A D IMPOSSIBILIA NEMO TENETUR: LA “DOMINABILITÀ” NELL’OMISSIONE E LA “DOMINABILITÀ” NELLA COLPA
6. La distinzione tra la responsabilità “personale” e la responsabilità “per colpa”.
Se infatti per “responsabilità oggettiva” si intende ogni forma di responsabilità accertata sulla base di parametri “astratti e generalizzanti” che, in altri termini, non consentono di verificare la possibilità per il soggetto agente di adeguare, nella situazione concreta, la propria condotta alla pretesa normativa, deve anche concludersi che ogni ricostruzione dogmatica della colpa che non assicuri un accertamento della responsabilità di tipo “concreto ed individualizzante” urti inevitabilmente contro la scelta sistematica operata dal nostro legislatore.
6. La distinzione tra la responsabilità “personale” e la responsabilità “per colpa”.
La necessità di individuare dei criteri distinzione tra la colpa e le forme di c.d. responsabilità oggettiva resta ferma anche nel caso in cui si aderisca, come sembra preferibile, ad una lettura “ampia” del principio di personalità della responsabilità penale127, tale per cui una responsabilità oggettiva “pura” non avrebbe alcun diritto
126 M.GALLO, voce Colpa penale (dir. vig), cit., pp. 634 e 637. Analoghe considerazioni in M.
SPASARI, Esegesi e dommatica della colpa, in Studi in memoria di Giacomo Delitala, Vol. III, Milano, Giuffrè, 1984, pp. 1473-1474. Per una ricostruzione della tematica della responsabilità oggettiva, tra gli altri, R. PANNAIN, voce Responsabilità oggettiva (diritto penale), in Noviss. dig. it., Vol. XV,
Torino, Utet, 1968, pp. 704-707; A.PAGLIARO, Colpevolezza e responsabilità oggettiva, cit., pp. 5 e ss.;
C.F.GROSSO, Responsabilità penale personale e singole ipotesi di responsabilità oggettiva, in AA.VV.,
Responsabilità oggettiva e giudizio di colpevolezza, cit., pp. 269 e ss.; D. PULITANÒ, Responsabilità
oggettiva e politica criminale, in Responsabilità oggettiva e giudizio di colpevolezza, cit., pp. 63 e ss.; S.
ARDIZZONE, Le ipotesi di responsabilità oggettiva: tra dogmatica e politica criminale, in Responsabilità
oggettiva e giudizio di colpevolezza, cit., pp. 287 e ss.; F.MANTOVANI, Responsabilità oggettiva espressa e
responsabilità oggettiva occulta, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, pp. 460 e ss.; S.MOCCIA, Il diritto penale
tra essere e valore. Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane,
1992, pp. 141-171.
127 Tra gli altri, C.F.GROSSO, voce Responsabilità penale, in Noviss. dig. it., Vol. XV, Torino,
Utet, 1968, 712; G.D. PISAPIA, La nuova disciplina della responsabilità per reati commessi a mezzo
stampa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1958, p. 307; F.BRICOLA, Teoria generale del reato, cit., pp. 682 e ss.;
M.SPASARI, Diritto penale e Costituzione, cit., pp. 53 e ss.; A.ALESSANDRI, Il primo comma dell’art. 27
Cost., in Commentario della Costituzione, a cura di M. Branca – A. Pizzorusso, Artt. 27-28, Bologna –
di cittadinanza all’interno del nostro ordinamento. In effetti, esclusa una lettura riduttiva del principio in questione che lo identifichi con il mero divieto di responsabilità per fatto altrui, non sembra né corretto né, a ben vedere, necessario sostenere l’equivalenza responsabilità personale = responsabilità per colpa128; con la
conseguenza di subordinare l’affermazione della responsabilità penale all’accertamento dei requisiti richiesti dall’art. 43, primo comma, secondo alinea c.p. anche, per esempio, nei delitti dolosi aggravati dall’evento, nel delitto preterintenzionale, nella responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto. In altri termini, il principio di personalità della responsabilità penale impone di ricercare anche nelle ipotesi riconducibili all’ “altrimenti” di cui all’art. 42, terzo comma c.p. un requisito di imputazione ulteriore, aggiuntivo rispetto al mero nesso di causalità materiale, ma, come suggerito dalla lettera della legge, strutturalmente diverso sia rispetto al dolo sia rispetto alla colpa.
