basi oggettive impone, per dir così, di osservare la scena dall’esterno e non dall’interno dell’abitacolo dell’autovettura che ha cagionato l’incidente; del resto l’individuazione su basi oggettive della regola cautelare, anche qualora dovesse risultare assai distante dalla conoscenza e dall’esperienza della media o dell’agente concreto, non risulterà mai da sola sufficiente se non integrata anche da un giudizio di colpa più propriamente “soggettivo”.

Lo stesso vizio logico sembrerebbe ravvisabile nell’opinione di chi ritiene che la costruzione della regola cautelare su basi oggettive imporrebbe ai consociati inammissibili e inattuabili obblighi di informazione preventiva relativi a certi fenomeni che, seppur eccezionalmente, possono verificarsi nello svolgimento di alcune attività. In proposito si fa l’esempio di Caio che attraversa in presenza di un semaforo il quale, a causa di un eccezionale fenomeno atmosferico, oppure a seguito di un guasto verificatosi poco prima, presentava una luce verde anziché rossa; in questo caso, si dice, Caio dovrebbe acquisire la preventiva conoscenza del fatto che le luci dei semafori anche se verdi potrebbero in realtà nascondere un’indicazione diversa, a causa di possibili fenomeni di fosfeno o di guasti improvvisi alla rete elettrica o, si aggiunge, all’azione sconsiderata di esperti sabotatori161. Appare

necessaria anzitutto una precisazione preliminare, al fine di ricondurre il problema ai suoi termini effettivi. Se, come sembra, la regola cautelare della cui violazione si discute nel caso riportato in precedenza consiste nell’obbligo di arrestare il veicolo in presenza di un semaforo rosso, nell’ipotesi in cui il semaforo indichi il segnale di verde a causa di un guasto o di una manomissione del sistema elettrico, nessuna regola cautelare viene violata da parte dell’automobilista che, si ripete, ha l’obbligo di fermarsi in presenza di un semaforo rosso e non verde. Resta quindi il caso del fenomeno di fosfeno, per cui il semaforo, ancorché rosso, appaia verde agli occhi del conducente. La struttura di una regola cautelare può così essere schematizzata:

“In presenza della situazione A è prevedibile che si verificherà un evento del tipo X che si può evitare tenendo un comportamento Y”.

      

potrebbe rivelarsi pericolosa; ma il fantomatico ”uomo accortissimo” potrebbe invece accertare che la lesione in questione si trova a qualche millimetro di distanza rispetto alla posizione in cui potrebbe in effetti risultare pericolosa; con l’inaccettabile conseguenza che nel caso in cui si verifichi un incidente mortale il parametro della miglior scienza ed esperienza imporrebbe la piena assoluzione dell’automobilista. L’esempio non risulta convincente per il semplice fatto che se l’incidente si è verificato a causa della fessura significa che la valutazione ex ante non è stata condotta sulla base della miglior scienza ed esperienza.

Richiedere una predeterminazione oggettiva della regola cautelare comporta anzitutto la predeterminazione del comportamento Y rispetto al momento della condotta. Non pare ci siano difficoltà a ritenere che a questa riconoscibilità “oggettiva” della regola debba corrispondere sul piano “soggettivo” una riconoscibilità della situazione A162. Può anche ritenersi che se il semaforo indicava il

segnale di rosso il conducente che nonostante ciò attraversi l’incrocio cagionando un incidente abbia violato la regola cautelare che gli imponeva di arrestare il veicolo; deve tuttavia escludersi la sua responsabilità per colpa in quanto manca la riconoscibilità della situazione di pericolo, da accertarsi – come si cercherà di chiarire – secondo il parametro dell’agente concreto; a meno che, si intende, il soggetto non fosse a conoscenza (ipotesi a dir la verità assai improbabile) del fenomeno in conseguenza del quale la luce del semaforo apparisse verde anziché rossa. In ogni caso la riconoscibilità della situazione di pericolo va valutata in riferimento alla situazione concreta e non impone certo un obbligo di preventiva informazione circa i fenomeni atmosferici che possono comprottere l’esatta percezione del colore di una luce.

