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La medicalizzazione del disastro Limiti, statistiche e “tolleranza zero”

Capitolo 3. DISASTRO E SOCIETÀ Le percezioni del rischio tra mutamento e

4. Percezioni e vulnerabilità nella società del rischio

4.4 La medicalizzazione del disastro Limiti, statistiche e “tolleranza zero”

Dato per acquisito ormai che, dalla primavera del 2017, una larga fetta di quattordicenni del vicentino, a partire da quella residente a Lonigo, ha ricevuto la comunicazione del proprio status di contaminati, vorrei indagare l'impatto dell'aspetto medico-sanitario sulla percezione individuale e collettiva, dove emerso, tenendo conto dell'approccio prettamente scientifico del mittente, le variazioni subite dai limiti posti alla presenza di sostanze nell'acqua e nel corpo umano, le procedure di “pulizia” del sangue proposte ai giovani cittadini inquinati.

L'analisi medica è inequivocabile. Come si può leggere in un importante fascicolo prodotto dalla Regione Veneto verso la metà di aprile del 2015, in cui è illustrata la procedura per il primo campionamento sulla base del quale verrà avviato il successivo screening generalizzato

nella “zona rossa”, i valori medi di PFOS e PFOA nel siero umano, secondo lo studio più ampio esistente in Italia su questo, sono rispettivamente di 6,86 ng/g e 4,15 ng/g (Regione

Veneto aprile 2015: 7).71 È importante tenere a mente che, data la larghissima diffusione delle

sostanze perfluoroalchiliche su scala mondiale, come già riportato nel secondo capitolo, ne siamo tutti esposti per un valore medio nel sangue compreso tra i 2 e i 3 ng/g.72 Il limite soglia

per i PFAS cui ho sentito far riferimento da parte di vari relatori nel corso della mia attività di ricerca sul campo e in occasione degli incontri informativi cui ho partecipato nella fase di preparazione è di 8 ng/l; non sono riuscita a risalire a fonti scritte e attendibili relative a tale valore, data la preponderanza che altri parametri hanno poi acquisito. Assumendolo come tale, ad ogni modo, gli esiti sugli esposti superavano il limite nell'ordine delle decine (v. appendice 2): 10, 30, 40 volte superiori a quell'invidiato 8, fattosi improvvisamente numero piccolo ed insignificante. Le magliette dei Genitori Attivi della “zona rossa”, indossate in ogni occasione pubblica e divenute ormai simbolo del loro gruppo, riportano i valori dei propri figli, quando noti: sono semplici e immediate, efficaci dal momento che richiedono di soffermarsi e interrogarsi sul quella strana sigla, PFOA, quel numero, diverso per tutti ma raramente sotto il centinaio. La cifra è divenuta un fatto pubblico, uno strumento di comunicazione, ben oltre la sua mera valenza scientifica. Come già visto, per molti miei interlocutori non era indispensabile disporre del numero esatto per considerare i propri figli parimenti contaminati e attivarsi di conseguenza. Tuttavia, per chi ne disponeva, si era imposta una sorta di soglia minima tarata sui valori elevati dei più, innescando una scala alternativa a quella delle istituzioni: sotto i 100 ng/ml c'era tutto sommato da considerarsi “fortunati”. Ricordo quando Mara mi comunicò i risultati del suo test – 25 ng/ml per il PFOA – e la mia reazione fu un gran sorriso e una sensazione quasi di sollievo. Subito me ne ravvedetti, essendo comunque presenti in lei quantità non trascurabili di PFAS. Dal canto suo Mara disse: «... beh solo il PFOA è fuori dai limiti, e... rispetto a tanti... a tanti miei coetanei comunque ho valori più bassi il che da una parte consola... non è un sollievo [...] ecco, però... è diverso da avere 200...

[...]».73 Si instaura inevitabilmente un confronto, rassicurante o disarmante a seconda della

71 Si tratta di un documento interessante poiché vi è racchiusa la descrizione dettagliata del primo programma

di biomonitoraggio da effettuarsi su un campione di esposti e su uno di non esposti. Sono elencati i comuni del vicentino tra cui sono state “selezionate” entrambe le categorie di soggetti e riportati moduli e questionari poi sottoposti ai pazienti.

