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La distinzione tra “agire” ed “omettere” nella spiegazione causale dell’evento.

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 142-164)

IL NESSO TRA LA VIOLAZIONE DELLA REGOLA CAUTELARE E L’EVENTO: LA “CAUSALITÀ DELL’OMISSIONE” E LA “CAUSALITÀ DELLA COLPA”

1. La distinzione tra “agire” ed “omettere” nella spiegazione causale dell’evento.

La stretta connessione tra la tematica dell’omissione e quella della causalità si presenta con un’evidenza tale da non necessitare di particolari dimostrazioni. Nelle stesse trattazioni manualistiche è piuttosto frequente trovare illustrati i tratti più significativi del reato omissivo nelle pagine dedicate al rapporto di causalità1: si

tratta del resto di una scelta in qualche modo imposta dallo stesso legislatore, visto l’inserimento della clausola di equivalenza tra il non impedire e il cagionare prorpio nell’art. 40 c.p., rubricato “Rapporto di causalità”. La stessa teoria dell’aliud agere, e, più in generale, i tentativi di rinvenire tratti naturalistici all’interno dell’omissione, muovono spesso dall’esigenza di fornire un convincente inquadramento sistematico alla “causalità” nei reati omissivi2.

Storicamente il problema della causalità nell’omissione nasce quando il dogma causale, dopo aver acquistato una rilevanza centrale nell’ambito delle scienze naturali, fa il suo ingresso anche in quelle giuridiche: la fattispecie penale viene quindi costruita su basi prevalentemente naturalistiche, le stesse su cui si fonda la pretesa assimilazione fra azione ed omissione3.

A ben vedere, tuttavia, l’annosa questione della distinzione tra “causalità attiva” e “causalità omissiva” è solo un riflesso delle difficoltà che si incontrano affrontando quella che in argomento assume le vesti di vera e propria questione pregiudiziale: in base a quali criteri può distinguersi un’azione da un’omissione? Non

      

1 Tra gli altri F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., pp. 154 e ss.; F. ANTOLISEI, Diritto penale, cit.,

pp, 252 e ss.; C.FIORE -S.FIORE, Diritto penale, cit., p. 238 e ss..

2 Valga per tutte l’indagine condotta al riguardo da E. MASSARI, Il momento esecutivo del reato,

cit., pp. 37 e ss.. Cfr. A.CADOPPI, Il reato omissivo proprio, Vol. I, cit., p. 75-76, il quale fa notare che

le problematiche della normatività/fisicità dell’omissione, pur trattate in riferimento all’omissione in generale, erano strumentali alla risoluzione di questioni pertinenti ai soli reati commissivi mediante omissione, gli unici per i quali avesse un senso parlare di nesso di causalità (anche pp. 159 e ss.).

3 F.SGUBBI, Responsabilità penale, cit., 35-39. Sull’influenza del “naturalismo” nella sistematica

penale v. anche, in generale, la ricostruzione di A. R. CASTALDO, Linee politico-criminali ed

sembra del resto di indulgere in sterili pedanterie linguistico-terminologiche se si afferma che gli aggettivi “attiva” od “omissiva” vadano correttamente riferiti non tanto alla “causalità”, quanto piuttosto alla “condotta”, primo termine dal quale muovere nell’accertamento del rapporto di causalità materiale. Come è stato efficacemente rilevato «non ha senso […] porsi un problema di causalità dell’omissione se prima non si sia accertata l’esistenza di un’omissione tipica»4.

Appaiono dunque assai poco condivisibili impostazioni volte a svalutare la distinzione tra le due possibili forme di condotta, in base alla considerazione per cui si tratterebbe di tipi di comportamento in realtà strettamente connessi e reciprocamente speculari: nel violare le regole di comune prudenza, si è detto, il soggetto non è inerte, ma tiene un comportamento diverso da quello dovuto5.

Cadenze argomentative che, mentre paiono suggerire un improbabile ritorno alla teorica dell’aliud agere, non chiariscono le reali implicazioni della distinzione, a partire da quelle che si producono in sede di accertamento del nesso di causalità.

Ad ognuno che possieda qualche rudimento di filosofia il concetto di causalità evocherà senza dubbio i ricordi e le immagini più diverse: il motore immobile di Aristotele, le categorie a priori di Kant, la palla da biliardo di Hume, i cigni bianchi e lo sfortunato tacchino induttivista di Popper.

Non si vuole certo negare che il risalente e costante interesse della filosofia per il concetto di “causa” esercitino il loro fascino anche sul giurista; né si può negare che dagli studi logico-filosofici il giurista possa trarre considerazioni utili ai propri fini6.