La ragione per la quale la costruzione della regola cautelare sulla base del criterio oggettivo ed assoluto rappresentato dalla miglior scienza ed esperienza non appare pienamente convincente risiede altrove.

In primo luogo, il parametro della miglior scienza ed esperienza, visto il suo carattere non solo oggettivo ma anche assoluto, trova il suo “naturale” ambito di operatività in sede di accertamento del rapporto causale. Di conseguenza, l’obbiettivo che si è ritenuto di dover assumere quale costante premessa metodologica nella presente trattazione, ovvero la demarcazione più chiara possibile tra elemento oggettivo ed elemento soggettivo del reato, uniti alla preoccupazione di un’adeguata valorizzazione della colpa quale criterio di imputazione soggettivo e, quindi, per definizione, non di carattere assoluto, suggeriscono che l’individuazione della regola cautelare debba avvenire impiegando un criterio sì “oggettivo”, ma di tipo “relativo”: e il parametro che risponde appieno a queste caratteristiche è quello comunemente individuato come dell’homo eiusdem professionis et condicionis.

Nonostante l’agente-modello venga sovente identificato come la misura che consente un’adeguata individualizzazione della responsabilità colposa, nel rispetto del principio di personalità della responsabilità penale, non sembra sussistano dubbi particolari in merito al carattere suo carattere eminentemente “oggettivo”. Come è stato efficacemente osservato, fino a quando il giudizio di negligenza viene fondato sul raffronto tra ciò che l’agente-modello avrebbe potuto e dovuto e ciò che l’agente concreto non ha fatto, il confronto assume quali termini entità tra loro

      

162 Cfr. G.FORTI, Colpa ed evento, cit., p. 205: «La conclusione è dunque che la tipicità colposa è

costituita dalla violazione della diligenza i.e. dal non aver impiegato doverosamente i mezzi necessari ad evitare la verificazione del fatto, e cioè non essersi resi conto di un pericolo che si aveva il dovere di riconoscere» (corsivo originale).

irriducibilmente differenti; con l’ulteriore conseguenza per cui la diligenza verrà misurata mediante criteri che rimangono esterni al soggetto agente e che, in definitiva, si fondano sull’ id quod plerumque accidit163. Anche a voler restare fedeli ad

una tradizione che vede nel parametro in questione una misura di tipo soggettivo, deve pur sempre ammettersi che si tratta di criterio soggettivo per definizione “astratto”, introdotto per evitare che l’operatività della colpa restasse in definitiva paralizzata da pretese di una sua estrema soggettivizzazione, attuate mediante il ricorso al parametro dell’agente concreto164.

Del resto, solo nominalisticamente il parametro dell’agente-modello focalizza l’accertamento sul soggetto agente, o, rectius, sul suo equivalente astratto. Il parametro dell’homo eiusdem, in effetti, fa riferimento non tanto all’agente-modello, inteso quale astrazione delle conoscenze e delle capacità dell’agente concreto, quanto piuttosto all’attività-modello nella quale l’agente concreto si trova ad operare e alle cui regole, indipendentemente dalle sue condizioni particolari, lo stesso è chiamato ad uniformarsi165. È a questa circostanza, a ben vedere, cui si fa riferimento quando

si afferma che chi decide di riparare un tetto, anche se dovesse trattarsi del padrone di casa, verrà giudicato secondo il metro dell’operaio specializzato, esperto ed accorto; allo stesso modo, se qualcuno si mette alla guida di un autoveicolo dovrà comportarsi come un esperto e accorto automobilista, anche se, per ipotesi, non avesse ancora ottenuto la patente di guida166. Quel che assume rilevanza, in altri

termini, è non solo il tipo di agente, ma anche e soprattutto il tipo di attività di cui l’agente stesso abbia intrapreso lo svolgimento o, più in generale, il tipo di situazione in cui il soggetto di trovi ad operare.