72 Regione Veneto – Comunicato n. 740, Ulss9 Veneto, Greenpeace (data consultazione 12.12.2017). 73 Intervista con Mara, 20 settembre 2017.

propria posizione. Leonardo ha 360 ng/ml e le sue parole sono nuovamente illuminanti, lasciando trasparire un concentrato del concetto di vulnerabilità sociale: «[...] presupponevo di avercele sballate però non a questa differenza [...]».74 A proposito della vulnerabilità relativa

all'aspetto medico delle analisi, ho avuto la fortuna di incontrare Mara anche prima del test, proprio nei giorni in cui aveva ricevuto la lettera di invito a sottoporvisi e annotai sul diario di

campo, parafrasando il suo pensiero: «È inutile sperarci, tutti siamo sopra i parametri».75 Ciò

che ho potuto constatare sul lungo periodo è l'alternanza costante nell'utilizzo del dato numerico. Affermato con precisione – 86,9 ng/ml, 159,3 ng/ml – nelle risposte ai giornalisti di varie testate e di servizi televisivi giunti con crescente assiduità nella “zona rossa”, in particolare tra settembre ed ottobre, così come negli interventi pubblici, veniva spontaneamente trascurato nell'ambito delle relazioni interne al gruppo, comunque molto ampio vista la struttura sovra comunale. Capitava che venisse adoperato per rendere l'idea della gravità della contaminazione, soprattutto con chi, me compresa, proveniva da “fuori”, riportando esempi di conoscenti e amici, in virtù del passaparola e delle reti amicali e parentali tipiche delle cittadine di ridotta estensione. Il sentore personale è che l'importanza del numero per il singolo genitore sia gradualmente sfumata al rafforzarsi della dimensione di gruppo, che, ripeto, è unito dalla volontà di giustizia per le intere generazioni coinvolte e per l'ambiente che le ospita, anteponendo il riscoperto bene comune all'egoistica priorità individuale.

Una delle richieste avanzate da mesi da parte del gruppo Genitori NoPfas è che il monitoraggio venga esteso ai bambini sotto i quattordici anni, poiché si tratta di una fascia particolarmente debole e sensibile. Non solo, indagare la presenza di PFAS negli ultimi nati permetterebbe di verificare se i filtri apposti negli acquedotti abbiano effettivamente permesso una minor introduzione di inquinanti nell'organismo, se l'acqua sia l'unico veicolo o interferiscano anche gli alimenti, se il trasferimento da madre a figlio durante la gravidanza e il latte materno abbia rilevanza. A questo proposito Laura non nasconde il timore: «... forse ho paura di farle [ndr le analisi] sai? Ho paura che siano ben più alte di quelle dei... dei, dei

74 Intervista con Leonardo, 29 settembre 2017. 75 Diario di campo 20 luglio 2017.

quindici, diciotto, perché sicuramente nel loro corpo la percentuale sarebbe molto maggiore... [...]».76

In base agli spunti di riflessione qui raccolti, ritengo utile apportare il contributo teorico di uno studioso appartenente ad una branca di studio apparentemente molto distante dall'antropologia, l'epidemiologia. Il suo nome è Paolo Vineis, autore di Modelli di rischio, in cui egli stesso invita a non trascurare i caratteri socio-culturali del contesto in cui si verifica un episodio di inquinamento ambientale, sui cui effetti gravi, quali insorgenza di patologie tumorali, si interrogano in molti. Non solo, chiama in causa proprio le percezioni su cui ho scelto di spendere diversi paragrafi:

Ciò che più conta è, in ogni caso, considerare gli spunti antropologici ricavabili dall'episodio – in particolare la relazione tra percezione del rischio e caratteristiche generali di sottogruppi della popolazione (età, condizione lavorativa) – e la diversa tendenza ad accettare un rapporto causale tra esposizione e malattia a seconda degli interessi materiali coinvolti e del conseguente «calcolo di speranza» (1990: 79-80).

Così si esprime Vineis, concludendo la sua disamina del famoso caso di contaminazione avvenuto a Love Canal, un sobborgo di Niagara Falls, nello stato di New York, verificatosi nel 1978 e dovuto alla presenza di rifiuti industriali nocivi per la salute.77 Il nodo cruciale,

contenuto nella citazione e che più interessa il nostro percorso, è quello relativo alla cosiddetta svolta probabilistica intervenuta nella formulazione del concetto di “causa” in ambito medico. La precedente concezione deterministica, banalizzando, prevedeva che ad un sintomo fosse associata una e una sola causa, necessaria e sufficiente all'insorgere di una data malattia, immediatamente rinvenibile in quanto prossima temporalmente e spazialmente. Verso la metà del secolo scorso, il paradigma ha iniziato ad incrinarsi quando, soprattutto nello studio delle malattie degenerative, il concetto di causa venne ad essere sostituito da quello di fattore di rischio e di multifattorialità, posti su un piano cronologico ampio. Disturbi della salute gravi, infatti, possono emergere in tempi differiti rispetto all'esposizione a determinati elementi patogeni. La perdita di una salda relazione di causalità diretta ha tutt'oggi svariate ripercussioni, sia in ambito scientifico e politico sia in rapporto alla percezione del

76 Intervista con Massimo e Laura, 17 settembre 2017. 77 Vedi Vineis 1990: 77-82; Ligi 2009: 141-149.

singolo individuo esposto o già in condizione di paziente. Il fattore che a questo punto irrompe con prepotenza, già trattato nelle pagine precedenti, è l'incertezza, da un lato interna alle cerchie scientifiche, dall'altro ampiamente diffusa sul piano sociale, quale condizione di incremento e riduzione della vulnerabilità di una collettività.

Calando questa premessa sul contesto leoniceno, abitato da una «popolazione contaminata»78, come ci teneva a definirla la dottoressa Anna, gli aspetti degni di

approfondimento sarebbero molteplici e richiederebbero notevole spazio. Il supporto di Vineis, unito al già nominato Beck, si giustifica anche in virtù della loro attenzione all'impatto di rischi ambientali sulla società – per quanto da prospettive differenti – in particolare contaminazioni di matrici naturali per mano delle produzioni industriali. Il caso PFAS trova dunque in loro delle efficaci chiavi di lettura.

La contaminazione del Veneto centrale costituisce un primo caso di tale ampiezza e gravità, motivo per cui “esperti”, istituzionali e non, si trovano a disporre di quantità di studi e campioni di analisi ridotti, prodotti per lo più in contesti differenti.79 Alcune delle patologie

PFAS correlate hanno tempi di incubazione lunghi, i cui effetti potrebbero manifestarsi a distanza di anni o decenni; altre, invece, possono essere ascrivibili ad altri fattori scatenanti o ad un'azione congiunta di più d'uno. Non solo, si aggiunge un ultimo aspetto, lungamente trascurato, ovvero quello della variabilità individuale della risposta ad un'esposizione. Il conflitto sorto tra enti sanitari nazionali e regionali e medici Isde si basa proprio su tali nodi:

La natura stocastica della relazione con l'esposizione, inoltre, fa sì che nel riconoscimento di tale associazione si incontrino il problema della significatività statistica e quello dell'ampiezza del campione osservato. Con piccoli campioni la natura causale di un'associazione è infatti incerta, nel senso che non è distinguibile da una relazione dovuta al caso, all'accidentalità del campionamento. Questi aspetti sono stati e stanno tuttora alla base di molti dei conflitti, scientifici e politici, concernenti la regolamentazione di cancerogeni ambientali (Vineis 1990: 57).

78 Intervista con Anna, 19 agosto 2017.

Innanzitutto, è possibile riscontrare nell'ultima riga citata una conferma della situazione di

stallo a livello normativo sul piano nazionale:80 il Ministero della Salute e successivamente la

Regione Veneto hanno adottato i parametri stabiliti dall'Istituto Superiore di Sanità, in forma di «pareri», come nominati nei documenti ministeriali e regionali del Veneto riguardanti i PFAS. Quegli stessi parametri hanno subìto delle modifiche tra il 2014 e il 2015, sempre per parere dell'ISS. Nel secondo capitolo, a proposito di studi e normative, ho indicato i parametri impostati per PFOA e PFOS in Italia, rispettivamente di 500 e 30 ng/l; aggiungo ora, nel dettaglio, che era stata contemporaneamente indicata una soglia di 500 ng/l anche per la cosiddetta somma di “altri PFAS”, quelli meno noti, compresi i composti a catena corta. In un momento successivo, da questo più ampio e generico contenitore di “altri PFAS” sono state estrapolate due sostanze, PFBA e PFBO, alle quali è stato attribuito il valore di 500 ng/l l'una. Il calcolo non ha confuso i cittadini, gli ambientalisti subito, i Genitori Attivi poi: la soglia

complessiva di PFAS accettata per l'acqua potabile saliva da 1030 ng/l a 2030 ng/l.81 Solo ai

primi di ottobre 2017, la Regione Veneto, «Ferma restando la competenza statale per la fissazione di valori per parametri aggiuntivi», ha proceduto a deliberare nuovi limiti, da essa definiti «i più restrittivi d’Europa»: 90 ng/l per la somma di PFOS e PFOA, con la specificazione che il PFOS non superi i 30 ng/l, e 300 ng/l per “altri PFAS”.82 Con

