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Capitolo 3. DISASTRO E SOCIETÀ Le percezioni del rischio tra mutamento e

4. Percezioni e vulnerabilità nella società del rischio

4.2 Percezioni: scoprirsi abituati ai disastri

[...] poi siamo così abituati ad avere tante altre cose, cioè per dirti io sono nata in una zona così, sempre sentito parlare di concerie, di problemi di inquinamento, eccetera ecco... ah questa è una cosa una volta che mi ha fatto strano, che ero lì che pensavo proprio essendo che sono nata io in una zona così no? Se magari per me tutte queste cose, anche del fatto che la gente stia male o... siano quasi normali no? Cioè io penso che possano far parte della vita naturale o comunque dei giorni d'oggi, come l'incremento dei tumori, quando in realtà potrebbe non essere così, cioè io non ho mai vissuto lontano da questa zona qua... potrebbe essere che io vivo come normale una realtà che in altre zone non lo è... e che non percepisca il

55 In più di un’occasione ho potuto annotare l’espressione «non sono i soliti ambientalisti», a rimarcare il fatto

che fonti “più autorevoli” e altri attori sociali sono scesi in campo a denunciare il disastro ambientale in corso (intervista con Anna, 19 agosto 2017; diario di campo 11 settembre 2017).

problema perché sono sempre stata abituata così... e quindi anche questo mi fa abbassare il livello di allarme che potrei avere...56

Queste sono le parole di Mara, poco più che ventenne, originaria di un comune della “zona rossa”, non lontano da Lonigo. Oltre ad essere un concentrato di spunti e risposte estremamente interessanti, ciò che mi ha positivamente stupita è che tale riflessione sia scaturita in lei spontaneamente, senza in alcun modo essere stata sollecitata. Ho avuto l'impressione che per lei si sia trattato quasi di un'epifania. L'atmosfera del momento era propizia ad un dialogo più profondo sul suo sentirsi contaminata ed essendo uno dei nostri ultimi incontri la confidenza era sufficiente ad indagare questo spazio. Erano le due e mezza di pomeriggio e pur essendo una giornata soleggiata e dal clima mite ci eravamo accomodate all'interno del solito bar in piazza Garibaldi a Lonigo. Nessuno oltre a noi due.

Parte del discorso di Mara verrà ripreso nel prossimo capitolo, in quanto attinente all'antropologia del paesaggio ed alle relazioni uomo-luogo che vi si intrecciano. Qui, invece, vorrei concentrarmi su quella che lei stessa ha definito “percezione” di un problema connessa al grado di abitudine. Significa che lei, come la maggior parte dei miei interlocutori, ha un bagaglio di conoscenze interiorizzate, di cui il suo corpo, nella dimensione fisico-sensoriale e cognitivo-intellettuale, è intriso, tanto da costituire un orizzonte di senso peculiare, determinato dalle caratteristiche stesse del luogo. Strutture di significato, di sentimento, di relazioni, ricordi, narrazioni e memorie, un senso di appartenenza.

Il suo momento di rivelazione, a se stessa e nel suo legame con il mondo circostante, è stato particolarmente toccante e profondo anche per me, poiché ha preso definitivamente forma la radicalità del sentire collettivo che fino ad allora era stato soltanto un'intuizione. La stessa dinamica del disastro è slittata su di un altro piano: escluse le coscienze più sensibili alle tematiche ambientali da lungo tempo, per la gente “comune” il disastro, in quanto processo di rottura dell'equilibrio tra società, ambiente e tecnologia, è avvenuto a seguito della comunicazione di un numero, che ogni genitore porta stampato indelebile nella mente e sulla maglietta. Questo è il disastro. La contaminazione ambientale è grave, irreparabile ed inestirpabile, ma la novità rispetto ai precedenti è che ora si ha un numero, una quantità di PFAS nel sangue dei figli. Tale fattore ha determinato una percezione nuova, aggravata, del

fenomeno di inquinamento. Trova allora conferma quanto annunciato nel paragrafo relativo alle plurime cronologie degli attori sociali: l'agente di impatto del disastro è stata quella lettera dell'Ulss, contenente gli esiti dello screening sanitario.