Appare condivisibile in quest’ottica l’osservazione secondo la quale a rivelarsi decisiva è l’assunzione oggettiva dei compiti e dei doveri di un certo modello di diligenza, in quanto con l’ingresso in un circolo di rapporti si garantisce di saper

      

163 F.GIUNTA, Illiceità e colpevolezza, cit., pp. 126-131. Sul carattere “oggettivo” del parametro

dell’ homo eiusdem professionis et condicionis, v. anche G.FIANDACA-E.MUSCO, Diritto penale, cit., p.

546 e M. ROMANO, Art. 43, Commentario sistematico, cit., p. 458. Parlano di «misura oggettiva-

soggettiva» G. FORTI, voce Colpa (dir. pen.), cit., p. 949 e S. CANESTRARI, L’illecito penale

preterintenzionale, cit., p. 118. 164 Infra, § successivo.

165 Cfr. M.ROMANO, Commentario sistematico, cit., pp. 458-459, il quale avverte che attraverso il

riferimento all’homo eiusdem professionis et condicionis si attribuisce rilevanza al ruolo sociale svolto dall’agente nel momento concreto, non a quello suo proprio professionalmente. Con la conseguenza che la standardizzazione avviene per la concreta attività posta in essere. Sul punto chiaro anche M. MAIWALD, Il concetto di rischio consentito nella scienza penale tedesca, in L’evoluzione del diritto penale

tedesco, Torino, Giappichelli, 1993, p. 183: «la questione del dovere di diligenza va sempre posta con

riferimento alla situazione: vero è che la misura delle precauzioni dovute dall’autore di un delitto colposo è indicata dall’“uomo coscienzioso ed avveduto della stessa cerchia di soggetti, alla quale appartiene colui che ha agito”, ma tale uomo va considerato “nella concreta situazione, nella quale si è trovato il soggetto che ha agito».

166 G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza, cit., p. 194. Per analoghe considerazioni anche F.

riconoscere ed affrontare i pericoli che potrebbero presentarsi secondo lo standard del circolo di riferimento167. Questa assunzione crea l’affidamento che il singolo,

intraprendendo una certa attività, ai adeguerà alla misura diligenza propria del circolo di rapporti nel quale è inserito168.

Due precisazioni si impongono però al riguardo. Anzitutto, si ripete, a venire in considerazione è non tanto una categoria di soggetti, quanto piuttosto una categoria di attività o, meglio ancora, di situazioni entro le quali il soggetto si trova ad operare. Così, per esempio, nessuna difficoltà sussiste ad individuare un circolo di riferimento quando si tratti di valutare l’attività di un medico, di un automobilista o di un ingegnere. Si pensi invece al padre che, disteso a prendere il sole, non sorvegli suo figlio che poi annega in mare; o alla donna che lasci la pentola sul fuoco ed esca per delle compere, non impedendo che l’acqua fuoriuscita spenga la fiamma, determinando una fuga di gas e, dunque, un’esplosione innescata dall’interruttore al suo rientro. Di certo non è da un ipotetico modello di “padre” o di “casalinga” che possono trarsi utili indicazioni per individuare la regola cautelare che eventualmente sia stata violata; sarà piuttosto al “padre che accompagna al mare il proprio bambino” o alla “donna ai fornelli” che dovrà farsi riferimento; in altri termini, come si diceva, al soggetto calato in una certa “situazione-tipo” cui può essere ricondotta la situazione concreta.

In secondo luogo, ogni considerazione che metta in relazione il complesso di regole cautelari individuabili in riferimento ad una certa attività con l’affidamento che il resto dei consociati ripone in un comportamento conforme alle regole stesse, per quanto sia in grado di fornire indicazioni utili in tema di colpa penale, può essere adeguatamente riferita alle sole attività che importano la partecipazione di una pluralità di soggetti o, come si dice comunemente, degli “obblighi divisi”169, come