Ben potrebbe anzitutto ritenersi che il carattere di personalità sia rispettato quando venga assicurato un collegamento tra soggetto e fatto di reato accertato sulla base di parametri oggettivi ma relativi (homo eiusdem professionis et condicionis), in tutti i casi in cui la responsabilità penale non è subordinata ad un giudizio di tipo individualizzante quale quello proprio della colpa. In particolare, si è ritenuto che la novità introdotta dall’art. 27, primo comma, Cost., consisterebbe nel richiedere che il soggetto risponda del fatto proprio solo quando sussistano anche dei requisiti minimi di riferibilità soggettiva, che consentano di distinguere l’agire umano da una forza ciecamente causale: dunque, in tutti i casi in cui il codice penale escluda la possibilità di riportare tale agire alla sfera di dominio della volontà, effettiva o potenziale, l’art. 27, primo comma, Cost., svolgerebbe un vero e proprio ruolo costitutivo, introducendo un requisito autonomo in ogni fattispecie che preveda una forma di responsabilità oggettiva pura129.
ROMANO, Pre-Art. 39, Commentario sistematico, cit., p. 326; G.FIANDACA –E.MUSCO, Diritto penale, cit., pp. 307-308; C.FIORE –S.FIORE, Diritto penale, cit. pp. 375-376; G.RICCIO, voce Responsabilità
penale, in Enc. giur., Vol. XXVII, Roma, Treccani, 1991, pp. 9 e ss.. Per la identificazione del
carattere personale della responsabilità penale con il solo divieto di responsabilità per fatto altrui, in particolare, negli anni appena successivi all’entrata in vigore della Costituzione, C. Cost., 8 luglio 1957, n. 107, in Giur. cost., 1957, pp. 1005 e ss.; C. cost., 9 luglio 1959, n. 39, in Giur. cost., 1959, pp. 692 e ss.; C. Cost., 8 giugno 1963, n. 79, in Giur. cost., 1963, pp. 659 e ss..
128 Giunge invece a questa conclusione F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 381-382, il quale
muovendo da una decisa affermazione del principio nullum crimen sine culpa, perviene ad auspicare una dichiarazione di illegittimità costituzionale delle ipotesi di responsabilità oggettiva espressa (in maniera del tutto consequenziale rispetto alle premesse) e a proporre una “reinterpretazione adeguatrice” delle ipotesi problematiche in termini di colpevolezza (= colpa). Nello stesso F.BRICOLA,
Teoria generale del reato, cit., p. 703 e, più di recente, F.ANGIONI, Note sull’imputazione dell’evento
colposo con particolare riferimento all’attività medica, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E.
Dolcini e C. E. Paliero, Vol. II, Teoria del reato. Teoria della pena, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 1283- 1284.
129 M.GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. II, Parte II, cit., pp. 10-12. L’Autore fa riferimento
(in particolare nota n. 12) ad una necessaria rappresentabilità dell’evento alla stregua di regole generali che prescindono dalle peculiarità del caso concreto, con l’unica eccezione costituita dalle
La ricostruzione in questione ha il pregio di individuare i due punti fermi dai quali muovere per individuare l’esatta portata del c.d. principio di colpevolezza all’interno del nostro ordinamento:
1) l’interpretazione “ampia” del principio di personalità della responsabilità penale, che va oltre il mero divieto di responsabilità per fatto altrui;
2) la necessità di individuare un criterio di imputazione “soggettivo” minimo, ulteriore rispetto al rapporto di causalità materiale, ma diverso rispetto alla colpa130.
