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Capitolo 2. IL NEMICO INVISIBILE

3. Dagli Stati Uniti all'Italia: la sostanza non cambia

4.2 Dal bicchiere al piatto

«... non a chilometro zero, ma a chilometri cento!».62

Entrando ancor più nel dettaglio delle pratiche quotidiane, ho potuto ravvisare soluzioni differenti sulla base di diverse percezioni della gravità del rischio e dell'urgenza di evitare qualunque forma di ingestione dei PFAS. La quasi totalità dei miei interlocutori ha confermato di utilizzare acqua in bottiglia in ogni fase della preparazione di cibi e bevande: dalla pasta al risotto, dalle verdure ai dolci; così come tè, caffè, tisane ed infusi. Per chi ha teso le orecchie al problema PFAS sin dai primi tempi, dal 2013/2014, il distacco dal rubinetto è stato graduale. Per Antonella, ad esempio:

61 Intervista con Antonella, 10 agosto 2017.

Subito la usavamo per fare da mangiare perché non capivamo come... i Pfas si collocavano con il nostro corpo, cioè... come eravamo inquinati, in che quantità, se l'acqua incideva o no... [...] prima non la bevevamo, dopo non la usavamo per fare caffè, tisane, tutto quanto. Dopo addirittura non l'abbiamo più usata per fare da mangiare, abbiamo capito che si attacca ancora di più ai cibi con la bollitura, così fa ancora più male. Niente, basta proprio... 63

ma anche per Anna, medico di famiglia a Lonigo, per la quale faccio uso di un nome di fantasia:

... io prendo tutta l'acqua di bottiglia, adesso anche per lavarmi i denti e tutto... ogni mese vado al Tosano, adesso speriamo anche queste acque in bottiglia perché capisci bene, per fare da mangiare me ne va via 4/5 litri al giorno, poi adesso è estate, verdure da bollire eccetera... quindi io prendevo la Guizza, poi mi hanno detto che la Guizza è là in provincia di Venezia che costava un po' meno [...]64

Il suo caso è particolare, per quanto diffuso nella zona: vivendo in campagna, al di fuori del centro cittadino, lei e la sua famiglia si trovano a disporre unicamente del pozzo privato, mancando l'allacciamento all'acquedotto comunale. Avendo appreso, a seguito delle analisi

dell'acqua del 201665, che era inquinato, hanno iniziato subito a munirsi di acqua in bottiglia.

Nessuno, fino all'autunno 2017, fremeva per ottenere l'accesso all'acqua “del sindaco” poiché era frequente che quest'ultima contenesse dosi più alte di PFAS rispetto al proprio pozzo. Lo stralcio di intervista sopra riportato offre inoltre diversi spunti. Innanzitutto, il fatto che qualcuno adoperi l'acqua in bottiglia anche per l'igiene personale. Adulti, ma più spesso i bambini, verso i quali le attenzioni sono massime:

lo uso per lavarmi i denti, però la mia nipotina che è stata qua anche ieri, non l'ho lasciata lavarsi i denti perché ho detto madonna magari ha già tanti PFAS e manda giù acqua e così si accumulano, ancora che ha sei anni. Perciò le dico sempre “Ti do il bicchiere con l'acqua in bottiglia e ti lavi i denti con l'acqua in bottiglia”.66

63 Intervista con Antonella, 10 agosto 2017. 64 Intervista con Anna, 19 agosto 2017.

65 Un primo campionamento dei pozzi e parallelo biomonitoraggio di chi vi faceva uso è stato effettuato tra il

2015 e il 2016, mentre la campagna di screening estesa a tutta la popolazione della zona rossa è stata avviata a inizio 2017.

