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Profili problematici della “causalità della colpa” nei reati commissivi colposi.

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 170-184)

IL NESSO TRA LA VIOLAZIONE DELLA REGOLA CAUTELARE E L’EVENTO: LA “CAUSALITÀ DELL’OMISSIONE” E LA “CAUSALITÀ DELLA COLPA”

3. Profili problematici della “causalità della colpa” nei reati commissivi colposi.

Già in tema di reati commissivi colposi – si diceva – i casi comunemente proposti per evidenziare il valore e la portata del nesso intercorrente tra la violazione di una regola cautelare e l’evento mostrano chiaramente come, quando dal piano dell’enunciazione astratta di principi si passi alla concreta applicazione degli stessi, il giudizio sulla “causalità soggettiva” fatichi a ritagliarsi un autonomo ambito applicativo rispetto a quello relativo alla “causalità materiale”. Emblematica, in riferimento al requisito della concretizzazione del rischio, la distinzione tra i due casi seguenti:

1) Tizio, compiendo alla guida della propria autovettura un sorpasso vietato, investe un bambino improvvisamente uscito dalla porta o caduto dal balcone. Si tratta di uno di quei casi in cui, per dirla con la giurisprudenza, il nesso di causalità materiale è dimostrato con caratteri di tale evidenza che non abbisognano di ulteriore sottolineatura87. Tuttavia, visto che scopo della

regola cautelare che vieta il sorpasso in certi tratti stradali è quello di evitare un scontro con autoveicoli provenienti dal senso opposto di marcia, sarà esclusa una responsabilità dell’automobilista per colpa specifica (ben potendo però residuare una responsabilità per colpa generica)88.

2) Tizio, violando delle regole cautelari, cagiona delle gravi ustioni a Caio, che muore non a causa delle ustioni, ma a seguito delle narcosi cui viene sottoposto per un’operazione di trapianto di pelle, resosi necessario proprio a

      

M.GALLO, voce Colpa penale (dir. vig.), cit., p. 626 e M.GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. II, Parte II, cit., p. 142. Contra, per tutti, G. FORTI, Colpa ed evento, cit., pp. 108 e ss.. Contro l’identificazione dell’evento cui fa riferimento l’art. 43 c.p. con la mera modificazione della realtà esteriore, difficilmente contestabile si rivela la considerazione per cui risulterebbe quanto meno curiosa la scelta del legislatore di riferire definizioni così significative sotto il profilo sistematico ai soli reati dotati di evento naturalistico, anche considerando che i reati di mera condotta non rappresentano certo, dal punto di vista “quantitativo”, una trascurabile eccezione in grado di giustificare la “dimenticanza” del legislatore (M.GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. II, Parte II,

cit., p. 23). Del resto solo muovendo da un’accezione giuridica di evento si riescono ad evitare fraintendimenti quali quelli che hanno condotto in passato a ritenere che in caso, per esempio, di erronea supposizione di una causa di giustificazione ci si trovasse al cospetto di una colpa “impropria”. È evidente, tuttavia, che nei reati di mera condotta il nesso tra la violazione della regola cautelare e l’evento assume contorni peculiari. In particolare, ha un senso parlare di “rilevanza del comportamento alternativo diligente” solo in presenza di un evento in senso naturalistico: nel caso in cui, per contro, il legislatore attribuisca rilevanza alla mera omissione, indipendentemente dai risultati che ne siano derivati potrebbe dirsi che la rilevanza del comportamento alternativo diligente sia “in re ipsa”, visto che se il soggetto avesse tenuto la condotta diligente si sarebbe per ciò solo ottenuto il risultato voluto dall’ordinamento.

87 Per esempio Cass. pen., Sez. IV, 6 luglio 2007 (dep. 12 ottobre 2007), Rinaldi, cit., p. 272 e

Cass. pen., 14 febbraio 2008 (dep. 15 maggio 2008), cit., p. 93.

seguito delle ferite riportate89. È evidente l’affinità del caso in questione

rispetto a quello, divenuto famoso in tema di causalità materiale, del ferito che muoia per un incendio dell’ospedale90, se si immagina che la condotta da

cui siano derivate le lesioni non sia dolosa, ma colposa.

