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Capitolo 1. NELLA TERRA DEI PFAS Cenni introduttivi

5. Interviste e strumenti di ricerca

In quest'ultimo paragrafo del capitolo introduttivo, vorrei concludere la panoramica delle coordinate e degli elementi pratici di cui si è avvalsa la mia ricerca sul campo. Vari sono stati gli strumenti che ho messo in gioco nell'arco dei tre mesi di attività, al fine di riuscire a guadagnare una visuale quanto più completa possibile. È stato fondamentale predisporsi all'assorbimento di stimoli e informazioni provenienti dall'ambiente esterno, supportando le proprie attitudini con quanto la metodologia antropologica e la tecnologia mettono a disposizione.

Interiorizzata ormai dagli stessi antropologi, la classica osservazione partecipante. Questa ha accompagnato l'intero svolgersi della ricerca, con particolare preponderanza nella fase di ingresso sul campo e in occasione dei successivi momenti di incontro pubblici. In queste ultime circostanze, spesso, mi sono mantenuta nei margini di una tacita osservazione, limitandomi ad intessere dialoghi e conversazioni a latere – prima o dopo lo svolgimento dell'incontro stesso. Una tale rilevazione, accompagnata da questo tipo di interazioni, di frequente avviate peraltro dai miei interlocutori senza bisogno di sollecitarli, si è rivelata essere uno strumento cardine per la comprensione delle dinamiche profonde che hanno

movimentato il gruppo, il suo evolversi e poi stabilizzarsi in una data forma, così come le predisposizioni, le sensibilità, le differenze e le priorità dei singoli partecipanti. Ho preso parte inoltre ad eventi culturali quali spettacoli teatrali, performance artistiche, mostre, in cui mai è mancato il riferimento a tematiche centrali quali acqua, ambiente, terra o altre “peculiarità antropologiche” dei veneti – «magnaschei e basabanchi»18. Si è trattato di

esperienze sporadiche ma determinanti per una maggiore comprensione e una piena immersione nel contesto.

Pari in termini di importanza per la raccolta dei dati sono state le interviste. Per quanto attiene alla tipologia sono sempre state libere, semi-strutturate o non strutturate, impostate sulla base di una serie di tematiche che si sono aggiunte, affinate e arricchite nel corso del tempo. Durante le prime settimane, infatti, le mie conoscenze – e di conseguenza gli spunti di dialogo – erano scarne e parzialmente influenzate dall'impostazione delle letture teoriche precedenti; in un secondo momento, invece, non solo ho acquisito maggiore dimestichezza e sicurezza, ma ho anche personalizzato e razionalizzato diversamente i nodi critici e gli aspetti da sondare di maggior interesse ai fini della tesi – ad esempio la sfera più personale e pratica rispetto agli elementi più tecnici, ormai assodati. Le conversazioni, dato il clima di informalità e di reciprocità, si sono svolte quasi sempre con fluidità e in maniera scorrevole, condotte talvolta spontaneamente dagli stessi interlocutori. Solamente in un paio di frangenti si è manifestata un'eccessiva propensione al monologo piuttosto che al dialogo, rendendo ostico il mantenimento della conversazione entro gli argini impostati o il semplice ottenimento di risposte pertinenti, cui è subentrato un senso di frustrazione e impotenza, rapidamente scalzato dal farsi dato antropologico anche questo dettaglio.

In occasione del primo incontro con ciascuno degli interlocutori privilegiati, coloro con cui si è creato un legame più solido, con cui ho trascorso più tempo e condiviso più momenti e riflessioni, non ho impiegato alcun supporto atto alla memorizzazione dei contenuti, ad eccezione di un taccuino di medie dimensioni. Il sentore di dover conquistare la loro fiducia e di dovermi differenziare dai giornalisti prima di mettere in campo il registratore ha supportato questa scelta, congiuntamente all'impressione che alcune risposte fornitemi in prima istanza fossero ormai quelle impostate di default, una sorta di frasario fissato nella mente, essendo i temi all'ordine del giorno nelle loro vite. Lo scoglio è stato appunto quello di rompere il muro

dell'apparenza, di oltrepassare la facciata esterna e trovare accesso a qualcosa di più autentico e spontaneo. Quando messo in campo, in ogni caso, il registratore non è mai stato oggetto di ritrosia, tentennamenti o alterazioni, se si eccettuano un paio di casi emblematici della varietà di reazioni e atteggiamenti con cui ci si trova a raffrontarsi sul campo. Entrambi riguardano soggetti di interviste singole, in cui la conoscenza reciproca non ha avuto modo di essere approfondita e per questo hanno mantenuto un grado di formalità maggiore e di incertezza sulle reciproche aspettative. Il primo riguarda l'incontro con i due lavoratori di Miteni, il secondo un allevatore di Almisano, che, una volta spento il registratore, si è palesemente lasciato andare alla parlata dialettale, riprendendo con maggior scioltezza gli stessi contenuti appena trattati. Solo una coppia di interlocutori, infine, ha espressamente richiesto e ribadito che non venisse utilizzato il registratore. Ho cercato di annotare il più possibile tutto quello che invece è stato detto in occasioni più dinamiche o inaspettate – incontri per strada, momenti di scambio e confronto ai margini di riunioni e assemblee, commenti, riflessioni, battute e telefonate – così come le interviste in cui non ho fatto uso di supporto tecnico.

