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La distinzione tra componenti oggettive e soggettive nel reato omissivo colposo.

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 48-53)

Il giudizio di concretizzazione e di individualizzazione cui si è fatto cenno può tuttavia condurre a risultati appaganti solo a seguito di una corretta individuazione dell’oggetto del giudizio stesso e delle modalità attraverso le quali condurlo.

La via più semplice ed efficace da percorrere sembrerebbe quella di inquadrare gli elementi costitutivi del reato omissivo colposo in base ad una preliminare distinzione degli stessi, che si riveli il più netta e sicura possibile, in elementi oggettivi ed elementi soggettivi138.

Non si nega che il criterio in questione, al quale si ritiene di poter riconoscere il ruolo di vera e propria premessa metodologica nello studio della materia de qua, sia

      

136 F. GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, cit., p. 244.

137 G.FORTI, “Accesso” alle informazioni sul rischio, cit., pp. 211 e ss., secondo il quale le imprese,

specie se di grandi dimensioni, andrebbero responsabilizzate a diffondere le conoscenze possedute o acquisibili, introducendo così una vera e propria «responsabilità per omessa comunicazione di informazioni rilevanti per la gestione del rischio», espressione di una logica di necessaria democratizzazione dei processi di valutazione del rischio stesso. In un’ottica analoga va inquadrata anche la proposta di creare delle agenzie di regolamentazione e controllo dei rischi tecnologici, ispirate al modello americano delle agenzie federali cui è attribuito il compito di controllare il rischio nei settori della sicurezza del lavoro, dell’ambiente, della salute umana: F.STELLA, Giustizia e modernità,

cit., pp. 578 e ss. e, quindi, F.CENTONZE, La normalità dei disastri tecnologici, cit., pp. 400 e ss., il

quale ritiene auspicabile la creazione di una vera e propria autorità indipendente per il controllo e la gestione dei rischi tecnologici, che avrebbe il compito di mettere ordine tra le opinioni spesso contrastanti in materia e di costituire l’interlocutore privilegiato con i vari operatori del settore.

138 Critico sulla contrapposizione tra oggettivo e soggettivo, che anzi rappresenterebbe uno dei

dogmi da superare per una più efficace ricostruzione sistematica del reato L.CORNACCHIA, Concorso di

colpe, cit., pp. 50 e ss.. Per una particolare distinzione tra oggettivo e soggettivo M.DONINI, Illecito e

influenzato dalla più generale predilezione per una classificazione degli elementi del reato secondo gli schemi propri della c.d. teoria bipartita139.

La necessità di sistemare ogni elemento del reato omissivo colposo entro i due sottoinsiemi dell’elemento oggettivo e dell’elemento soggettivo, in ogni caso, può concepirsi anche prescindendo dalla più generale bipartizione degli elementi del reato. In effetti, la prospettiva deontico-relazionale, che caratterizza in maniera decisiva l’accertamento del reato omissivo colposo, e i giudizi di tipo ipotetico- normativo che la stessa comporta, assumono effettiva consistenza solo qualora si riescano ad isolare con sufficiente precisione l’oggetto del giudizio ed il parametro alla cui stregua condurlo. Proprio in riferimento al parametro del giudizio la contrapposizione oggettivo/soggettivo può produrre effetti significativi: allo stesso andranno necessariamente attribuite caratteristiche differenti a seconda che a venire in considerazione sia un elemento oggettivo o soggettivo e, al contempo, varierà il momento dell’accertamento (ex ante/ex post), soprattutto al fine di comprendere o di escludere le conoscenze di cui disponeva l’agente al momento della condotta. Si tenterà di dimostrare come proprio un’accurata differenziazione del parametro e del

      

139 Non è certo questa la sede per esaminare le molteplici implicazioni sistematiche che derivano

dalla teoria bipartita degli elementi del reato, né, tanto meno, per rendere conto delle obiezioni che le vengono mosse, anche perché l’oggetto della presente trattazione ne risulterebbe influenzato solo indirettamente. Senza dubbio la presenza nel nostro ordinamento della disposizione contenuta nell’art. 59, quarto comma c.p. rappresenta un argomento positivo sufficientemente convincente a sostegno dell’inquadramento sistematico delle cause di giustificazione come elementi oggettivi negativi del fatto di reato. Il rilievo non è tuttavia ritenuto decisivo da M.ROMANO, Commentario