Anche Lisa, cui ho accennato in precedenza, come Loretta, confessa di bere ogni tanto un bicchiere d'acqua del rubinetto67 o un caffè preparato con acqua corrente68, ma mai se si tratta

dei propri figli o di ospiti. Diventerà infatti “normale”, d'ora in avanti, trovare sempre sulla tavola bottiglie d'acqua di ogni sorta, naturale, frizzante, aromatizzata e via dicendo, soprattutto in occasioni di convivialità e di piccole riunioni. Fuori da ogni normalità, a pensarci bene, ricade la quantità tanto di acqua in bottiglia utilizzata, quanto di plastica di scarto prodotta: Michela riferiva di 12 litri di acqua in bottiglia al giorno per tutta la sua famiglia. Vi è anche chi si procura scorte per il proprio orto, come Giancarlo, che settimanalmente carica la macchina di 600 litri di acqua, suddivisi in taniche, che porta dalle colline fuori dalla “zona rossa” per irrigare le sue piante.69 Michela invece il suo piccolo orto

l'ha abbandonato e lo indica con rabbioso rammarico:

[...] te vedi il me orto, lo gheto visto il me orto... no'l vede l'acqua da quando che ghe empiantà le piante... te pare vita questa? E se mi ghe do da bere a me quatro pomodori che cato su cossì, che so che ghe va tuti entro il sangue a mie fioi... ghe demo l'aqua de, del depuratore che l'è praticamente distillà... e lori poareti me dà quatro pomodori...70

Massimo e Laura da tre anni ormai utilizzano l'acqua del rubinetto solo per cuocere la pasta, nonostante la consapevolezza che, pur bollendo, i PFAS non se ne vadano. Michela e altre mamme con cui ho parlato hanno intensificato o introdotto l'uso dell'acqua in bottiglia solo a seguito delle analisi dei propri figli e dello scalpore suscitato dalla notizia dell'effettiva contaminazione. Questa pratica ha interessato anche coloro che hanno mantenuto un atteggiamento più distaccato, “minimalista” diremmo, rispetto alle precauzioni da prendere – peraltro mai diramate ufficialmente dagli organi preposti. Lino, ad esempio, è un allevatore di Almisano, che ci tiene ad evitare falsi allarmismi prima che vi siano prove scientifiche certe, ma che ha comunque optato per l'acqua in bottiglia almeno per bere da «neanche un anno sinceramente... cioè uno dei figli per dire ha cominciato subito, no io voglio l'acqua in bottiglia e allora lui aveva la bottiglia per conto suo e adesso... chi frizzante, chi naturale, tutti quanti ecco... », senza negarsi un'abitudine, sedimentatasi nei lunghi anni di lavoro nei campi:

67 Diario di campo 8 luglio 2017. 68 Diario di campo 17 settembre 2017. 69 Diario di campo 6 ottobre 2017. 70 Intervista con Michela, 21 agosto 2017.

«dopo a dire il vero se sono in campagna che c'è il pozzo lì vado a bere quella del pozzo, cioè... è buona, fresca, cioè... ».71

Un secondo spunto che forniscono le parole della dottoressa Anna della pagina precedente, riguarda l'acqua in bottiglia di plastica e la scelta della marca. Lei, come anche Michela, dice di non aver più comprato la Guizza perché proveniente dalle zone del padovano e veneziano, probabilmente non tanto più salubre di quella dell'acquedotto stesso. Leonardo, il figlio della dottoressa, mi elenca i vari tipi di acqua utilizzati in famiglia, suddivisi secondo un rapporto costo-utilizzo. Infatti non è da ignorare l'impatto economico dell'ammontare totale della spesa di acqua. Antonella era molto critica a questo proposito, ritenendo che non tutti si possano permettere il lusso di acquistare settimanalmente confezioni di acqua sufficienti a rimpiazzare quella del rubinetto, che manchi loro, cioè, la possibilità di scelta. Ad ogni modo, recatami più volte in sopralluoghi anche nei supermercati di Lonigo ho sempre avuto modo di imbattermi in carrelli carichi di sole bottiglie d'acqua. Resta il fatto che la questione delle bottiglie di plastica abbia sollevato alcune riflessioni, relative in primis alla sua qualità, ovvero l'essere imbottigliata non è sinonimo, nell'ottica dei miei interlocutori, di salubrità – «poi va be ste casse enormi di acqua, che poi ti chiedi, l'avranno tenuta all'ombra, l'avranno tenuta al sole,

