A D IMPOSSIBILIA NEMO TENETUR: LA “DOMINABILITÀ” NELL’OMISSIONE E LA “DOMINABILITÀ” NELLA COLPA
8. La predeterminazione della regola cautelare Il c.d momento omissivo della colpa; regola cautelare, obbligo di diligenza e obbligo d
impedire l’evento; le regole cautelari come regole “modali”.
La trattazione del primo aspetto che contribuisce alla definizione della dominabilità nell’illecito colposo necessita di alcune precisazioni preliminari, che proprio in relazione al reato omissivo assumono precipua rilevanza.
A) Il c.d. momento omissivo della colpa. Si osserva comunemente che la componente oggettiva della colpa, consistente nella violazione della regola cautelare, si risolve in definitiva nell’omissione di cautele doverose202: chi agisce in maniera
imprudente o negligente viene meno al dovere di utilizzare tutte le precauzioni imposte dal caso concreto, che possono coincidere anche con la completa astensione dallo svolgimento di una certa attività. La colpa, in altri termini, sarebbe sempre caratterizzata da un momento omissivo, che costituirebbe il primo punto di interferenza sul piano strutturale tra colpa ed omissione. In effetti la tentazione potrebbe essere quella di ricostruire la condotta colposa tout court come condotta omissiva, in quanto mancata osservanza del comando che impone di adottare le cautele finalizzate a prevenire determinati eventi dannosi e pericolosi. Da ciò potrebbe derivare in primo luogo la pressoché automatica “conversione” di ogni reato colposo in reato omissivo; in secondo luogo il sostanziale annullamento del nesso tra la violazione della regola cautelare e l’evento entro la formula della causalità (materiale) omissiva203.
202 Già F.CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, cit., p. 101, come ricordato in
precedenza (supra § 5) definiva la colpa «la volontaria omissione di diligenza nel calcolare le conseguenze
possibili e prevedibili del proprio fatto». Per tutti F.ANTOLISEI, La colpa per inosservanza, cit., cc. 5-6 e
Manuale di diritto penale, cit., p. 368.
203 Tra i più recenti casi giurisprudenziali in cui ben visibile è la “valorizzazione” del c.d.
momento omissivo della colpa, che conduce a ravvisare un’omissione colposa in una situazione in cui ben pochi dubbi sembrerebbero sussistere circa la natura commissiva della condotta penalmente rilevante v. la pronuncia relativa al crollo a Roma del fabbricato di via di Vigna Jacobini: Cass. pen., Sez. IV (26 maggio 2006 (dep. 22 settembre 2006), Capobianchi, in Cass. pen., 2008, fasc. 2, pp. 556 e ss. con nota critica di L.RAMPONI, Concause antecedenti e principio di affidamento: fra causalità attiva
e causalità omissiva. Si tratta peraltro di una tendenza riscontrata anche sul versante di quella
giurisprudenza civile che accoglie una nozione “ampia” di culpa in omittendo, intesa come mera “omissione” delle cautele necessarie per prevenire l’evento e, dunque, versione in negativo della stessa nozione di colpa: critico al riguardo G.ALPA, Colpa omissiva e principi di responsabilità civile, cit., c.
1368 (anche G.ALPA, in M.BESSONE, Casi e questioni di diritto privato, cit., p. 14). Sul punto G.
MARINUCCI, Il reato come “azione”, cit., p. 144; F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 170 (nota n. 47);
G.FIANDACA, Il reato commissivo, cit., pp. 109-111; M. DONINI, La causalità omissiva e l’imputazione
“per l’aumento del rischio, cit., spec. pp. 50, 52-53 e 68; F.GIUNTA, Illiceità e colpevolezza, cit., pp. 92-
94;M.MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Milano, Giuffrè, 1997, pp.
139 e ss.; A. NAPPI, Condotta omissiva e colpa per omissione: la causalità tra diritto e processo, in Cass.