Il movimento dei Genitori NoPfas non si sarebbe costituito e allargato a tal punto, determinando l'evolversi della vicenda, se non fossero stati chiamati direttamente in causa i loro figli. Anche per tale motivo, la cittadinanza “attiva” non ha visto, se non tardivamente e in numero molto ridotto, la partecipazione di giovani tra i diciotto e i trent'anni. Il sostrato culturale sedimentatosi dal dopoguerra in avanti ha abituato le persone ad un grado di esposizione al rischio più elevato di altre zone, normalizzando una condizione di vulnerabilità tecnologicamente indotta. La percezione del disastro è dunque influenzata da una costante convivenza con fattori potenziali di rischio ormai assimilati dalla collettività, così come i segnali che l'intero sistema produttivo industriale del vicentino lancia ai suoi abitanti. Un punto, a livello teorico, che vorrei problematizzare concerne la differente percezione sensoriale dei rischi tra età medievale, prima modernità e tempi odierni. Nel passato rischi e pericoli «pungevano il naso, o gli occhi, ed erano quindi percepibili dai sensi», mentre oggi, i rischi della nostra società contemporanea sono “invisibili”, subdoli, poiché sfuggono alla percezione corporea e sensoriale, collocandosi su un piano inaccessibile ai più, quello «delle formule fisiche e chimiche», come ben comprovato dai frequenti casi di contaminazione ambientale (Beck 2015: 28). Sebbene ciò sia quanto mai vero nel caso dei PFAS, altre forme di inquinamento fortemente impattanti sulla zona e divenute ormai riferimenti stabili del territorio, acquisiti dagli abitanti, sono ben distinguibili. I fumi delle alte ciminiere a strisce bianche e rosse tra Almisano e Montebello, a nord di Lonigo; il depuratore di Montebello, che permette di riconoscere il luogo ad occhi chiusi, motivo di stizza o risate da parte di viaggiatori occasionali che si interrogano sulla fonte di quel puzzo insopportabile; le dense e vivaci schiume in torrenti e rigagnoli di campagna; l'acredine dei pesticidi sui vigneti. Nel concreto siamo immersi in un crogiolo di stimoli sensoriali negativi, che allertano prima di tutto il nostro corpo, tramite sintomi e patologie di gravità molto variabile. Se da un lato è innegabile l'invisibilità di un numero elevatissimo di fattori di rischio, racchiusi effettivamente in formule chimiche e perfettamente integrati a nostra insaputa nelle vite di ciascuno, da un altro lato l'invisibilità e le sporadiche, improvvise rivelazioni di contaminazioni devastanti sono l'esito di una diffusa cecità, consapevolmente adottata e

tramutatasi in invisibilità cognitiva a causa dell'intorpidimento della vista e, conseguentemente, della capacità intellettuale di critica ed azione.

Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che non vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono (Saramago 1996: 315).

Fig. 25, Impianto di depurazione di Montebello Vicentino, Montebello Vicentino, 2017 (foto Lara Bettoni).

Sebbene vi sia questo comune denominatore di abitudinarietà per le varie generazioni che popolano la zona, l'età in particolare ha influito sulla percezione del rischio, del disastro in corso e del futuro. Anche in tal caso, le classiche categorizzazione binomiali hanno ceduto ad una realtà frastagliata. Sebbene i miei interlocutori fossero per lo più genitori, attivi o meno in veste NoPfas, ho avuto modo di incrociare ad un livello variamente approfondito a seconda del caso le esperienze di tre giovani sui vent'anni.

C'è quasi una rassegnazione, come se fosse ovvio ed inevitabile, quasi prevedibile, essere

inquinati.57 Diverse tra loro, le interviste non mi hanno permesso di produrre una sintetica e

pratica generalizzazione. Giovanni si è formato presso l'Istituto Tecnico Agrario di Lonigo e successivamente ha proseguito gli studi in Enologia a Conegliano. Riscontro anche in lui una netta sfiducia nelle istituzioni, ma soprattutto una profonda rassegnazione: «si va avanti»58, mi

dice, non ha senso andarsene perché ovunque ci si imbatte in una qualche forma di inquinamento. È deciso quindi a restare, è legato alla sua terra, alla sua numerosa famiglia; i loro campi sono contaminati e la produzione è perciò in stallo. L'etica dell'onestà su questo per lui prevale senza dubbio, a differenza di chi vende senza informare la clientela dello stato dei prodotti per non rimetterci il guadagno. Si esprime, come quasi tutti i miei interlocutori, in termini di “sensibilità” all'argomento, all'inquinamento. Purtroppo, non c'è stato modo di incontrarci nuovamente per trattare gli innumerevoli spunti sollevati dal nostro incontro. Pur avendo vissuto e studiato in provincia di Treviso, lontano dai PFAS – si presume – il valore di contaminanti è notevolmente aumentato nel suo caso, che è stato poi riportato a titolo d'esempio dal gruppo Genitori NoPfas in svariate occasioni. Il suo atteggiamento, come detto, era di sconsolata rassegnazione: «Stai bene e non sai se collegare problemi di salute a questo».59 I PFAS sono stati inoltre motivo di approfondimento di ulteriori casi di

inquinamento che hanno coinvolto Lonigo, come il cromo esavalente proveniente dalle concerie negli anni Ottanta, segnale che anche i più giovani stanno cercando di accedere ad una memoria storico-ambientale del proprio territorio, rimasta inascoltata.

«[...] adesso tutta l'attenzione è concentrata su i PFAS, ma abbiamo tantissimi altri

problemi [...]».60 Di Mara ho già avuto modo di parlare, essendo stato il suo contributo alla

57 Diario di campo 22 luglio 2017. 58 Diario di campo 22 luglio 2017. 59 Diario di campo 22 luglio 2017. 60 Intervista con Mara, 20 settembre 2017.

ricerca davvero notevole, dato il suo punto di vista complesso e peculiare: perfettamente calato nel contesto della “zona rossa”, offre quello sguardo emico difficile da assumere in toto per l'osservatore esterno, ma allo stesso tempo c'è il tentativo da parte sua di mantenere la posizione di estraneità, di provare a guardare con il dovuto distacco la propria realtà, seguendo un movimento opposto al mio, di avvicinamento. La sua preparazione tecnica e l'occhio analitico si alternano al disagio di una quotidianità inevitabilmente influenzata dal contesto che la avvolge:

[...] vai a farti un giro, ma se vai a farti un giro, vai a prenderti il pane e sei in fila e senti, hai sentito il problema dei Pfas? Ti giri e vai.. non lo so, cioè ovunque si parla di Pfas, ovunque, ovunque, tutti ne parlano e in continuazione, è diventata una psicosi per tutti [...]

[...] quindi anch'io che magari non ho ancora questo, questo terrore proprio perché riesco ancora a cucinare con l'acqua, però lo faccio e ci penso... mi sento un po' a disagio ti dico... è un po' disagiante... quindi... no comincia a pesare tutta questa situazione perché per quanto anch'io abbia sempre cercato di mantenere magari no freddezza o comunque... e... ogni volta che vado ad aprire il rubinetto adesso ci penso, cioè anche inconsciamente cominciano a scattare tutti questi meccanismi di diffidenza verso l'acqua del rubinetto...61

Le criticità per Mara concernono la minore attenzione alla matrice ambientale, compromessa a tempo indeterminato e conseguentemente destinata ad avere un impatto sull'uomo, rispetto a quella sanitaria, altrettanto o maggiormente grave; la molteplicità di sostanze tossiche e di fonti di inquinamento disseminate sul territorio; l'inquinamento dell'aria, cui siamo assuefatti nonostante la comprovata gravità. Il suo sapere “esperto” la porta a guardare con ammirazione al movimento delle Mamme NoPfas, ma a leggerlo in chiave di risposta emotiva della fetta più sensibile della popolazione, andando a riaffermare, in parte, l'irrazionalità del sapere “comune”. Coglie inoltre con grave disappunto la connivenza tra politica e sanità (v. cap. 3 §3.3). È consapevole che per noi giovani, propensi alla mobilità, il grado di preoccupazione sia minore, data la concretezza delle opzioni formative e lavorative all'estero o in altre parti d'Italia; ciò giustificherebbe anche il minor livello di coinvolgimento nella mobilitazione pubblica. In generale riscontra però «tanta

rassegnazione proprio perché appunto potrebbe venir fuori molto di peggio»62 e di ciò sempre

più persone iniziano ad aver coscienza, una riscoperta coscienza ambientale. Nonostante l'ottimo rapporto instauratosi tra me e Mara e la scioltezza del nostro dialogo, ci sentiamo sempre avvolgere da un sentimento di vera e propria angoscia, dato il vicolo cieco in cui ci conduce l'argomento PFAS; l'amarezza di essere circondate da matrici ambientali già contaminate, fattori di potenziali rischi o disastri in corso, si aggrava, considerati anche i nostri campi di studio, che ci obbligano a confrontarci con tutto ciò non solo sul campo, ma anche nella nostra vita privata.