vado a bere acqua magari che mi fa peggio [...]»72; in secondo luogo, l'impatto ambientale di

una produzione di materiale plastico di scarto non indifferente. Per tale motivo, alcuni hanno optato per le bottiglie di vetro, assenti dai supermercati e che necessitano dunque di punti di rifornimento esterni alla “zona rossa”, oppure si sono affidati a consegne a domicilio appositamente introdotte e di cui mi ha informata Franca, una signora pensionata di Almisano:

‘desso è diversi anni che toevo que de plastica, però adesso ghe passa uno che fa a domicilio quelle di vetro e mi prendo quelle di vetro perché anche la plastica l'è sempre riciclà [...] passa un po' in tutte le famiglie e alora digo bere quella de plastica e bere que l'acqua in vetro l'è tutto un altro gusto... la va zo mejo, l'è diversa, dopo sarà anca la marca, però l'è diversa [...].73

In questo trambusto di doversi continuamente rifornire di acqua, non manca l'angoscia di restarne accidentalmente senza:

71 Intervista con Lino, 4 ottobre 2017. 72 Intervista con Loretta, 17 settembre 2017. 73 Intervista con Franca, 17 settembre 2017.

[...] mentre una volta mettevi su un pentolone di brodo così tranquillamente, adesso ti fai veramente lo scrupolo, stai attenta, ne metti su un po', eh... è capitato una settimana fa che abbiamo fatto un risotto, no un risotto, un riso asciutto cotto in pochissima acqua perché... mamma mia, le bottiglie stavano per finire, e... abbiamo dovuto buttare via tutto, ho detto, ma guarda se ti creano questo patema d'animo [...] (corsivo mio).74

Per quanto riguarda gli alimenti, la situazione non differisce di molto da quella osservata per l'acqua, con l'aggravante di un maggior peso dei risvolti etici delle proprie scelte. La maggior parte dei miei interlocutori si sono dimostrate persone attente alla provenienza del cibo e sostenitrici del chilometro zero e delle produzioni locali, sulla base di una crescente sensibilità diffusa che porta ad orientarsi con maggior cura e consapevolezza negli acquisti alimentari. Tutto ciò si è scontrato di punto in bianco con la diffusione della contaminazione, che, come illustrato nel capitolo precedente, tramite l'acqua si trasferisce nei prodotti di consumo quotidiano, in primis in carne e pesce, ma ugualmente anche in frutta, ortaggi e uova. Paradossalmente, mi facevano notare alcuni interlocutori, chi seguiva una dieta “sana” e attingeva i prodotti dal proprio orto – magari anche biologico –, ha riscontrato valori di PFAS nel sangue alle stelle, a differenza di chi era solito trascurare la propria alimentazione. Su questo, si tratta di deduzioni prevalentemente informali, legate al senso comune ed alla necessità di individuare nessi di causa-effetto diretti e ascrivibili alla propria quotidianità, facilmente leggibili. La conferma si trova in parte sulle prime analisi effettuate da Arpa Veneto sugli alimenti (v. fig. 18), ma di cui i risultati sono ben presto “spariti”: attestavano valori estremamente alti nella maggior parte di essi, a livello locale. Il timore accresciutosi anche in assenza delle prove – d'altronde, trattandosi di acqua, è stato sufficiente il solo intuito ad avallare i sospetti – ha generato una reazione di sfiducia che ha manifestato le sue ripercussioni nell'abbandono dei soliti luoghi di acquisto. Nuove analisi erano state effettuate in primavera, ma i risultati sono stati taciuti fino a novembre 2017. Erano attesi da tutti con grande trepidazione, in quanto avrebbero confermato o smentito le preoccupazioni dilaganti; l'attesa sospettosamente protratta per mesi, tuttavia, non ha fatto altro che accrescere lo scetticismo nelle risposte che sarebbero poi giunte.