Le premesse in questione sembra vengano sviluppate con condivisibile coerenza da chi ha insistito sulla peculiarità strutturale della colpa penale, ravvisando proprio su questo piano gli elementi che impongono di distinguere tra la responsabilità per colpa e i casi in cui l’evento è posto “altrimenti” a carico del soggetto agente. La definizione del delitto colposo introdotta dal codice Rocco, in effetti, valorizza quale elemento caratterizzante della colpa penale la violazione di una regola cautelare, di tipo “sociale” oppure “giuridico”. Ciò significa che la colpa non si identifica tout court con la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento o, il che è lo stesso, che la prevedibilità e l’evitabilità non svolgono nel giudizio di responsabilità per colpa un ruolo autonomo, ma vanno necessariamente posti in relazione alla violazione di una regola cui possa essere riconosciuta una finalità preventiva131.
“Finalità preventiva” significa che la regola è cautelare quando mira ad impedire che dallo svolgimento di certe attività, di per sé lecite, derivino conseguenze pregiudizievoli per i terzi132. Si tratta di un aspetto valorizzato anche da coloro che
hanno identificato le regole cautelari nelle sole regole “modali”, con la conseguenza che la finalità cautelare di una “legge penale” o, più in generale, di una norma sanzionatoria, andrebbe ravvisata ogni volta che la regola stessa sia funzionale allo svolgimento di una certa attività, in sé non vietata da parte dell’ordinamento, e non
maggiori conoscenze eventualmente possedute dall’agente. Sebbene si tratti di un criterio di imputazione diverso dalla colpa, nella ricostruzione riferita non pare sufficientemente chiarito il
discrimen tra l’uno e l’altra.
130 Cfr. A. CARMONA, Il versari in re illicita «colposo». Un breve percorso tra pratiche giurisprudenziali e suggestioni dogmatiche, pensando alla riforma del codice penale, in Ind. pen., 2001,
pp. 227-228, secondo il quale, in riferimento alle ipotesi “a rischio di personalità” (per esempio: artt. 584, 586, 83 c.p.) c’è solo un’alternativa praticabile de iure condito: o “rassegnarsi” a ritenere che la responsabilità penale sia fondata sul mero accertamento del nesso di causalità materiale; ovvero «tentare una soggettivizzazione della responsabilità oggettiva fuori, però, dagli schemi tradizionali e condivisi della responsabilità colposa».
131 A.PAGLIARO, Colpevolezza e responsabilità obiettiva, cit., p. 14.
132 La necessaria liceità dell’attività svolta dal soggetto quale presupposto della responsabilità
per colpa viene sottolineata anche da A. CARMONA, Il versari in re illicita «colposo», p. 226: la
«trasfigurazione» che l’attività individuale subisce quando viene intenzionalmente finalizzata alla commissione di un delitto: se «lo scopo costituisce l’essenza stessa del concetto di attività (umana)
esistente» (corsivi originali), dovrebbe risultare sufficientemente chiara la distinzione tra “guidare”
miri invece alla totale interdizione dell’attività medesima133. Le regole cautelari, in
altri termini, individuano all’interno di attività pericolose, ma delle quali l’ordinamento non vieta lo svolgimento in considerazione della loro rilevanza sociale, un’area di “rischio consentito”, restando all’interno della quale l’agente non risponderà penalmente di eventuali conseguenze dannose o pericolose derivanti dalla propria condotta. Il superamento del rischio consentito rappresenta, per converso, il presupposto perché possa essere ravvisata una colpa del soggetto agente. La colpa, dunque, è una responsabilità da rischio illecito, «ma ha al centro un’attività-base lecita»134; in questo modo essa resta chiaramente distinta dalle ipotesi di
responsabilità da rischio illecito in radice, nelle quali cioè l’ordinamento disapprova per intero l’attività-base svolta135.