sistematico del codice penale, Vol. I, Artt. 1-84, III ed., Giuffrè, 2004, p. 310. L’Autore (p. 311)

evidenzia che l’unica conclusione davvero coerente con la teoria degli elementi negativi sarebbe quella, respinta da tutti, di ritenere che il dolo comprenda la consapevolezza dell’agente non solo degli elementi positivi, ma anche della mancanza di ciascuno dei c.d. elementi negativi. Condivisibile la replica di M.GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. II, Parte II, cit., p. 77: «il tipo descrittivo di un reato è […] composto, sul piano oggettivo, da elementi che debbono verificarsi meno elementi la cui mancanza è necessaria ai fini della tipicità penale; sul piano soggettivo, il dolo implica, corrispondentemente, la rappresentazione degli elementi positivi meno la supposizione degli elementi negativi del fatto. Dove è chiaro che, per tal modo, le cause di giustificazione non sono ricondotte nell’oggetto del dolo: è la loro rappresentazione che si pone quale limite negativo di quest’ultimo». Si è anche ritenuto improprio assimilare la teoria degli elementi negativi del fatto all’impostazione sistematica che, assumendo quale premessa la dicotomia di carrariana memoria tra forza fisica e forza morale, organizza poi la disciplina del reato attorno ai due poli dell’oggettivo e del soggettivo; mentre, infatti, l’orientamento che si fonda sulla scomposizione tra elemento oggettivo ed elemento soggettivo muoverebbe chiaramente da presupposti empirico-naturalistici, la teoria degli elementi negativi, come del resto quella tripartita, costruirebbe il concetto di reato su basi normativo-valutative: C.FIORE-S.

FIORE, Diritto penale. Parte generale, Vol. I, II ed., Utet, Torino, 2006, p. 120. L’osservazione, sebbene

in sé condivisibile, non sembra però decisiva: la pretesa sistematica di collocare ciascun elemento del reato entro le due species dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo resta, a ben vedere, sostanzialmente inalterata, sebbene mutino i presupposti e gli strumenti in base ai quali si pretenda di effettuare la classificazione in questione. Ciò precisato, non può che condividersi l’avvertenza volta ad evidenziare il carattere convenzionale di ogni proposta di sistemazione degli elementi del reato (Tra gli altri M.GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. II, Parte I, cit., p. 50; C. FIORE-S.FIORE, Diritto

penale, cit., p. 121; F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 103), alla quale va riconosciuto l’innegabile

momento dell’accertamento rappresenti il primo strumento che consenta di evitare pericolose sovrapposizioni tra l’omissione e la colpa, soprattutto attraverso una distinzione dell’obbligo di impedire l’evento rispetto all’obbligo di garanzia.

La prospettiva dalla quale di ritiene di muovere, beninteso, non comporta la aprioristica ed immotivata collocazione dell’omissione nel solo elemento oggettivo e della colpa nel solo elemento soggettivo del reato, costruiti come due “luoghi sistematici” in rapporto di reciproca incomunicabilità. Si tratta, più precisamente, di isolare all’interno di ciascun istituto le componenti oggettive e quelle soggettive, verificarne le relazioni e, al tempo stesso, garantirne la distinzione, prima a livello sistematico poi sul piano dell’accertamento.

Che l’obbiettivo non sia rivolto solo a fini espositivi è fin troppo evidente140.

Ribadire la necessità di una sicura distinzione tra componenti oggettive e componenti soggettive nello schema del reato omissivo colposo fornisce, a nostro avviso, più sicure coordinate di riferimento in sede di accertamento giudiziale. Del resto, posto che le premesse che si intenda individuare in sede di analisi del reato non muovono certo dall’intento di alimentare l’utopistica illusione di ciascun interprete di pervenire alla costruzione di un sistema del tutto privo di aporie e contraddizioni, rimane la costatazione che «lo scopo della dogmatica giuridica non può essere che pratico, perché il diritto è fatto esclusivamente per la pratica»141. La riflessione

potrebbe apparire tanto pretenziosa quanto banale. Neppure necessita di dimostrazioni particolari il rilievo per cui una scomposizione analitica degli elementi del reato acquista senso solo a seguito di una ricomposizione sintetica dei risultati raggiunti: ciò consente di scongiurare il rischio di una visione atomistica del reato, esasperatamente parcellizzata, che non consenta di cogliere le necessarie interazioni sussistenti tra le “parti” e, dunque, di pervenire ad una più efficace comprensione del “tutto”142.

