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Il c.d principio di precauzione.

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 40-48)

4. Il carattere deontico-relazionale dell’omissione e della colpa e il rischio di una “fuga dal dato positivo”.

4.1. Il c.d principio di precauzione.

Le premesse in questione, a nostro avviso, sono le uniche che consentono di verificare, cum grano salis, la validità delle impostazioni (o mere suggestioni?103)

secondo le quali anche nel diritto penale potrebbe e dovrebbe ritagliarsi un autonomo ambito applicativo per il c.d. principio di precauzione. Si tratta, come è noto, di un principio il cui “manifesto intellettuale” viene comunemente individuato104 nelle opere di Ulrich Beck105 e di Hans Jonas106 e che, dall’ambito più

propriamente antropologico e sociologico, è transitato gradualmente in quello giuridico, a partire dalla tutela dell’ambiente a livello comunitario107-108. Le linee

      

102 Così L.STORTONI, Angoscia tecnologica ed esorcismo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, p.

81.

103 Significativo il titolo del contributo di F.GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, p. 227. Sui temi, strettamente correlati, della “società del rischio”

e della logica della precauzione v. anche, nella dottrina penalistica, G. FORTI, “Accesso” alle

informazioni sul rischio e responsabilità: una lettura del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, p.

155 e ss. e La “luce chiara della verità” e l’“ignoranza del pericolo”. Riflessioni penalistiche sul principio

di precauzione, in Scritti per Federico Stella, Vol. I, Napoli, Jovene, 2007, pp. 573 e ss.; C.RUGA RIVA,

Principio di precauzione e diritto penale. Genesi e contenuto della colpa in contesti di incertezza scientifica,

in Studi in onore di Giorgio Marinucci, Vol. II, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 1743 e ss.; F.CONSORTE,

Spunti di riflessione sul principio di precauzione e sugli obblighi di tutela penale, in Dir. pen. XXI sec.,

2007, pp. 269 e ss.; D.PULITANÒ, Gestione del rischio da esposizioni professionali, in Cass. pen., 2006,

fasc. n. 2, spec. pp. 786-788; C.PIERGALLINI, Il paradigma della colpa nell’età del rischio: prove di

resistenza al tipo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, spec. pp. 1695-1696 e Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politico-criminali, Milano, Giuffrè, 2004, pp. 6 e ss.; F.

CENTONZE, La normalità dei disastri tecnologici, cit., spec. pp. 11 e ss.; V.ATTILI, L’agente-modello

“nell’era della complessità”: tramonto, eclissi o trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, spec. pp.

1276 e ss.; A.SERENI, Causalità e responsabilità penale. Dai rischi d’impresa ai crimini internazionali,

Torino, Giappichelli, 2008, pp. 155 e ss..

104 Per tutti U.IZZO, La precauzione nella responsabilità civile. Analisi di un concetto sul tema del danno da contagio per via trasfusionale, Padova, Cedam, 2004, pp. 13 e ss..

105 U.BECK, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma, 2007 (prima

edizione italiana, 2000) e più di recente U.BECK, Conditio humana. Il rischio nell’età globale, Bari,

Laterza, 2008.

106 H.JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la società globale, Torino, 1990.

107 Per una ricostruzione storica della progressiva rilevanza giuridica riconosciuta al principio di

guida del “precauzionismo”, sebbene il principio abbia conosciuto formulazioni assai differenti tra loro, possono essere così sintetizzate: nel caso in cui sussistano pericoli per beni di rilevanza primaria, quali l’ambiente o la salute umana, devono essere adottate le cautele necessarie per evitare che il pericolo in questione si traduca in danno effettivo, fino ad arrivare all’astensione dallo svolgimento di una certa attività, anche quando il contesto di riferimento sia caratterizzato da una situazione di “incertezza scientifica”, tale per cui le conoscenze disponibili non consentano di affermare con certezza la pericolosità di un’attività o di un prodotto, sussistendo il mero dubbio sui suoi possibili effetti dannosi.

Si tratta in definitiva di conferire dignità di chiave interpretativa della società moderna o, per quel che qui interessa, di ammantare di una veste giuridica, gli antichi insegnamenti di saggezza popolare secondo cui “prevenire è meglio che curare” e “la prudenza non è mai troppa”: il principio di precauzione, quindi, si candida a divenire «una delle formule magiche dei nostri tempi, grazie alla quale si è pensato e si pensa di mettere a tacere le ansie poste dai rischi pervasivi che ci circondano»109.