Riassumendo: nel caso in cui un risultato vietato derivi da un’attività il cui svolgimento è in ogni caso precluso da parte dell’ordinamento, manca lo spazio logico per ravvisare l’operatività di una regola cautelare e, dunque, per poter parlare di “colpa” in senso tecnico o, almeno, di una colpa corrispondente alla definizione contenuta nell’art. 43 c.p.. In questi casi, riconducibili all’ambito di operatività tradizionalmente riconosciuto al versari in re illicita136, l’evento sarà posto
“altrimenti” a carico del soggetto agente, senza che da ciò, tuttavia, derivi la necessaria violazione del principio di personalità della responsabilità penale. Anche nelle ipotesi in cui non possa ravvisarsi l’operatività di una regola cautelare, infatti, il principio in questione impone di accertare che l’evento concreto fosse prevedibile
133 F.GIUNTA, Illecito e colpevolezza, cit., p. 240; A.CARMONA, Il versari in re illicita «colposo»,
cit., p. 237: «è di immediata evidenza che non possano rinvenirsi sul piano giuridico (agli effetti penali) “regole di condotta” per comportamenti vietati senza alternativa; per il principio di non contraddizione si dovrà pur garantire la compatibilità reciproca delle asserzioni giuridiche, sicché non può ritenersi che, allo stesso tempo l’ordinamento giuridico vieti una condotta e indichi (colpa specifica) o recepisca (colpa generica) le cautele – rectius: le modalità – per il suo svolgimento». Sulla compatibilità tra “regole cautelari” ed “attività illecite”, tra gli altri, F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 340; D.PULITANÒ, Diritto penale, cit., pp. 350-351; F.RAMACCI, I delitti di omicidio, II ed., Torino, Giappichelli, 1997, p. 83; S.CANESTRARI,L’illecito penale preterintenzionale, Padova, Cedam,
1989, spec. pp. 127-128. 226 e ss.; F. BASILE, La colpa in attività illecita. Un’indagine di diritto
comparato sul superamento della responsabilità oggettiva, Milano, Giuffrè, 2005, p. 251. Sulla
individuazione della finalità cautelare delle regole di condotta prese in considerazione dall’art. 43 c.p. anche infra, § 9.
134 A.PAGLIARO, Colpevolezza e responsabilità obiettiva, cit., p. 15.
135 A. PAGLIARO, Colpevolezza e responsabilità obiettiva, cit., p. 15. V. anche A. PAGLIARO, Principi, cit., p. 330. In senso conforme A.CARMONA, Il versari in re illicita «colposo», cit., pp. 239-
240.
136 G. DE FRANCESCO, Opus illicitum. Tensioni innovatrici e pregiudizi in materia di delitti qualificati dall’evento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, pp. 1039 e ss. rileva tuttavia con il concetto di res illicita nel pensiero degli antichi giureconsulti veniva impiegato per designare il comportamento di
colui che avesse intrapreso un’attività pericolosa in condizioni tali da determinare il superamento del “rischio consentito”: esercitarsi al tiro dell’arco o del giavellotto in un luogo frequentato da persone o andare in giro per la città con un cavallo prima di averlo domato. Tutte situazioni nelle quali l’evento ulteriore rappresentava un risultato prevedibilmente connesso alle modalità concrete con cui l’evento l’attività pericolosa era stata intrapresa e, soprattutto, significativamente vicine alla struttura “attuale” della colpa penale.
ed evitabile da parte del soggetto agente, con la conseguenza che «nel nostro diritto la responsabilità da versari in re illicita è responsabilità senza colpa, ma è ancora responsabilità colpevole»137. Il requisito in questione andrebbe ricavato dall’art. 27,
primo comma Cost. e dall’art. 45 c.p.: quest’ultima disposizione, in particolare, avrebbe una portata generalissima per cui, non distinguendo tra le diverse tipologie di responsabilità, attribuirebbe rilevanza al caso fortuito (imprevedibilità dell’evento) e alla forza maggiore (inevitabilità dell’evento) anche nelle forme di responsabilità penale senza né dolo né colpa.