In realtà il c.d. momento omissivo della colpa, al di là delle suggestioni semantiche, pone solo in apparenza un problema di sovrapposizione tra colpa ed omissione. O meglio: esso rinvia alla soluzione di quella che costituisce una vera e propria questione pregiudiziale nello studio del reato omissivo e che riguarda l’individuazione di sicuri criteri distintivi tra l’omissione e l’azione in senso stretto204.
Posto infatti che, liberato il piano di indagine dalle pastoie di impostazioni ciecamente formalistiche, nessuna difficoltà sussiste ad ammettere che anche l’azione (in senso stretto) colposa si risolva in definitiva nell’omissione di cautele doverose, la distinzione tra una condotta omissiva ed una condotta attiva svolta in violazione di una regola cautelare può efficacemente essere evitata mediante una sicura actio
finium regundorum tra omissione ed azione in senso stretto.
B) Regola cautelare, obbligo di diligenza e obbligo di impedire l’evento. Finora si sono impiegate le espressioni “regola cautelare” e “obbligo di diligenza” facendo riferimento a concetti sostanzialmente equivalenti, riassuntivi del modello di comportamento predeterminato dal legislatore rispetto al quale valutare la conformità dell’agire del singolo. Da parte di alcuno, tuttavia, si è proposta al riguardo una distinzione. In particolare, il dovere di diligenza e la regola cautelare svolgerebbero un ruolo complementare, ma distinto, nell’individuazione della pretesa comportamentale: il dovere di diligenza esprimerebbe in termini generali e astratti l’obbligatorietà di un certo comportamento, che poi sarebbe specificato in concreto dalla regola cautelare205. Il dovere di diligenza così configurato andrebbe ricondotto
al più generale principio dell’alterum non ledere, che troverebbe le proprie fonti negli artt. 2043 e 2050 c.c.206. La regola cautelare, come già anticipato, rappresenterebbe
invece il necessario contenuto del dovere di diligenza che, specificando il generico riferimento all’alterum non ledere, determinerebbe il contenuto della pretesa comportamentale imposta dall’ordinamento: si tratterebbe più esattamente di una “regola modale” che, in altri termini, prescriverebbe di osservare determinate modalità nello svolgimento di attività pericolose; essa presupporrebbe dunque un
in Cass. pen., 2005, 4121; A.GARGANI, Ubi culpa, ibi omissio. La successione di garanti in attività
inosservanti, in Ind. pen., 2000, pp. 635-637. Già F. GRISPIGNI, L’omissione nel diritto penale, cit., p.
31 avvertiva della necessità di non confondere l’omissione di “azione”, cioè del movimento corporeo che produce una modificazione del mondo esterno, dall’omissione di atti meramente interni (come la negligenza, che è omissione di diligenza o l’imprudenza che è omissione di prudenza). V. anche L. PETTOELLO MANTOVANI, Il concetto ontologico del reato, cit., p. 172: «occorre però far attenzione a non
confondere, come spesso accade, la noncuranza per difetto (negligenza) e per eccesso (imprudenza) con la
condotta colposa passiva (omissione) ed attiva (azione). Negligenza può esservi infatti nell’azione come
imprudenza nell’omissione». Per un inquadramento della questione nella letteratura tedesca si rinvia a A.R.CASTALDO, L’imputazione oggettiva nel delitto colposo d’evento, Napoli, Jovene, 1989, pp. 115 e
ss..
204 Solo per ragioni espositive si è ritenuto di posticiparne la trattazione infra, Cap. III, § 1. 205 F.GIUNTA, Illiceità e colpevolezza, cit., p. 197.
comportamento di tipo “positivo”, risultando per contro incompatibile con un più radicale di divieto di intraprendere l’attività stessa che imponga un’astensione del soggetto207.
Dalla distinzione tra obbligo di diligenza e regola cautelare nel senso suesposto, tuttavia, non pare possano trarsi utili indicazioni in sede di ricostruzione della struttura del reato colposo. In primo luogo, non sembra possedere una reale autonomia sistematica un generale obbligo di diligenza riconducibile all’ancor più generale principio del neminem ledere, che non riesce, da solo, a garantire neppure un sufficiente grado di determinatezza della pretesa comportamentale208.
Il neminem ledere potrebbe, al più, individuare la ratio della singola regola cautelare, mediante la quale, come si osserva comunemente, l’ordinamento mira ad eliminare o a contenere i rischi insiti nello svolgimento di certe attività.
La funzione di specificazione svolta da una regola cautelare rispetto ad una pretesa comportamentale già individuata nei suoi tratti essenziali sembrerebbe invece delinearsi con maggiore nettezza nell’ambito particolare dei reati omissivi impropri colposi. In questo caso, in effetti, la condotta doverosa rimasta disattesa subisce una “doppia qualificazione normativa”: prima ad opera dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, che assume portata generale, poi per effetto dell’obbligo di diligenza/regola cautelare, che ne specifica il contenuto209. L’obbligo di impedire
l’evento è costruito attorno al risultato da evitare e, dunque, individua la condotta penalmente rilevante come quella condotta funzionalmente rivolta ad impedire un certo evento; qualora si tratti di reati omissivi colposi sarà alla regola cautelare, formulata in relazione alla situazione concreta, che resterà affidato il compito di definire anche le modalità che completano la pretesa comportamentale definita
207 F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza, cit., spec. pp. 233-240: l’Autore valorizza la natura
“modale” della regola cautelare anche come criterio per risolvere l’annosa questione relativa al carattere prudenziale o meno di una norma sanzionatoria. V. anche F.GIUNTA, Il diritto penale e le
suggestioni del principio di precauzione, cit., p. 235, in cui si indica quale strada da seguire fino in
fondo, proprio muovendo dal carattere modale della regola cautelare, quella di «ricondurre gli illeciti colposi di evento alla categoria dei reati a forma vincolata, dove il vincolo di tipicità che riguarda la condotta è dato dalla rigorosa preesistenza della regola cautelare doverosa, sia essa positivizzata o esperenziale».
208 Crf. V. MILITELLO, Rischio e responsabilità penale, cit., pp. 128-129. Anche nella
giurisprudenza civile, del resto, proprio in riferimento alla culpa in omittendo, è insegnamento ormai consolidato quello per cui, proprio in applicazione dell’art. 40, secondo comma c.p., non basta il generico riferimento al principio del neminem ledere, ma occorre individuare, caso per caso, un vero e proprio obbligo giuridico di impedire l’evento: per esempio Cass. civ., Sez. III, 25 settembre 1998, n. 9590, in Giust. civ., 1999, I, c. 94; Cass. civ., Sez. III, 14 aprile 1983, n. 2619, in Giust. civ. Mass., 1983, f. 4; Cass. civ., Sez. III, 22 ottobre 2003, n. 15789, in Giust. civ. Mass., 2003, f. 10.
209 V. ancora F.GIUNTA, Illiceità e colpevolezza, cit., p. 96. Sulla natura doppiamente normativa
della condotta omissiva colposa C.E.PALIERO, La causalità dell’omissione, cit., p. 828; P.VENEZIANI,
Il nesso tra omissione ed evento nel settore medico: struttura sostanziale ed accertamento processuale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini e C. E. Paliero, Vol. II, Teoria del reato. Teoria della pena, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 1972-1974; A. NAPPI, Condotta omissiva e colpa per
dall’ordinamento. Poniamo il caso in cui il medico ritardi colposamente la diagnosi cagionando la morte del paziente: l’obbligo giuridico di impedire l’evento, si diceva, prescrive al medico di adoperarsi per evitare risultati pregiudizievoli per il paziente; il “come” attivarsi viene poi specificato dalla regola cautelare eventualmente violata nel caso concreto (somministrazione di certi farmaci; prescrizione di determinati esami clinici, etc.).
