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Delimitazione dell’oggetto di indagine: i reati omissivi impropri e la “fattispecie omissiva eventuale”.

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 53-60)

Le considerazioni svolte finora, pur riguardando le generali caratteristiche del reato omissivo colposo, attengono in maniera particolare ai c.d. “reati omissivi

      

148 G. CONTENTO, La responsabilità senza colpevolezza nell’applicazione giurisprudenziale, in

AA.VV., Responsabilità oggettiva e giudizio di colpevolezza, cit., pp. 517-519.

149 A. STOPPATO, L’evento punibile, cit., passim. V. anche lo scritto di F. CARRARA, titolato Omicidio colposo, in Opuscoli di diritto criminale, VI ed., Vol. III, Prato, Casa Editrice Libraia

“Fratelli Cammelli”, 1910, pp. 7 e ss., in cui i profili della colpa e quelli della causalità materiale risultano inscindibilmente connessi. O.VANNINI, che pure muove dall’intento di mantenere distinto

l’emento oggettivo dall’elemento soggettivo del reato, affronta il problema del nesso di causalità proprio nell’esercitazione dedicata all’Omicidio colposo (in Quid iuris? Manuale di esercitazioni

pratiche in diritto penale, Ristampa inalterata delle XII esercitazioni, Milano, Giuffrè, 1954, pp. 405 e

ss..

150 G. DE FRANCESCO, La colpa nel codice Zanardelli, in Diritto penale dell’Ottocento. I codici preunitari e il codice Zanardelli, studi coordinati da S.VINCIGUERRA, Padova, Cedam, 1999, pp. 414-

impropri”, riferendo tale denominazione a quelli che si caratterizzano per l’assenza di una previsione espressa e per la loro sanzionabilità attraverso la clausola generale dell’art. 40, secondo comma c.p.; al contrario, secondo il criterio distintivo che si ritiene di accogliere, la categoria dei ”reati omissivi propri” comprende reati omissivi tipizzati direttamente da parte del legislatore151.

Se, dunque, la definizione “reati omissivi impropri” deriva storicamente dall’idea che i reati in questione sarebbero, in fondo, dei reati commissivi (idea ancor più evidente in espressioni quali “reati commissivi mediante omissione”), essa mantiene ancora oggi una propria utilità, richiamando l’attenzione sui meccanismi che presiedono all’operatività della clausola generale152.

Se il legislatore ha optato relativamente alla colpa per il modello della definizione unitaria, introducendo cioè un’unica definizione di delitto colposo nella parte generale del codice penale153, il medesimo schema viene impiegato, in tema di

omissione, in riferimento alle fattispecie incriminatrici descritte in termini di reati commissivi. Condizione di operatività della “definizione generale” è, nel caso della colpa, il richiamo espresso da parte del legislatore; nel caso dell’omissione, la compatibilità della singola fattispecie con la clausola di equivalenza di cui all’art. 40, secondo comma, c.p..

Al fine di chiarire gli effetti che derivano dalla particolare tecnica di incriminazione impiegata dal legislatore, sembra utile precisare che dalla combinazione dell’art. 40, secondo comma c.p. con le singole fattispecie commissive di parte speciale deriva una nuova fattispecie omissiva, caratterizzata da una nuova tipicità, del tutto indipendente da quella originaria. Come la teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale in tema di concorso di persone nel reato ha chiaramente evidenziato l’errore metodologico insito nella pretesa di costruire la teoria del concorso di persone mediante una meccanica trasposizione degli schemi propri del reato monosoggettivo154, allo stesso modo la ricostruzione della fattispecie omissiva

      

151 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio. La struttura obiettiva della fattispecie, Giuffrè, 1983,

pp. 9-10; G.FIANDACA, voce Omissione (diritto penale), p. 549; G. FIANDACA –E.MUSCO, Diritto

penale. Parte generale, cit., p. 578. Un differente criterio distintivo, come è noto, è quello che fa

riferimento non alla tecnica di tipizzazione dei reati omissivi, ma alla struttura della fattispecie: i reati omissivi “propri” sarebbero quelli che si esauriscono nel mancato compimento dell’azione doverosa, mentre i reati omissivi “impropri” consisterebbero nel mancato impedimento di un evento materiale e richiederebbero quindi che dall’omissione derivi un evento in senso naturalistico. Per tutti A. CADOPPI, Il reato omissivo proprio, Vol. I, cit., spec. pp. 111 e ss. e, nella manualistica, F.

MANTOVANI, Diritto penale, Cedam, 2007, p. 129.

152G.GRASSO, Il reato omissivo improprio, Milano, Giuffrè, 1983, p. 11.

153 Il codice Zanardelli, al contrario, affidava alla parte speciale il compito di individuare le

caratteristiche della colpa, in relazione alle singole fattispecie incriminatrici (c.d. definizione differenziata): in argomento D. CASTRONUOVO, Le definizioni legali del reato colposo, in Riv. it. dir.

proc. pen., 2002, pp. 497-498.

154 R.DELL’ANDRO, La fattispecie plurisoggettiva in diritto penale, Milano, Giuffrè, 1956, spec.

pp. 75 e ss. e M.GALLO, Lineamenti una teoria sul concorso di persone nel reato, Milano, Giuffrè, 1960,

impropria secondo premesse analoghe a quelle impiegate per l’art. 110 c.p. contribuisce a ribadire l’autonomia sistematica del reato omissivo improprio rispetto alla corrispondente fattispecie commissiva. Per evitare ogni fraintendimento, dunque, non pare del tutto corretto affermare che l’art. 40, secondo comma, c.p. estenda la tipicità della originaria fattispecie commissiva: se dall’incontro dello stesso con le disposizioni di parte speciale sorge una nuova fattispecie, significa anche che la tipicità originaria della fattispecie che viene in considerazione resta inalterata. L’effetto estensivo andrà quindi riferito piuttosto all’intero ordinamento, ampliato da tutte le nuove fattispecie ottenute attraverso l’accostamento della disposizione di parte generale ad una disposizione di parte speciale155.

Le conclusioni sono sostanzialmente analoghe a quelle cui perviene chi, nel criticare le letture restrittive dell’art. 40, secondo comma c.p. che vorrebbero limitarne l’operatività al solo ambito della causalità, sostiene che la disposizione in questione si muova piuttosto sul piano della costruzione della fattispecie, “assimilando”156 (rectius: affiancando) ad ogni fattispecie commissiva (che con la

stessa risulti compatibile) una nuova fattispecie imperniata sul mancato impedimento dell’evento157.

Più in particolare, se si ritiene che l’evento cui fa riferimento l’art. 40 c.p., tanto nel primo quanto nel secondo comma, sia da intendersi nell’accezione di evento in senso naturalistico, è proprio questo l’unico elemento che la fattispecie omissiva impropria presenterà in comune rispetto a quella commissiva. Quanto alla condotta, la sua individuazione ruota tutta attorno alla corretta individuazione dell’obbligo di impedimento dell’evento. In riferimento, infine, al rapporto di causalità, sembra sia preferibile, in ragione di una maggiore precisione non solo terminologica, ma esegetica e sistematica, parlare di “equivalente tipico della causalità”: ciò serve in particolare, senza la pretesa di addentrarsi nella disputa “epistemologica” relativa all’effettivo valore causale dell’omissione, a sottolineare la scelta operata dal legislatore mediante l’inserimento dell’art. 40, secondo comma c.p..

Non sembra invece pienamente convincente la giustificazione addotta al riguardo da Grasso che, almeno in Italia, è tra coloro che hanno avuto il merito di

      

155 Per analoghe considerazioni in riferimento all’art. 110 c.p. M. GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. III, pp. 144-145.

156 L’espressione è di F. SGUBBI, Responsabilità penale, cit., pp. 2, 26, 38, 47-48 e, in particolare,

p. 82: «è il famoso procedimento di “assimilazione”, la legittimazione della cui operatività si trova, nel nostro sistema, nell’art. 40 cpv c.p.: in base ad esso, appunto, ad una fattispecie (prevista dalla legge) impostata in termini naturalistici, ne viene affiancata interpretativamente un’altra, impostata in termini normativi. L’elemento in comune fra fattispecie naturalistica-base e fattispecie normativa “assimilata” è dato dall’evento naturalistico: l’equivalenza fra condotta naturalistica di causazione e condotta normativa si ha – ex art. 40 cpv c.p. – quando la condotta normativa si presenta come inosservanza di un obbligo giuridico di attivarsi per impedire l’evento naturalistico de quo». Evidenziano l’autonomia della “nuova” fattispecie incentrata sul mancato impedimento dell’evento anche G.FIANDACA –E.MUSCO, Diritto penale, cit., p. 547.

sostenere la necessità di una lettura “allargata” dell’art. 40, secondo comma c.p.. Si è sostenuto, infatti, che «nei reati commissivi è la causalità l’elemento sul quale si impernia la struttura della fattispecie e che consente l’individuazione della stessa condotta tipica: l’azione conforme alla fattispecie è quella che risulta legata all’evento lesivo dal nesso eziologico. Nelle fattispecie omissive improprie invece è la situazione di garanzia […] che assume quel ruolo di “filtro” che nelle corrispondenti fattispecie commissive è attribuito alla causalità». Proprio questo diverso ruolo svolto dal rapporto di causalità renderebbe opportuno l’impiego dell’espressione “equivalente tipico della causalità” in relazione ai reati omissivi impropri158.

Il ruolo di filtro attribuito in via esclusiva al rapporto di causalità nei reati commissivi è, a ben vedere, una peculiarità propria dei soli reati dolosi a forma libera. Anche a voler ammettere che la clausola di equivalenza tra il non impedire e il cagionare possa operare solo in riferimento a fattispecie commissive causalmente orientate159, nel caso in cui la fattispecie in questione non sia dolosa ma colposa, il

nesso causale perde il ruolo di unico elemento di selezione della condotta penalmente rilevante. Nei reati colposi, infatti, l’individuazione della condotta necessita anche del riferimento alla regola cautelare che si assume sia stata violata, tanto che si tratti di una regola generica (di diligenza, prudenza, perizia) quanto che si tratti di c.d. colpa specifica160. La regola cautelare svolge dunque, già nei reati commissivi, un

ruolo perfettamente simmetrico a quello correttamente attribuito al c.d. obbligo di garanzia nelle fattispecie costruite mediante il riferimento all’art. 40, secondo comma c.p.. Del resto, come già accennato, è proprio la possibile sovrapposizione tra l’obbligo di garanzia (rectius: di impedimento dell’evento) e quello di diligenza che impone di chiarire se, semplicemente, l’uno si risolva interamente nell’altro o se, piuttosto, sia opportuno mantenere distinti i due piani, a fini tanto sistematici quanto di accertamento.

Si tratta a questo punto di precisare i limiti entro cui, per il tramite dell’art. 40, secondo comma c.p., può pervenirsi alla costruzione di una nuova “fattispecie omissiva eventuale”161. Al riguardo sembra sussistere sufficiente concordia

sull’esclusione dell’operatività della clausola di equivalenza tanto in riferimento ai reati di mera condotta quanto a quelli c.d. di mano propria. Più discussa è invece l’ammissibilità di una realizzazione “per omissione” di reati abituali o di reati a forma vincolata.

      

158 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 116-117. 159 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 154 e ss..

160 Lo stesso G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 370 concorda del resto sulla funzione

tipizzante svolta dalla “diligenza obiettiva” nelle fattispecie omissive improprie.