Se l’oggetto dell’indagine resta circoscritto alle sole forme di responsabilità oggettiva per l’evento138, a venire in considerazione sono anzitutto le ipotesi di
divergenza tra il voluto e il realizzato in cui entrambi i termini della relazione sono costituiti da fattispecie criminose, nel senso che la volontà del soggetto agente è rivolta alla commissione di un fatto di reato: si pensi agli artt. 83 e 586 c.p., all’art. 116 c.p. e allo schema del delitto preterintenzionale, al quale sembra possano essere ricondotti anche quei delitti dolosi aggravati da una conseguenza non voluta139.
Proprio esaminando il fenomeno della divergenza tra il voluto e il realizzato nel diritto penale e della compatibilità delle ipotesi in questione con il superiore principio di personalità della responsabilità penale, si è ritenuto di dover ravvisare nell’art. 45 c.p. un’autentica norma di chiusura del sistema, valevole per tutti i criteri di imputazione soggettiva che non risultino con esso strutturalmente incompatibili140. Per quanto attiene alla colpa, il caso fortuito e la forza maggiore
non potrebbero svolgere alcun ruolo autonomo nella fattispecie di imputazione della c.d. colpa generica: se infatti la regola cautelare viene ricostruita dall’interprete sulla base dei criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento come hic et nunc verificatosi, secondo il parametro offerto dall’homo eiusdem professionis et condicionis, il caso fortuito e la forza maggiore individuano fattispecie strutturalmente antitetiche rispetto ai requisiti positivi della colpa generica. Diversamente nelle ipotesi di colpa c.d. specifica: in questi casi la regola cautelare, pur sempre individuata secondo la prevedibilità e l’evitabilità alla stregua dell’”agente modello”, è posta preventivamente da parte del legislatore e, dunque, si fonda su una “base di giudizio” necessariamente meno ricca di quella che viene in considerazione per la
137 A.PAGLIARO, Colpevolezza e responsabilità obiettiva, cit., p. 16-17, il quale ritiene anche che la
formula dogmatica del “rischio consentito” riesca a spiegare efficacemente la circostanza per cui nelle legislazioni di tutti gli Stati le forme di responsabilità riconducibili al versari in re illicita siano ritenute meritevoli di un trattamento sanzionatorio più severo rispetto al fatto colposo corrispondente.
138 Nonostante l’apparente unitarietà della qualifica, la categoria della “responsabilità
oggettiva” fa riferimento ad almeno tre fenomeni differenti: la responsabilità oggettiva per l’evento, la responsabilità oggettiva per un elemento diverso dall’evento e la responsabilità oggettiva per finzione di imputabilità: S.ARDIZZONE, Le ipotesi di responsabilità oggettiva, cit., pp. 289 e ss..
139 Così M.TRAPANI, La divergenza tra il voluto e il realizzato, cit., spec. pp. 312-315. 140 M.TRAPANI, La divergenza tra il voluto e il realizzato, cit., pp. 78-84.
colpa generica141. L’art. 45 c.p. dunque si ritaglierebbe un autonomo spazio
applicativo in tutti i casi in cui, nonostante risulti violata una regola scritta a finalità precauzionale, si accerti che l’evento concreto sarebbe stato comunque imprevedibile o inevitabile anche nel caso in cui lo stesso agente-modello sulla base del quale il legislatore ha costruito la regola cautelare avesse tenuto il comportamento dovuto142; la misura del giudizio di prevedibilità e di evitabilità è
rappresentata dall’homo eiusdem professionis et condicionis, arricchito dalle maggiori conoscenze e capacità possedute dall’agente concreto143. Il caso fortuito e la forza
maggiore, dunque, consentirebbero di colmare il possibile iato tra astratto e concreto (rectius: tra più e meno astratto), impedendo che il soggetto, in piena conformità alle logiche della colpa presunta, sia ritenuto responsabile sulla base della mera inosservanza formale di una regola cautelare144. «L’art. 45 c.p., in altri termini,
funziona qui come una “valvola di sicurezza” offerta dall’ordinamento per i casi nei quali la valutazione di prevedibilità ed evitabilità di un evento di un certo tipo, e cioè di “pericolosità” di una condotta secondo massime di esperienza, operata una volta per tutte, in via generale e astratta, dal legislatore nel momento in cui ha posto la norma “cautelare” trovi viceversa, eccezionalmente, una smentita nelle circostanze del caso concreto»145.