Con questo non si intende certo “desacralizzare” la portata del principio in questione o negare che il modello della “società del rischio” riesca a fotografare con mirabile nitidezza alcuni degli “effetti collaterali” determinati dall’incessante modernizzazione della società contemporanea e resi più “sconcertanti” dall’autentica capacità di annientamento che essi sono in grado di spiegare110. Non si può negare

che la nuova fenomenologia dei rischi tecnologici possa condizionare un eventuale intervento legislativo in materia; ma se muovendo da queste premesse si pretende di

      

Il principio di precauzione nel diritto internazionale e comunitari. Disciplina del commercio di organismi geneticamente modificati e profili di sicurezza alimentare, Padova, Cedam, 2004, pp. 41 e ss.; F.DE

LEONARDIS, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Milano, Giuffrè, 2005, pp. 1 e ss..

108 Il principio di precauzione è menzionato, ma non definito, dall’art. 174 Trattato CE, secondo

comma: «La politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”». V. anche la

Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione, COM (2000) 1 febbraio 2002, con la

quale la Commissione tenta di chiarire a quali condizioni e con quali modalità possa trovare applicazione il principio di precauzione nell’ambito delle politiche comunitarie e in cui si chiarisce che: «Anche se nel Trattato il principio di precauzione viene menzionato esplicitamente solo nel settore dell’ambiente, il suo campo d’applicazione è molto più vasto. Esso comprende quelle specifiche circostanze in cui le prove scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi sono indicazioni, ricavate da una preliminare valutazione scientifica obiettiva, che esistono ragionevoli motivi di temere che gli effetti potenzialmente pericolosi sull’ambiente e sulla salute mana, animale o vegetale possono essere incompatibili con il livello di protezione prescelto».

109 G.FORTI, “Accesso” alle informazioni sul rischio, cit., p. 158.

110 U.BECK, La società del rischio, cit., pp. 28-29 parla di rischi che «minacciano la vita sulla

terra in tutte le sue forme», resi più temibili proprio dall’incalcolabilità delle conseguenze che sono in grado di produrre. Sulle nuove dimensioni del rischio insiste anche F.CENTONZE, La normalità dei

costruire un diritto penale con velleità di tipo antropologico o filosofico – l’attualità dell’insegnamento di Rocco è di nuovo ben visibile – che adatti (rectius: modifichi nella sostanza) la propria ossatura per soddisfare le esigenze che derivano dall’“euristica della paura”, magari ergendosi a strumento che persegua una vera e propria moralizzazione della scienza, valgono le considerazioni già svolte in precedenza: compito dell’interprete sarà, al più, quello di verificare la capacità del sistema positivo vigente di sopportare l’impatto della modernità, non già quello di plasmarlo in vista del raggiungimento del risultato di volta in volta ritenuto “più giusto”111.

Del resto, rifuggendo la tentazione di cedere con pressoché automatica disinvoltura alle mode (pseudo)dommatiche del momento, occorre anzi tutto verificare quanto effettivamente ci sia di nuovo nelle istanze portate avanti sotto il vessillo della “precauzione”. Se infatti si vuole evidenziare l’esigenza di rafforzare la tutela penale mediante una sua anticipazione in riferimento ad attività dotate di un elevato (anche se non del tutto noto) potenziale lesivo, il principio in questione non fa altro che riproporre, sia pur sotto la veste di una nuova e suggestiva terminologia, l’annosa questione relativa all’ammissibilità o, addirittura, all’irrinunciabilità dei reati di pericolo presunto112, non essendo consentito, secondo i principi generali,

arretrare oltre tale soglia di rilevanza penale. Non è un caso che il principio di precauzione, tanto a livello comunitario quanto nel diritto interno113, sia stato

“codificato” innanzi tutto quale strumento di tutela dell’ambiente, dove è evidente che ad assumere rilevanza non è tanto la singola condotta inquinante, quanto piuttosto le aggressioni seriali al bene tutelato considerate nel loro effetto

      

111 L. STORTONI, Angoscia tecnologica ed esorcismo penale, cit., p. 80 va addirittura oltre,

rilevando come neppure apportando significativi mutamenti alle categorie “tradizionali” del diritto penale, soprattutto sul piano della causalità e su quello della colpevolezza, la risposta penale riesce ad aumentare il proprio potenziale di efficacia, dimostrando l’illusorietà dell’alternativa – tanto consueta quanto fallace – tra garanzie e difesa sociale, nel senso che un sacrificio delle prime dovrebbe risolversi a tutto vantaggio delle seconde.

