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Componenti oggettive e soggettive nel giudizio di colpa.

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 94-100)

A D IMPOSSIBILIA NEMO TENETUR: LA “DOMINABILITÀ” NELL’OMISSIONE E LA “DOMINABILITÀ” NELLA COLPA

5. Componenti oggettive e soggettive nel giudizio di colpa.

Anche la ricostruzione della colpa penale lungo il filo conduttore della “dominabilità” deve articolarsi nella verifica delle tre componenti sulle quali più volte si è richiamata l’attenzione: la riconoscibilità della regola di comportamento, la possibilità di agire diversamente, la possibilità di agire utilmente. Sono tuttavia necessarie delle considerazioni preliminari volte a chiarire l’esatta collocazione della colpa tra gli elementi del reato o, più correttamente, la complessa articolazione del giudizio di responsabilità per colpa il quale, come si cercherà di chiarire, postula il ricorso a parametri di accertamento non solo di tipo “soggettivo”.

L’indubbia caratterizzazione di tipo oggettivo del concetto di colpa, sotto il profilo sia etimologico che storico, presenti è una circostanza difficilmente contestabile: il termine greco αιτια originariamente aveva il significato di “colpa” e solo successivamente venne impiegato anche nel senso di “causa”: quasi che la causa fosse “responsabile” dell’effetto da essa derivato. L’originaria accezione oggettiva del concetto di colpa continua ad avere una visibile eco nel linguaggio comune: quando infatti si dice che “qualcuno ha colpa di qualcosa” si intende spesso significare che “qualcuno è la causa di qualcosa”102.

      

102 H.KELSEN, L’origine della legge causale dal principio del contrappasso, in Quaderni del centro di Studi per la Filosofia Mitteleuropea, 3, 1989, p. 29; H.KELSEN, Causalità ed imputazione, Appendice a

Lineamenti della filosofia pura del diritto, Torino, Einaudi, 2000, p. 214. V. anche A.ROSS, Colpa,

responsabilità e pena, Milano, Giuffrè, 1972, pp. 13-14, il quale rileva che il termine “colpa” può essere

impiegato in almeno due accezioni differenti: il termine può infatti indicare tanto la commissione di un’infrazione quanto il presupposto dell’infrazione stessa. In quest’ultimo senso «noi diciamo per esempio che non è stata colpa di Pietro se ha rotto un vaso, perché è stato Gianni ad avergli dato una spinta nella schiena, in modo che è caduto contro il tavolo su cui stava il vaso»; L.WITTGENSTEIN,

Causa ed effetto, Torino, Einaudi, 2006, p. 11, per il quale «chiamare qualcosa “causa” è come indicare

Del resto anche le ricostruzioni più propriamente giuridiche in tema di colpa, tanto civile quanto penale, non hanno mancato di evidenziare la rilevanza anche oggettiva dell’istituto in questione: così, introducendo la teoria generale della colpa civile, si è chiarito come, a seconda che la definizione di colpa venga fornita dal punto di vista causalistico, da quello psicologico o, infine, da quello normativo, essa risulti legata alle nozioni di: a) “causa”, quando si dice che un evento si è verificato “per colpa” di qualcuno, nel senso che il comportamento attivo od omissivo che viene in considerazione è la “causa” dell’evento; b) “diligenza”, quando la colpa si identifichi con l’“omissione di diligenza”; c) “dovere”, nel caso in cui la colpa si faccia coincidere con la trasgressione di un dovere di comportamento e, dunque, si identificata con l”omissione di diligenza dovuta”; d) “possibilità”, quando si dice che il soggetto è in colpa quando poteva evitare un certo comportamento e non lo ha fatto e che quindi la colpa consiste nell’“omissione di una diligenza possibile”103.