Durante i mesi di ricerca, nella fase di stallo sul fronte dei prodotti agricoli, l'attenzione dei genitori NoPfas era comunque orientata verso le molteplici sfaccettature del caso. In primo luogo, l'abbandono dei soliti fornitori – dal macellaio al panettiere all'ortofrutta del mercato cittadino del lunedì, ma anche il vicino di casa che faceva il vino o allevava polli – ed il

controllo forsennato delle etichette di provenienza dei prodotti75; in secondo luogo, il perdere

senso del marchio del biologico, nel momento in cui l'acqua inficia le attenzioni poste all'utilizzo di prodotti chimici nocivi; in terzo luogo, il ripetuto tentativo di dialogo con le associazioni di agricoltori e allevatori – specificamente Confagricoltura e Coldiretti. Dinnanzi a questi enti si è però levato un muro: nonostante il ragionamento dei genitori “attivi” avesse compreso la loro situazione, doppiamente grave, di inquinati e inquinanti, la risposta alla loro semplice richiesta di prendere parte e posizione nel sollecitare le istituzioni ad intervenire non lasciava spazio al dubbio. Il timore degli operatori del settore era sicuramente quello della ricaduta economica di un'eventuale sospensione delle loro produzioni, con molta probabilità contaminate. La stessa motivazione è stata letta nel ritardo della pubblicazione dei risultati sugli alimenti da parte della Regione. Trattandosi di zone a forte vocazione agricola, l'impatto sulle eccellenze territoriali sarebbe stato irreparabile; circolavano già voci sul ritiro di merci venete da mercati extra regionali:76

MASSIMO – ... se hanno già i dati in mano perché continuano a spostare la consegna no? LAURA – ... vuol dire che è grave...

M – ... sì ma secondo me... è grave ma ci diranno una cosa per un'altra perché altrimenti viene fuori un casino... un disastro... un disastro...77

Anche Mara è dello stesso avviso sulla gravità delle conseguenze:

... che si era cercato di rilanciare no, tutto quel tipo di economia lì... che era giusto, perché almeno valorizzavi quello che è il coltivatore tuo... e adesso lo metti in croce? Cioè, io credo che oggi come oggi potrebbe essere più grave una ripercussione del genere che... cioè per quello che sappiamo... cominci a dire che interi allevamenti di... bestiame, no? Prodotti a

75 In un paio di occasioni mi è pervenuta l'informazione che nei supermercati fossero esposte etichette

rassicuranti la provenienza non locale dei prodotti – il contrario di ciò che comunemente avviene. Per questo motivo ho perlustrato tutti i mercati e supermercati di Lonigo, senza però trovarne traccia. Ritengo che, a prescindere dal mancato riscontro della prova da parte mia, il dato sia rilevante.

76 Diario di campo 5 agosto 2017.

carne che non è mangiabile o che è meglio non mangiare, come fai? Oppure campi interi di coltivazioni, il vino stesso per dire... 78

Antonella, fondatrice del Gruppo Gas Viver Bio di Lonigo, mi informa di come loro abbiano dovuto cambiare fornitori, accrescendo in alcuni casi le distanze tra produttore e consumatore, e di come si siano trovati costretti a chiedere visione delle analisi delle acque utilizzate, mentre i mercati del biologico a chilometro zero affondano: «[...] tutto distante [ride]. Qua avevamo qualche produttore locale che... però... penso che chiudano tutti, perché vedo io che... anche nel mercatino che fanno il venerdì [ndr. mercato dei prodotti a chilometro

zero] lì non ci sono...».79 Anche Laura fa parte del gruppo Gas di Lonigo ma si trova con suo

marito ad affrontare il paradosso degli acquisti in loco:

LAURA – [...] mi rendo conto che io ho sempre preso prodotti magari a livello locale, pur biologici però comunque e... a livello locale, per cui annaffiati con l'acqua di qua e quindi io che sono una patita delle verdure sicuramente ho inquinato le mie figlie e noi stessi...

MASSIMO – ... quindi non dobbiamo più prendere prodotti a chilometro zero... LARA – ... andare un po' contro i principi magari in cui si credeva prima...

Lau – ... sì, io sto andando contro i miei principi, io adesso ho mia sorella a Verona, lei lì prende la carne da uno che è in alta Lessinia e le sto dando l'ordine, prendimi questo, questo e questo e vado a prendermi la carne a Verona per portarmela a casa... Adesso mi sto informando per avere frutta e verdura ben al di là della nostra zona [...] ... purtroppo... la mia filosofia non sarebbe questa però son costretta a modificare le mie abitudini...80

Come lei, anche Loretta:

[...] cioè andare a prendere la frutta qui, qui vicino e sentire che la prima raccomandazione che ti fa il fruttivendolo è “Beh ma non vi preoccupate eh, non è a chilometro zero!”... ma cavolo è la cosa che finora invece cercavamo per aiutare... quindi adesso porsi, porselo come obiettivo quello di comprare cose il più lontano possibile, cioè veramente... [...] io non compro più latte della Centrale di Vicenza, e quindi guardo che sia prodotto in Italia ma non...

78 Intervista con Mara, 20 settembre 2017. 79 Intervista con Antonella, 10 agosto 2017.

locale... e... magari appunto sì a scapito anche della qualità perché invece penso che i nostri prodotti siano buoni, magari quelli generici italiani magari hanno anche provenienza dall'estero come materia prima [...].81

Al contrario c'è chi si sente più tranquillo, come Mara, studentessa dell'Università di Padova, già nominata e per la quale utilizzo un nome di fantasia, residente a Brendola, comune non distante da Lonigo, in piena “zona rossa”. Della sua fiducia, almeno iniziale, nelle istituzioni e della sua percezione dell'inquinamento da PFAS tratterò a suo tempo nel prossimo capitolo, mentre qui vorrei riprendere il suo atteggiamento estraneo alla “psicosi” collettiva. Per lei l'acqua in bottiglia ha ragione di esistere solo per bere e non per cucinare.

MARA – ... no io cucino ancora con l'acqua di rubinetto perché... non lo so, forse non sento il problema ancora così in maniera forte, può essere, e poi perché trovo assurdo cucinare con l'acqua in bottiglia... no ma sul serio eh? È una roba che mi starebbe qua, a parte il fatto che fai un sacco di produzioni di scarto, cioè produzioni di scarto, un sacco di plastica, cioè quello è inquinamento... e...

LARA – ... anche il caffè sempre con...

M – ... sì sì sì io praticamente uso l'acqua in bottiglia solo per bere... [...] ... per il resto, cucinare, anche appunto per dirti la minestra che è una cosa tanto liquida usiamo l'acqua in, del rubinetto, anche la... la pasta e quelle robe lì [...].82

Prima di trovarmi a bere il caffè al bar con Mara o Paola, ricordo quando, in occasione del primo incontro con Michela a casa sua, ne rifiutai uno, osservando la caffettiera sul fornello, incerta se fosse stato preparato con l'acqua in bottiglia e se fosse “sicuro” berlo in caso contrario. All’opposto, un paio di mesi dopo, a casa di Loretta, ebbi l'opportunità di assistere alla predisposizione della moca con l'acqua proveniente dal vicino supermercato, un'azione perfettamente esplicativa dell'apparente normalità vigente nella “zona rossa”: pratiche quotidiane modificate e adattate alle esigenze del caso, fattesi a loro volta abitudini, svolte con naturalezza e semplicità. Dopo le settimane di immersione nel campo, il tutto mi apparve coerente, salvo rendermi conto dell'assurdità una volta “uscita” da Lonigo.

81 Intervista con Loretta, 17 agosto 2017. 82 Intervista con Mara, 20 settembre 2017.

Infine, Mara mi riporta una voce, probabilmente una di quelle leggende metropolitane non infrequenti in tali frangenti, secondo cui qualcuno usa l'acqua acquistata al supermercato anche per lavare i piatti.