IL NESSO TRA LA VIOLAZIONE DELLA REGOLA CAUTELARE E L’EVENTO: LA “CAUSALITÀ DELL’OMISSIONE” E LA “CAUSALITÀ DELLA COLPA”
4. La “causalità della colpa” nei reati omissivi colposi.
Se nell’ambito dei reati commissivi i profili problematici della c.d. causalità della colpa derivano sostanzialmente dalla tendenza a “correggere” il criterio condizionalistico mediante il ricorso, più o meno scoperto, a requisiti di tipo soggettivo e dalle indecisioni tra una prospettiva ex ante ed una prospettiva ex post quando si tratti di circoscrivere lo scopo di tutela della regola violata, nei reati omissivi è la stessa autonomia concettuale della “causalità psichica” rispetto al mero rapporto di derivazione causale a risultare visibilmente offuscata.
Si torni nuovamente alla premessa, in apparenza assai difficilmente contestabile, per cui l’accertamento della realizzazione del rischio e quello della rilevanza del comportamento alternativo diligente non solo sono diversi, ma sono legati da un rapporto di rigorosa consequenzialità, nel senso della priorità logico- giuridica assunta dal criterio della realizzazione del rischio rispetto al successivo giudizio sull’evitabilità dell’evento mediante il comportamento alternativo lecito120:
si tratta di considerazioni che spiegano efficacemente i casi, ormai celeberrimi, della cocaina somministrata per errore in luogo della novocaina in un soggetto ipersensibile nei confronti di qualsiasi anestetico o dell’automobilista che, superando i limiti di velocità, investa un ciclista ubriaco a seguito di una manovra di quest’ultimo che non sarebbe stata evitabile neppure mantenendo la velocità imposta in quel tratto stradale.
Non appena si tenti di riferire le considerazioni in questione ai casi in cui la condotta rilevante assuma i contorni di un’omissione, tuttavia, ci si imbatte immediatamente nella peculiare struttura che, in questi casi, viene ad assumere il giudizio controfattuale su cui si fonda l’acertamento del rapporto di causalità materiale. Si sono già chiarite le ragioni per cui il riferimento terminologico alla “causalità della colpa” può ritenersi condivisibile, anche perché evocativo della necessità di porre mano allo strumentario concettuale caratteristico della causalità materiale. Per quel che qui interessa, il giudizio di evitabilità, in cui si sostanzia la verifica relativa alla rilevanza del comportamento alternativo lecito, non è altro che un ragionamento contra facta: occorre cioè verificare cosa sarebbe accaduto se,
119 La tesi della certezza e le critiche all’aumento del rischio sono efficacemente riassunte dalle
considerazioni di G.B.IMPALLOMENI, L’omicidio nel diritto penale, cit., p. 136: «Se questa certezza
manca, si può avere una mancanza socialmente censurabile, ma non legalmente, sopratutto in linea penale, giacché per punire bisogna provare la reità dell’agente, e non v’è la prova ma il dubbio, quando v’è soltanto la probabilità che l’adoperamento di un dato congegno avrebbe evitato il sinistro» (corsivi dell’Autore). V. anche F.CARRARA, Omicidio colposo, cit., pp. 53 e ss., che, muovendo dal presupposto
per cui la colpa non è da sola sufficiente se non possa anche accertarsi, con positiva certezza, che essa sia stata causa dell’evento, rappresenta una consapevole affermazione ante litteram del principio per cui anche in caso di reato omissivo colposo è necessario accertare che la condotta doverosa e diligente avrebbe con certezza (= al di là di ogni ragionevole dubbio) evitato l’evento.
contrariamente a quanto in realtà verificatosi, l’agente avesse tenuto la condotta prescritta dalla regola cautelare violata. Detto altrimenti: si tratta di “aggiungere mentalmente” la condotta doverosa omessa e di verificare se l’evento si sarebbe comunque verificato, secondo le cadenze di un giudizio ipotetico-normativo che, almeno in apparenza, parrebbe perfettamente sovrapponibile a quello cui si ricorre per verificare l’efficacia causale di una condotta omissiva121: la causabilità
alternativa ipotetica che è necessario accertare per verificare la rilevanza causale della condotta omissiva verrebbe a coincidere con quella relativa alla rilevanza del comportamento alternativo diligente.
È necessario a questo punto riprendere e precisare le considerazioni, in precedenza solo accennate, relative ai rapporti tra l’obbligo giuridico di impedire l’evento e la regola cautelare. Si è già detto122 che nei reati omissivi impropri la
condotta penalmente rilevante risulta specificata a seguito di una “doppia qualificazione normativa”, prima ad opera dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, che assume portata generale, poi per effetto dell’obbligo di diligenza/regola cautelare, che ne specifica il contenuto. Si è anche anticipato123 che, quando si tratta
di verificare la rilevanza causale di una condotta omissiva, il riferimento alla sola funzione tipizzante dell’obbligo di impedire l’evento rischia di rivelarsi insufficiente e, soprattutto, accertato che sussisteva in capo al soggetto l’obbligo di attivarsi e di impedire l’evento, una corretta formulazione del giudizio controfattuale in sede di causalità materiale, non sembra possa prescindere dalle “modalità di comportamento” la cui specificazione resta affidata alla regola preventiva: la netta affermazione per cui l’obbligo c.d. di garanzia e l’obbligo di diligenza restano distinti ed autonomi, in quanto il primo attiene alla causalità (omissiva) mentre il secondo alla colpa124, sembrerebbe uscirne attenuata nelle sua perentorietà.
Ai fini di una maggiore chiarezza sul punto, si ripropone un esempio mediante il quale si è ritenuto di poter evidenziare un’autonomia della “sfera obbligatoria” propria dell’obbligo di impedimento dell’evento rispetto a quella dell’obbligo di diligenza:
«È quindi possibile che si abbia una violazione dell’obbligo di garanzia (perché l’agente è rimasto del tutto inattivo), senza che venga violato il dovere di
121 Sottolinea l’analoga struttura logica del giudizio ipotetico volto ad accertare l’evitabilità
dell’evento mediante il comportamento diligente rispetto a quello che si effettua nella causalità omissiva, G.FIANDACA, voce Causalità (rapporto di), in Dig. disc. pen., Vol. II, Torino, Utet, 1988, p.
128. V. anche M.DONINI, La causalità omissiva, cit., p. 43, secondo il quale «nelle ipotesi di vera
omissione non è possibile attribuire al soggetto come “fatto proprio” il decorso causale effettivo se non
ricostruendolo come omissione, e quindi attraverso il suo ipotetico comportamento alternativo lecito»
(corsivi dell’Autore). Considerazioni analoghe in L.GIZZI, Il comportamento alternativo lecito, cit., p.
4121; L.RAMPONI, Concause antecedenti e principio di affidamento, cit., p. 572; G.S.COCO, Causalità
omissiva e responsabilità sanitaria colposa, in Giust. pen., 2003, II, c . 376. 122 Supra, Cap. II, § 8.
123 V. ancora supra, Cap. II, § 8.
diligenza e che quindi, pur sussistendo un’omissione tipica ai sensi di una fattispecie omissiva impropria colposa, debba escludersi la sussistenza dell’elemento soggettivo colposo. Così, se […] il bagnino non sente il grido lanciato dal bagnante e non interviene in tempo per salvarlo si può ritenere sussistente un “non fare tipico” ai sensi della relativa fattispecie, ma perché un tale comportamento possa essere considerato come imputabile a titolo di colpa occorre accertare una mancanza della diligenza obiettivamente esigibile dal garante, occorre valutare, cioè, se la situazione di pericolo per il bene affidatogli fosse riconoscibile da quest’ultimo sulla base dell’attenzione per lui doverosa (facendo riferimento alle caratteristiche del modello di bagnino “avveduto”)»125.
Dietro un simile modo di argomentare rischia tuttavia di celarsi una sostanziale espunzione della verifica relativa all’effettiva rilevanza causale dell’omissione del soggetto obbligato, reputando sufficiente, ai fini della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato omissivo, l’accertamento dell’avvenuta verificazione dell’evento che pure il soggetto aveva l’obbligo giuridico di impedire. È vero che il tenore letterale del capoverso dell’art. 40 c.p. potrebbe sul punto indurre in equivoco, visto che il “non impedire” viene tout court equiparato al “cagionare”: come se, per l’appunto, fosse sufficiente verificare che l’evento si è verificato, e quindi non è stato impedito, per ricavarne che l’evento stesso è “come se” fosse stato cagionato. È tuttavia fin troppo evidente che la clausola di equivalenza introdotta dal legislatore non esime dal verificare, con lo stesso rigore cui si è chiamati in riferimento alla causalità attiva, che l’evento sia effettivamente “conseguenza” dell’omissione, come peraltro richiesto dal primo comma dello stesso art. 40 c.p.; e pare ormai acquisizione sufficientemente consolidata quella per cui lo strumento mediante il quale concretizzare una simile verifica sia costituito in primo luogo dal giudizio controfattuale126.