«[...] lo auspico per chi rimane qui, per chi... magari vuole avere un futuro qua [..]».63

Leonardo è studente fuori sede a Bolzano. Ha valori nel sangue molto elevati e noto che ne è uscito piuttosto provato, non tanto fisicamente quanto emotivamente: mi trasmette l'impressione di una fiducia tradita, fiducia in un mondo che non pensava potesse nuocere a tal punto. Come già detto altrove, non ha sottratto il suo sostegno alle istituzioni, né al gruppo di Genitori NoPfas, ma lo sguardo che volge alla situazione è lontano, quasi avesse reciso il legame affettivo che lo univa alla terra natia. Guarda al futuro, in cui un giorno, anche se richiederà tempi lunghi, tornerà libero dai PFAS, nel corpo e nella mente. Il suo atteggiamento permane molto distaccato e riscontro una forte resistenza ad accedere ad una dimensione più emotiva e personale, oltre i tecnicismi e la meccanica della sua quotidianità. Una sua laconica affermazione, tuttavia, mi ha colpita: «[...] ma dato che comunque si sa anche che la natura è in grado di ripararsi da sola, non avrei mai pensato qualcosa di così larga

scala...».64 Se tutti i miei interlocutori hanno chiamato in causa la natura come vittima della

scellerata azione umana protrattasi nei decenni, Leonardo è l'unico ad aver espresso una visione di essa più utilitaristica, che parrebbe giustificare l'azione umana, in virtù della capacità rigeneratrice dell'ambiente. Quella natura benigna, secondo la schematizzazione degli ecologi, «meravigliosamente clemente: non importa quanti colpi diamo» l'equilibrio si ristabilirà: ciò giustifica il laissez-faire di istituzioni e settori produttivi (Schwarz-Thompson 1993: 43). Loretta, dal canto suo, mi aveva riferito il ragionamento di un ambientalista ospite di un programma televisivo, secondo il quale la natura sarebbe in grado di sopravvivere,

62 Intervista con Mara, 20 settembre 2017. 63 Intervista con Leonardo, 29 settembre 2017. 64 Intervista con Leonardo, 29 settembre 2017.

mutando e rigenerandosi, mentre a deperire sarebbe la specie umana. Spesso effettivamente si confondono i due piani, quello della fine dell'umanità e quello del deperimento dell'ecosistema.

Tralasciando per il momento l'accenno al rapporto che intercorre tra interlocutori e ambiente, paesaggio e natura, vorrei delineare alcune differenze nelle percezioni del mondo adulto, genitoriale. Nel caso delle tante mamme e degli altrettanti numerosi papà la spinta determinante è stata la tutela dei propri figli, intervenuta con forza ad imporre un ripensamento della percezione del sé-genitore e del sé-figlio. Ruoli, comportamenti, accorgimenti, educazione: tutto è stato sottoposto ad una rilettura in chiave di un protagonismo di una collettività, a cui l'individuo partecipa e da cui contemporaneamente trae la sua forza, un'uscita inaspettata dall'individualismo di una classe media agiata ed autosufficiente al suo benessere. È avvenuta una riscoperta del ruolo attivo del cittadino, che si fa agente consapevole di notevoli mutamenti sociali, imbracciando e rivendicando i propri diritti. Il genitore, per come ho potuto conoscere questa figura sul campo, antepone la salute dei figli a tutto, disposto a sacrificare la propria stessa vita. Da questo punto di vista, l'empatia con i miei interlocutori è calata nei termini in cui unicamente l'esperienza genitoriale permette l'accesso emotivo – e non solamente cognitivo – al loro sentire ed alle motivazioni del loro agire. Il fatto di avere figli, famiglia, casa e lavoro ha reso i miei interlocutori propensi al non abbandonare la “zona rossa”, nonostante la gravità della situazione. «Non bisogna andarsene,

bisogna combattere»65, mi disse Michela, sebbene in tempi successivi di stanchezza psico-

fisica fosse giunta a pensare di vendere tutto e andarsene. Il legame con la propria realtà, con il proprio microcosmo, rafforzato proprio da questa esperienza nei suoi assetti positivi, è un dato implicitamente prevalente nei discorsi di tutti. L'obiettivo di garantire un futuro ai giovani ha tenuto saldi gli animi dei Genitori Attivi, anche in virtù del loro senso di responsabilità quali spettatori silenziosi dei passaggi antecedenti il compiersi del disastro.

Al di fuori del loro gruppo, ho cercato di cogliere le voci avverse o minimaliste. Non esistendo un gruppo ben definito di “negazionisti” dopo l'evidenza delle prove scientifiche sui ragazzi, il discrimine tra le parti si è come già detto basato sul grado di reazione o meno alla realtà dei fatti. I miei interlocutori hanno individuato come categoria di minimalisti e negazionisti gli agricoltori e gli allevatori. Tuttavia, ritengo che il loro ridurre la gravità del

fattore di rischio costituito dai PFAS sia connesso agli interessi del loro mestiere e parallelamente alla mancanza di tutele da parte delle istituzioni, motivo per cui hanno continuato ad assicurare la salubrità dei propri prodotti. Non escludo che nella loro sfera privata, la percezione del rischio fosse alta e i provvedimenti presi per proteggersi all'interno delle mura di casa numerosi. Ho faticato ad entrare in contatto con loro, essendo scarsamente propensi a dialogare su tali tematiche e ad esporsi. Qualcuno dei miei interlocutori mi raccomandò prudenza. L'unico con cui ho avuto modo di sviluppare un'intervista semi strutturata è stato Lino, allevatore di conigli e agricoltore. Profondamente preoccupato e demoralizzato dall'inquinamento dilagante, ricade parzialmente nel circolo dei minimalisti. «[...] che è un problema grave e quello sicuramente però io andrei un po' piano prima di

buttare in giro certi allarmismi, certe paure, certo... non è il caso di fare terrorismo...».66

Proprio perché cruciale per lui l'assenza di studi scientifici certi, non ha mancato di rimarcare questa sottile linea di separazione tra il riconoscimento della gravità della contaminazione e la cautela nel generare sospetti in mancanza di prove inconfutabili. Sarebbe facile dissentire in parte, esistendo già una letteratura di base e in divenire al riguardo, oltre al trascurato principio di precauzione, il quale sarebbe sufficiente ad imporre la sospensione della commercializzazione dei prodotti della “zona rossa”; tuttavia rende la peculiare percezione del rischio e della scienza da parte di chi è legato a doppio filo alla propria terra.

Attenendosi ad una schematica ripartizione che vedrebbe annoverate tra i massimalisti le giovani coppie e, viceversa, tra i minimalisti i pensionati, anche qui possiamo parzialmente riscontrare la medesima suddivisione. Lino, come la signora Franca, giustifica la sua

rassegnazione con l'età: «son vecchio»67, «non go bambini piccoli da allevare... ecco allora è

diversa la famiglia giovane, è diversa, il discorso, ma la me età...».68 Hanno scelto di non

essere parte attiva del movimento cittadino Mamme NoPfas, ma ne supportano la causa. Il fatto di essere cresciuti in quelle zone e soprattutto di aver bevuto per decenni l'acqua che vi abbondava li ha resi scettici sugli effetti patologici che potrebbe avere su di loro:

66 Intervista con Lino, 4 ottobre 2017. 67 Intervista con Lino, 4 ottobre 2017. 68 Intervista con Franca, 17 settembre 2017.

... si vive tanto prima o dopo bisogna morire, l'è più per la nuova generazione che vien su... per i giovani, eh, noialtre ormai gavemo la nostra età e io non son morta fino adesso per l'acqua, la go sì qualcosa però [...].69

Come mi raccontava la dottoressa Anna, gli anziani sono tranquilli, per il fatto di essere ormai arrivati a quell'età:

“Ma gavemo sempre bevù sta acqua!” Cioè quelli proprio... [ridiamo] Gli anziani sono gli unici che sono sereni e tranquilli, hai capito.[...] “Go ottant'anni, ottantacinque, so arriva fin qua”... molti dicono “Ma go sempre bevù sta acqua?!” Ei dixe che xe da quarant'anni... no, uno fa “Dixe che xe da quarant'anni che ghe xe sta roba” e fa elo “Quarant'anni? A go ottanta otto anni dottoressa, e ora vol di che ghe no bevù anca mi tanta... e so ancora qua!”...70

Non è scontato definire gli anziani come minimalisti, se non distinguendo tra la percezione del rischio per se stessi e quella per figli e nipoti. O meglio, percepiscono il rischio sanitario come minimo, essendo giunti ad età avanzata, mentre sentono massimo il rischio sanitario e ambientale per la loro prole, in quanto l'estensione della contaminazione è a tutti nota. In