      

4 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, p. 122.

5 Sez. IV, 15 novembre 2005 (dep. 27 gennaio 2006), Fedele, in Cass. pen., 2007, 2793, con nota

di G. AMARA, Fra condotta attiva ed omissiva. Nuovi criteri distintivi e reali conseguenze sul piano dell’imputazione dell’evento. In dottrina cfr. F.ANGIONI, Note sull’imputazione dell’evento colposo con

particolare riferimento all’attività medica, cit., p. 1292, che ritiene opportuno sgombrare il campo da

«importune complicazioni, legate alle coppie concettuali “omissione – colpa e “azione – omissione”»; P.VENEZIANI, Infortuni sul lavoro e responsabilità per omesso impedimento dell’evento: problemi attuali, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1998, pp. 501-501, nel senso di ridimensionare la rilevanza della qualificazione in senso attivo od omissivo della condotta del datore di lavoro, che potrebbe avvenire «con qualche “arbitrarietà” (sic!), a seconda dell’ottica in cui ci si intenda collocare, e dunque anche accentuando il momento omissivo della colpa sino a strutturare la fattispecie in chiave omissiva impropria».

6 La ricostruzione proposta da Francesco Antolisei è dichiaratamente ispirata alle riflessioni di

Sigwart, sia pur significativamente rivedute e corrette (F. ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel

diritto penale, cit., pp. 150 ss. per la distinzione tra causalità meccanica e causalità umana proposta

dal Sigwart e pp. 204 ss. per la sua applicazione ai fini dell’imputazione penale. Lo stesso Autore, del resto, ammette che «in un argomento così arduo e delicato che sta nella zona di confine tra il diritto e la filosofia, nessuna persona serena, che sia veramente consapevole della estrema difficoltà del problema, può ritenersi depositaria della verità assoluta»: F. ANTOLISEI, Punti fermi sul problema

della causalità, in Riv. it. dir. pen., 1934, pp. 622-623). Anche il modello di sussunzione sotto leggi

scientifiche proposto da Federico Stella deve molto al c.d.empirismo logico, esplicitamente indicato dallo stesso Autore quali fonte della sua ispirazione: STELLA, nella Postfazione “L’ultimo decennio di

sentenze della Cassazione sulla condizione necessaria «conforme» a leggi di copertura”, in Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, cit., p. 412-413.

È accaduto però che, anche per via delle definizioni solo apparenti contenute nel codice Rocco in tema di rapporto causale7, la letteratura giuridica si sia spesso

trovata a rincorrere i portati gnoseologici che si sono avvicendati nel pensiero filosofico8 o addirittura a risentire del duro colpo inferto alla fisica classica ad opera

della teoria della relatività o dalla meccanica quantistica9. Il rischio sempre presente

in un simile modo di procedere è che l’ambizioso giurista, anziché servirsi ad

adiuvandum di argomentazioni di tipo logico-filosofico, si avventuri per gli ardui

sentieri dell’epistemologia (tractent fabrilia fabri!), guardando solo da lontano il proprio obbiettivo o rischiando addirittura di perderlo del tutto di vista nella dimensione subatomica dei quanti: invece «l’approfondimento della questione della causalità nell’ambito di un ordinamento normativo significa non solo affrontare questioni di carattere logico-naturalistico, ma anche, e forse soprattutto, questioni di imputazione, cioè di riferibilità di un fatto ad una persona sulla base delle specifiche finalità perseguite dai vari rami dell’ordinamento»10.

      

7 G. DELITALA, Le dottrine generali del reato del Progetto Rocco, in Osservazioni intorno al Progetto preliminare di un nuovo codice penale (agosto 1927, anno V), Milano, Società editrice Vita e pensiero,

1928, p. 62 e 70, auspicava l’introduzione di una definizione del rapporto causale che andasse oltre l’affermazione della sua necessaria presenza. V. anche le osservazioni dello stesso G. DELITALA in

Lavori preparatori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, Vol. III, Osservazioni e proposte sul progetto preliminare di un nuovo codice penale, Parte I, Artt. 1-80, Roma, Tipografie delle

Mantellate, 1928, pp. 322-323.

8 O. DI GIOVINE, Lo statuto epistemologico della causalità penale tra cause sufficienti e condizioni necessarie, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 636, la quale (nota 5) osserva come ciò abbia determinato,

tra l’altro, una curiosa inversione di piani, se si considera che proprio un filosofo come Carnap, cui la letteratura penale in tema di causalità deve molto, rinviene in campo giuridico le origini del concetto di causa. Anche R. BLAIOTTA, La causalità nella responsabilità professionale, cit., p. 1, rileva l’inusuale comparsa, nelle pronunce di legittimità, di concetti propri del linguaggio logico-filosofico, quali leggi universali e statistiche, probabilità logica, induzione, abduzione.

9 «I recenti sviluppi della fisica ci hanno insegnato che occorre moderare alquanto le superbe

speranze che i brillanti successi dell’indagine fisica avevano fatto riporre nelle nostre possibilità di approfondire la conoscenza della natura, ed hanno specialmente mostrato che è impossibile dare una portata generale, nella formulazione classica in uso finora, alla legge di causalità, perché questa è definitivamente fallita nel mondo degli atomi»: M.PLANCK, La conoscenza del mondo fisico, Einaudi,

1949, p. 243. In argomento si rinvia alla dettagliata indagine di M.MAIWALD, Causalità e diritto

penale. Studio sul rapporto tra scienze naturali e scienza del diritto, Milano, Giuffrè, 1999, passim. 10 M. GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. II, Il reato, Parte I, La fattispecie oggettiva,

Giappichelli, 2000, p. 97. F. ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, cit., p. 200: «la

questione giuridica del nesso causale non è che una frazione del problema della imputazione». Icastico lo stesso F. ANTOLISEI, p. 135 nei riguardi della letteratura tedesca in tema di causalità

nell’omissione: «Vi è stato dedicato un numero stragrande di pubblicazioni, nelle quali gli autori hanno creduto di innalzarsi alle vette della filosofia, mentre in gran parte non hanno fatto che dibattersi fra nebulosità e bizantinismi. Si tratta per lo più di scritti complicati, irti di sottigliezze; spesso così astrusi da doversi quasi considerare illeggibili. La letteratura sorta in proposito è forse l’esempio tipico dei risultati a cui possono condurre certi difetti propri dei metodi della scienza germanica, e particolarmente la tendenza all’astrazione metafisica e la specializzazione spinta all’estremo, alle quali si accompagna spesso deficienza di concisa chiarezza e di senso pratico»; G. MAGGIORE, La causalità nel nuovo codice penale, in Riv. dir. proc. pen. mil., 1932, p. 5: «il problema

della causalità è uno dei più formidabili della filosofia. Ma non è questa la sede per risolverlo. […] Al giurista importa solo di stabilire il valore che al concetto di causa devesi assegnare per i fini

Si riferiscano questi presupposti metodologici al tema della causalità omissiva: se l’omissione in quanto tale sia o meno in grado di “cagionare” un evento o se la sua causalità sia solo una fictio iuris è questione che, a ben vedere, può lasciarsi insoluta11, senza con ciò pregiudicare la ricostruzione della “causalità

      

dell’ordinamento»; F. GRISPIGNI, Il nesso causale nel diritto penale, in Riv. it. dir. pen., 1935, p. 5: «ciò

che infatti interessa al giurista di ricercare non è la causa metafisica, ma soltanto la causa empirica»; in termini analoghi, sulla causalità dell’omissione, F.GRISPIGNI, L’omissione nel diritto penale, in Riv. it.

dir. pen., 1934, p. 36; sottolinea la peculiarità del punto di vista del giurista nell’affrontare il problema

della causalità anche O. VANNINI, Quid iuris?, cit., pp. 407 e ss.; F. STELLA, Leggi scientifiche, cit., p.

91, assume quale costante riferimento nell’ambito della sua ricerca la considerazione che «al diritto penale serve un concetto di causa che funzioni da criterio di imputazione» e utilizza quale filo conduttore della trattazione proprio l’esame critico di casi giudiziari (Vajont, talidomide, macchie bleu) in cui più evidenti erano state le incertezze relative all’accertamento causale; A. PAGLIARO,

Causalità e diritto penale, in Cass. pen., 2005, p. 1037, esordisce rilevando che «la dottrina penalistica

tradizionale si è inoltrata da tempo in un vicolo cieco, perché della causalità penalistica viene lasciata in ombra la funzione giuridica»; C.PIEGALLINI, Danno da prodotto, cit., p. 159 esprime la convinzione

che «le pulsioni della scienza e della filosofia della scienza, proprio perché si agitano in una cornice ontologica, non debbano condizionare l’orizzonte cognitivo e strumentale del giudice. In altre parole, non sembra possibile, né tantomeno corretto, “delegittimare” il ricorso a spiegazioni causali di taglio empirico-naturalistico, evoncandone la crisi dei fondamenti». Contra, sulla necessità di far riferimento alle nozioni proprie della filosofia e della scienza per l’individuazione del concetto di causa A. PECORARO-ALBANI, Caso e causalità, cit., p. 84 e per la premessa per cui «vi è un solo concetto di causa ed esso appartiene alla scienza» G.MUSOTTO, Il problema del rapporto di causalità nel diritto

penale, in Studi in onore di Arturo Rocco, 1952, p. 239.