Tornando all’esempio precedente, il solo fatto che il bagnino non abbia impedito l’annegamento del bagnante, nonostante avesse l’obbligo giuridico di farlo, non esaurisce l’accertamento relativo all’elemento oggettivo del delitto di omicidio colposo: occorrerà anche verificare che se il bagnino fosse intervenuto l’evento non si sarebbe verificato. Ma – e questo è il punto – trattandosi di una condotta colposa, è necessario a tal fine individuare quale fosse la modalità di intervento diligente,
125 G.GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 374.
126 Cfr. Cass. pen., Sez. IV, 1 settembre 1998 (dep. 20 ottobre 1998), Casaccio, cit., p. 1186, dove
si legge che il rapporto eziologico nei reati omissivi non può «rimanere assorbito o identificato nella posizione di garanzia» né può «essere fatto automaticamente scaturire da essa o, addirittura, dalla semplice verificazione dell’evento»: «la causalità omissiva, insomma, non può essere presunta né data per scontata ma va individuata attraverso un giudizio ipotetico che, partendo dall’evento, lo suppone mentalmente cagionato ove si accerti che esso – senza l’omissione colpevole – non si sarebbe verificato, così che, se il processo logico perviene alla conclusione che l’azione doverosa (omessa) sarebbe valsa – secondo una valutazione probabilistica – ad impedire l’evento stesso, si stabilisce il nesso causale in base alla clausola generale di equivalenza».
tenuto conto della situazione concreta: tuffarsi in acqua, lanciare un salvagente, entrare in mare con il pattino. Questo ovviamente non esaurirà l’indagine relativa alla sussistenza della colpa, restando impregiudicata la verifica della sua “misura soggettiva”127: occorrerà pur sempre verificare se quel bagnino, in quella data
circostanza, avesse potuto prevedere ed evitare l’evento e in questa sede assumerà rilievo anche la “riconoscibilità della situazione di pericolo” cui si fa riferimento nell’esempio citato.
La struttura del giudizio controfattuale nei reati omissivi impropri, sostanziandosi nell’addizione mentale della “condotta doverosa e diligente omessa”, pur non esaurendo l’accertamento della colpa, sembrerebbe precludere ogni spazio logico per l’ulteriore verifica di qual particolare nesso tra la condotta negligente e l’evento in cui si sostanzia la rilevanza del comportamento alternativo lecito. Fin qui non vi sarebbero problemi particolari: si tratterebbe solo di prendere atto che nel reato omissivo colposo, a differenza di quanto avviene per quello commissivo colposo, non sarebbero logicamente immaginabili casi in cui, accertata la rilevanza causale della condotta, possano residuare ipotesi in cui il comportamento diligente individuato dalla regola cautelare disattesa non sarebbe comunque valso ad evitare l’evento: verrebbe dunque meno in radice quell’esigenza di particolarizzazione della colpa che il requisito in questione intende soddisfare.
Volendo schematizzare: nei reati commissivi colposi i giudizi controfattuali, relativi, rispettivamente, alla causalità e alla colpa, sono formulabili in termini di perfetta reciprocità: in entrambi il contenuto dell’apodosi consiste nella mancata verificazione dell’evento; ma, quanto alla protasi, se in sede di accertamento causale si ipotizza che la condotta negligente non sia stata tenuta, in sede di accertamento della colpa, al contrario, si procede all’addizione mentale della condotta diligente.
Nei reati omissivi impropri colposi, per contro, nella protasi del controfattuale relativo all’accertamento causale è già compresa la protasi caratteristica del giudizio di rilevanza del comportamento lecito, visto che la regola cautelare rileva già in sede di descrizione della condotta della cui efficacia causale si discute. Manca, in altri termini, un comportamento “alternativo” del quale verificare la reale efficacia impeditiva, che sia diverso non solo da quello
127 Concorda sul punto lo stesso G.GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 375. Nesso causale: - C [≠ Rc] = - E
Colpa: + C [Rc] = - E
effettivamente tenuto, ma anche da quello che costituisce il primo termine della relazione causale “oggettiva”.
A ben vedere, se dalle premesse in questione venissero tratte tutte le necessarie conseguenze, la circostanza per cui la verifica del (o almeno di una parte del) nesso intercorrente tra violazione della regola cautelare ed evento nei reati omissivi impropri colposi risulta “anticipata” in sede di accertamento causale, determinerebbe un significativo mutamento “strutturale” dello stesso giudizio causale rispetto a quello caratteristico dei reati commissivi. Se, infatti, la regola cautelare su cui può legittimamente fondarsi un rimprovero per colpa è solo quella riconoscibile ex ante, ovvero al momento della condotta, anche la causalità “materiale” dell’omissione risulterebbe condizionata da tale prospettiva ex ante128,
perdendo in questo modo il suo tratto più caratteristico rispetto alla c.d. causalità della colpa.
È stato osservato al riguardo che, qualora al momento del giudizio fosse dato rinvenire una regola cautelare più efficace rispetto a quelle esistenti all’epoca della condotta, di essa il giudice non potrebbe tenere conto in sede di ricostruzione ipotetica del comportamento doveroso, perché ciò comporterebbe un’inammissibile retroattività di una norma disponibile soltanto ex post129.
In altri termini: tra causalità della colpa e causalità dell’omissione non vi sarebbe una semplice comunanza di categorie e schemi concettuali, ma una perfetta sovrapposizione; o, se si preferisce, non residuerebbe alcun ambito di applicazione autonomo per la causalità della colpa, in quanto il relativo giudizio risulterebbe
129 P. VENEZIANI, Il nesso tra omissione ed evento nel settore medico, cit., p. 1982. L’Autore
propone al riguardo (nota n. 29) il seguente esempio: «Poniamo che nel 2002 (epoca del fatto) si potesse (e si dovesse, in conformità alle leges artis disponibili) utilizzare il farmaco Alfa per curare una certa patologia “X”, e che la somministrazione di Alfa garantisse al paziente solo limitate chance di salvezza. Immaginiamo inoltre che, per colpa, il medico Tizio non abbia diagnosticato al paziente Caio, nel 2002, quella patologia, e che quindi Caio sia deceduto a causa di “X”, in mancanza delle cure che forse avrebbero potuto salvarlo (ancorché con poche probabilità). Poniamo, infine, che il medico venga giudicato nel 2005, a che nel frattempo sia stata positivamente sperimentata e diffusa la terapia Beta, in grado di impedire la morte, o di ritardarla significativamente, con certezza o quasi. Ebbene, non avrebbe senso valutare la “causalità dell’omissione” del medico Tizio aggiungendo mentalmente (la corretta diagnosi e) la terapia Beta. Certo, potremmo dire che, secondo le conoscenze disponibili ex post, al momento del giudizio, la somministrazione del nuovo farmaco avrebbe impedito quasi certamente l’evento: ma questo giudizio sarebbe inutile, ai fini della ricostruzione della tipicità del fatto».
Nesso causale: + C [ Og + Rc] = - E Colpa: + C [Rc] = - E
assorbito nell’accertamento del nesso di causalità materiale, che proprio per questa circostanza vedrebbe mutata in maniera significativa la propria struttura (passaggio da un’ottica ex post ad un’ottica ex ante).
Si tratterebbe indubbiamente della conseguenza sistematica più vistosa derivante dall’inconsistenza, sul piano naturalistico-materiale, dell’omissione e della causalità che si pretende di riferirle. Sul piano prasseologico la qualificazione della condotta come attiva o come omissiva diventerebbe addirittura decisiva in contesti caratterizzati da un’incertezza scientifica destinata col tempo ad essere superata.
Si pensi ancora alla casistica relativa alle malattie professionali: nel caso in cui la condotta venisse ricostruita come azione in senso stretto sarebbe sufficiente, ai fini dell’accertamento del rapporto di causalità materiale, che la patologia del lavoratore sia conseguenza, poniamo, dell’esposizione all’amianto; se invece venisse in considerazione una condotta omissiva, occorrerebbe, già in sede di accertamento del rapporto di causalità materiale, provare che l’evento lesivo sia derivato dall’esposizione a sostanze tossiche, ma anche verificare se il datore di lavoro abbia violato delle regole cautelari già ex ante riferibili all’evento concreto130.
130 Non è un caso, del resto, che la giurisprudenza civile si è trovata di recente ad affrontare un
caso assai simile alla vicenda del Petrolchimico di Porto Marghera, con la sola differenza che le argomentazioni che in sede penale hanno portato a dubitare della sussistenza della colpa, in sede civile investivano direttamente la sussistenza del nesso di causalità materiale. Si tratta della responsabilità per “omessa vigilanza” del Ministero della Sanità per i danni derivati dalle infezioni da HIV, epatite B ed epatite C, conseguenti ad emotrasfusioni da sangue infetto o ad assunzione di emoderivati infetti. Visto che la scienza è pervenuta alla conoscenza dei virus in questione solo, rispettivamente, nel 1978 per l’epatite B, nel 1985 per l’HIV e nel 1988 per l’epatite C, si è trattato di verificare da quale momento potesse ritenersi operativo l’obbligo per il Ministero di effettuare i controlli necessari, con il conseguente ritiro del sangue infetto e l’apposizione del divieto d’uso. La questione ruota tutta attorno al ruolo svolto dal requisito della prevedibilità nello schema della responsabilità aquiliana da condotta omissiva colposa ex art. 2043 c.c.. Le Sezioni Unite, intervenute sul tema con dieci sentenze (dalla n. 576 alla n. 585 del 2008, in Foro it. 2008, I, cc. 453 e ss.), come anticipato, hanno affrontato il caso in commento non tanto in riferimento alla tematica della colpa, quanto piuttosto sotto il profilo della possibilità di ravvisare un collegamento causale tra la trasfusione di sangue infetto e l’avvenuto contagio (Aveva invece affrontato anche la tematica della colpa Cass., Sez. III civ., 31 maggio 2005, n. 11609, cit., osservando come, ponendo «a carico del Ministero, che pure è chiamato in giudizio esclusivamente a norma dell'art. 2043 c.c., al di fuori da ogni ipotesi di presunzione di colpa o di responsabilità, la responsabilità per un evento lesivo sconosciuto a tutti e, quindi, come tale non evitabile, […] si radicherebbe la responsabilità in via preponderante sul presupposto della riconducibilità causale del danno al comportamento del soggetto agente: ma ciò costituisce una riallocazione del danno secondo un paradigma estraneo al sistema della responsabilità civile (salve le specifiche ipotesi di responsabilità oggettiva)». Più esattamente, premesso che la c.d. causalità giuridica va accertata secondo il tradizionale schema condizionalistico, temperato dal principio della c. d. causalità adeguata o da quello similare della c.d. regolarità causale, per cui ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta, attiva o omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale ha agito, escludendo per contro la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili (per le origini del dibattito G.GORLA,
Sulla cosiddetta causalità giuridica: «fatto dannoso e conseguenze», in Riv. dir. comm., 1951, pp. 405 e
ss.) si è ritenuta non condivisibile l’opinione secondo la quale la responsabilità del Ministero andasse limitata temporalmente a decorrere dal 1978 per l’epatite B, dal 1985 per l'HIV e dal 1988 per l’epatite C, in base all’osservazione per cui solo a partire da quelle date i virus in questione erano stati
Provando a generalizzare: nei reati di azione la verifica che l’evento concreto risulti compreso nello scopo preventivo della regola violata rappresenta l’operazione preliminare che, se in caso di esito negativo preclude ogni accertamento successivo, in caso di esito positivo “apre” alla successiva verifica circa la rilevanza del comportamento alternativo lecito (si pensi al caso del ciclista ubriaco). Nei reati omissivi impropri, per contro, l’accertamento relativo alla rilevanza del comportamento alternativo lecito costituisce vera e propria questione pregiudiziale, come imposto dalla struttura del controfattuale caratteristico della causalità omissiva. Non si tratta però – questo è il punto – di un accertamento che esaurisce da solo quello della colpa.
Restano ferme, infatti, le considerazioni relative al ruolo svolto in sede di individuazione della regola cautelare (e dunque dalla condotta) dallo scopo di tutela della regola stessa. E resta ferma la conclusione per cui l’ampiezza dello scopo in questione va valutata sulla base delle conoscenze disponibili al momento del giudizio, in quanto parte del più ampio giudizio di causalità materiale. In altri termini, anche nei reati omissivi impropri resta confermata la “logica oggettiva” che presiede all’accertamento della c.d. causalità della colpa:sebbene si debba procedere fin da subito all’addizione mentale del comportamento doveroso omesso, l’evitabilità dell’evento è, nella fase dell’individuazione della condotta e dell’accertamento causale, del tutto distinta dalle conoscenze che il soggetto poteva-doveva possedere al momento della condotta, per poi recuperare il proprio legame con il requisito della prevedibilità quando, accertata la derivazione causale dell’evento dalla condotta omissiva, si passi a verificare la riferibilità soggettiva di quest’ultima all’agente.
Si pensi al caso di una madre che omette di somministrare al figlio la medicina prescritta per la cura di un’influenza; il bambino, affetto da una patologia assai rara, magari neppure conosciuta al momento della condotta, ma nota al giudice che si trova ad accertare la responsabilità della donna, muore a seguito di complicazioni