• Non ci sono risultati.

Capitolo 2. IL NEMICO INVISIBILE

1. Ospiti indesiderati in ogni tempo e in ogni dove

2.1 Cosa sono, come vengono prodotti e come possono essere fermati

Responsabili in massima parte del grave caso di contaminazione ambientale di cui mi sono occupata e che ha coinvolto una larga fetta del territorio veneto sono stati i PFAS, ovvero dei composti chimici di largo utilizzo la cui sigla indica le sostanze perfluoroalchiliche (PerFluorinated Alkylated Substances). In questa prima parte, vorrei delineare un quadro di riferimento di carattere prettamente tecnico in cui inserire tali sostanze dal punto di vista chimico e biologico. Ad oggi la letteratura scientifica al riguardo non è ancora stata complessivamente formalizzata, motivo per cui le informazioni che seguono sono tratte da varie fonti – dai documenti ministeriali e regionali alle tesi di laurea e dottorato.

In prima battuta è bene specificare che PFAS è il nome collettivo di una categoria di composti che al suo interno, come vedremo in seguito, ne conta molteplici e dalle differenti caratteristiche. A loro volta i PFAS sono derivati dei più generici fluorocarburi (PFC, PerFluorinated Compound), composti in cui l'idrogeno (H) è sostituito dal fluoro (F), determinando legami carbonio-fluoro. I PFAS si compongono quindi di una catena carboniosa idrofobica e di un gruppo idrofilico terminale. La catena alchilica dei PFAS può essere composta da un minimo di 4 a un massimo di 16 atomi di carbonio. Sulla base della quantità di questi ultimi, si parla di PFAS a catena lunga e PFAS a catena corta: PFOS e PFOA sono

costituiti da una catena alchilica lunga, di 8 atomi (C8), mentre PFBS e PFBA dispongono di

8 La termodistruzione produce due tipi di scarti: i rifiuti solidi e i fumi della combustione stessa. I primi sono

materiali inerti che vengono successivamente trasferiti nelle discariche, mentre i secondi risultano contenere composti gassosi, quali ossido di azoto, monossido di carbonio, composti inorganici di cloro e fluoro e composti organici volatili, ovvero macro e micro inquinanti.

una catena alchilica corta, di 4 atomi di carbonio (C4) (Devicienti 2014: 1-8). Tra i PFAS

prodotti e conosciuti sino ad oggi, ve ne sono almeno altri 8: PFPeA, PFHxA, PFHpA, PFHxS, PFNA, PFDeA, PFUnA, PFDoA, su cui ancora non sono disponibili molte informazioni.10 Le caratteristiche che li contraddistinguono sono inoltre la linearità, la

ramificazione e la parziale o totale fluorurazione della componente idrofobica. A destare maggiore interesse e preoccupazione – data la loro riscontrata e ingente presenza nell'ambiente e negli essere viventi – sono soprattutto i PFOA e i PFOS – rispettivamente l'acido perfluoroottanoico e l'acido perfluoroottansolfonico – mentre un velo di dubbio e incertezza avvolge i PFAS ramificati e tutte quelle sostanze perfluoroalchiliche, come ad esempio i succitati PFAS a catena corta, di cui non è facile reperire approfondite informazioni tanto sul piano generale, quanto su quello relativo alla loro presenza, individuata singolarmente, nelle acque e nell’organismo umano.

La connotazione determinante dei PFAS che è bene ricordare riguarda la loro artificiosità: non si tratta di molecole naturalmente presenti in natura, bensì di origine totalmente

antropica.11 Questo è un elemento centrale che va ad accrescere la percezione di queste come

corpi totalmente estranei oltre che inquinanti, motivo per cui lo stesso discorso sui limiti da imporre su queste sostanze (v. cap. 3) si scontra con la richiesta della loro totale assenza, in particolar modo dall'acqua potabile e dagli alimenti.

Le tecniche di produzione dei PFAS sono principalmente due: la florurazione elettrochimica e la telomerizzazione. La prima, utilizzata sin dagli anni Quaranta, era la più gettonata in virtù del basso costo che implicava. La sostituzione degli atomi di idrogeno con quelli di fluoro avviene tramite un processo di elettrolisi. La seconda tecnica consente la produzione esclusivamente di PFOA e composti della stessa categoria; è più efficiente della prima poiché la purezza delle materie di partenza garantisce la purezza del prodotto finito (Devicienti 2014: 7). A partire dal 2000, negli Stati Uniti, il primo metodo è stato abbandonato a favore del secondo, riducendo notevolmente quindi la produzione di PFOS e privilegiando quella di PFOA. Artefice di questo cambio di rotta è stata un'importante azienda multinazionale, la 3M, di cui parlerò nel prossimo paragrafo.