      

140 Sulle conseguenze derivanti dalla diversa formula terminativa della sentenza di assoluzione in

caso di carenza dell’elemento oggettivo anziché soggettivo del reato, v. le lucide considerazioni svolte, in tema di suitas, da M.GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. II, Parte I, cit., p. 69-71 e Appunti di

diritto penale, Vol. II, Parte II, cit., pp. 5-7.

141 V. MANZINI, Trattato di diritto penale, cit., p. 5. Nello stesso senso A. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, VIII ed., Milano, Giuffrè, 2003, p. 105.

142 «L’esasperazione del procedimento analitico […] ha portato non solo a spezzare il reato in più

parti, ma anche a considerare ciascuna di esse come un entità indipendente, come un quid dotato di vita autonoma. Per tal modo il reato è stato ravvisato quale una somma di elementi disparati ed eterogenei, questa concezione, che potrebbe dirsi meccanica od atomistica, si deve ritenere erronea, perché il reato è un tutto organico: è una specie di blocco monolitico, il quale può bensì presentare degli aspetti diversi, ma non è in alcun modo frazionabile. La vera essenza e – si potrebbe anche dire – la realtà del reato non è nei singoli componenti di esso e neppure nella loro addizione, ma nel tutto e nella sua intrinseca unità: solo guardando il reato sotto questo profilo, è possibile comprenderne il vero significato. Che il reato costituisca un’unità inscindibile, del resto, è dimostrato all’evidenza dal fatto che le sue note essenziale sono collegate tra loto in modo così indissolubile, che nessuna di esse può essere compresa a fondo, se non la considera in rapporto alle altre. Chi, pertanto, nello studio analitico del reato non voglia smarrire la “diritta via”, non deve mai perdere di vista l’intima, profonda connessione che esiste tra i vari elementi che lo compongono; in altri termini, non deve mai

La preoccupazione di ribadire l’ovvio nasce tuttavia dalla constatazione che la giurisprudenza degli ultimi decenni ci ha abituato ad una continua e destabilizzante confusione di piani: talvolta per effettiva carenza di sicuri riferimenti sistematici negli istituti presi in considerazione, talaltra al fine di ottenere significative “semplificazioni” sul piano probatorio. È evidente come ciò avvenga al fine precipuo di rafforzare, per via giurisprudenziale, la tutela di beni che ne sono ritenuti particolarmente meritevoli; o, addirittura, al fine di portare avanti pretese istanze di responsabilizzazione di particolari categorie professionali (quali, in primis, quella medica) e di richiamare l’attenzione su vistose disfunzioni di sistemi complessi (quale, ancora una volta, quello sanitario)143.

Proprio in tema di responsabilità professionale del medico, per esempio, può accadere che la condotta del sanitario presenti dei profili così macroscopicamente colposi da “compensare” possibili incertezze relative all’individuazione dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, all’accertamento del rapporto causale o a entrambi. Così, se nonostante sintomi eclatanti e inconfondibili, un’infezione tetanica viene confusa con una nevrosi post partum, poco importa se le probabilità di sopravvivenza in caso di diagnosi tempestiva siano stimate attorno al 30%144. Se una ragazzo

affetto da infermità mentale uccide la madre e ferisce il padre, nell’accertamento della responsabilità penale del medico psichiatra, informato del progressivo peggioramento delle condizioni del paziente, l’individuazione in capo allo stesso di un obbligo di impedimento e la successiva verifica dell’effettiva capacità impeditiva della condotta doverosa sfumano di fronte alla constatazione che il medico non ha usato il «minimo della prudenza» necessario: «in altre parole [l’imputato] aveva l’obbligo giuridico di tenere una condotta prudente e diligente: non tenere una tale condotta significa colpa e, quindi, responsabilità»145. Se, infine, un paziente decede

      

dimenticare che il reato costituisce una entità essenzialmente unitaria e organicamente omogenea. L’analisi quindi non deve essere fine a se stessa, ma va considerata soltanto come uno strumento per meglio perseguire l’indagine di questa unitaria entità»: F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., pp. 206-207. V. anche E. MASSARI, Il momento esecutivo del reato, cit., pp. 128-129; B. PETROCELLI,

La colpevolezza, cit., p. 90; F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., pp. 100; M.ROMANO, Commentario

sistematico del codice penale, cit., p. 308; C.FIORE-S.FIORE, Diritto penale, cit., p. 115; G. BETTIOL,

Sul metodo della considerazione unitaria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1938, pp. 513 ss..

143 I. GIACONA, Sull’accertamento del nesso di causalità tra colposa omissione di terapia da parte del medico e la morte del paziente, in Foro it., 1992, II, c. 366, nota a Sez. IV, 12 luglio 1991 (dep. 17

gennaio 1992), Silvestri.

144 Sez. IV, 12 luglio 1991 (dep. 17 gennaio 1992), Silvestri, cit., c. 363.

145 App. Perugia, 9 novembre 1984, Bondioli, in Foro it., 1988, II, cc. 125-126, con note di G.

FIANDACA, Problemi e limiti della responsabilità professionale dello psichiatra e di A. MANACORDA,

Responsabilità dello psichiatra per fatto commesso da infermo di mente. Prime riflessioni. Lo stesso A.

MANACORDA, Responsabilità dello psichiatra, cit., c. 121 sembra cadere nell’equivoco, quando,

nell’indicare i problemi posti da casi simili a quelli cui si è fatto riferimento nel testo, fa precedere logicamente l’accertamento della colpa a quello dell’obbligo di impedimento dell’evento. Esclude la responsabilità dello psichiatra per omicidio colposo Sez. IV pen., 5 maggio 1985, Bondioli, in Foro it., 1988, II, cc. 109 e ss., sebbene con una motivazione non pienamente convincente (v. le considerazioni critiche di G.FIANDACA, Problemi e limiti, cit., cc. 113-114). Sulla responsabilità del medico psichiatra

dopo che, a seguito di un intervento particolarmente delicato, medici e infermieri non si curano di verificare le condizioni dello stesso durante il decorso post- operatorio, è sufficiente rilevare, riproponendo tralaticiamente massime passate, che «medici e paramedici sono tutti ex lege portatori di una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex artt. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la cui salute essi devono tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità; e l’obbligo di protezione perdura per l’intero turno di lavoro»146-147.

A ciò si aggiunga che la giurisprudenza si è spesso mostrata assai incline a cedere alle lusinghe derivanti dalle semplificazioni probatorie, o addirittura dalle vere e proprie presunzioni, insite nella logica del post hoc, ergo propter hoc: se un evento si è verificato significa che una regola cautelare è stata violata, con la conseguenza che gli accertamenti relativi alla prevedibilità e all’evitabilità

      

v. anche Cass. pen., Sez. IV, 6 novembre 2003 (dep. 4 marzo 2004), Guida, in Cass. pen., 2004, pp. 1854 e ss., con nota di M. ZANCHETTI, Fra l’incudine e il martello: la responsabilità penale dello

psichiatra per il suicidio del paziente in una recente pronuncia della Cassazione; di recente, Cass. pen., 14

novembre 2007 (dep. 11 marzo 2008), Pozzi, in Cass. pen., 2008, fasc. 12, pp. 4622 e ss., con nota di M. BARALDO, Gli obblighi dello psichiatra, una disputa attuale: tra cura del malato e difesa sociale.

146 Sez. IV, 1 dicembre 2004 (dep. 11 marzo 2005), Dilonardo, Cass. pen., 2006, pp. 2156, nella

cui motivazione viene ripetuto quasi ossessivamente il principio riportato nel testo (per cui v. anche Sez. IV, 2 marzo 2000 (dep. 13 settembre 2000), Troiano, in Cass. pen., 2002, p. 574 (solo massima), con nota di A.CAVALLO). A.ROIATI, L’accertamento del rapporto di causalità ed il ruolo della colpa come

fatto nella responsabilità professionale medica, in Cass. pen., 2006, pp. 2159 e ss., annotando

criticamente la presente pronuncia, dopo aver sottolineato l’approccio «empirico ed emozionale» che caratterizza spesso le decisioni in tema di “responsabilità medica”, denuncia i limiti della tendenza metodologica che confina l’accertamento della colpa esclusivamente nell’ambito dell’elemento soggettivo del reato, svalutando la funzione tipizzante svolta dalla violazione del dovere oggettivo di diligenza e, in definitiva, tralasciando l’accertamento degli elementi caratterizzanti la colpa penale. In realtà l’impressione sembrerebbe esattamente contraria. È proprio l’evidente trascuratezza nei confronti del paziente e, dunque, l’inosservanza di basilari regole cautelari (per esempio: mancata effettuazione degli esami post-operatori e della terapia farmacologica, mancato controllo di polso, pressione e temperatura) che assume spesso rilevanza decisiva: l’individuazione della condotta nei reati omissivi, tuttavia, avviene non solo attraverso il riferimento alla regola di diligenza, ma, ancor prima, per mezzo di una rigorosa verifica relativa alla sussistenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento; è proprio quest’ultimo accertamento a risultare troppo spesso assorbito in quello proprio della colpa, accontentandosi spesso di individuare la fonte dell’obbligo nella relazione terapeutica tra medico e paziente: così anche Cass. pen., Sez. IV, 28 ottobre 2004, Ardizzone, in Resp. e risarc., 2005, fasc. 1, p. 80 e, sia pur in riferimento ad un caso peculiare, Cass. pen., Sez. IV, 12 ottobre 2000, Avallone, in CED Cass., Rv. 217904. Di recente, invece, in Cass. pen., Sez. IV, 2 dicembre 2008 (dep.

19 gennaio 2009), n. 1866, inedita, si trova la condivisibile precisazione per cui la posizione di garanzia che deriva dalla relazione terapeutica tra medico e paziente non può assumere una dimensione astratta ed irrealistica, quasi che l’obbligo in questione abbia un’estensione illimitata; essa necessita piuttosto di un’apposita delimitazione che, muovendo dai principi di autoresponsabilità, affidamento e gerarchia, circoscriva in maniera puntuale le competenze proprie di ciascun sanitario nell’ambito di organizzazioni complesse.

147 Sulla necessità che l’accertamento della colpa segua alla preventiva di un obbligo giuridico di

impedire l’evento v., invece, Cass. pen., Sez. IV, 27 febbraio 2004 (dep. 26 maggio 2004), Bodini, in

Cass. pen., 2005, pp. 1235 e ss.; Cass. pen., Sez. IV, 19 febbraio 2008, Gualano, in CED Cass., Rv.

239900; Cass. pen., Sez. IV, 9 maggio 2006, Piccioli, in Foro it., 2008, II, c. 101; Cass. pen., Sez. IV, 25 maggio 2001, Parma, in Cass. pen., 2002, p. 1025.

dell’evento sfumano inevitabilmente nell’accertamento del nesso di causalità materiale. Al fenomeno in questione è stata attribuita una rilevanza tale che Gaetano Contento, commentando la proposta di riforma volta ad eliminare dal nostro ordinamento le ipotesi di responsabilità oggettiva a favore di una responsabilità almeno per colpa, temeva che il rimedio in questione avrebbe potuto, paradossalmente, rivelarsi maggiore del male cui intendeva far fronte: fino a quando l’applicazione giurisprudenziale andrà nel senso di una svalutazione del requisito della colpa, introdurre quest’ultima come condizione minima di imputazione soggettiva si rivelerebbe un intervento del tutto inadeguato che, anzi, potrebbe condurre ad un più deciso orientamento della prassi verso la totale identificazione tra colpa e responsabilità oggettiva148.

Va comunque chiarito che la relazione tra colpa e nesso di causalità, talmente stretta da condurre in certi casi ad una vera e propria sovrapposizione di piani, non è certo una peculiarità che contraddistingue la sola giurisprudenza degli ultimi decenni. Emblematica da questo punto di vista la ricostruzione proposta dallo Stoppato che espone la nota teoria della c.d. causalità efficiente proprio in riferimento al reato colposo149, schema all’interno del quale si presentavano le

questioni più complesse in tema di nesso causale: con il rischio per cui i problemi di imputazione di risultati che, per definizione, non sono stati previsti da parte del soggetto, finivano spesso per “retroagire” in sede di accertamento causale150.

Se a ciò si aggiunge che la tematica dell’omissione, per le ragioni che si è cercato di chiarire, risulta legata a filo doppio a quella della causalità, si comprendono agevolmente anche le ragioni “storiche” della difficoltosa distinzione tra oggettivo e soggettivo cui più volte si è fatto riferimento.

6. Delimitazione dell’oggetto di indagine: i reati omissivi impropri e la

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 48-53)

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