avviene nelle ipotesi tradizionali della circolazione stradale o dell’attività medico- chirurgica. Non avrebbe invece alcun senso parlare di “attesa riposta in un comportamento di un certo tipo” in tutti i casi in cui la condotta attiva od omissiva del singolo assuma rilevanza “in quanto tale” e non in quanto inserita in una più ampia rete di comportamenti analoghi, orientati proprio in base alle caratteristiche proprie di un certo gruppo: nel caso fatto in precedenza del padre che non sorvegli adeguatamente suo figlio, per esempio, sarebbe quanto meno improprio ritenere che colui che svolge l’attività di genitore si inserisce in un circolo di rapporti all’interno del quale ciascuno degli appartenenti si aspetti dagli altri l’adeguamento a certi

standard di diligenza e orienti di conseguenza il proprio comportamento.

Sembra comunque che si possa convenire, in via di prima approssimazione, con la considerazione per cui lo scopo delle regole cautelari è quello di evitare o di

      

167 Ancora G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza, cit., p. 194.

168 G.FORTI, Colpa ed evento, p. 242. Sul principio di affidamento più diffusamente infra, Cap.

IV, § 5.

limitare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dallo svolgimento di attività pericolose e che questa finalità venga soddisfatta mediante l’individuazione di regole di esperienza derivanti dall’osservazione ripetuta nel tempo di certe situazioni pericolose, di modo che le «regole di diligenza vigenti nei vari contesti sociali di riferimento rappresentano la “cristallizzazione” di giudizi di prevedibilità ed evitabilità

ripetuti nel tempo»170: giudizi condotti, in definitiva, sulla base dell’ id quod plerumque

accidit.

Dalla considerazione per cui la regola cautelare contribuisce già all’individuazione della condotta deriva come necessaria conseguenza che, nel caso in cui il soggetto non contravvenga ad alcuna regola di diligenza, sia per ciò solo preclusa la possibilità di individuare una condotta penalmente rilevante, indipendentemente dalle conseguenze dannose o pericolose derivate dal comportamento “diligente” del soggetto stesso. Non sembra dunque che la risoluzione dei casi de quibus necessiti del riferimento alla superiore categoria, peraltro di incerta qualificazione dogmatica, del c.d. rischio consentito171, cui si fa

comune riferimento nell’ambito della teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento. Se il concetto in questione viene affrancato dai suoi legami con l’adeguatezza, esso esprime il principio, difficilmente contestabile, per cui se il soggetto si muove entro i limiti di liceità tracciati dall’ordinamento nessun rimprovero può essergli mosso per eventuali conseguenze dannose o pericolose della propria “condotta”. Si tratta di un principio di carattere generale che, a ben vedere, è sotteso anche all’idea del “non c’è dolo senza colpa”172: se il chirurgo, pur desiderando ardentemente che il

proprio rivale perisca sotto i ferri, esegue l’intervento a regola d’arte, nessun dubbio sull’esclusione della sua responsabilità penale, anche se l’operazione dovesse avere esito infausto.

Ma, si ripete, - tralasciando la questione relativa alla correttezza del principio generale per cui non c’è colpevolezza dolosa senza colpevolezza colposa - alla conclusione in questione si perviene agevolmente se solo si concordi nel riconoscere una funzione tipizzante alla regola cautelare in sede di descrizione della condotta penalmente rilevante. Nell’ambito delle attività in sé pericolose, ma autorizzate dall’ordinamento in quanto socialmente utili, le regole cautelari individuano il perimetro di liceità entro cui ciascun consociato può svolgere la propria attività senza dover rispondere delle conseguenze che potrebbero per definizione derivarne, visto il non completo azzeramento del pericolo.

      

170 G.FIANDACA E.MUSCO, Diritto penale, cit., p. 538.

171 Si rinvia fin da ora a M.MAIWALD, Il concetto di rischio consentito, cit., pp. 175 e ss.. Per una

più diffusa illustrazione della teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento v. invece infra, Cap. III, § 5.

Può dunque continuare a farsi utile riferimento al “rischio consentito” se, anziché considerarlo una categoria sistematica nuova ed autonoma173, con esso si

indichi il principio per cui, qualora il soggetto si adegui alle regole di prudenza

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