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La Tanzania socialista dopo l’indipendenza.

Il fenomeno dell’accaparramento delle terre nello stato delle Tanzania.

4.1 Quadro generale del paese.

4.2.1 La Tanzania socialista dopo l’indipendenza.

La Repubblica Unita di Tanzania nacque nel 1964 in seguito all’unione del Tanganyka e dell’isola di Zanzibar. Il Tanganyka acquisì la sua indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1961. In seguito all’indipendenza del 1961 fu eletto presidente Julius Nyerere, all’epoca la Tanzania era uno dei paesi più poveri dell’Africa. Guidata da Nyerere la Tanzania intraprese una politica basata sul non allineamento, la difesa dell’unità africana e l’appoggio incondizionato ai movimenti di liberazione, in particolare al FRELIMO (Fronte di Liberazione del Mozambico) del vicino Mozambico. Il governo di Nyerere abbandonò presto il sistema multipartitico per passare al partito unico e nei primi anni ‘60 tentò di promuovere la crescita economica del paese attraverso programmi che richiedevano un forte dispendio di capitali, per poi abbracciare l’Ujamaa (la parola

Ujamaa in swahili significa famiglia), ossia un modello di socialismo africano che si

basava sullo sviluppo dell’agricoltura familiare per mezzo delle proprie risorse, puntando quindi alla promozione dell’autosufficienza nazionale. Adottato nel 1967 con la dichiarazione di Arusha, il socialismo ujamaa avrebbe dovuto consentire al paese di liberarsi dai pesanti condizionamenti della dipendenza coloniale attraverso la valorizzazione delle risorse naturali e umane del paese e attraverso una redistribuzione egualitaria sia delle risorse e sia della crescita economica. Secondo tale ideologia, la crescita economica doveva avvenire grazie alle risorse umane e materiali presenti all’interno del paese stesso4. Alla base di questa struttura economica vi era

l’organizzazione del lavoro agricolo in villaggi, all’interno di essi la distribuzione delle

1 Fao, Tanzania. Country Programming Framework, in www.fao.org, gennaio 2014, p. 3. consultato in data 14/02/2018.

2 Ibidem. 3 Ibidem.

4 A. M. Gentili, Il leone e il cacciatore. Storia dell’Africa sub-sahariana, Roma, 1995, La Nuova Italia Scientifica, p.361.

risorse e i modelli di distribuzione dovevano essere ispirati ai principi di eguaglianza e cooperazione5. La visione socialista di Nyerere univa modernizzazione economica e

nazionalismo ed era caratterizzata da un forte richiamo ideologico dei valori tradizionali africani, del lavoro comune, dell’uguaglianza e della solidarietà6. Nyerere politicamente

legittimava la scelta di questa nuova struttura economica, la quale si basava sui modelli di collettivizzazione e appropriazione collettiva delle risorse, facendo riferimento alla volontà di ripristinare le tradizioni di vita africane. In realtà, questi erano concetti estranei alla tradizione rurale africana. Infatti, secondo la tradizione africana la proprietà comune della terra significava un suo usufrutto secondo degli schemi gerarchici, e la coltivazione avveniva attraverso delle singole unità e non in maniera collettiva, perlopiù si trattava di famiglie che si servivano dei prodotti ottenuti dalla terra per il proprio uso e sostentamento7.

La realizzazione della ujamaa avvenne a partire da fine degli anni 60 fino a inizio anni ‘70, le regioni venivano coinvolte in base a priorità e modalità diverse. I primi ad accogliere i nuovi piani del governo furono piccoli gruppi di contadini, i quali precedentemente avevano lavorato nelle piantagioni e vedevano in questa nuova pianificazione economica e agricola, la possibilità di acquisire in proprietà dei piccoli appezzamenti di terra. In seguito, furono creati spontaneamente altri villaggi, spesso erano degli agricoltori benestanti che davano l’impulso alla formazione di questi nuovi villaggi con la speranza di ottenere dallo stato degli aiuti per aumentare la loro produzione, quindi non erano realmente interessati alla coltivazione collettiva dei campi. Infine, nel novembre del 1973 il governo decise di passare alle maniere forti imprimendo una accelerazione della “villaggizzazione” decretando che entro il 1976 l’intera popolazione della Tanzania avrebbe dovuto risiedere nei villaggi8. Il modo in cui

il governo cercò di attuare questo sistema si rivelò piuttosto difficile, infatti più che la partecipazione dal basso presto prevalsero metodi di dirigismo burocratico che piuttosto che privilegiare la partecipazione si basavano su metodi coercitivi. Metodi coercitivi legittimati dallo stesso Nyerere, che contro la resistenza delle popolazioni ad abbandonare i propri territori per spostarsi nei villaggi, in una sua dichiarazione affermò che andare a vivere nei villaggi era un ordine. La burocratizzazione dell’ujamaa nelle

5 A. Pallotti, Alla ricerca della democrazia. L’Africa sub-sahariana tra autoritarismo e sviluppo, Soveria Mannelli, 2013, Rubbettino, pp. 60-61.

6 Ibidem. 7 Ibidem.

aree rurali sentenziò la fine di quella promozione dal basso di un modello di sviluppo socialista che tanto aveva sottolineato e rimarcato Nyerere durante gli anni Sessanta. Inoltre, la volontà a partire dal 1973 di reinsediare la popolazione dei villaggi aveva fatto cadere uno degli obietti primari della Dichiarazione di Arusha, la quale mirava alla promozione della coltivazione collettiva dei campi, infatti alla fine delle varie operazioni si stimava che circa dieci milioni di persone vivevano nei villaggi9. La

Tanzania dell’ujamaa aveva suscitato un grande interesse nella comunità internazionale grazie al suo modello di sviluppo innovativo fondato sul socialismo egalitario, e che mirava a privilegiare lo sviluppo dal basso partendo dalle zone rurali, ma nonostante questi propositi finì con il rafforzare nel partito e nel governo quei elementi e comportamenti burocratico-dirigisti tipici anche del modello coloniale10. Inoltre,

Nyerere che vedeva la realizzazione della ujamma attraverso la democrazia partecipativa e enfatizzava il ruolo della piccola agricoltura, in realtà pose fine al pluralismo politico e lasciò le aree rurali in una condizione di grave precarietà economica11. La lotta alla povertà che rappresentò una delle principali priorità del

governo del Paese da una parte aveva assicurato un miglioramento degli indicatori sociali, ma dall’altra rafforzò il potere della burocrazia statale12. Ma, nonostante i

deludenti risultati dal punto di vista economico, l’ujama lasciò un importante eredità politico-istituzionale alla Tanzania e ha condizionato in maniera significativa l’evoluzione del processo di democratizzazione che iniziò a partire dagli novanta13.

9 A. Pallotti, op.cit., pp. 60-63. 10 Ibidem. 11 Ivi p 46. 12 Ibidem. 13 Ibidem.