112 Per un inquadramento della tematica dei reati di pericolo si rinvia alle differenti ricostruzioni

di M.GALLO, I reati di pericolo, in Foro pen., 1969, pp. 1 e ss.; G. FIANDACA, La tipizzazione del

pericolo, in Dei delitti e delle pene, 1984, pp. 49 e ss.; G.GRASSO, L’anticipazione della tutela penale: i

reati di pericolo e di reati di attentato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1986, pp. 689 e ss.; M.CATENACCI, I reati

di pericolo presunto fra diritto e processo penale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, Vol. II, Milano,

Giuffrè, 2006, pp. 1415 e ss.; F.ANGIONI, Il pericolo concreto come elemento della fattispecie penale. La

struttura oggettiva, Milano, Giuffrè, 1994, passim.

113 Art. 178, comma terzo del d.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 (c.d. codice dell’ambiente): «La

gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nel rispetto dei principi dell'ordinamento nazionale e comunitario, con particolare riferimento al principio comunitario “chi inquina paga”. A tal fine la gestione dei rifiuti è effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità e trasparenza».

cumulativo114, nella loro dannosità incrementale115: compito del precauzionismo,

dunque, conformemente alla sua genesi di principio volto a preservare le generazioni future, è quello di prendere in considerazione pericoli anche molto lontani nel tempo e nello spazio e, dunque, di non certa verificazione. Le affinità con le argomentazioni comunemente portate “a difesa” dei reati di pericolo presunto sono fin troppo evidenti per essere ulteriormente rimarcate116. Anche la vicinanza semantica tra

“rischio” e “pericolo” e i risultati poco convincenti (o comunque poco utili) cui si è pervenuti nel tentativo di distinguere strutturalmente i due concetti117, confermano

che la “società del rischio” impone al penalista una riflessione sui limiti di compatibilità dello schema del reato di pericolo con i principi fondamentali in materia penale in vista dell’introduzione di nuove fattispecie118, che prendano atto

tanto della maggiore incidenza statistica di attività in sé pericolose quanto della accentuata pervasività degli effetti dannosi che possono derivarne.

Ecco allora che l’enigmatico principio di precauzione, talmente vago da apparire a tratti inservibile, rivela il suo primo (e a nostro avviso più significativo) vólto: non già un elemento destinato a rivestire un ruolo autonomo e “nuovo” nella sistematica del reato, quanto piuttosto un mero criterio di politica legislativa119,

visto che in contesti caratterizzati da un’acquisizione scientifica in fieri «la prima decisione è extra e pre-penale; possiamo definirla di natura politica»120. È a questo

livello, che ben può definirsi di “gestione del rischio”, che, nella prospettiva troppo spesso negletta di un diritto penale come extrema ratio o, se si preferisce, di un diritto penale minimo121, andrà valutata anche l’opportunità di ricorrere a strumenti di

      

114 F. GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, cit., p. 231 e F.

GIUNTA, Il diritto penale dell’ambiente: tutela di beni o tutela di funzioni?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, pp. 1116 e ss..

115 G.FORTI, “Accesso” alle informazioni sul rischio, cit., pp. 177-178.

116 Per tutti G. FIANDACA, La tipizzazione del pericolo, cit., p. 63: «l’esperienza insegna che i

danni all’ambiente oggi derivano in misura crescente dagli effetti “cumulativi” di azione della specie più diversa» con la conseguenza che «lo strumento più adeguato a soddisfare le esigenza di tutela dell’ambiente, sembra, dunque, essere offerto dal pur famigerato reato i pericolo astratto». Sul rapporto tra diritto penale e ambiente si rinvia a M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente.

Contributo all’analisi delle norme penali a struttura sanzionatoria, Padova, Cedam, 1996, spec. pp. 119 e

ss.. L’idea che in contesti di incertezza scientifica l’unica via percorribile sia quella di un rafforzamento dei reati di pericolo presunto si trova anche in L.STORTONI, Angosciatecnologica ed

esorcismo penale, cit., p. 83 e F.GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione,

cit., p. 246.