La distinzione dell’obbligo di impedire l’evento rispetto all’obbligo di diligenza210 assume rilevanza soprattutto quale utile strumento che, ancora una
volta, metta al riparo dalla tentazione di valorizzare in sede di accertamento violazioni anche evidenti di regole cautelari, senza prima verificare la sussistenza in capo al soggetto di un più generale obbligo di impedimento211. Non è un caso del
resto che anche chi ha ritenuto che, quanto a contenuto, dovere di diligenza e obbligo giuridico di impedire l’evento finiscono non solo per intersecarsi ma addirittura per coincidere, concordi poi sul rilievo per cui sul piano concettuale le due entità vanno tenute distinte212.
In effetti, nonostante l’obbligo di impedire l’evento rappresenti un prius logico rispetto all’obbligo di diligenza, è evidente, ad ulteriore conferma del valore oggettivo della regola cautelare, che quando si tratta di individuare i contorni della condotta penalmente rilevante e, quindi, di verificare il valore causale dell’omissione rispetto all’evento verificatosi, a venire in considerazione sarà la condotta doverosa complessivamente considerata, comprensiva dunque delle particolari modalità di svolgimento dell’attività pericolosa imposte dalla regola cautelare213.
Nell’individuazione della condotta penalmente rilevante, in altri termini, non può prescindersi dalla forma dell’elemento soggettivo che viene in considerazione, a conferma della collocazione della condotta stessa nel delicato punto di raccordo tra elemento oggettivo ed elemento soggettivo. Le omissioni improprie colpose, in particolare, consisterebbero «nel “non fare” del garante che contrasta con la pretesa a contenuto positivo discendente da una norma di diligenza. Il dovere del garante è
210 Sull’esigenza di mantenere distinti i due concetti in particolare F.MANTOVANI, Diritto penale,
cit., p. 170 (nota n. 47); G.GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 372-375; I.LEONCINI, Obbligo
di attivarsi, cit., pp. 118-122; A.NAPPI, Condotta omissiva e colpa per omissione, cit., p. 4311; S.
CANESTRARI, Profili di responsabilità colposa nell’esercizio della cronaca giornalistica, in Giust. Pen., II,
c. 548.
211 Supra, Cap. I, § 5. Cfr. F.GIUNTA, Illiceità e colpevolezza, cit., p. 101: «[…] l’obbligo di
garanzia nasce logicamente prima del dovere di diligenza: non si può pretendere, infatti, che taluno agisca diligentemente, se questi non ha l’obbligo di agire»; in senso adesivo A.GARGANI, Ubi culpa,
ibi omissio, cit., p. 637. F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 170 (nota n. 47).
212 G.FIANDACA, Il reato commissivo, cit., pp. 104-105.
213 Cfr. nella giurisprudenza civile Cass. civ., Sez. III, 31 maggio 2005, n. 11609, in Riv. it. med. leg., 2006, p. 693: «Nell'imputazione per omissione colposa il giudizio causale assume come termine
iniziale la condotta in quanto colposa e non la mera omissione materiale». Nello stesso senso anche Sez. Un. Civ., 11 gennaio 2008, n. 581, in Foro it., 2008, II, cc. 453 e ss.; Cass. civ., Sez. II, 19 novembre 2004 , n. 21894, in Giust. civ. Mass. 2005, p. 1.
dovere di diligenza»214. Pur con il necessario avvertimento per cui la violazione della
regola cautelare è necessaria ma da sola non sufficiente a fondare il rimprovero per colpa, sembra difficilmente contestabile che le «regole di diligenza […] vengono a delimitare e a plasmare lo stesso comportamento che si esige dal garante»215. Per
esempio, dopo aver verificato che in capo ad un certo medico sussisteva l’obbligo giuridico di impedire eventi pregiudizievoli per il paziente, si tratterà poi di verificare se, per esempio, la tempestiva somministrazione di certi farmaci, imposta dalle regole cautelari in presenza di una sintomatologia caratteristica, avrebbe evitato la morte del paziente.