11 Chiarire se si possa parlare di un rapporto causale in senso tecnico in presenza di una condotta

omissiva non è certo impresa di poco conto. Si è ritenuto che il concetto di “causa” includa le condizioni, positive e negative, necessarie alla produzione di un evento; ovvero che la causa di un evento è sempre un altro evento o un processo, il quale a sua volta può essere tanto dinamico quanto statico: l’omissione, in quanto descrive uno stato “reale” della persona, costituirebbe appunto una condizione statica dell’evento (F. STELLA,La nozione penalmente rilevante di causa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, pp. 1217 ss., ora in Appendice a Leggi scientifiche, cit., pp. 335-336. Potrebbe tuttavia

replicarsi che ex nihilo nihil fit e che dunque il “non essere” non può, naturalisticamente, costituire una causa(tra gli altri F.GRISPIGNI, L’omissione nel diritto penale, cit., p. 35 O. VANNINI, I reati

commissivi mediante omissione, Roma, Athenaeum, 1916, p. 17. V. anche ART. ROCCO, in Lavori

preparatori, cit., Vol. IV, Parte II, p. 105). Né più chiare indicazioni provengono dall’analisi del dato positivo. Assumendo quale esclusivo riferimento normativo la clausola di equivalenza tra il non impedire e il cagionare contenuta nell’art. 40, secondo comma c.p., la tentazione potrebbe essere quella di ricavarne che nel pensiero del legislatore l’azione e l’omissione non sono la stessa cosa (O. VANNINI, Omissione causale, in Riv. it. dir. pen., 1931, p. 36) e che, vista la collocazione della

disposizione in questione, le principali differenze siano state individuate proprio sul terreno della causalità: si sarebbe dunque introdotta un’equivalenza normativa laddove non è dato rinvenire alcuna uguaglianza sul piano naturalistico(F.GRISPIGNI, L’omissione nel diritto penale, cit., p. 40.

Nello stesso senso, P. NUVOLONE, L’omissione nel diritto penale italiano. Considerazioni generali

introduttive, in Ind. pen., 1982, p. 436). Altrettanto fondatamente, tuttavia, potrebbe ritenersi che il

legislatore abbia risolto in senso positivo la questione dell’efficacia causale dell’omissione: il primo comma dello stesso art. 40 c.p., infatti, richiedendo che l’evento dannoso o pericoloso sia conseguenza dell’azione o dell’omissione del soggetto agente, presupporrebbe come pienamente ammissibile la sussistenza di un vero e proprio rapporto di causalità tra l’omissione e l’evento. Così F. ANTOLISEI, Il

rapporto di causalità nel diritto penale, cit., p. 168-169, il quale risolve l’apparente antinomia esistente

tra i due commi dell’art. 40 c.p. ritenendo che l’introduzione del capoverso risponda piuttosto all’esigenza di limitare la responsabilità penale per mancato impedimento dell’evento ai soli casi in cui sussista un obbligo giuridico di impedire l’evento medesimo (c.d. antigiuridicità dell’omissione). Quest’ultima opinione sembrerebbe ricevere anche il conforto della Relazione al Progetto definitivo,

omissiva” quale frazione del problema dell’imputazione penale. Posto che il legislatore ci informa che un evento può essere conseguenza tanto di un’azione quanto di un’omissione (art. 40, primo comma c.p.) e che, in ogni caso, non impedire un evento equivale a cagionarlo (art. 40, secondo comma c.p.), ogni considerazione ulteriore sul valore causale dell’omissione diviene per l’interprete possibile, ma non necessaria. Rectius: ogni considerazione al riguardo risulta utile solo in quanto divenga la premessa da cui ricavare differenze in ordine all’accertamento del nesso causale. Il problema si sposta dunque dal piano ontologico a quello dell’accertamento: come accertare che, dato un evento, la stesso sia causalmente collegato alla condotta del soggetto agente? Esistono differenze nell’accertamento del nesso di causalità a seconda che la condotta che viene in considerazione sia un’azione o un’omissione?

Esulerebbe dai limiti della presente trattazione anche solo il tentativo di fornire una risposta al primo quesito. Si può solo osservare che la questione sembra assumere, almeno a tratti, le proporzioni di un’autentica quadratura del cerchio: la sfida ancora aperta resta quella di stabilire se l’accertamento del rapporto causale possa prescindere del tutto da coefficienti di tipo soggettivo o se, al contrario, il riferimento alle conoscenze del soggetto agente resti inevitabile, senza tuttavia comportare necessariamente un’inaccettabile sovrapposizione tra l’elemento oggettivo e quello soggettivo del reato.