La ricostruzione in esame presenta profili di particolare interesse proprio in riferimento all’individuazione del “meccanismo di operatività” dell’art. 45 c.p.: nelle ipotesi di colpa per inosservanza di leggi, così come avviene nei reati di pericolo presunto, il legislatore introdurrebbe non tanto una presunzione, sia pure iuris
tantum, di pericolosità della condotta, quanto piuttosto una mera semplificazione
della regola di giudizio e, quindi, dell’obbligo di motivazione da parte del giudice: la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento non andrebbero positivamente provate di volta in volta, come accade nelle ipotesi di colpa generica, ma il giudice ben potrebbe ritenere l’esistenza di una colpa specifica sulla base della semplice violazione di una regola cautelare, salvo che dalle risultanze processuali non emergano elementi di
141 M.TRAPANI, La divergenza tra il voluto e il realizzato, cit., pp. 79-80. L’Autore precisa che
sarebbe erroneo ritenere che la colpa specifica si differenzi da quella generica perché in quest’ultima la regola cautelare verrebbe formulata tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto: anche la colpa generica si fonda su un criterio di imputazione ipotetico-normativo e, quindi, la descrizione dell’evento per quanto “concreta” deve comunque prescindere da una serie di dati presenti nella realtà (almeno da ciò che impedito concretamente all’agente di prevedere ed evitare l’evento hic et
nunc). Per questo «la vera differenza non corre tra “astratto” e “concreto”, ma tra il “più” (in quanto
direttamente “tipicizzato” dal legislatore) e il “meno” astratto (in quanto ricostruita dall’interprete secondo una base “più ricca” di elementi desumibili direttamente dalle peculiarità della situazione concreta».
142 M.TRAPANI, La divergenza tra il voluto e il realizzato, cit., p. 81. 143 M.TRAPANI, La divergenza tra il voluto e il realizzato, cit., pp. 73 e 77. 144 M.TRAPANI, La divergenza tra il voluto e il realizzato, cit., pp. 80-81. 145 M.TRAPANI, La divergenza tra il voluto e il realizzato, cit., p. 81.
prova da cui possa desumersi che l’evento era viceversa, in concreto, imprevedibile o inevitabile146.
Le considerazioni in questione, in effetti, sono perfettamente riferibili alle ipotesi di divergenza tra il voluto e il realizzato cui si è fatto rapidamente cenno in precedenza e che, sul piano storico, mostrano chiaramente la loro derivazione dal principio del versari in re illicita: il legislatore introduce fattispecie autonome di reato, spesso caratterizzate da una certa severità del trattamento sanzionatorio, in ipotesi in cui ritiene che dalla condotta diretta alla realizzazione di un certo reato derivi una situazione “pericolosa” anche per interessi diversi da quello alla cui offesa la volontà dell’agente è direttamente rivolta147. La predisposizione di fattispecie
autonome di reato per i delitti preterintenzionali o la responsabilità “a titolo di colpa” per l’aberratio delicti rispondono chiaramente all’intento di introdurre una tutela particolarmente incisiva nel caso in cui il legislatore ravvisi, già in astratto, la potenzialità offensiva di certe condotte: il principio di personalità della responsabilità penale, tuttavia, impedisce di ritenere non solo che il soggetto risponda etiam pro casu, ma anche che l’evento “diverso” gli venga imputato sulla sola base di un rapporto di derivazione causale dalla propria condotta. Non è viceversa incompatibile con la regola generale stabilita dall’art. 27, primo comma Cost. un “rafforzamento” della tutela realizzato mediante una semplificazione della