l'implementazione delle tecnologie dei filtri, nelle settimane successive, Arpav ha confermato il raggiungimento dell'obiettivo “zero PFAS”: effettivamente i valori di PFOA e PFOS rientrano al di sotto dello zero tecnico, pari a 5 ng/l, oltre al quale gli strumenti non sono in grado di rilevare le sostanze. Più lontani dal limite di quantificazione viaggiano invece gli “altri PFAS”, soprattutto nelle zone di Lonigo e della vicina Sarego.83 È evidente che

l'oscillazione dei limiti e il disaccordo tra Regione e Governo abbia contribuito ad innescare quel clima di sfiducia già esposto e ad accelerare la consapevolezza della necessità di una più radicale richiesta da parte dei Genitori NoPfas, di un limite cioè pari allo zero. Era divenuto evidente con il tempo che i limiti fossero «una questione relativa», secondo l'avvocato

80 Affermazioni e riferimenti contenuti nell'elaborato e riguardanti in particolare le situazioni politica e

normativa possono aver subito modificazioni in seguito alla conclusione della ricerca sul campo, terminata l'8 ottobre 2017.

81 Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto (data consultazione 13.12.2017). 82 Regione Veneto – Comunicato 2313 (data consultazione 13.12.2017).

83 Obiettivo PFAS Zero (data consultazione 13.12.2017). Come si può leggere sulla pagina internet, le

rilevazioni sono state giornaliere da ottobre a novembre, bisettimanali fino a dicembre e successivamente settimanali. Dato il costante aggiornamento, non ho ritenuto utile riportare valori a titolo d'esempio.

Bortolotto di Medicina Democratica,84che avessero contribuito ad annullare l'accettabilità del

rischio e a sottostimare le promesse delle istituzioni. Come accennato, il clima diffuso tra i membri del gruppo NoPfas lasciava intendere un forte scetticismo nei confronti del provvedimento regionale di abbassamento dei limiti, con particolare attenzione a quelli della “zona rossa”, letto come una mossa propagandistica in vista del referendum del 22 ottobre 2017. Qualcuno ha condiviso il proprio dubbio, tutt'altro che privo di logica: se per la Regione sono stati sufficienti pochi giorni per procedere ad una delibera e all'applicazione di nuovi filtri per la riduzione dei PFAS, perché non è intervenuta con maggiore anticipo negli anni precedenti? Restando sul tema dei limiti, riprendo la critica di Beck: «Chi limita l'inquinamento lo ha già accettato in partenza»: l'impostazione dei valori massimi, in particolare, non è altro che una strategia per normalizzare forme di «avvelenamento collettivo standardizzato» (Beck 2015: 85).

Ripercorrendo a ritroso la citazione di Vineis e i presupposti ancor più sopra esposti, un secondo elemento imprescindibile in questo contesto è quello della causalità multipla legata all'insorgere di patologie PFAS correlate. Da un lato la posizione minimalista e intransigente delle istituzioni, in mancanza di correlazioni dirette esposizione-malattia – «finché i rischi non sono riconosciuti scientificamente non “esistono”, sicuramente non dal punto di vista giuridico, medico, tecnologico e sociale» (Beck 2015: 94) – dall'altro quella dei medici Isde, cauti e, per contrapposizione, massimalisti, da sempre promotori di un appello al principio di precauzione di fronte ad un fenomeno su cui ancora poco si sa, ma le cui conseguenze almeno sul piano della risposta sociale non sono state irrilevanti. La terza posizione, quella della popolazione, varia al variare della singola soggettività coinvolta. Di fronte alla possibilità di sviluppare o aver già sviluppato patologie o disfunzioni meno gravi, seppure inusuali in giovane età – tiroide e colesterolo – i miei interlocutori hanno dato prova di approcci differenziati. La costante, che ci tengo particolarmente a sottolineare, è stata la consapevolezza di tutti i miei interlocutori – sebbene ne abbia riportate solo alcune voci – del grado di diffusione di ingenti quantità di potenziali fattori di rischio nel loro contesto di vita: certamente l'acqua costituisce il veicolo più rapido, immediato e difficilmente inevitabile per introdurre pericolosi ospiti indesiderati, ma non è – o non è più – ingenuamente considerato l'unico; al suo interno viaggiano in varia percentuale e forma numerosi altri agenti patogeni,

ma altrettanto accade per l'aria e per i prodotti alimentari – si pensi a pesticidi e glifosato, altre due delle criticità onnipresenti sul territorio Veneto. Ciò si è tradotto a sua volta in una presa di coscienza che lo stato di salute attualmente considerato a rischio a causa dei PFAS, o già risultato in parte alterato, sia dovuto alla compresenza di sostanze nell'acqua. Non è stata una delle argomentazione poste in primo piano, data l'emergenza contingente, ma si è sviluppata di pari passo con il formarsi di una diffusa e condivisa coscienza ambientale, sempre più incline ad adottare uno sguardo ad ampio raggio, olistico, in controtendenza con quello delle istituzioni, di carattere specialistico e probabilistico. Si giunge così ad interrogarsi sul più drammatico nodo critico, ben sintetizzato da Beck:

A cosa mi serve sapere che questo o quel veleno in questa o quella concentrazione è o non è dannoso, se non so nulla sulle reazioni che provoca la combinazione di queste diverse sostanza tossiche? [...] gli uomini sono minacciati complessivamente, non da singole sostanze inquinanti (2015: 88-89).

La dottoressa Anna, nel corso della nostra intervista, mi riporta le voci di alcuni suoi pazienti, genitori preoccupati per i propri figli, che, a differenza degli anziani, tendono ad associare malattie e malesseri ai PFAS in particolare ma soprattutto all'acqua in generale:

[...] oppure gente con il colesterolo, “È alto ma non mangio niente... ma non sarà l'acqua?” loro allora poi ti dicono “Ma... c'è tanta gente con il tumore della mammella... non è che sia l'acqua?” Ho avuto anche una signora di 53 anni, per dire, che le è venuto il tumore della mammella a marzo. Ha detto “Signora non ho genetica, non ho niente... che sia l'acqua?” ! [...] Loro [ndr. gli anziani] non dicono mai “Il mio colesterolo è dovuto... mi è venuto... non so... l'infarto... ” Invece i più giovani, se hanno una problematica ti dicono, ti chiedono “Ma potrebbe essere dottoressa la... i Pfas?” [...] hanno paura delle malattie, loro hanno paura della malattia hai capito...85

I livelli di ansia, mi conferma al termine dell'incontro, sono tanto elevati da generare una reazione di rifiuto da parte di quelle persone che saltano le pagine delle testate locali, che quotidianamente sfornano articoli sui PFAS, e decidono di non prendere parte a forme di mobilitazione di gruppo. È questa la categoria di quelli che Michela definisce “struzzi”, che

paradossalmente ricadrebbero tra i massimalisti più di quanto l'appellativo sia coerente con le caratteristiche dei genitori del Gruppo NoPfas. Anche nei discorsi dei miei interlocutori, partecipi a vario grado di questo movimento, la malattia ha assunto una centralità che in un contesto di effettiva normalità non avrebbe. Michela è infermiera e si occupa di malati terminali: al di là di numeri e statistiche, mi dice spesso di poter constatare nel suo lavoro quotidiano un aumento di pazienti affetti da patologie PFAS correlate, ma, come detto, attribuibili anche ad altri fattori patogeni. La sua stessa esperienza personale le ha dato prova della molteplicità di fattori di rischio involontari: prima di trasferirsi in una splendida villetta bifamiliare in collina, viveva con marito e figli piccoli in centro a Lonigo, nei pressi di una rimessa di Tir che partivano numerosi, dopo aver tenuto i motori in funzione per quindici, venti minuti:

[...] se snasaino tutto, Zeno ga fato dodici antibiotici in un anno, uno al mese... la pediatra ga dito “Vardè che è qualcosa che se respira che non va ben” semo venui qua... avanti e ndrio parché te si fora e adesso... ho deto cazo me perseguita noialtri ste robe... te pensi a lori, te fè tuto pensando a lori... e adesso...86

Le parole più esplicative ma, allo stesso tempo tristemente toccanti, sono quelle di Paola, una delle mie interlocutrici privilegiate, già presentata nel corso dell'elaborato. Ci siamo conosciute durante l'incontro pubblico tenutosi a Brendola il 14 luglio 2017, avendo lei saputo da Antonella che stavo svolgendo una ricerca sui PFAS per la tesi di laurea. Dalle poche parole scambiate in quell'occasione ricavai un'immagine semplicistica della sua esperienza, lasciando che i miei pregiudizi escludessero la complessità di una storia di vita nel suo piccolo rilevante. Lasciato sedimentare il tutto, ho successivamente preso atto dell'opportunità di ampliare la mia prospettiva di ricerca che mi avrebbe offerto il dialogo con un'interlocutrice, rivoltasi a me di sua spontanea volontà. L’approccio che mi ha esposto, senza dubbio influenzato dal dramma personale, è fortemente incentrato sul ricondurre ogni malattia, in particolare tumori, disturbi tiroidei e valori di emocromo alterati, all'interazione quotidiana