161 Sul punto v. G.FIANDACA, Il reato commissivo, cit., pp. 33-48; G.GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 137-163; F.SGUBBI, Responsabilità penale, cit., pp. 99-114; M.ROMANO, Art. 40,

Quanto ai reati abituali, ad emblema della disputa sorta al riguardo può assumersi la fattispecie di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.)162. A fronte del

dato letterale e naturalistico, il quale suggerisce che si possa “trattar male” anche per mezzo di atti a contenuto negativo e a fronte della giurisprudenza che ammette la realizzazione della fattispecie in questione anche mediante omissione163, una

conclusione di questo tipo potrebbe suscitare delle perplessità, proprio in considerazione del carattere abituale del reato in questione. È necessario chiarire che, in ogni caso, la questione ha senso solo se riferita ai casi di “esecuzione monosoggettiva” e non anche a quelli in cui a venire in considerazione è piuttosto il mancato impedimento di un reato di maltrattamenti commesso da altri164: in queste

ultime ipotesi, in effetti, non pare sussistano particolari difficoltà ad intendere l’evento di cui all’art. 40, secondo comma c.p. come “reato commesso da altri”, senza che quest’ultimo incontri i limiti di operatività tradizionalmente individuati in riferimento alla generale clausola di equivalenza tra il non impedire e il cagionare165.

Quanto ai reati a forma vincolata, il paradigma delle incertezze sulla possibile operatività del cpv. dell’art. 40 c.p. va certamente individuato nel delitto di truffa, specie per il consolidarsi di orientamenti giurisprudenziali che tendono ad attribuire rilevanza, in maniera pressoché automatica, al “silenzio maliziosamente serbato” su circostanze che si aveva l’obbligo di riferire166.

Al di là delle peculiarità proprie di ciascuna fattispecie, sembra ravvisabile un equivoco nel ricondurre ogni caso in cui si discuta della rilevanza penale di una condotta omissiva entro i confini dell’art. 40, secondo comma c.p. e, dunque, dell’obbligo giuridico di impedire l’evento. Quest’ultimo, in effetti, è destinato ad operare nei soli casi in cui la fattispecie di parte speciale sia descritta unicamente in termini “commissivi” (e ciò avviene anzitutto mediante l’impiego del verbo “cagionare” o di altri concetti allo stesso equivalenti). Ma come il legislatore può descrivere la fattispecie di parte speciale nei termini di un’omissione propria, allo stesso modo è ipotizzabile che individui modalità di descrizione della condotta già

      

162 Tra gli altri T.VITARELLI, Maltrattamenti mediante omissione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998,

pp. 179 e ss.; F. COPPI, Maltrattamenti in famiglia, Perugia, 1979, p. 263; G. D. PISAPIA, voce

Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in Dig. disc. pen., Vol. VII, Torino, Utet, 1993, p. 524. 163 Per tutte Cass. pen., Sez. VI, 18 marzo 1996 (dep. 16 maggio 1996), Cambria, in Cass. pen.,

1997, pp. 29 e ss., con nota di S.LARIZZA, La difficile sopravvivenza del reato di abuso dei messi di

correzione.

164 Il riferimento è alla casistica relativa alla responsabilità per la fattispecie di cui all’art. 572

c.p. dei responsabili di una struttura di assistenza e di cura, su cui v. Cass. pen., Sez. VI, 30 maggio 1990 (dep. 16 gennaio 1991), in Cass. pen., 1992, pp. 1505 e ss.; Cass. pen., Sez. VI, 17 ottobre 1994 (dep. 19 novembre 1994), Fiorillo, in Cass. pen., 1996, pp. 511 e ss., con nota di R. BLAIOTTA,

Maltrattamenti nelle istituzioni e dovere costituzionale di solidarietà. 165 Sul punto più diffusamente infra, Cap. III, § 3.

166 Tra le tante Cass. pen., Sez. VI, 10 aprile 2000, Salerno, in Cass. pen., 2002, p. 610; Cass. pen.,

Sez. VI, 3 aprile 1998, Perina, in Cass. pen., 1999, p. 1825; Cass. pen., Sez. II, 13 novembre 1997, Fascini, in Cass. pen., 1999, p. 1140; Cass. pen., Sez. II, 18 dicembre 1995, Capra, in Giust. pen., 1996, II, c. 731; Cass. pen., Sez. II, 19 aprile 1991, Salvalaio, in Riv. pen., 1992, pp. 473 e ss..

compatibili con una realizzazione “per omissione”, senza la necessità di passare per il tramite della “fattispecie omissiva eventuale” costruita attraverso il riferimento all’art. 40, secondo comma c.p.167. Questo pare per l’appunto il caso dei

maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), della violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), del patrocinio o della consulenza infedele (art. 380 c.p.).

Analoghe considerazioni sembra possano valere anche per la truffa (art. 640 c.p.), sebbene non si nega che in questo caso le indicazioni legislative non siano dotate di evidente univocità. Tuttavia, una volta che la fattispecie venga liberata dal peso della tradizione che richiedeva un’autentica mise en scene, al fine di distinguere l’artifizio dalla mera menzogna168 e che si vada oltre la derivazione etimologica

dell’artifizio dal verbo facere, pare potersi affermare che anche il mero silenzio può concretare un artificio o un raggiro tali da determinare un’induzione in errore169. La

poco condivisibile conversione del delitto di truffa in una fattispecie a forma libera, che vanifica la selezione operata dal legislatore delle condotte penalmente rilevanti e alla quale perviene quella giurisprudenza che ricava la sussistenza di artifizi e raggiri “idonei” dal solo verificarsi dell’induzione in errore170, può essere evitata non tanto

negando la configurabilità di una “truffa per omissione”, ma piuttosto valorizzando le note di disvalore, in termini di idoneità, che la condotta deve possedere in riferimento agli eventi descritti dall’art. 640 c.p.171-172. La circostanza sulla quale si

      

167 M.ROMANO, Art. 40, Commentario sistematico, cit., p. 381.

168 Per tutti F.CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, Parte speciale, Vol. IV, VII

ed., Firenze, Fratelli Cammelli, 1904, pp. 517-520, che così riassume la teorica, di derivazione francese, della mise en scene: «la menzogna non è delitto perché nessuno deve creder di facile alle parole altrui; e se vi crede ne imputi se medesimo: e attenda (se cade in acconcio) dai tribunali civili la riparazione dei propri danni. Ma l’artifizio, quando non volge alla sola beffa innocente, ma ad un ingiusti profitto, adegua le condizioni obiettive del delitto: e ad avere l’artifizio non basta il solo discorso eloquente, studiato e persuadente, se oltre alle mendaci parole non si è posto in essere una qualche cosa comprovante i falsi asserti» (corsivi originali).

169 M.ROMANO, Art. 40, Commentario sistematico, cit., p. 381. Contra G. FIANDACA E.MUSCO, Diritto penale, cit., p. 586;G.FIANDACA, Il reato commissivo, cit., p. 36, nota n. 6.G.GRASSO, Il reato

omissivo improprio, cit., pp. 158-160, secondo il quale il silenzio può assumere rilevanza solo in quanto

assuma un concreto valore concludente tale da circonvenire la vittima: in questi casi solo apparentemente si dà rilievo ad un comportamento omissivo, trattandosi piuttosto di una condotta attiva, sebbene arricchita nel suo significato dall’eventuale reticenza; V.MANZINI, Trattato di diritto

penale italiano, V ed. aggiornata dai professori P. Nuvolone e G.D. Pisapia, Vol. IX, Delitti contro il patrimonio, Torino, Utet, 1981, pp. 689-695; E. MEZZETTI, voce Truffa e frode (delitti di), in

Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Vol. VI, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 6047-6048. 170 Tra le tante Cass. pen., Sez. II, 27 febbraio 1990, Casella, in Riv. pen., 1991, p. 575; Cass.

pen., Sez. I, 11 luglio 1990, Ricci Petitone, in Riv. pen., 1991, p. 383; Cass. pen., Sez. II, 23 giugno 1987, Agostoni, in Giust. pen., 1988, II, c. 493; Cass. pen., Sez. II, 1 marzo 1986, Rapisarda, in Cass.

pen. 1987, p. 2137; Cass. pen., Sez. II, 6 febbraio 1984, Paparo, in Giust. pen., 1984, II, p. 721. In

dottrina F.ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Vol. I, XV ed. a cura di C. F. Grosso,

Milano, Giuffrè, 2008, pp. 368-369.