È proprio questo contenuto “complesso” dell’obbligo di impedimento dell’evento o, rectius, il contenuto doppiamente normativo della condotta omissiva colposa, che costituisce uno dei più evidenti tratti distintivi del reato omissivo colposo rispetto a quello omissivo doloso. In quest’ultima ipotesi, in effetti, l’ordinamento impone semplicemente di non arrecare offesa ad un certo bene omettendo di intervenire in sua protezione: l’obbligo di impedire l’evento non si specifica, come invece nel reato colposo, in funzione di una finalità preventiva in senso stretto, ma risponde allo scopo di strumentalizzare l’inerzia per la realizzazione di un evento oggetto di volontà delittuosa216.
Se il c.d. momento omissivo della colpa non pone reali problemi di interferenza sistematica tra omissione e colpa, maggiori difficoltà sembrerebbero derivare dall’innegabile funzione tipizzante svolta dalle regole cautelari. In effetti, muovendo dal presupposto per cui la rilevanza causale dell’omissione va verificata mediante l’addizione mentale della condotta doverosa, così come specificata dall’obbligo di diligenza, sembrerebbe giocoforza concludere che l’accertamento del rapporto di causalità materiale esaurisca le possibili relazioni intercorrenti tra condotta ed evento, almeno sotto il profilo della evitabilità dell’evento stesso mediante il comportamento alternativo diligente. Si cercherà di verificare nel prossimo Capitolo217, anche mediante il confronto con le caratteristiche che il
giudizio in questione assume nell’ambito dei reati commissivi colposi, se il ruolo svolto dal requisito della evitabilità nella responsabilità per omissione colposa resti del tutto assorbito nell’accertamento dell’elemento oggettivo del reato o se sia invece
214 G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza, cit., p. 108. Giunge a questa conclusione anche F.
ANGIONI, Note sull’imputazione dell’evento colposo con particolare riferimento all’attività medica, cit., pp.
1283-1284, muovendo dal presupposto per cui il principio di personalità della responsabilità penale richieda di accertare perlomeno la colpa: con la conseguenza che i concetti di obbligo di impedimento (art. 40, secondo comma c.p.) e di omissione (art. 40, primo comma c.p.) andrebbero arricchiti «con l’aggiunta della colposità. In questo modo, l’obbligo d’impedire l’evento da parte del garante si trasforma in obbligo di diligenza indirizzata all’impedimento e di conseguenza l’omissione primo termine del rapporto di causalità, richiesto dall’art. 40, comma 1, diventa omissione colposa (cioè inosservante dell’obbligo di diligenza)»
215 G.GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 370. 216 G.FIANDACA, Il reato commissivo, cit., pp. 105-106. 217 Infra, Cap. III, § 4.
possibile riconoscergli un autonomo ambito applicativo, distinto da quello proprio del nesso di causalità materiale.
C) Le regole cautelari come regole “modali”. Veniamo ora all’identificazione della regola cautelare con regole di tipo “modale” e alla sua conseguente incompatibilità strutturale rispetto al dovere di astenersi tout court dall’attività pericolosa; si è replicato in proposito che anche l’obbligo di astensione può essere inteso come “modale” rispetto all’attività di riferimento, rappresentando anzi la cautela per eccellenza che assicura un completo azzeramento dei rischi218. La critica,
tuttavia, non sembra tener conto della distinzione tra il vero e proprio divieto di svolgere l’attività pericolosa rispetto alla facoltà dell’agente di astenersi da essa nel caso concreto. In caso di attività pericolosa non vietata, dunque, il c.d. dovere di astensione nel caso in cui l’attività da intraprendere richieda conoscenze e capacità superiori rispetto a quelle dell’agente, manterrebbe in realtà un carattere di mera facoltà: in mancanza di un divieto espresso, infatti, l’astensione da un certo comportamento non potrebbe costituire un obbligo in senso tecnico senza incorrere in contraddizione219.