Ancora, in una prospettiva storica e con particolare riferimento ai delitti privati come regolati dalla lex Aquilia, si è ritenuto che la colpa Aquiliana, lungi dal rappresentare un criterio generale di responsabilità soggettiva, si riferisse originariamente alla sola responsabilità derivante da un’attività positiva (con esclusione dunque dell’omissione) dalla quale derivasse causalmente il danno, precludendo ogni indagine di tipo soggettivo relativa non solo alla prevedibilità dell’evento, ma anche alla mancanza di diligenza del danneggiante104. Ancora nella

compilazione giustinianea, del resto, tra i mutevoli ed equivoci significati in cui si trova impiegato il termine culpa, si rinviene anche quello per cui esso indica la mera causa di un certo avvenimento105. In altri termini, sembrerebbe che le soventi

sovrapposizioni tra il piano della colpa e quello della causalità e, quindi, dell’omissione, vista la stretta relazione intercorrente tra questa e quella, venga da lontano e derivi dal mancato chiarimento del “se” e del “come” le componenti oggettive della colpa possano conciliarsi con la sua (ormai acquisita) natura di criterio di imputazione soggettivo.

Dalle stesse fonti giustinianee si ricava non solo che i limiti della culpa andassero individuati nel dolus e nel casus, nel senso che la colpa inizia dove finisce il dolo e finisce dove inizia il caso fortuito, ma anche che, quale criterio di responsabilità, la culpa consistesse sostanzialmente in una mancanza di diligenza la cui essenza, specie in tema di colpa extracontrattuale, andava ravvisata nel “prevedibile non previsto in base alla normale diligenza” (culpam autem esse, quod

cum a diligentia provideri potest, non esset provisum); da altri brani sembra invece che       

103 Pressoché letteralmente C.MAIORCA, voce Colpa civile (teoria generale), in Enc. dir., Vol. VII,

Milano, Giuffrè, 1960, pp. 534-535.

104 G.I.LUZZATTO, voce Colpa penale (diritto romano), in Enc. dir., Vol. VII, Milano, Giuffrè,

1960, pp. 615-616.

105 M.TALAMANCA, voce Colpa civile (storia), in Enc. dir., Vol. VII, Milano, Giuffrè, 1960, p.

venga messo in risalto quale presupposto della colpa la possibilità in concreto di evitare l’evento dannoso106.

Si osserva comunemente che l’influenza del cristianesimo contribuirà a rafforzare l’idea che il fatto di reato non andasse considerato nel solo aspetto materiale, ma che si dovessero prendere in considerazione anche le circostanze in cui lo stesso sia stato commesso e, al tempo stesso, la condizione soggettiva del suo autore107, contribuendo, per quel che qui interessa, a distinguere con maggior

chiarezza nei loro rapporti reciproci il dolo, la colpa ed il caso108.

“Prevedibilità” e “caso”, inteso come fattore esterno ed imprevedibile, sono in effetti i due poli attorno ai quali ruota per molto tempo la costruzione della colpa come criterio di imputazione soggettivo. Emblematica al riguardo la nota costruzione del Carrara: la colpa viene definita come la «volontaria omissione di

diligenza nel calcolare le conseguenze possibili e prevedibili del proprio fatto»109; la sua

essenza sta tutta nella prevedibilità, che va tenuta distinta dalla vera e propria previsione, caratteristica del dolo110; se quindi «il non aver previsto la conseguenza

offensiva sconfina la colpa dal dolo», «il non averla potuta prevedere sconfina il caso dalla colpa»111. Il caso, tuttavia, andrà valutato non in modo “assoluto”, del tutto

avulso da qualsiasi rapporto con la condotta umana, ma, piuttosto, andrà inteso in senso “relativo” e messo in relazione ad un atto libero dell’uomo: se infatti l’uomo non può impedire al fulmine di cadere può però evitare di esserne colpito mediante apposite precauzioni112. Così, anche il caso potrà divenire eccezionalmente

imputabile, sebbene il fatto imprudente dell’agente si ponga solo quale “causa mediata” dell’evento: sarà però necessario che chi ha tenuto la condotta negligente fosse in grado di prevedere l’azione del caso. Si fa in proposito l’esempio di colui che lascia il proprio cavallo nella pubblica via, senza legarlo e senza affidarlo ad un custode, il quale sarà penalmente responsabile se il cavallo, spaventato da un fulmine (caso fortuito) fuggirà uccidendo o ferendo i passanti113.

      

106 V. ancora M.TALAMANCA, voce Colpa civile (storia), cit., p. 519.

107 A.PERTILE, Storia del diritto italiano, Vol. V, Storia del diritto penale, Bologna, Arnaldo Forni

Editore, p. 36. A.STOPPATO, L’evento punibile, cit., pp. 27 e ss..

108 Così V.MANZINI, Trattato di diritto penale, cit., p. 790, nota n. 2. Per ulteriori indicazioni sul

punto e per l’indicazione delle relative fonti si rinvia a P.FEDELE, voce Colpa (diritto canonico), in

Enc. dir., Vol. VII, Milano, Giuffrè, 1960, pp. 644 e ss..

109 F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale. Del delitto, della pena, Il Mulino, 1993,

p. 101.

110 F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, cit., p. 103, il quale precisa che la

prevedibilità e quindi la colpa sussistono non solo nel caso cui non venga prevista affatto una conseguenza che poi si cagiona (= colpa incosciente), ma anche nel caso in cui il soggetto preveda una certa conseguenza come possibile, ma speri di evitarla, senza poi riuscirci (= colpa cosciente).

111 F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, cit., p. 104. Anche E. PESSINA, Elementi di diritto penale, Vol. I, Napoli, Riccardo Marghieri, 1882, p. 178.

112 F. CARRARA, Sul caso fortuito in Opuscoli di diritto criminale, cit., spec. pp. 7-10. 113 F. CARRARA, Sul caso fortuito, cit., pp. 19-20.

Anche l’antico insegnamento per cui qui in re illicita versatur etiam pro casu

tenetur114 andrà quindi inteso nel senso che il caso sia posto a carico di chi versa in

cosa illecita solo quando lo stesso risulterà prevedibile, in maniera del tutto equivalente rispetto a chi versa in cosa lecita. Resta in definitiva confermato che «il tripode sul quale si asside la colpa sarà sempre questo: 1) volontarietà dell’atto; 2) mancata previsione dello effetto nocivo; 3) possibilità di prevedere»115.

Sempre al fine di rendere più netto possibile il confine tra colpa e caso, il requisito della prevedibilità viene integrato da parte di alcuni con quello della prevenibilità e la colpa viene definita come «la omissione volontaria della diligenza

necessaria per prevedere e prevenire un evento penalmente antigiuridico, possibile, prevedibile e prevenibile»116.

Sebbene all’inizio del secolo scorso mancasse ancora una chiara consapevolezza del ruolo svolto dai requisiti della prevedibilità e dell’evitabilità nella struttura del reato colposo, come dimostrano spesso gli esempi portati a sostegno dei propri assunti, l’idea di fondo appare delineata con sufficiente chiarezza: il soggetto può rispondere penalmente solo delle conseguenze della propria condotta che rientrino nella sua “sfera di signoria” oggettiva o soggettiva, sebbene, si ripete, senza ancora distinguere con chiarezza i due ambiti; e ciò può avvenire in primo luogo ricorrendo al requisito della prevedibilità per fondare la responsabilità e a quello della imprevedibilità per escluderla.

Si è tuttavia rilevato come, soprattutto a seguito del progressivo diffondersi di attività intrinsecamente rischiose eppure espressamente autorizzate dall’ordinamento, il requisito della prevebilità come elemento da accertare in concreto viene messo almeno parzialmente in discussione117. E anche chi concorda

nel riconoscere alla prevedibilità il ruolo di discrimine tra la colpa e il caso fortuito, deve ammettere subito dopo che tale requisito è per legge presunto tanto nel caso di inosservanza di regolamenti, ordini o discipline (le leggi faranno la loro comparsa solo con il codice Rocco) quanto nel caso di imperizia nello svolgimento della propria arte o professione118. Non manca infine chi, come il Manzini, prenderà le distanze

dalla teoria della prevedibilità, definendola come «la dottrina più antica e più diffusa, perché più grossolana»119 e ricostruirà la colpa in termini rigorosamente in

      

114 Per una documentata analisi storica del principio del versari in re illicita si rinvia a F.

TAGLIARINI, I delitti aggravati dall’evento. Profili storici e prospettive di riforma, Padova, Cedam, 1979,

pp. 63-122.

115 F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, cit., p. 101.

116 E.BRUSA, Saggio di una teoria generale del reato, Torino, Tipografia Editrice Candeletti, 1884,

pp. 90-94.

117 G.DE FRANCESCO, La colpa nel codice Zanardelli, cit., pp. 412-413. 118 G. B. IMPALLOMENI, L’omicidio nel diritto penale, cit., pp. 97 e 99-100. 119 V.MANZINI, Trattato di diritto penale, cit., p. 798.

termini rigidamente causalistici, attribuendo all’evento il ruolo di mera condizione obiettiva di punibilità120.

Del resto muovendo dal presupposto per cui “ogni colpevolezza è una colpevolezza del volere” e prendendo atto dell’impossibilità di ravvisare, nei reati colposi, un vero e proprio legame psicologico rispetto all’evento, nella dottrina tedesca la tendenza ad una svalutazione del ruolo dell’evento verrà condotta alle sue massime conseguenze da parte di chi ravviserà nello stesso un mero “annesso” dell’azione colposa, un elemento che può aggiungersi, in maniera del tutto accidentale e fortuita, alla condotta dell’agente: con la conseguenza per cui chi è sfortunato viene incarcerato mentre quello favorito dal caso non subirà alcuna conseguenza121.

Attualmente il ruolo dei requisiti di prevedibilità e di evitabilità, e, di conseguenza, la configurazione dell’evento quale elemento costitutivo del reato colposo, vengono ammessi pressoché unanimemente122, sebbene all’interno di

ricostruzione non del tutto coincidenti.

Al riguardo pare necessario premettere che il concetto di prevedibilità e di per sé polisenso e la sua ambiguità permane fino a quando non si chiarisca cosa deve essere prevedibile (oggetto del giudizio) e alla stregua di chi deve esserlo (parametro del giudizio). Non è un caso del resto che alla prevedibilità si sia fatti ricorso anche in tema di rapporto di causalità, per temperare gli eccessi formalistici cui in certi casi la teoria condizionalistica sembrerebbe condurre.

Con specifico riferimento alla colpa penale, sembrerebbe opportuno tenere ben ferma la distinzione tra la “prevedibilità in astratto e oggettiva”, intesa quale criterio che consente di individuare la regola di diligenza, e la “prevedibilità in concreto e soggettiva”, intesa invece quale criterio che consenta di riferire al singolo la violazione di quella regola123. E considerazioni almeno in parte coincidenti valgono

      

120 V. MANZINI, Trattato di diritto penale, cit., pp. 792-793: l’elemento soggettivo della colpa

consisterebbe nella “causalità efficiente volontaria” della condotta, nel senso che la condotta deve essere volontaria, mentre l’elemento oggettivo sarebbe costituito dalla “causalità efficiente meramente materiale” tra la condotta in questione e l’evento volontario che ne è la conseguenza. Sebbene il delitto colposo sia già perfetto al realizzarsi dei suddetti elementi, la punibilità del soggetto è condizionata al verificarsi dell’evento dannoso o pericoloso penalmente rilevante. L’intento dell’Autore, secondo G.DE FRANCESCO, La colpa nel codice Zanardelli, cit., pp. 421-423, era quello di

depurare il contenuto della colpa da quei nessi oggettivi e soggettivi con l’evento che meglio ne assicuravano la delimitazione rispetto all’area contigua del versari in re illicita, recuperando dottrine, quale quella dello Stoppato, apparentemente simili, ma in realtà ispirate da motivi del tutto differenti.

121 Per un’ampia e documentata ricostruzione delle opinioni al riguardo si rinvia a G.

MARINUCCI, La colpa per inosservanza, cit., pp. 123 e ss. e G.FORTI, Colpa ed evento, cit., pp. 328-336.

122 Tra gli altri M.GALLO, voce Colpa penale (dir. vig), cit., pp. 637 e ss.; M.GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. II, Parte II, cit., 152 e ss.; G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza, cit., pp. 174 e

ss.; F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., pp. 320 e ss..; C.FIORE-S.FIORE, Diritto penale, cit., spec. p.

