• Non ci sono risultati.

Capitolo 2. IL NEMICO INVISIBILE

1. Ospiti indesiderati in ogni tempo e in ogni dove

2.3 Studi e normative

«Almeno muoio a norma di legge».23

Per inquadrare meglio quanto riportato sino ad ora con i dovuti riferimenti al materiale disponibile, procederò con una panoramica degli studi elaborati, delle normative esistenti e degli enti che si sono adoperati per quanto afferisce alle sostanze perfluoroalchiliche, alla loro collocazione nelle più ampie categorie dei composti inquinanti persistenti e degli interferenti endocrini e infine alla spinosa questione dei limiti posti e proposti per i PFAS.

Vi sono alcune premesse che si sono rilevate cruciali nel corso dello studio comparato dei differenti provvedimenti presi su scala europea, nazionale e americana. Innanzitutto le unità di misura variano frequentemente e questo dato di per sé, almeno nel caso Veneto, ho riscontrato che abbia creato non poca confusione. Nei documenti relativi ai parametri statunitensi ci si può imbattere nel 'ppt', ovvero 'part per trillion', l'unità predominante, che non esclude la 'part per billion' (ppb) e il microgrammo per litro (µg/l). In Italia, le misure di riferimento sono principalmente il microgrammo per litro o il nanogrammo (ng) per litro o millilitro; talvolta però, al litro è preferito il grammo. Gli elementi che ho notato essere più spesso confusi, pur determinando nella realtà dei fatti una variazione di valore enorme, sono il microgrammo con il nanogrammo per un verso e il litro con il grammo e il millilitro per un

altro.24 Sconcertante la facilità con cui le istituzioni hanno giocato su questi parametri e la

23 Diario di campo 10 agosto 2017.

24 1 µg = 1000 ng; i risultati delle analisi del sangue per il riscontro della presenza di PFAS in Italia sono

superficialità con cui i giornali li hanno riportati, indici entrambi dell'utilizzo più politico che effettivamente medico-scientifico dei dati a disposizione. Per una questione di chiarezza e praticità i valori che sarà necessario riportare compariranno prevalentemente nella formulazione ng/ml.

Un secondo appunto che merita di essere riportato, concerne invece l'elemento cui i parametri si riferiscono: acqua potabile, alimenti, TDI (Tolerable Daily Intake), cioè la dose giornaliera tollerabile, valori di performance, ovvero valori obiettivo.

Infine, è sempre bene considerare se il valore massimo previsto è da riferirsi al solo PFOA, al PFOS, ad entrambi, all'insieme dei PFAS a catena corta o semplicemente alla categoria 'altri PFAS'. Come ci sarà occasione di ribadire in seguito – e limito la riflessione al caso nostrano – spesso cifre e limiti perdono la loro connotazione scientifica quando immessi nella sfera pubblica, rendendosi utili strumenti di propaganda politica, di gestione del rischio nella società e di alterazione delle percezioni soggettive della gravità del caso. Bastino un paio di esempi per quest'ultimo punto: 1,5 µg sono 1500 ng; 50 ng/ml sono 50.000 ng/l!Da quanto si potrà evincere dal paragrafo successivo, le prime attenzioni normative ai PFAS hanno preso piede negli Stati Uniti a cavallo tra la fine degli anni Novanta e l'inizio del Duemila. Le sostanze perfluoralchiliche, la cui produzione era in atto già da decenni, si trovavano ad essere prive di regolamentazioni e soprattutto di sostanziosi studi scientifici sulle loro proprietà tossicologiche. Dato il loro status di sostanze non normate, nulla veniva attuato al fine di tutelare la salute dei lavoratori direttamente esposti e della cittadinanza residente nelle zone limitrofe né tanto meno dell'ambiente, su cui ricadeva l'itero carico di inquinamento – tramite emissioni aeree o sversamenti nelle acque. Gli unici studi effettuati erano quelli interni delle industrie attive in questo settore della chimica, che solo tardivamente li hanno resi pubblici, a seguito di indagini o richieste giudiziarie.

Per venire al dunque, dal 2000 l'EPA (Environmental Protection Agency) si è impegnata nello sforzo di garantire la graduale eliminazione di PFOS e PFOA e di ridurre l'impatto di

tali sostanze sull'ambiente e sulla salute umana.25 La multinazionale americana 3M sarà la

prima ad interrompere la produzione di PFOA, mentre l'altro colosso della chimica, la DuPont, di cui parlerò più diffusamente in seguito, sostituirà i PFAS a catena lunga con quelli

25 «We have been working since 2000 to phase out PFOA and PFOS, and to reduce the environmental and

a catena corta solo dal 2013. I primi valori attestati dall'EPA per PFOA e PFOS erano rispettivamente di 400 e 200 nanogrammi per litro – relativamente all'acqua potabile, con una TDI di 200 ng/kg per il PFOA e 80 ng/kg per il PFOS. Dal 2016 ha definito invece un valore massimo di 70 nanogrammi per litro per entrambe le sostanze, che siano presenti singolarmente o in combinazione. A livello europeo, l'EFSA (European Food Safety Authority) ha stabilito nel 2008 delle TDI di 150 ng/kg (chilo di peso corporeo) per il PFOS e di 1500 ng/kg per il PFOA, sostenendo allora che «il gruppo di esperti scientifici è giunto alla conclusione secondo cui è improbabile che il PFOS e il PFOA possano avere effetti negativi sulla salute della popolazione in generale in Europa, poiché l’esposizione dietetica a queste due sostanze chimiche è inferiore alle rispettive TDI», sebbene «nel caso del PFOS, e in misura maggiore del PFOA, anche l’esposizione ambientale attraverso l’aria e l’acqua sembra

rivestire un ruolo significativo».26 La fonte più accreditata come causa di assunzione di PFAS

a livello europeo era limitata ai prodotti ittici, sulla base degli studi disponibili e senza tacere la più generale considerazione che PFAS e PFOA sono sempre più diffusi su scala globale a causa di inquinamenti industriali e oggetti di uso comune contenenti i composti perfluoroalchilici. Infine, tra i documenti rilevanti – anche se non propriamente di normativa si tratta – risale al 2015 la cosiddetta “Dichiarazione di Madrid”27relativa alle sostanze poli e

perfluoroalchiliche, firmata da 200 scienziati, ma raramente presa in considerazione a riprova della, almeno potenziale, nocività dei PFAS.

A livello nazionale solo Germania, dal 2006, e Regno Unito, dal 2007, disponevano di valori di riferimento: 100 ng/l è il valore precauzionale adottato dai tedeschi per un'esposizione prolungata a PFOS e PFOA combinati; la Health Protection Agency (HPA) invece ha stabilito 10.000 ng/l per il PFOA e 300 ng/l per il PFOS.

Per quanto riguarda l'Italia, pochi o assenti erano gli strumenti a disposizione nel 2013, quando è emerso il caso di inquinamento dell'area veneta. O meglio, sulla base di provvedimenti già presi, della normativa europea stabilita da EFSA e del principio di

precauzione28, qualche passo in più era d'obbligo da parte delle istituzioni preposte. I PFAS

26 EFSA (data consultazione 30.10.2017).

27 EHP, Environmental Health Perspectives (data consultazione 30.10.2017).

28 A differenza degli Stati Uniti, dove tale principio è assente, in Europa è stato inserito nella Costituzione

Europea, all'articolo 191, precedentemente introdotto dal Trattato di Maastricht del 1992. Si tratta di uno strumento di gestione del rischio, qualora si verifichino situazioni potenzialmente pericolose o dannose per la salute umana o per l'ambiente, in assenza di certezze scientifiche che possano confermare o escludere il