117 Nella dottrina civilistica v. U.IZZO, La precauzione nella responsabilità civile, cit., pp. 506 e ss.

e in quella penalistica V.MILITELLO, Rischio e responsabilità penale, cit., pp. 17-34.

118 Sulla scarsa funzionalità delle vigenti figure di reati di pericolo v. D.PULITANÒ, Gestione del rischio da esposizioni professionali, cit., p. 796.

119 F. GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, cit., p. 229. Sul

principio di precauzione come mero «criterio metodologico» anche D.PULITANÒ, Gestione del rischio

da esposizioni professionali, cit., p. 787.

120 L.STORTONI,Angosciatecnologica ed esorcismo penale, cit., p. 83. 121 L. FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., pp. 325 e ss..

tutela alternativi rispetto a quello penale, da ricercarsi nel campo civile e amministrativo122.

Va anche tenuto in considerazione che il «naturale destinatario» della regole cautelari che impongono di riconoscere i rischi connessi ad una certa attività e di attivarsi per contenerli o per azzerarli non è tanto (o non è solo) la persona fisica, quanto piuttosto quella giuridica123. Buoni risultati potrebbero derivare in questa

prospettiva dall’impiego della “tecnica dell’ingiunzione alla persona giuridica”, costruita secondo il seguente modello: «ti ingiungo di adottare la misura di sicurezza X che hai trascurato di adottare, e per ogni giorno che trascuri di adottarla, paghi un milione di euro, e se continui nell’inottemperanza dell’ingiunzione, aumenterà anche qualitativamente la reazione sanzionatoria»124.

Se invece si abbandona la prospettiva de iure condendo e si pretende di attribuire efficacia costitutiva alla logica della precauzione già de iure condito, gli effetti più dirompenti si saggiano proprio sul terreno della responsabilità per colpa: il principio in questione, in effetti, rischia di condurre alla formulazione di regole cautelari “retroattive”, volte a colmare possibili vuoti di responsabilità derivanti dall’incompletezza del sapere scientifico in determinati momenti storici e finisce per introdurre indebite astrazioni (presunzioni?) sul piano dell’elemento soggettivo del reato, per cui, dato il sospetto della generalizzata pericolosità di un’attività o di una sostanza, l’agente risponderà di tutte le conseguenze che derivano dalla mancata adozione delle cautele necessarie, anche se non conoscibili – e quindi non prevedibili – al momento della condotta tipica125; con evidente indebolimento di una delle

architravi della responsabilità colposa, consistente nella predeterminazione della regola cautelare e, dunque, nella sua riconoscibilità da parte del soggetto agente. Ci si soffermerà più avanti su alcune delle applicazioni giurisprudenziali della logica

      

122 Per tutti F. STELLA, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime,

Giuffrè, 2003, III ed., pp. 481 e ss.. G.FORTI, “Accesso” alle informazioni sul rischio, cit., pp. 183-184

si sofferma sulle peculiarità del diritto penale rispetto a quello civile e sulla compatibilità con quest’ultimo di una responsabilità “senza colpa”, viceversa contrastante con i principi in materia penale .

123 G. MARINUCCI, Innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche: costi e tempi di adeguamento delle regole di diligenza, in in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, p. 56; D.PULITANÒ, Gestione del rischio da

esposizioni professionali, cit., p. 796; F.CENTONZE, La normalità dei disastri tecnologici, cit., pp. 421 e

ss.. C.PIERGALLINI, Danno da prodotto, cit., pp. 305 e ss. evidenzia come la moderna realtà delle

organizzazioni complesse sia caratterizzata da una frammentazione delle competenze e da una polverizzazione dei centri decisionali: la «procedimentalizzazione della decisione» che ne deriva rende assai difficoltoso l’adattamento del modello “individualistico”, basato sul più lineare percorso informazione – scelta – azione-esecuzione.

124 G. MARINUCCI, Innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche, cit., p. 57.

125 C.PIERGALLINI, Il paradigma della colpa nell’età del rischio, cit., spec. pp. 1695-1697; F.

GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, cit., pp. 241-242; L.STORTONI,

Angosciatecnologica ed esorcismo penale, cit., p. 80;G.FORTI, “Accesso” alle informazioni sul rischio,

della precauzione, con particolare riferimento alla vicenda del Petrolchimico di Porto Marghera, che ha ormai assunto la dignità di autentico leading case in materia126.