Volendo generalizzare: la questione risulta assai complessa se si considera che i tentativi di “correggere” gli eccessi cui condurrebbe un criterio condizionalistico “puro” nell’accertamento del nesso di causalità materiale e, dunque, di riempire di contenuto la disposizione dell’art. 41, secondo comma c.p. per cui «le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento»91, si sono mossi per molto tempo nel solco tracciato

dall’adeguatezza e/o dalla prevedibilità92; lo spostamento da una prospettiva più

marcatamente meccanicistico-causale a costruzioni aperte anche a considerazioni di tipo teleologico-sostanziale ha condotto con sé il rischio di anticipare un giudizio che per requisiti (non ontologici ma) strutturali è tipico dell’accertamento della colpa; fino a raggiungere il punto di massima criticità con la c.d. teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento. Sempre attuale, in particolare, è l’annosa questione circa la possibilità di ricostruire il nesso di causalità sulla base di criteri “oggettivi”, o, più propriamente, sulla base di criteri che operino indipendentemente dal carattere doloso o colposo della condotta posta in essere93.

Sebbene riferito ad un’ipotesi dolosa, sembra possa fornire utili spunti di riflessione l’esempio portato da Antolisei proprio al fine di dimostrare la necessità di

      

89 G.FORTI, Colpa ed evento, cit., p. 370.

90 Lavori preparatori, cit., Vol. V, Parte I, Relazione sul libro I del Progetto, p. 85.

91 Per un’efficace ricostruzione storica dell’origine del capoverso dell’art. 41 c.p. si rinvia a M.

RONCO, Interruzione del nesso causale, cit., pp. 819-822.

92 Si rinvia sul punto alla “parte critica” dell’opera di F.ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, cit., pp. 29 e ss..

93 F. ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, cit., pp. 229-230, prevedendo possibili

obiezioni sul punto alla propria teoria, chiarisce come, pur restando inevitabile il riferimento alle conoscenze del soggetto agente, l’indagine relativa all’elemento oggettivo e quella sull’elemento soggettivo del reato restano distinte: «In quella che riguarda la causalità, infatti, non si considera il singolo individuo, ma l’uomo in astratto, secondo le sue attitudini generali; nell’indagine sulla colpevolezza, invece, si ha presente quella determinata persona; in altri termini, si tiene conto delle speciali capacità e possibilità del soggetto». Sulla necessità di tenere in considerazione, già nel momento dell’accertamento causale, le «conoscenze del colpevole», senza peraltro confondere il problema psicologico con quello causale anche M. FINZI, Rapporto di causalità e concorso di cause nel

codice penale italiano, in Riv. it. dir. pen., 1936, pp. 498-499. Per la conclusione che causalità materiale

e causalità psichica sono solo due diversi aspetti dell’unico processo causale umano, E. ONDEI, Per un

concetto unitario della causalità e della colpevolezza, in Riv. it. dir. pen., 1942, p. 137. Denuncia i rischi

derivanti da una sovrapposizione tra causalità oggettiva e causalità soggettiva O. VANNINI, Il

problema della causalità, in Giust. pen., II, 1948, c. 116 e Quid iuris?, cit., pp. 409 e ss., il quale,

tuttavia, secondo alcuni, «mentre accusa l’Antolisei di confondere il problema della causalità con quello della colpevolezza, non si avvede di incappare nello stesso errore»: così G. GUARNERI, In difesa

della causalità adeguata, cit., p. 613, che rivendica altresì la «priorità logica della causalità sulla

colpevolezza» (dello stesso Autore v. anche Rapporto di causalità e volontà colpevole, in Giur. it., 1953, cc. 57 e ss.).

introdurre nell’accertamento del rapporto di derivazione eziologica un criterio estraneo alla pura considerazione meccanico-causale94: Tizio sa che, ad una certa ora,

degli anarchici faranno scoppiare una bomba in una determinata piazza. Odiando Caio, gli dà appuntamento all’ora e nel luogo scelti per l’attentato e Caio, recandovisi, rimane ucciso. Si supponga che, al contrario, Tizio dia il medesimo appuntamento a Caio, ignorando però il piano degli anarchici. I due casi sono perfettamente identici dal punto di vista oggettivo e l’unica differenza sta nel fatto che nella prima ipotesi Tizio conosceva una circostanza che, invece, ignorava nel secondo. Il senso comune suggerisce che solo nel primo caso Tizio risponderà dell’omicidio di Caio: come tradurre la conclusione in termini giuridici? In questo caso, in realtà, non si discute neppure di un fattore interruttivo in senso tecnico, in quanto se l’appuntamento tra Tizio e Caio viene concordato all’insaputa dell’attentato che verrà realizzato in quella stessa piazza a quella stessa ora, la prospettiva di imputazione dalla quale si muove nella ricostruzione del nesso di causalità impedirebbe la stessa formulazione di un’ipotesi causale nella quale assuma qualche rilievo la condotta “ignara” di Tizio. Se, muovendo dall’approccio pratico suggerito dal buon senso, si cerca lo strumentario tecnico-giuridico che conduca senza difficoltà all’esclusione del rapporto di causalità, potrebbe dirsi che nessuna generalizzazione causale, sia essa considerata nell’ottica dell’adeguatezza causale o in quella della sussunzione sotto leggi scientifiche, permetterebbe di concludere che l’appuntamento ha “causato” la morte. A condizione però, si ripete, che l’agente non abbia tenuto conto dell’esplosione della bomba nel momento in cui ha avviato il decorso causale che ha condotto alla morte di Caio.

Del resto la rappresentazione o quanto meno la rappresentabilità del fattore sopravvenuto è un tema con il quale, da qualsiasi prospettiva si muova, è giocoforza confrontarsi in sede di ricostruzione della causalità penalmente rilevante95; e si

tratta, a ben vedere, dell’esatto pendant delle discussioni relative alla rilevanza delle maggiori conoscenze possedute dall’agente concreto nella formulazione del giudizio di colpa.

      

94 F. ANTOLISEI, Il rapporto di causalità, cit., p. 203.

95 A titolo meramente esemplificativo, per la teoria della “causa efficiente”, A. STOPPATO, L’evento punibile, cit., p. 91: «L’operaio pone una tegola sul tetto di una casa, un uomo la prende e la

getta in un via affollata uccidendo un passante. L’operaio certamente fu condizione dell’uccisione, non la sua causa. Lo sarebbe se invece avesse agito d’accordo coll’uomo che la prese. Lo sarebbe egualmente, se avesse lasciata la tegola sull’orlo del tetto così che la sua caduta non fosse stato altro che il risultato della legge naturale»; per la “causalità adeguata” KRIES, über die Begriffe der

Wahsscheinlichkeit und Möglichkeit und ühre Bedeutung im Strafrecht, in Zeitschrift für die ges. Strafr.,

Vol. IX (1889) p. 228, come citato da F.ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, cit., p.

115, secondo il quale il giudizio di possibilità posto a fondamento della causalità adeguata deve formularsi dal punto di vista dell’agente, cioè sulla base delle circostanze che il soggetto conosceva o poteva conoscere al momento della condotta; nella prospettiva della “imputazione oggettiva dell’evento” A.R.CASTALDO, L’imputazione oggettiva nel delitto colposo d’evento, cit., pp. 68-69: «la

misura tollerabile del rischio provocato va fissata in primis astrattamente, ma contemporaneamente corretta, individualizzandola con riguardo alle concrete conoscenze dell’Autore».

In altri termini, il concetto cardine è di nuovo quello della “dominabilità”, a conferma che la fortuna della costruzione antoliseiana non è da ascrivere unicamente alla straordinaria duttilità del fattore eccezionale96. Con considerazioni per molti

versi analoghe a quelle già svolte in tema di suitas, deve ritenersi che la “dominabilità” che qui viene in considerazione si sostanzia nella mera conoscenza o conoscibilità del fattore che, sotto il profilo meccanicistico-causale, ha cagionato l’evento finale. Nel caso in cui, come nell’esempio proposto in precedenza, la condotta iniziale non si svolga neppure in contrasto con delle regole cautelari, la mancata conoscenza/conoscibilità del “fattore sopravvenuto” impedirà addirittura di selezionare una condotta penalmente rilevante. Se, invece, l’evento finale sia la conseguenza di un decorso eziologico avviato da una condotta dolosa o colposa dell’agente, l’efficacia interruttiva di cui all’art. 41, secondo comma c.p. può essere riconosciuta solo in presenza di un fattore interposto tra la condotta e l’evento (sopravvenuto), tale per cui dalla sua eliminazione mentale derivi che l’evento non si sarebbe verificato hic et nunc e di cui l’agente non aveva tenuto conto.

Resta in ogni caso da chiarire se il mancato verificarsi dell’evento hic et nunc in assenza del fattore sopravvenuto valga da solo a concretizzare quella “preponderanza causale” cui fa riferimento il cpv. dell’art. 41 c.p. con l’espressione “da sole sufficienti a determinare l’evento”; o se al contrario l’operatività della clausola in questione necessiti di specificazioni ulteriori del fattore sopravvenuto, soprattutto allo scopo di individuare un solido criterio distintivo rispetto alle cause sopravvenute che, ai sensi del primo comma dell’art. 41 c.p., anche se indipendenti dall’azione o dall’omissione del colpevole, non escludono il rapporto di causalità.