A ben vedere, più che di carattere “facoltativo” del c.d. dovere di astensione dovrebbe parlarsi di un suo carattere “eventuale”: in effetti, se l’attività pericolosa non è vietata ab origine (guidare la macchina), in certi casi la regola cautelare ne impone l’astensione (non guidare in condizioni di eccessiva stanchezza); e si tratta di un dovere di astensione in senso tecnico, anche se valevole solo per certi soggetti e per certe situazioni, visto che se dalla sua inosservanza deriva un risultato vietato dall’ordinamento sussistono i presupposti per formulare un giudizio di responsabilità per colpa (c.d. colpa per assunzione)220.
Quindi, si ripete, nel caso in cui l’attività di riferimento sia autorizzata da parte dell’ordinamento, nessun dubbio che la regola cautelare possa prescrivere, in riferimento alla situazione concreta, tanto di intraprendere l’attività impiegando precauzioni di un certo tipo, quanto di astenersi del tutto dal suo svolgimento.
L’osservazione per cui di regola cautelare può parlarsi solo in assenza di un generale divieto di svolgere l’attività pericolosa assume, a nostro avviso, significativa rilevanza quando si tratti di risolvere l’annosa questione circa la
218 P.VENEZIANI, Regole cautelari “proprie” ed “improprie”, cit., p. 19, dove si fa l’esempio di
Tizio che deve recarsi da Milano a Roma, ma, visto che in quel giorno avverte forti giramenti di testa, ha il dovere di astenersi
219 F.GIUNTA, Illecito e colpevolezza, cit., pp. 212 e 235.
220 G.FORTI, Colpa ed evento, cit., p. 291; M.ROMANO, Art. 43, Commentario sistematico, cit., p.
469. Di recente Cass. pen., Sez. IV, 31 gennaio 2008 (dep. 3 aprile 2008), n. 13942, in Riv. pen., 2008, p. 623 ha escluso una “colpa per assunzione” di un’ostretica la quale, pur non essendo autorizzata a procedere a parti non fisiologici, in presenza di una diltazione ormai compelta e non riuscendo ad ottenere l’intervento del medico, pure sollecitato, aveva eseguito erroneamente manovre di competenza del ginecologo, cagionando al neonato una lesione permanente.
possibilità che anche la violazione di una legge penale possa dar luogo a colpa specifica. La disputa, originariamente sorta con specifico riferimento alle problematiche proprie del reato aberrante221, ha ben presto assunto una portata più
generale. Alla tesi per cui, vista anche la generica formulazione al riguardo della definizione di delitto colposo di cui all’art. 43 c.p., una responsabilità per colpa può nascere anche dalla violazione intenzionale di una norma incriminatrice222, si è
replicato che la colpa c.d. specifica svolge il compito di prescrivere particolari modalità di condotta nello svolgimento di attività lecite, al fine di prevenire danni o pericoli per i terzi, con la conseguenza che essa non può essere fondata sulla violazione dolosa di una legge penale223.
Nel tentativo di fornire una risposta convincente al quesito, si è osservato che, poiché il contenuto della colpa penale consiste in ogni caso nell’inosservanza di cautele doverose, le leggi di cui parla all’art. 43 c.p. sono necessariamente quelle che prescrivono cautele di tal genere. Ben potrebbe trattarsi dunque di leggi penali, a patto che alle stesse possa essere riconsciuta una funzione preventiva, in quanto prescrivono cautele intese ad evitare danni o pericoli per i terzi, e non una funzione meramente repressiva, in quanto vietano direttamente l’offesa di beni giuridici: il buon senso, del resto, si ribellerebbe «ad ammettere che nel vietare l’’omicidio il legislatore abbia voluto anche dire: sii cauto nell’uccidere!»224. Perché il criterio in
questione, pur condivisibile in linea di principio, possa divenire concretamente operativo, è necessario individuare dei criteri che consentano di chiarire quando una legge, anche penale, risulti contrassegnata da una finalità cautelare. Il ricorso ai criteri della prevedibilità e della evitabilità, nel senso che darà luogo a colpa la