171 Per tutti G.MARINI, voce Truffa, in Dig. disc. pen., Vol. XIV., Torino, Utet, 1999, pp. 366 e

C.PEDRAZZI, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, Giuffrè, 1955, pp. 226 e ss..

172 Per questa via, tra l’altro, si giunge a recuperare la funzione selettiva dell’antico

intende richiamare l’attenzione è quella per cui se si accede ad una “lettura ampia” della condotta di artifizi o raggiri, non ha alcun senso ricercare l’esistenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40, secondo comma c.p. di fronte ad un contegno omissivo del soggetto, trattandosi di una condotta rilevante già ai sensi dell’art. 640 c.p. (e non della nuova fattispecie omissiva derivante da art. 640 c.p. + art. 40, secondo comma c.p.). Per contro, qualora si ritenga che mediante l’introduzione della coppia concettuale “artifizi o raggiri” il legislatore abbia inteso attribuire rilievo unicamente a condotte “attive”, la selezione operata nella descrizione della fattispecie a livello di condotta e, dunque, di decorso causale, impedisce l’individuazione di una nuova fattispecie omissiva eventuale, ipotizzabile unicamente a fronte di un iter causale che, già nella fattispecie commissiva, risulti descritto solo in funzione dell’evento173.

Provando a generalizzare: nei reati abituali o a forma vincolata, la mancata previsione di un evento in senso naturalistico non pare possa assumere da sola efficacia dirimente circa l’irrilevanza penale di una condotta omissiva: si tratta piuttosto di verificare caso per caso se il legislatore, già nella fattispecie di parte speciale, abbia voluto attribuire rilevanza anche a condotte omissive.

Solo quando la fattispecie di parte speciale risulti tipizzata in modo tale che la stessa risulti realizzabile unicamente attraverso una condotta attiva, può (e deve) porsi il problema della possibile costruzione della “fattispecie omissiva eventuale”. E a questo proposito pare difficilmente contestabile la conclusione per cui la clausola di equivalenza può operare solo in presenza di reati a forma libera e con evento naturalistico174, restando per contro impraticabile in tutti i casi in cui manchi un

evento naturalistico e la condotta sia descritta per note interne compatibili unicamente con un comportamento positivo (per restare agli esempi più evidenti: furto, rapina, evasione).

      

Sulla necessità di valutare in concreto l’idoneità della condotta, tenendo conto, anzi tutto, delle “condizioni personali” del soggetto cui l’inganno è diretto, v. C.PEDRAZZI, Inganno ed errore, cit., p.

240.

173 A ben vedere si tratta di un’argomentazione per molti aspetti coincidente a quella che porta a

negare ogni possibile rilevanza della c.d. aberratio causae in riferimento ai reati a forma vincolata: in tutti i casi in cui il legislatore non si limita a richiedere la mera causazione dell’evento, ma descrive per note interne la condotta e, quindi, il processo causale, se l’accadimento concreto non può essere ricondotto al modello di attività descritto dalla norma farebbe difetto, prima ancora che il dolo, lo stesso nesso di causalità materiale (in argomento, per tutti, M.TRAPANI, La divergenza tra il “voluto” e

il “realizzato”, cit., p. 16). Se dunque la descrizione della condotta per note interne esclude la

possibilità che l’iter causale segua un percorso differente da quello tipizzato dal legislatore, a fortiori deve negarsi che possa trovare applicazione la clausola di equivalenza contenuta nell’art. 40, secondo comma c.p..

174 Va ricordato che i reati causalmente orientati non sono necessariamente reati ad evento

naturalistico: esistono in effetti anche reati di mera condotta causalmente orientati, come talune fattispecie di “attentato” (esempio: artt. 286 e 432 c.p.) in cui la condotta non è descritta per note

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