Pienamente rappresentativa delle difficoltà ricostruttive della tematica in questione è la casistica relativa ai c.d. “danni conseguenziali”, ai c.d. “danni da shock emotivo” o ai c.d. “danni protratti”97, che, a seconda della prospettiva dalla quale si

muova, possono essere variamente risolti nel senso dell’insussistenza già del rapporto di causalità materiale o della sola colpa.

Se si tralascia la questione relativa alla “dominabilità soggettiva”, intesa come rappresentazione/rappresentabilità del decorso causale avviato con la propria condotta, i maggiori problemi in sede di ricostruzione del rapporto di causalità materiale si pongono indubbiamente nei casi in cui non sia dato ravvisare un

continuum tra la condotta e l’evento, non solo da un punto di vista “logico”, ma,

prima ancora, da un punto di vista meccanicistico-causale. Già Carrara, trattando delle c.d. cause mediate nella responsabilità colposa, prendeva atto che fino a quando si immagina che l’evento «sia il prodotto immediato e diretto» della condotta umana (esplose il fucile, lanciò il sasso…) «la ipotesi è semplice e piana». Ma spesso avviene

      

96 Per la riconoscibile eco della ricostruzione di Antolisei anche tra i teorici della c.d. imputazione

oggettiva dell’evento infra, § 5.

97 Sulle tematiche in questione si rinvia all’analisi compiuta da G.FORTI, Colpa ed evento, cit.,

che tra la condotta e l’evento «siasi frapposta una forza intermedia (umana o divina) la quale sia stata dell’evento stesso l’unica causa immediata»98. Allo stesso modo

Antolisei rilevava che se in certi casi l’esistenza o meno del rapporto causale è di «palmare evidenza», in altri le incertezze sono notevoli, specie se «il risultato esterno non segue immediatamente l’azione», ma «fra l’operato del soggetto e l’evento si frappongono avvenimenti naturali od altre azioni umane»99. Del resto la teoria della

causa prossima, ma anche, a ben vedere, quella della causa efficiente, si fondano sull’istintiva intuizione100 per cui i casi davvero critici in tema di causalità materiale

sono quelli in cui non sia possibile individuare, da un punto di vista squisitamente naturalistico, un rapporto di derivazione “diretta” tra condotta ed evento. Del resto, pare possa condividersi l’opinione di chi ritiene che una “causa sopravvenuta” ex art. 41, secondo comma c.p. può intervenire solo quando «la condotta si è oramai esaurita»101.

Le considerazioni che precedono, pur nella loro consistenza meramente riepilogativa di problematiche fin troppo note, consentono di mettere a fuoco (se non il significato quanto meno) le ragioni che, sembrerebbe, sono alla base dell’introduzione dell’art. 41, secondo comma c.p., riassunte con chiarezza proprio dal caso dell’incendio in ospedale, della cui effettiva rilevanza non si è mancato peraltro di dubitare102. L’efficacia interruttiva del nesso causale o, se si preferisce,

l’esclusione tout court del medesimo, può venire in considerazione quando concorrano (almeno) due elementi:

      

98 F.CARRARA, Omicidio colposo, cit., p. 20, in cui di nuovo torna il riferimento alla prevedibilità

o meno della causa immediata dell’evento da parte del soggetto agente.

99 F.ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, cit., p. 9.

100 Ancora F.ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, cit., pp. 59-60: «il criterio che

più naturalmente si affaccia allo spirito e del quale normalmente si serve il linguaggio popolare in modo quasi istintivo […] è quello che distingue la causa dalla semplice condizione secondo la maggiore o minore prossimità al risultato»: in jure non remota causa, sed proxima spectatur. Lo stesso F. ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, cit., p. 34 chiarisce che il rimprovero di

regressus ad infinitum cui condurrebbe la ricostruzione di John Stuart Mill, laddove individua la causa

nell’insieme delle condizioni (positive o negative) è agevolmente superabile, se solo si consideri che, secondo Stuart Mill, le condizioni di un certo fenomeno sono solo quelle da cui è scaturito “immediatamente” il fenomeno stesso: «in sostanza la causa è costituita dalle ultime condizioni delle varie serie causali che, interferendo tra loro, determinano il fenomeno». Sugli esiti cui la proximate

cause ha condotto nell’esperienza anglosassone, tanto civile quanto penale, si rinvia a G.FORTI, Colpa

ed evento, cit., pp. 394 e ss..

101 A.A.DALIA, Le cause sopravvenute interruttive del nesso causale, Napoli, Jovene, 1975, pp. 115

e 164. Adesivamente M.MANTOVANI, Il principio di affidamento, cit., pp. 231-232, il quale ritiene

necessario un «preciso e significativo stacco temporale» (corsivo dell’Autore) tra il momento della condotta e l’incidenza della concausa.

102 Il riferimento è a F.STELLA, La nozione penalmente rilevante di causa, cit., pp. 401-403, che si

dice assai scettico sulla correttezza di un modo di argomentare che pretenda di attribuire rilevanza decisiva all’esempio in questione, anche in considerazione delle incertezze mostrate sul punto dallo stesso Arturo Rocco nel corso dei lavori preparatori.

1) L’agente non conosceva o non poteva conoscere gli sviluppi del decorso causale avviato dalla propria condotta e da cui è derivato l’evento hic et

nunc.

2) L’evento hic et nunc si è verificato a seguito dell’intervento di un fattore sopravvenuto, da intendersi come “serie causale apparentemente indipendente”103.

In negativo, dunque, pare doversi concludere che se nessuna serie causale apparentemente indipendente si è frapposta tra la condotta penalmente rilevante e l’evento risulti preclusa la possibilità di interrogarsi sulla possibile esclusione del nesso di causalità materiale; sempre che, beninteso, sia possibile individuare una

      

103 Sembra possano trarsi ancora utili indicazioni dalla distinzione tra “serie causali

apparentemente indipendenti” e “serie causale autonome” propriamente dette. La serie causale è apparentemente indipendente quando il fattore sopravvenuto, sebbene non sia in rapporto di derivazione causale rispetto alla condotta dell’agente, si inserisce tuttavia nel decorso eziologico avviato da quest’ultima, nel senso che senza l’azione precedente l’evento hic et nunc non si sarebbe verificato: in questa categoria rientra per l’appunto l’incendio dell’ospedale che determina la morte di colui che si trovava nel nosocomio a seguito delle lesioni provocategli dall’agente. Le serie causale, per contro, è autonoma in senso proprio nel caso in cui il fattore sopravvenuto non si inserisce nel decorso causale che trova la sua “origine” nella condotta dell’agente, ma determina un evento che si sarebbe verificato allo stesso modo anche se il soggetto non avesse tenuto condotta alcuna: si pensi al caso della cuoca che avvelena la vivanda del suo padrone il quale, prima che la sostanza faccia effetto, muore per la caduta di un fulmine. Sulla distinzione in questione, risalente al Listz, F.ANTOLISEI, Il

rapporto di causalità nel diritto penale, cit., pp. 181-182. È fin troppo evidente che se l’operatività

dell’art. 41, secondo comma c.p. venisse limitata alle serie causali autonome “in senso stretto”, pienamente fondata si rivelerebbe l’obiezione di Antolisei (p. 183) circa la sua sostanziale inutilità. Analoghe considerazioni in M. GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. II, Parte I, cit., p. 112. L’argomentazione è stata riproposta di recente anche dalla giurisprudenza di legittimità: Cass. pen., Sez. IV, 26 ottobre 2005 (dep. 13 gennaio 2006), in CED Cass., Rv. 233173. Questo, in definitiva,

anche il senso delle considerazioni di A.A.DALIA, Le cause sopravvenute interruttive del nesso causale, cit., pp. 183-184, laddove si rileva che la causa sopravvenuta è, allo stesso tempo, dipendente ed indipendente dalla condotta, nel senso che «si inserisce nel rapporto causale in ragione di dipendenza dall’azione od omissione posta in essere e successivamente si sviluppa in modo autonomo, indipendente e porta all’evento che è sua conseguenza, perché la sua efficacia causale è tale che l’evento si realizza, a prescindere dalla condotta»; deve tuttavia riconoscersi che tra la condotta e la causa nuova esiste un rapporto di streatta dipendenza, nel senso che «la seconda si è espressa, in quanto era stata posta in essere la prima». Sembrerebbe muoversi nell’ottica della “serie causale apparentemente indipendente”, di recente, E.MEZZETTI, Giurisprudenza “creativa” nell’accertamento

del nesso causale per la morte del tossicodipendente, in Cass. pen., 2004, pp. 2847-2848, secondo il quale il

fattore sopravvenuto interruttivo è quello “autosufficiente” (dunque né autonomo né indipendente), che determina cioè uno sviluppo “sovrastante”, con funzione “paralizzante” o “bloccante” degli effetti prodotti fino a quel punto dal decorso causale, tanto che, nell’ottica controfattuale, si pone come l’unica spiegazione logico-razionale dell’evento concretamente verificatosi. Contra, sulla corretta

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 170-184)

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