10 Queste sostanze sono quelle che ricadono nella categoria “altri PFAS”, dalla cui somma sono esclusi PFOS e

PFOA e la cui presenza viene indagata sia nelle acque e sia nel sangue dei soggetti sottoposti a biomonitoraggio.

In virtù della forza del legame carbonio-fluoro – tra i più forti in chimica organica – difficilmente scindibile, la molecola è stabile e questo garantisce ai composti un'elevata resistenza termica e chimica. Sono resistenti tanto alle alte temperature, quanto alle basse, non sono quindi soggetti «ai processi di degradazione termica, biodegradazione, fotolisi, idrolisi e non vengono quasi per nulla metabolizzati. Solo alcuni polimeri vengono degradati limitatamente [...]» (Devicienti 2014: 3).

Per quanto riguarda le tecnologie ad oggi disponibili per l'eliminazione o per lo meno per la riduzione dei PFAS nei corpi idrici, il sistema adottato più diffusamente è la filtrazione tramite carboni attivi (v. fig. 9), che operano sfruttando il fenomeno dell'adsorbimento.12

L'efficacia di questi ultimi, tuttavia, ha dei limiti comprovati che ne richiedono una frequente sostituzione; la loro capacità di bloccare il passaggio delle sostanze è correlata anche alla quantità di inquinante in ingresso, oltre ad essere ancora incerta la loro adeguatezza nella filtrazione dei PFAS cosiddetti a catena corta – in particolare PFBA e PFBS a 4 atomi di carbonio – la cui produzione, almeno in Veneto, ha soppiantato la precedente dei catena lunga, PFOA e PFOS, in virtù non solo delle più recenti normative ma soprattutto del loro presunto inferiore bioaccumlo negli organismi e, conseguentemente, dei più rapidi tempi di dimezzamento. L'opzione messa in atto nelle prime settimane di ottobre 2017 nella “zona

rossa” veneta, al fine di raggiungere l'obiettivo “zero PFAS”,13è stata quella di potenziare il

numero di filtri per acquedotto.

Altri metodi esistenti sono la nano filtrazione e l'osmosi inversa, che tuttavia vengono di rado impiegati per il loro costo più elevato (ISS 2013: 2; 2014: 14).

Un ultimo aspetto che ritengo importante non trascurare è il tema delle alternative ai PFAS. Di queste si è occupata soprattutto Greenpeace, che dal 2011 ha condotto la campagna Detox, finalizzata a ridurre e rimuovere gli inquinanti diffusi in oggetti di uso comune,

12 «L'adsorbimento [...] è un fenomeno chimico-fisico che consiste nell'accumulo di una o più sostanze fluide

(liquide o gassose) sulla superficie di un condensato (solido o liquido)» (Adsorbimento, Wikipedia, data consultazione 28.10.207).

13 «Come si può constatare dai dati, si è raggiunto l'obiettivo in tutti i comuni interessati – ha affermato il

Coordinatore Nicola Dell'Acqua – ciò è stato possibile grazie agli interventi attuati dai gestori che, oltre alle modifiche importanti alla rete acquedottistica fatte in questi anni, hanno attivato celermente la doppia filtrazione in serie su un letto di carboni attivi, metodo comprovato dagli studi più recenti, e che provvederanno alla sostituzione dei letti filtranti ogni 2-3 mesi, per garantire nel tempo tale performance. Annuncio anche che, nelle prossime settimane, verificheremo i punti di erogazione dell'acqua potabile nelle scuole» (Arpav, data consultazione 4.11.2017).

esercitando pressioni sulle grandi firme, soprattutto nel settore sportivo dell'outdoor. Qui, una delle maggiori è la famosa Gore Fabrics, il cui prodotto di punta, il Gore-tex, è uno degli imputati principali in qualità di concentrato di PFAS: ha dato garanzia di iniziare ad avvalersi di alternative a partire dal 2020. Per il momento solo la tedesca Vaude e alcuni marchi minori hanno effettuato l'inversione di rotta (Bartocci 2017: 12). Non sono ancora diffuse o facilmente reperibili informazioni dettagliate relative alle sostanze alternative utilizzate: oltre a Greenpeace, se ne è occupata una giornalista per un servizio andato in onda nel marzo 2017 all'interno del programma di Rai3 “Presa Diretta”. In tale occasione viene intervistato il responsabile commerciale della piccola Paramo, azienda inglese, che già da vent'anni impermeabilizza i suoi prodotti in soluzioni a base d'acqua, ottenendo un risultato «molto

molto buono».14

La loro persistenza in natura, dunque, è una delle caratteristiche che rende i PFAS per un verso tanto indesiderati dal punto di vista dell'impatto su ambiente e salute umana, per un altro fondamentali nella produzione di una molteplicità di oggetti e altre sostanze.

Fig. 9, Filtri a carboni attivi Acque del Chiampo, Zona industriale, Lonigo, 2017 (foto Lara Bettoni).