Sembra invece che si possa, con una certa sicurezza, prendere posizione in merito al secondo dei quesiti posti in precedenza: indubbiamente le regole che presiedono all’accertamento del nesso di causalità subiscono in parte delle variazioni se a venire in considerazione sia una condotta omissiva anziché attiva12.

      

in cui si afferma che il primo comma dell’art. 40 c.p., non operando distinzione alcuna tra azione ed omissione, risolve il problema della causalità materiale in rapporto all’omissione nel senso di ammettere la possibilità di un rapporto materiale tra omissione ed evento (Lavori preparatori, cit., Vol. V, Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del Guardasigilli on. Alfredo Rocco, Parte I, Relazione sul Libro I del progetto, Roma, Tipografia delle Mantellate, 1929, p. 84). La Relazione, in realtà, prosegue con la considerazione per cui il capoverso dell’art. 40 c.p. regolerebbe quella particolare ipotesi in cui «l’omissione consista nel non impedire un evento, che direttamente è legato ad altra causa». Nell’ambito dei reati omissivi, quindi, dovrebbe distinguersi tra reati in cui la condotta è direttamente produttiva dell’evento e reati in cui la condotta si risolve in mancato impedimento dello stesso. Non si vede, tuttavia, in che modo possa accertarsi che una certa condotta omissiva sia direttamente produttiva dell’evento: la relazione tra un’omissione e un evento può consistere solo in un mancato impedimento dello stesso e il riferimento normativo al riguardo è costituito unicamente dall’art. 40, secondo comma, c.p.. Sul punto, tra gli altri, F. CARNELUTTI,

Illiceità penale dell’omissione, cit., p. 4; O. VANNINI, Ancora sull’omissione causale, in La palestra del

diritto, Giugno-Luglio, 1932; F. GRISPIGNI, L’omissione nel diritto penale, cit., p. 41; M. GALLO,

Appunti di diritto penale, p. 127.

12 Secondo M.GALLO, Appunti di diritto penale, cit., pp. 127-128 chiarire se il rapporto causale

che intercorre tra omissione ed evento sia dello stesso tipo di quello che intercorre tra azione ed evento risponde ad una mera «curiosità metagiuridica»; ciò che rileva è solo la tecnica di accertamento del nesso causale, indubbiamente diversa nei reati di azione rispetto a quelli omissivi. V. anche M. SINISCALCO, voce Causalità (rapporto di), in Enc. dir., Vol. VI., Milano, Giuffrè, 1960, p. 650, secondo

“Spiegare” un evento significa individuarne le ragioni, il propter quid; la spiegazione, cioè, è una conoscenza che coglie le cause, che fornisce una risposta alla domanda “perché?”13. Analoghe considerazioni varrebbero anche per la spiegazione

causale in diritto penale. Si è affermato che il problema del nesso eziologico deriva dalla necessità di spiegare perché un certo evento può essere imputato ad un soggetto14: più correttamente, forse, si tratta di chiarire, innanzi tutto, perché un

certo evento si è verificato e, in secondo luogo, se un certo soggetto possa esserne ritenuto penalmente responsabile.

La peculiarità della “causalità omissiva”, a ben considerare, risiede proprio nel fatto che mediante il suo accertamento non si intende spiegare alcunché o che, in ogni caso, la spiegazione assume una struttura assai peculiare15: «domandiamo come

mai fece freddo e ci viene risposto che non avremmo sentito freddo se avessimo acceso il calorifero; ma con questo non si dice quali sieno le ragioni naturali dell’abbassamento del clima»16. Mutatis mutandis: chiediamo perché il paziente è

morto e ci viene risposto che se fosse stato ricoverato sarebbe ancora in vita; ma non ci si dice quali siano le ragioni della morte.

Il dato sul quale si intende richiamare l’attenzione è il seguente: anche a voler ammettere che un evento si verifica non solo per l’insieme delle condizioni positive, ma anche per mancanza di impedimenti (condizioni negative), resta il fatto che, in caso di condotta omissiva, la serie causale “positiva” da cui è derivato il risultato vietato dalla legge e a cui non prende parte il comportamento dell’agente deve essere

      

il quale, poiché la forma di collegamento fra la condotta omissiva e l’evento è diversa dalla relazione intercorrente fra la condotta positiva e l’evento stesso, diviene solo una questione terminologica definire come causale il rapporto derivante da un comportamento omissivo.

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 142-164)

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