251.

per il requisito della evitabilità. Ciò consente, a nostro avviso, di pervenire ad un’equilibrata e consapevole sintesi tra la componente oggettiva e quella soggettiva che coesistono all’interno della colpa penale, non solo alla luce di una (sia pur) sommaria ricostruzione storica dell’istituto, ma anche (e soprattutto) sulla base delle indicazioni fornite dall’ordinamento. È evidente infatti che nel momento in cui la colpa viene assunta quale criterio di ascrizione della responsabilità penale occorre interpretare la stessa, tanto sul piano esegetico quanto su quello sistematico, assumendo quale costante ed indefettibile punto di riferimento il dato normativo.

A questo proposito due dati appaiono significativi. Dalla definizione di delitto colposo contenuta nell’art. 43, primo comma c.p. sembrerebbe ricavarsi, almeno

prima facie, una descrizione “in positivo” della colpa in termini prevalentemente

oggettivi: dopo aver chiarito che, “in negativo”, l’evento non deve essere voluto, si precisa, con una terminologia di stampo marcatamente condizionalistico-causale nella quale riecheggiano le definizioni della colpa fornite dai critici della prevedibilità124, che lo stesso deve verificarsi «a causa di negligenza…» o «per

inosservanza…». Inoltre se le qualifiche di negligenza, imprudenza, imperizia e di inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline vengono ricondotti entro il più ampio genus della diligenza, si tratta di nuovo di un istituto che può essere inteso in un’accezione prevalentemente oggettiva: attraverso la regola di diligenza l’ordinamento individua preventivamente il modello di comportamento rispetto al quale pretende l’adeguamento da parte dei consociati e che quindi contribuisce alla descrizione della fattispecie oggettiva del reato. Ciò secondo alcuni caratterizzerebbe in maniera decisiva il reato colposo rispetto a quello doloso: in quest’ultimo caso, si è detto, per stabilire se sussista la fattispecie oggettiva, per esempio, dell’omicidio, è sufficiente accertare un rapporto di derivazione causale tra condotta ed evento e poi verificare se sussistano i requisiti di rappresentazione e volontà richiesti dall’art. 43 c.p.. Nei reati colposi, viceversa, l’individuazione della fattispecie oggettiva dipende in maniera decisiva dall’accertamento che una regola di diligenza è stata violata: così, se due autoveicoli si scontrano in una curva cagionando la morte di uno o più passeggeri, ben può dirsi che tutti e due i conducenti hanno cagionato l’evento; nondimeno potrà rispondere di omicidio colposo il solo conducente che, in violazione della regola che prescrive di marciare sulla destra, abbia occupato la corsia opposta della carreggiata125.

      

124 V.MANZINI, Trattato di diritto penale, cit., p. 790: «la colpa […] consiste in una condotta volontaria, genericamente o specificamente contraria alla polizia o alla disciplina, da cui derivò come da causa ad effetto un evento, dannoso (es.: art. 449) o pericoloso (es.: art. 450), preveduto dalla legge come delitto, prodotto involontariamente ovvero per effetto d’erronea opinione inescusabile di compierlo in circostanze escludenti la responsabilità penale (artt. 43 terzo comma; 47 prima parte; 55; 59 secondo

capov.)».

Dall’altro lato non può certo trascurarsi la scelta del legislatore del 1930 di inserire la definizione del delitto colposo, accanto a quella dei delitti doloso e preterintenzionale, nell’articolo 43 c.p., rubricato “Elemento psicologico del reato”. Soprattutto, la necessità di fondare la responsabilità per colpa anche su un collegamento di tipo soggettivo con il fatto di reato, sembrerebbe derivare dalla necessità di differenziare le ipotesi di colpa da quelle nelle quali, secondo quanto previsto dall’art. 42, terzo comma c.p. l’evento è posto «altrimenti a carico» dell’agente, secondo lo schema tradizionale della c.d. responsabilità oggettiva126.

L’affermazione, pur apparentemente scontata nella sua evidenza, può assurgere in realtà al ruolo di autentico “principio guida” nella ricostruzione della responsabilità

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 94-100)

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