comparivano già dal 2012 in un decalogo firmato dal Ministero dell'Ambiente relativo agli interferenti endocrini. Non si era ancora a conoscenza della contaminazione nel Veneto, ma sulla base dei dati EFSA era già scattata l'informazione preventiva sulla cautela da riservare ai prodotti alimentari ed in particolare ittici e alla presenza del PFOA anche in fonti non alimentari, alla più estesa contaminazione da PFC nell'aria e in svariati oggetti; erano note le conseguenze «dannose per la salute, soprattutto a carico del fegato, della tiroide e anche della fertilità» (Min. Amb. 2014: 10). Il PFOS, inoltre, già dal 2010 rientrava nell'elenco dei cosiddetti POPs, che introdurrò nelle prossime righe. Nonostante la circolazione di tali informazioni, a livello nazionale non esisteva nessun parametro per i PFAS e ad occuparsene poi è stato l'Istituto Superiore di Sanità (ISS). Quest'ultimo, sulla base dei valori stabiliti dall'EFSA, ha proposto dei valori guida che potessero garantire la potabilità dell'acqua secondo dei requisiti minimi di sicurezza. Gli studi cui ha fatto riferimento l'ISS sono stati i precedenti sugli animali da laboratorio e i più recenti del caso americano DuPont, effettuati su lavoratori e persone comuni esposte, sulla base del cosiddetto Progetto Salute C8 (C8 Health Project). L'ISS ha così suggerito dei valori di performance di 30 ng/l di PFOS, 500 ng/l di PFOA e 500 ng/l per la somma di altri PFAS. Questi valori risultavano inferiori a quelli dell'EFSA e dovevano «rappresentare un valore obiettivo provvisorio tossicologicamente accettabile» (ISS 2014: 20). La trasformazione dei valori di performance in legge nazionale spetta al Ministero dell'Ambiente: «“la fissazione di valori per parametri [...] qualora ciò sia necessario per tutelare la salute umana in una parte od in tutto il territorio nazionale” è di competenza statale, da parte del Ministero della Salute di concerto con il Ministero dell'Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare» (ISS 2014: 2), che si è infatti limitato ad adottare i parametri ottenuti dall'ISS. L'opinione dell'Istituto Superiore di Sanità era tuttavia che la situazione dello specifico contesto veneto contaminato dai perfluoroalchilici non fosse preoccupante:

[...] questo quadro non configura una situazione di rischio immediato per la popolazione del territorio veneto interessato al fenomeno di inquinamento ma, viste le incertezze del quadro

rischio stesso. Sempre in Europa, il regolamento sui prodotti chimici, definito REACH (Registration,

Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals), si basa anch'esso sul principio di precauzione e

classifica i PFAS a catena corta come PBT, ovvero Persistenti, Bioaccumulabili e Tossici, mentre quelli a catena lunga sono vPvB, molto Persistenti e molto Bioaccumulabili (Brambilla, De Felip 2013: 6).

complessivo, induce a raccomandare, nel contempo, l'urgenza di adottare adeguate misure di

mitigazione del rischio, estese alla intera filiera idrica e alimentare (ISS 2014: 18-19 corsivo

mio).

Sull'espressione «rischio immediato», si è espresso in più occasioni con drammatica ironia il dottor Fazio, medico Isde (International Society of Doctors for the Environment) di Arzignano (VI). Annotavo infatti nel diario di campo: «Certo, se mi bevo un bicchiere coi PFAS mica faccio un colpo e muoio subito...», ma, proseguiva con fare concitato, non era un buon motivo, a suo avviso, per incoraggiare le persone – soprattutto bambini e donne in stato

di gravidanza – a continuare a bere acqua del rubinetto contaminata.29

Le dinamiche politiche, sociali e sanitarie della contaminazione delle province venete di Vicenza, Verona e Padova verranno approfondite nel prossimo capitolo, in virtù della loro complessità, delle varie sfaccettature assunte dal fenomeno e dei quotidiani sviluppi della vicenda. Infatti, ad oggi non esiste ancora una normativa nazionale in materia di sostanze perfluoroalchiliche, fermo restando i valori obiettivo proposti dall'ISS, mentre ad ottobre è stata la stessa Regione Veneto ad intervenire modificando tali valori e fissandone di nuovi, chiaramente inferiori – 90 ng/l per la somma di PFAS e PFOS e 300 ng/l per il totale di “altri PFAS”. Il Veneto non è il solo territorio in cui è segnalata dagli studi del CNR la presenza di