Qui basti evidenziare che il “precauzionismo” si muove in una prospettiva esattamente antitetica a quella che, in ossequio ai canoni dell’ideologia liberale, relegava il reato omissivo colposo entro gli angusti confini di una forma di responsabilità “eccezionale”, a tutto vantaggio della libertà di azione del singolo, intesa anche (o soprattutto) come libertà di iniziativa economica. Il principio di precauzione, viceversa, si fonda chiaramente su basi “anti-antropocentriche”, che conducono inesorabilmente ad «una svalutazione del primato della libertà d’azione»127, in un contesto in cui il reato omissivo colposo abbandona

definitivamente le cautele che caratterizzano per definizione la sua natura di strumento eccezionale e diviene il perno attorno a cui ruota la risposta penale all’incertezza scientifico-tecnologica.

Del resto anche dal tenore della Comunicazione della Commissione europea del 2000 traspare chiaramente la preoccupazione di evitare che dalla combinazione dell’incertezza scientifica con il principio di precauzione derivino pastoie così strette da rivelarsi più “pericolose” del rischio al quale intendono far fronte: così non solo si precisa che a fronte di una situazione di incertezza scientifica e di richieste più o meno pressanti da parte dell’opinione pubblica la positiva adozione di misure non è l’unica via possibile, visto che «anche la decisione di non agire può costituire una risposta»128; ma si richiama più volte l’attenzione sull’accuratezza con cui va

compiuta la valutazione dei rischi, operazione preliminare per l’attuazione di una strategia basata sul principio di precauzione, sottolineando l’esigenza di basarsi sempre (e solo) su una valutazione di tipo scientifico, che chiarisca la tipologia di rischi che viene in considerazione ed il suo grado di incertezza129. Come a dire: la

“precauzione” nel ricorso al principio di precauzione sembra la prima linea guida da tener presente per raggiungere il punto di equilibrio, a volte assai incerto, tra la libertà degli individui, delle imprese e delle organizzazioni e l’esigenza di ridurre o eliminare il rischio di effetti negativi per l’ambiente o la salute umana130.

Se dall’ambito di una generale definizione del principio ci si sposta sulle sue possibili ripercussioni penalistiche è proprio il reato omissivo colposo, si diceva, che il più delle volte la “precauzione” chiamerà in causa. È stato efficacemente rilevato che

      

126 Infra, Cap. III, § 3.

127 F. GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, cit., p. 231 il quale (p.

236) rileva che soprattutto le concezioni radicali del precauzionismo condurrebbero un’evidente rottura con la tradizione penalistica liberale.

128 Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione, COM (2000) 1 febbraio 2002,

cit., punto 5.2.1.

129 Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione, COM (2000) 1 febbraio 2002,

cit., punti 5.1.2 e 6.1. e Allegato III.

130 Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione, COM (2000) 1 febbraio 2002,

la nuova deontica di cui il precauzionismo si fa portatore attribuisce rilevanza ad una generale posizione di garanzia, che obbliga ciascun consociato ed esprime un dovere solidaristico di sicurezza volto alla tutela delle generazioni future e l’adeguamento rispetto alla quale va valutato secondo il parametro offerto dal sapere dello scienziato, in nome della massima prevenzione131. Non più, dunque, un obbligo

giuridico di impedimento dell’evento che opera solo per alcuni soggetti preventivamente determinati; non più delle regole cautelari che contribuiscano a definire il modello astratto di comportamento che l’ordinamento pretende venga realizzato e che vadano oltre il generico dovere di “fare attenzione”.

Anche e soprattutto nel diritto penale, tuttavia, vale l’ammonimento ad una “cauta” applicazione del principio di precauzione. Se infatti, come pare possibile (e doveroso), si tenta di individuare gli esatti confini entro cui può trovare spazio, nei contesti caratterizzati da una progressiva acquisizione delle conoscenze relative alla pericolosità di una certa attività, una responsabilità per colposa omissione di una condotta doverosa, sembra che l’attenzione vada focalizzata sui doveri di informazione = doveri di sapere configurabili in capo a chi svolge determinate attività132. Del resto se l’“incertezza”, per quel che qui interessa, può essere

genericamente definita come “mancata conoscenza di rapporti di derivazione causale”, è evidente che l’unico rimedio in via preventiva che possa valere anche come criterio di imputazione penale è l’obbligo di acquisire tempestivamente le nuove informazioni disponibili, sulla base delle quali orientare poi il proprio

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