Restando in tema, segnalo alcune mancanze per quanto concerne le voci più formali. Non sono riuscita, ad esempio, ad ottenere l'incontro con l'amministratore delegato di Miteni spa – già indagato – né con altri responsabili della ditta; ho mancato anche il sindaco di Lonigo, in parte per i suoi impegni legati al clima sempre più incandescente delle ultime settimane, in parte perché ho avuto modo di partecipare a diverse riunioni organizzative informali in cui era presente ed ho ritenuto che queste situazioni fossero più esplicative di un incontro ufficiale e ingessato, dove il politicamente corretto avrebbe prevalso sulla spontaneità della risposta direttamente indirizzata ai suoi concittadini.

Ciò di cui non ho fatto uso è stato il questionario. Fin dall'inizio è stato un pensiero fisso, più volte abbozzato, modificato e perfezionato in vista di somministrarlo nella fase conclusiva del campo. Tuttavia, con il procedere della ricerca, mi sono sembrate diminuire la sua utilità e la sua necessità: ciò che richiedeva maggiori attenzioni era l'indagine profonda e individuale, la raccolta di quegli elementi nemmeno lontanamente riassumibili in forma sintetica e scritta. Quello che il questionario, come mezzo di sistematizzazione dei dati, avrebbe forse facilitato sarebbe stato l'inquadramento biografico dei miei interlocutori. Ho preferito tuttavia sfruttare al meglio la dimensione dialogica e l'oralità diretta della comunicazione per non correre

inoltre il rischio di irrigidire e ridurre a pochi scarni punti esperienze di vita fatte di silenzi e sguardi.

Nel riportare le voci degli intervistati nel corso delle pagine che seguono, ho scelto di mantenere una forma di anonimato per coloro che ne hanno fatto espressamente richiesta o che l'hanno lasciato intendere; per quanto riguarda coloro che ho incontrato occasionalmente o con cui non ho avuto modo di approfondire la conoscenza, è stata una mia scelta quella di non farvi diretto riferimento, sia per questo legame meno fondato, sia come forma di tutela nei loro confronti. In entrambi i casi, la modalità è stata quella di utilizzare un nome di fantasia, con debita segnalazione quando occorrente.

Ho scattato infine numerose fotografie in occasione della maggior parte degli eventi e delle riunioni, con lo scopo di restituire una rappresentazione visiva dei vari momenti di ritrovo e della partecipazione ad essi. Sebbene più appariscente, ho prediletto l'utilizzo della macchina fotografica Nikon allo smartphone, per una questione di qualità e affidabilità (pessima risoluzione della fotocamera del telefono e tempo di tenuta della sua batteria molto limitato); solo successivamente, ho avuto la possibilità di utilizzare una macchina fotografica Samsung, compatta e dalla buona risoluzione. Non nego che inizialmente il fatto di disporre di un apparecchio fotografico vistoso mi abbia messo in difficoltà, dato che al giorno d'oggi la normalità è sfruttare smartphone e iPhone senza destare particolari attenzioni, anzi, dimentichi dell'esistenza di un'etica del fotografo. Per quanto riguarda l'agente contaminante rilevato nell'acqua, gli scatti sono meno espliciti, data la sua invisibilità, che d'altra parte ha reso interessante la ricerca di elementi significativi del suo impatto, più che della sua essenza, secondo i suggerimenti e le impressioni degli interlocutori. Un interessante spunto di riflessione si è affermato proprio sulla base delle proposte di oggetti o scenari rappresentativi della condizione di inquinamento: Antonella, molto impegnata sul fronte ambientale da anni, mi ha offerto suggestioni “esterne” – il “tubone” Arica19 e i filtri a carboni attivi della Centrale

di potabilizzazione dell'acqua di Madonna; al contrario, mamme come Michela, hanno pensato ad indizi “interni”, strettamente connessi con la propria vita privata – scorte di

19 Collettore dei reflui dei cinque depuratori di Arzignano, Montebello Vicentino, Montecchio, Trissino e

Lonigo, immette costantemente da decenni acqua uniformemente e densamente nera in un canale, il Fratta, utilizzato per l'irrigazione dei campi per un'estensione complessiva molto vasta. È stato fatto confluire in questo stesso tratto il contributo idrico del canale Leb, di grande portata, al fine di diluire la “sporcizia”, per ridurne l'impatto e vivificare il corso d’acqua. Arica è propriamente la sigla del consorzio Aziende Riunite Collettore Acque, così come Leb è il nome del consorzio di bonifica Lessinio-Euganeo-Berico.

bottiglie d'acqua, sacchi della raccolta della plastica porta a porta, numerosi e straripanti, orti di casa lasciati a se stessi e al nutrimento della sola acqua piovana (v. fig. 7-8). A queste ho aggiunto alcuni scatti più “artistici” per rendere, invece, il contesto paesaggistico in cui mi sono mossa nei tre mesi di campo: la sezione collinare del paese, all'estremità occidentale dei monti Berici, la distesa della pianura ai loro piedi, le prealpi alle spalle, le ville venete che brulicano nel territorio, il centro storico di Lonigo, la campagna circostante.

Posta questa premessa metodologica, rassegna dei principali strumenti adottati nel corso della ricerca sul campo, il prossimo capitolo approfondirà invece le molteplici sfaccettature dei nemici invisibili, i PFAS, a partire dalla loro composizione chimica per giungere all’esposizione delle percezioni che di esso hanno i miei interlocutori.

Fig. 7, Scorte d’acqua, Lonigo, 2017 Fig. 8, Bottiglie di scarto, Lonigo, 2017 (foto