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Le risorse dell’Africa: la terra africana e la sua storia.

Land grabbing in Africa Subsahariana.

3.1 Le risorse dell’Africa: la terra africana e la sua storia.

Le popolazioni africane considerano la terra non solo come uno strumento economico ma essa ha un importante valore sociale e culturale. La terra è stata un fattore determinante nella formazione dell'identità sociale, dell'organizzazione religiosa, politica e culturale1. Il rispetto verso la terra è quindi insito nella cultura africana, questo

modo di rapportarsi ad essa ha fatto sì che la terra venisse utilizzata in maniera sostenibile e le società si sono sviluppate e adattate ad essa. La terra viene concessa a chi vi abita dagli antenati essa viene lasciata alla comunità e non ad una singola persona, per cui il possesso della terra è di tipo comunitario e praticamente viene considerata come se fosse un prestito per cui non ha un valore commerciale2. Secondo

la visione africana la terra rappresenta un’entità superiore che permette alla comunità di occuparla, in questo senso il territorio preesiste alla società che vi si insedia ed è la società che si conforma e si adatta ad essa. La legittimazione tra società e territorio avviene tramite gli antenati che sono i primi ad avere la concessione dei terreni e a loro

1 Grain, Acaparan tierras en Africa en pos de agrocombustibiles, in www.grain.org, 14 gennaio 2010, consultato in data 16/01/2018.

2 G. Chiusano, E. Dansero, Ori d'Africa: terra, acqua, risorse minerarie ed energetiche, Aiep, 2012. p.100.

volto la lasciano ai discendenti3. La terra, nella maggior parte dei paesi dell’Africa

Subsahariana, quindi è vista come un bene della comunità, un’entità superiore in contatto perenne con gli antenati e l’uomo che la occupa non ha nessun potere su di essa.

In epoca passata ossia durante il periodo de grandi regni africani la terra era occupata da una popolazione poco numerosa che godeva della possibilità di sfruttare di territori molto estesi.

I terreni coltivati venivano lasciati riposare in modo da ridonare al terreno la sua fertilità e questo sicuramente garantiva una piena sostenibilità ambientale. La sostenibilità ambientale era garantita anche dalle forme di allevamento che avvenivano nelle aree di savana e steppa, perlopiù in maniera nomade e transumante. Pastori e agricoltori convivevano armoniosamente nelle stesse terre in determinati periodi scambiandosi i prodotti ricavati dalle proprie attività. Fino al Diciannovesimo secolo le foreste dell'Africa Subsahariana venivano sfruttate in maniera molto minore rispetto alla loro potenzialità produttiva4.

Con l'epoca coloniale le cose cambiarono e l'equilibrio ambientale fino ad allora preservato andò a rompersi. I coloni giunti nelle regioni africane iniziarono ad occupare vaste superfici di terre, le foreste che fino ad allora erano incontaminate o quasi, iniziarono ad essere sfruttate e i boschi venivano tagliati anche se con criteri selvicolturali. In seguito all'avvento dei coloni iniziarono ad esserci delle conflittualità tra pastori e agricoltori che fino a prima convivano serenamente, questo perché agli agricoltori venivano assegnate terre che prima erano riservate al pascolo degli animali e quindi gli allevatori dovevano fare i conti con il fatto che le terre erano ridotte rispetto ai capi di bestiame che invece erano aumentati. Così i campi che prima erano sfruttati in maniera sostenibile iniziarono ad essere. degradati5.

In epoca coloniale l'accesso alla terra rappresentava un punto fondamentale per lo sfruttamento economico dei paesi colonizzati. Infatti, i coloni necessitavano sia di terre che dei contadini che potessero lavorarle, le società dei coloni si erano appropriate di così grandi superfici di terra che non riuscivano nemmeno a sfruttarle interamente6. Il

modo in cui i coloni si appropriavano delle terre africane erano piuttosto dubbi. La terra

3 A. Pase, Linee sulla terra. Confini politici e limiti fondiari in Africa Subsahariana, Roma, Carocci, 2011, p.125.

4 G. Chiusano, E. Dansero, op.cit., pp. 100-101. 5 Ibidem.

che veniva ipoteticamente considerata inutilizzata veniva prima annessa allo stato come terra della corona e poi veniva affidata alle società o ai coloni tramite compravendita o affitto. Le società o i coloni quindi potevano sfruttare queste terre oppure potevano acquisirle direttamente dai sovrani indigeni. I coloni acquisivano le terre dagli indigeni tramite la stipulazione di contratti, tuttavia il valore di questi contratti era alquanto opinabile considerando che tali contratti avvenivano o con l'uso della forza e con l'inganno o semplicemente venivano ampiamente ignorate le forme tradizionali della terra africana7.

I coloni europei ignoravano totalmente la tradizione africana in base a cui la terra apparteneva alla comunità secondo una consuetudine, e non era considerata una proprietà come invece era inteso nella concezione occidentale. Le comunità che occupavano le terre potevano decidere di non utilizzarle e spesso lo facevano per far riposare i terreni in modo che questi potessero tornare ad essere fertili, ma tutto ciò non veniva considerato dai coloni i quali avevano premura di ottenere le terre e miravano ad ottenere titoli di proprietà chiari che testimoniassero le loro proprietà. I coloni praticamente scacciavano la popolazione locale dalle loro terre. Questo sicuramente poteva essere causa di rivolte e ribellione, per cercare di mantenere una certa stabilità, i coloni in alcuni casi assegnarono le terre come proprietà private anche ai locali, comunque dove questo avvenne non fu su larga scala. In altri casi invece adottarono un'altra soluzione, ossia furono mantenute le condizioni di proprietà preesistenti, queste zone erano protette giuridicamente e non potevano essere annesse dai coloni. Nelle zone cosiddette bianche, ossia quelle possedute dai coloni, gli africani non ci potevano accedere, non potevano acquistarle e al massimo le potevano affittare e in cambio si offrivano come manodopera oppure ci vivevano come squatters ossia potevano risiedere nelle fattorie dei coloni e usufruire di una piccola parte di terra e in cambio dovevano lavorare per i proprietari. Oppure l’alternativa per la popolazione locale africana era quella di lavorare alle dipendenze dei coloni e spostarsi da una fattoria all'altra.

Nelle zone nere, invece, ossia quelle zone protette dalle acquisizioni dei coloni europei, la maggior parte della popolazione viveva stipata poiché i terreni erano veramente di piccole dimensioni rispetto alla popolazione che vi risiedeva. Spesso il terreno destinato alle comunità africane era poco redditizio e comunque non bastava per la produzione di cibo destinato al sostentamento della popolazione, cosi chi vi risiedeva era comunque

costretto a lavorare altrove ossia presso le fattorie dei coloni europei. Questo genere di politiche fondiarie fu adottato soprattutto nel periodo tra le due guerre. Dal 1930 la colonia britannica cambiò questo tipo di politica, le terre venivano assegnate in modo scritto, e gli indigeni ottenevano in concessione le terre meno redditizie e i fondi più piccoli. In Rhodesia meridionale e in Kenya furono promulgate alcune ordinanze che bloccavano l'intraprendenza economica e la formazione libera della proprietà delle terre. La colonia francese mantenne le attività agricole già presenti, quella tedesca cercò di proteggere le regioni agricole autoctone mentre invece nell’Africa sud occidentale le terre furono espropriate e assegnate ai coloni tedeschi. I modi di agire dipendevano dagli interessi economici, politici che i coloni avevano rispetto ai territori che occupavano e dalle linee dei governi coloniali. Comunque sia in tutte le colonie i coloni avevano a disposizione vaste aree di terra sicuramente molto più estese rispetto a quelle che poteva usare la popolazione indigena. Le potenze coloniali non solo si appropriarono delle terre indigene ma sfruttarono la popolazione locale per avere la manodopera necessaria per la lavorazione delle terre e non solo. I colonizzatori infatti si avvalsero del lavoro forzato sia nelle piantagioni che nella costruzione di strade e opere pubbliche. Con la fine del periodo coloniale se si considera il valore profondo e spirituale della terra nell'Africa subsahariana è facile comprendere come la questione della terra sia stata tra gli obiettivi della lotta per l'indipendenza. E in seguito al raggiungimento dell'indipendenza i paesi africani dovettero affrontare il problema della gestione delle terre8.

I modelli utilizzati furono questi:

- il modello liberista mirato allo sviluppo dell'agricoltura impiegando anche le imprese locali o degli ex coloni che erano già presenti. Le terre erano destinate alle piantagioni per l'esportazione e si trovavano nelle zone in cui i terreni erano migliori. Inoltre, si tentava allo stesso tempo di sviluppare sia le piccole proprietà private che i terreni di superfici più vaste che appartenevano alle comunità rurali ed erano utilizzati per il consumo locale. Tuttavia, la produttività era mirata più che altro all'esportazione piuttosto che per il consumo locale. Infatti, la produzione per il consumo locale non era sufficiente a coprire la richiesta della popolazione che era in continuo aumento;

- un modello più vicino alla tradizione locale ma che accettava comunque la presenza di imprese capitalistiche straniere;

- modello socialista che aboliva la proprietà privata. In questo modello era lo stato ad essere proprietario delle terre e le concedeva per il loro sfruttamento alle comunità locali o a singoli soggetti. Inizialmente coloro i quali ottenevano in usufrutto queste terre non potevano cederle ad altri né queste potevano essere cedute per via ereditaria ai figli. Allo stato attuale è possibile cederle ma questo avviene in base a una regolamentazione poco chiara. Attualmente in Africa solo il 10% delle terre è detenuto in maniera formale e la maggior parte di queste terre si trova presso i centri urbani, mentre nelle zone rurali il 90% delle terre appartiene ai villaggi, gruppi o famiglie che la posseggono e la lavorano in base al diritto consuetudinario, diritto che non è riconosciuto ufficialmente9.

Nei paesi che adottarono il modello liberista, a trarre maggiore beneficio furono i grandi produttori che godettero dell’efficienza della produzione agricola grazie alle nuove tecnologie. La comunità rurale locale invece non potendo competere con le nuove infrastrutture fu svantaggiata. Dove invece fu attuato il modello socialista le terre furono nazionalizzate, furono creati estesi territori di produzione statale o parastatale, vennero incentivati i sistemi cooperativi di sviluppo oppure di collettivizzazione come in Tanzania10. Le varie forme di agricoltura collettiva dal punto di vista economico non

furono abbastanza efficaci, sia nel caso dell’Etiopia dopo la rivoluzione socialista del 1974, che del Mozambico che ottenne l’indipendenza nel 1975 e così anche per la Tanzania di Nyerere che guidava il paese secondo il socialismo ispirato al principio dell’ujamaa e che comunque ottenne importanti risultati. Uno dei motivi che portò al fallimento dei sistemi agricoli in generale fu l'aumento vertiginoso della popolazione, infatti dai 200 milioni di abitanti degli anni cinquanta si passò ai 400 milioni intorno al 1980, tale aumento demografico non accennò a diminuire e tuttora il continente africano è caratterizzato da un importante crescita demografica11. Negli anni settanta la

popolazione africana crebbe in media del 2,8 % l'anno, mentre invece la produzione delle derrate alimentare era insufficiente per sfamare l'intera popolazione12. La bassa

produttività agricola non garantiva il sostentamento dell'intera popolazione. Un altro fattore che contribuì alla crisi agricola in seguito alle indipendenze africane risiede nel fragile ecosistema africano compromesso dallo sfruttamento agricolo pienamente in linea con il modello coloniale che di base aveva causato un'ulteriore emarginazione

9 Ibidem.

10 A. M, Gentili, op. cit., pp. 398-401 11 W. Speitkamp, op.cit., p. 203. 12 Ibidem.

della comunità rurale locale. Anche in seguito alle indipendenze degli stati africani quindi il regime coloniale nel settore agricolo veniva mantenuto a svantaggio delle popolazioni contadine. Le condizioni di vita poco agevoli per le comunità rurali locali incentivarono l'emigrazione dei contadini verso le città alla ricerca di una vita migliore13. Indipendentemente dal modello ideologico a cui gli stati africani si

ispiravano la linea che seguirono era quella di intensificare lo sfruttamento dei produttori agricoli14. Le economie degli stati africani post-coloniali dipendevano

soprattutto dai mercati esterni. In seguito alle indipendenze con gli stati coloniali, i paesi africani indipendentemente dal modello ideologico da cui erano ispirati ereditarono le strutture produttive e di scambio del periodo coloniale15. Nei paesi ispirati dal modello

capitalista benché le imprese private godevano di piena libertà d'azione, lo stato continuava ad avere un ruolo basilare e di primo piano. Infatti, i paesi capitalisti nonostante non procedessero con le nazionalizzazioni avevano mantenuto lo schema coloniale in cui l’economia veniva controllata dall’amministrazione statale16. Negli stati

socialisti lo stato aveva pieno potere sull'economia, dalla pianificazione al controllo della distribuzione e gestione delle principali imprese produttive. