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Biocarburanti e sicurezza alimentare all’origine degli investimenti.

Land grabbing in Africa Subsahariana.

3.5 Biocarburanti e sicurezza alimentare all’origine degli investimenti.

La destinazione delle terre in Africa Subsahariana riguarda sia la produzione di colture agroalimentari che di colture destinate alla produzione di biocarburanti, la scelta del tipo di coltura da coltivare varia da paese a paese.

Uno dei fattori che ha accelerato il fenomeno del land grabbing sicuramente è l’industria dei biocarburanti. Milioni di ettari in Africa sono occupati dall’industria dei biocarburanti destinati soprattutto all’esportazione. Le politiche dell’Unione Europea che hanno fissato un obiettivo del 10% di biocarburanti per i trasporti europei in parte hanno direttamente contribuito all’aumento della domanda di terra da parte di investitori stranieri in Africa.

Tra le coltivazioni utilizzate per la produzione di biocarburante in particolare di bioetanolo vi è la jatropa74 e la canna da zucchero che vengono coltivate in Tanzania,

Zimbabwe, Angola, Madagascar e Sud Africa. Se si esclude la jatropha, le altre colture usate per la produzione di biocarburanti sono fonte di cibo per la popolazione dei paesi in via di sviluppo, e ciò innesca il pericoloso meccanismo della sostituzione delle coltivazioni a fini alimentari con quelle a fini energetici, sicuramente uno dei nodi cruciali del land grabbing in particolare in Africa.

Infatti, le terre che vengono destinate alla produzione di biocarburanti non possono quindi essere utilizzate per la produzione di cibo per la popolazione locale, e chi prima le lavorava per il proprio sostentamento in seguito a queste acquisizioni ne viene privato. Gli impatti che possono generare questi investimenti sulla popolazione e sullo stesso governo del paese possono essere davvero enormi.

La scelta di coltivare le terre per la produzione di biocarburanti varia da paese a paese. Ad esempio, in Etiopia il 98% dei progetti registrati è diretto alla produzione di coltivazione destinate alla produzione di beni alimentari soltanto il 2 % è destinato per la produzione di biocarburanti. Mentre vi sono paesi come la Tanzania e il Mozambico in cui la maggior parte delle terre dove sono localizzati i progetti è destinata alla produzione di biocarburanti. In Mozambico circa tre milioni di ettari di terra sono stati ceduti e gran parte di questi sono destinati alla produzione dei biocarburanti. Tra i principali investitori in Mozambico vi sono i paesi europei e gli Stati Uniti, come

74 La jatropha è un arbusto in gradi si produrre un frutto ricco di olio, il valore di questa pianta è aumentato notevolmente per il suo utilizzo come materia prima prodotta su larga scala per la produzione di biocarburanti. Uno dei vantaggi principali della jatropha è il fatto che può essere coltivata anche in regioni dove il clima è arido e poco piovoso. Questa pianta non è commestibile né per l’uomo né per gli animali.

abbiamo visto precedentemente infatti è proprio l’industria dei biocarburanti la principale motivazione che spinge questi paesi ad acquisire terre nel sud del mondo e in particolare in Africa.

Mentre invece quando la produzione agricola non è destinata alla produzione di energia ma alla produzione di alimenti, questi in gran parte sono destinati all’esportazione. Secondo un’indagine svolta da land matrix nel 2012 su 393 casi di land grabbing presi in considerazione a livello globale, solo nel 7% dei casi i prodotti venivano venduti totalmente sul mercato nazionale mentre quasi il 70% solo all’estero. L’Africa come si è visto è il continente più esposto al fenomeno e paradossalmente mentre la comunità internazionale si mobilitava per fornire cibo alle popolazioni affamate gli imprenditori del land grabbing ne esportavano a tonnellate.

Uno degli esempi più drammatici è rappresentato dall’Etiopia in cui la percentuale di persone che vivono sotto il livello di povertà è allarmante. A trent’anni dalla grande carestia che colpì l’Etiopia, il Paese sebbene stia meglio, non è ancora in grado di garantire a tutti i sui abitanti la sicurezza alimentare. Secondo L’Indice di Sviluppo Umano, l’Etiopia su 188 paesi è collocata al 174°. La popolazione etiope (stimata al 2015) è di 99 milioni abitanti, e l’80% di essa vive in zone rurali75 . La povertà è ancora

ampiamente diffusa e riguarda un terzo della popolazione, la quale è concentrata maggiormente nelle aree rurali76. La siccità è sempre in agguato e durante tutte le estati

la comunità internazionale si adopera per fornire aiuti alimentari, infatti dagli aiuti alimentari dipendono milioni di poveri in Etiopia. Ad esempio, nel 2009 il governo etiope chiese alla comunità internazionale lo stanziamento di 174 milioni di dollari per affrontare la gravissima siccità che colpiva il paese e che metteva a rischio 23 milioni di persone in tutta l’Africa orientale. Ma per quanto possa sembrare un paradosso, mentre milioni di persone dovevano combattere contro la fame e la comunità internazionale si muoveva in loro aiuto, il governo etiope metteva a disposizione degli investitori 2,7 milioni di ettari di terra fertile, terra che sarebbe stata usata e sfruttata per la coltivazione di grano, riso, ortaggi, rose e biocarburanti da esportare77. L’ economia in

Etiopia principalmente è basata sull’agricoltura, infatti il settore agricolo garantisce il 42% del Pil del Paese. Secondo il ministro dell’Agricoltura, su 74 milioni di ettari di terra coltivabile in Etiopia soltanto tra il 14 e i 18 milioni venivano usati e sfruttati da

75 Cfr. www.fao.org, consultato in data 01/02/2018. 76 Ibidem.

piccoli contadini per la propria sussistenza. Gli investimenti quindi vengono considerati fondamentali dall’esecutivo etiope. Tra le motivazioni che vengono fornite dal governo etiope riguardo la scelta di favorire gli investimenti nel proprio paese vi è il fatto che sebbene il Paese abbia abbondanza di terre e manodopera non vi sono abbastanza capitali per far fruttare entrambe le cose. Quindi tra gli obiettivi del governo vi è quello di modernizzare l’agricoltura e tra i benefici che la popolazione dovrebbe trarre da questi investimenti vi è la creazione di nuovi posti di lavoro e il fatto che comunque quelle terre erano “vuote e inutilizzate”. I criteri usati per la classificazione delle terre e quindi definirle inutilizzate o vuote non sono chiari, infatti vi sono più di 12 milioni di pastori che sopravvivono spostandosi tra queste terre molo vaste. Ed è molto difficile che esistano dei territori totalmente disabitati78. Le terre vengono occupate senza alcun

consenso da parte della popolazione. In Etiopia l’unico legittimo proprietario della terra è lo stato, esso attraverso uffici regionali e distrettuali può concedere le aeree coltivabili. Il beneficiario di queste terre non gode del diritto di proprietà ma del semplice usufrutto. La popolazione rurale aveva accolto positivamente questa politica fondiaria, memore delle ingiustizie subite durante il periodo coloniale in cui la terra era in mano ai pochi latifondisti. Ma nello stesso tempo questo sistema politico ha dato al governo un potere enorme, in un paese in cui la maggior parte della popolazione vive nelle zone rurali e di campagna e grazie all’agricoltura, praticamente chi controlla le terre controlla il popolo79. È quindi lo stato che concede le aree coltivate sia ai contadini che vogliono

sfruttarle per la propria sussistenza e sia ai grandi investitori80.

I canoni di locazione di queste terre sono veramente bassissimi, si tratta infatti di affitti fino a 99 anni per dieci dodici dollari all’ettaro compresa poi l’assicurazione dell’esenzione delle imposte fondiarie e sul profitto da cinque a sette anni. Un altro fattore di agevolazione lo hanno garantito anche le varie banche etiopi e la Banca Etiope per lo Sviluppo le quali si sono subito rese disponibili a finanziare i progetti fino al 70% del capitale investito.

Secondo i dati di land matrix in Etiopia sono stati ceduti almeno un milione di ettari di terra. La maggior parte di questi sono destinati alla produzione di beni alimentari perlopiù destinati all’esportazione81. Tra i principali investitori in Etiopia vi sono i

Paesi del Golfo in particolare Arabia Saudita motivati dall’obiettivo di garantire la

78 Ibidem. 79 Ibidem. 80 Ibidem.

sicurezza alimentare nei loro paesi in seguito alla crisi alimentare del 2007/2008 che ha visto schizzare alle stelle i prodotti di base dei beni alimentari come riso, grano, mais e zucchero. Questi paesi quindi scelgono di coltivare altrove i beni alimentari, sicuramente l’Etiopia per diversi motivi rappresenta una candidata ideale. Infatti, il paese etiope è vicino geograficamente, è ricco di terre fertili e quindi ha tutte le caratteristiche giuste per diventare “il nuovo granaio del Golfo Persico”82. Migliaia di

investitori nazionali e stranieri hanno ricevuto la licenza ad avviare imprese agricole. Le zone che sono state individuate dalle autorità etiopi per questi investimenti si trovano in tutte le regioni del Paese dalla ragione del Gambella nell’ovest alla regione dell’Afar nell’est, ma sono concentrate soprattutto nella regione dell’Oromia vicino alla capitale. Nella regione del Gambella in cui gran parte delle terre sono state messe sul mercato l’affitto è appena di 60 centesimi di euro all’ettaro. Questi canoni bassissimi sommati al basso costo della manodopera e vari altri vantaggi concessi dal governo fanno dell’Etiopia uno dei posti al mondo dove più alti sono i profitti derivanti da un investimento in agricoltura.

Tra i principali paesi target dei Paesi del Golfo vi è anche il Sudan, infatti le terre di questo paese offrono una grossa opportunità sia per la vicinanza geografica, che anche dalla comune cultura islamica e ovviamente per la grandissima vastità di terre coltivabili. Infatti, su quasi 637.000 ettari di terra ceduti dal Sudan ben 477.000 sono stai acquisiti dai Paesi del Golfo83.

Alcune delle acquisizioni avvengono gratuitamente ad esempio nel caso della società

Abu Dhabi Development che nel 2009 avviò dei piani in Sudan per la produzione di

erba medica, grano e ortaggi destinati al proprio Paese su 30.000 ettari di terra. L’acquisizione sarebbe dovuta avvenire gratuitamente perché il Sudan in cambio avrebbe potuto accedere all’avanzata tecnologia agricola degli Emirati e soprattutto avrebbe attratto nuovi investimenti.

Oltre agli investitori arabi non potevano mancare anche quelli asiatici, ad esempio la Corea aveva siglato un accordo che prevedeva l’acquisizione di 690.000 ettari da coltivare in grano in partnership con società arabe e con la Cina. La Cina è un partner commerciale del Sudan dagli anni ottanta quando in seguito allo scoppio della guerra civile il governo fu soggetto a delle sanzioni e le compagnie petrolifere occidentali abbandonarono il paese. La Cina approfittando di questa situazione iniziò a stipulare

82 S. Liberti op.cit. pp. 19-21

diversi accordi commerciali con il Sudan. La Repubblica Popolare Cinese chiamata ad esprimersi contro i gravi crimini commessi dal governo di Omar al-Bashir al Consiglio di Sicurezza dell’Onu prese le difese del Sudan. Nel 2009 i due paesi siglarono un memorandum per la cooperazione nel settore agricolo che prevedeva anche la produzione di carne, pesce e foraggio. Secondi i dati di land matrix attualmente la Cina è presente tramite un solo investimento che prevede il controllo e lo sfruttamento di 6667 ettari mentre un secondo progetto iniziato nel 2009 è stato abbandonato nel 201084.

Ciò che provocò lo sdegno delle organizzazioni internazionali e degli attivisti fu che mentre due milioni e mezzo di profughi del Darfur a stento riuscivano a sopravvivere grazie agli aiuti umanitari, il Sudan esportava prodotti agricoli tra i quali alimenti basi per la popolazione del Paese. Per assurdo venivano mandati i beni alimentari attraverso gli aiuti umanitari e allo steso tempo la stessa quantità di prodotti alimentari veniva esportata dal Paese. Inoltre, nel 2008 mentre le Nazioni Unite erano costrette a tagliare le razioni d’emergenza a causa dell’impennata dei prezzi dei beni alimentari, il Sudan raddoppiava le esportazioni di cereali. Attualmente è stimato che il 58% della popolazione del Sudan vive sotto la soglia della povertà. Ben 3,9 milioni di persone non godono della sicurezza alimentare e la maggior parte di questa popolazione si trova nell’ovest del Paese e particolarmente nella regione del Darfur e dello Stato del Mar Rosso85.