PFAS nelle acque superficiali30, ma certamente è quello al momento sottoposto al più grave

ed esteso caso di contaminazione ambientale, anche in virtù del fatto che l'unica industria produttrice di PFAS in Italia si trova nel vicentino, a Trissino, seguita nelle più immediate vicinanze così come nel resto di Italia da tutta una serie di stabilimenti che ne fanno uso.

Come anticipato nelle righe precedenti, anche i POPs richiedono una breve trattazione. La mancanza di biodegradabilità dei composti perfluoroalchilici, infatti, ha fatto sì che venissero inseriti, dal 2009, all'interno della categoria degli inquinanti organici persistenti, i cosiddetti POPs, Persistent Organic Pollutants.31Le sostanze appartenenti a questo insieme sono

29 Diario di campo 12 settembre 2017.

30 Immissioni di PFAS sono state riscontrate anche in Piemonte, Lombardia e Toscana. Vedi: reach.gov.it;

Ministero Ambiente (data consultazione 23.11.2017).

31 Nel maggio 2001 è stata stabilita, nell'ambito del Programma Ambientale delle Nazioni Unite, la

Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti – entrata in vigore a partire dal 2004 per molti Stati firmatari – che mira all'eliminazione o alla riduzione dell'utilizzo di 12 principali inquinanti (aldrin, clordano, dicloro difenil tricloroetano (DDT), dieldrin, endrin, eptacloro, mirex, toxafene, esaclorofene e 3 classi di composti policlorobifenili, policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani) ritenuti nocivi per l'ambiente e per la salute umana. L'Italia è l'unico Stato firmatario europeo che non ha

accomunate da tre caratteristiche: tossicità – entrandovi in contatto per ingestione, inalazione o per via cutanea determinano rischi per la salute; persistenza – non essendo soggette a decomposizione permangono nell'ambiente, alterandone le varie matrici (acqua, aria, terra); infine, bioaccumulo – si depositano cioè negli organismi, percorrendo la catena alimentare fino a raggiungere l'uomo. Gli effetti sulla salute umana, sulla base delle ancora non numerose evidenze scientifiche, sono: tossicità sul sistema riproduttivo, alterazione del sistema

endocrino, disturbi del sistema immunitario e patologie tumorali.32 Senza molte differenze, si

tratta delle stesse ripercussioni già riscontrate nell'approfondimento tecnico sui PFAS del

paragrafo precedente. Nelle conclusioni del breve report di Enea33 sui POPs si legge:

Le concentrazioni ambientali degli inquinanti organici persistenti, a differenza di molti altri contaminanti, non diminuiscono rapidamente al cessare delle loro emissioni. Queste sostanze persistono nell’ambiente e non rispettano i confini internazionali, potendo migrare su lunghe distanze. [...] Inoltre, una volta dispersi nell’ambiente, non subiscono un processo di diluizione ma nel lungo termine tendono ad accumularsi nei livelli trofici più elevati, e in particolare nell’uomo. Il primo forte impulso ad affrontare il problema dei POPs si ebbe nel 1962 con la pubblicazione del libro “Silent Spring” in cui Rachel Carson, biologa del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, esprimeva la sua preoccupazione per una primavera silenziosa, senza uccelli a causa dell’uso indiscriminato dei pesticidi clorurati (Spezzano 2004: 47, corsivo mio).

Gli aspetti notevoli che emergono da questa lunga citazione sono almeno tre. Innanzitutto, la persistenza di queste sostanze nell'ambiente e nell'uomo: i tempi di dimezzamento, la

cosiddetta emivita34, variano da una media di 5/7 anni nell'uomo ai 100 per l'ambiente, con

tutte le alterazioni che comporta la convivenza con composti chimici. In secondo luogo, la precisazione, tutt'altro che scontata, sugli sconfinamenti di queste sostanze oltre i limiti geopolitici imposti dai poteri locali, nazionali o internazionali che siano. Come scriveva Ulrich Beck già nel 1986 a proposito dei rischi della modernizzazione, a differenza della ricchezza, questi si distribuiscono uniformemente, finendo per colpire tanto chi li subisce, quanto chi li produce, poiché «contengono un effetto boomerang che fa saltare lo schema di

ratificato la Convenzione, non ancora in vigore, quindi, nel nostro Paese.

32 Greenpeace Italia (data consultazione 24.10.2017).

33 Enea è l'Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile. 34 Indica il tempo richiesto perché la concentrazione di una sostanza chimica si riduca della metà.

classe e la dimensione nazionale. I disastri ecologici e le radiazioni atomiche ignorano i confini delle nazioni» (Beck 2015: 30). Infine, il riferimento a Silent Spring, uno dei testi che hanno segnato e preceduto l'ascesa della questione ambientale ai vertici delle organizzazioni europee e internazionali: al 1972 risalgono la Conferenza Mondiale dell'Onu, tenutasi a Stoccolma sul tema della tutela dell'ambiente in relazione alla crescita economica, e la pubblicazione de I limiti dello sviluppo a firma del «Club di Roma», sulle conseguenze critiche ed irreversibili dell'antropizzazione del pianeta; nel 1973 parte invece il Programma Azione Ambientale dell'allora CEE, mentre nel 1974 esce il volume collettivo di Gilbert White, Natural Hazards. Local, National, Global, come applicazione degli strumenti della geografia culturale all'analisi di casi di studio su disastri verificatisi nel mondo (Ligi 2009: 38, 132).

Un’ultima considerazione che vorrei annoverare tra le pagine di questo paragrafo concerne l’aspetto legale afferente ai reati ambientali. In Italia, infatti, dal 2015 vige una specifica legge sui cosiddetti ecoreati, inserita nel codice penale in qualità di strumento atto al contenimento

del fenomeno delle ecomafie.35 I reati contemplati dal provvedimento sono: inquinamento

ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo, omessa bonifica.36 Sulla contaminazione da PFAS in Veneto

stanno appunto indagando la Commissione ecomafie – o meglio la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlate – unitamente alla magistratura, per quanto riguarda gli amministratori di Miteni, e una Commissione regionale d’inchiesta sui PFAS. Da più parti – in particolare cittadini, associazioni e comitati, esponenti politici locali e sindaci, solo in seguito anche Regione – si è levata la richiesta di dichiarazione di disastro ambientale da parte del Governo. Non mi inoltro ulteriormente nel campo giuridico, sia per mancanza di specifiche competenze, sia per la complessità delle dinamiche in atto, sui piani regionale e nazionale, delle cariche e dei ruoli coinvolti sulla base delle rispettive competenze e dei poteri di intervento. Ho ritenuto tuttavia opportuno segnalare l’esistenza di una legge, in questo

35 Ecomafia è un neologismo, coniato da Legambiente per definire le attività illegali di organizzazioni

criminali, spesso di tipo mafioso, a danno dell’ambiente; si tratta per lo più di azioni connesse a traffico e smaltimento illegali di rifiuti.

contesto non ancora applicata, che potrebbe compiere effettiva giustizia in un ambito sino a tempi recenti svincolato da provvedimenti penali.

Fig. 12, Incontro pubblico sul tema PFAS. Presenti da sinistra: Luigi Lazzaro; Stefano Ciafani; on. Alessandro Bratti – presidente Commissione ecomafie; Barbara Degani – sottosegretaria Ministero dell’Ambiente; Fabio Trolese – direttore ViverAcqua-Gestori Idrici del Veneto, Brendola, 2017 (foto Lara

Bettoni).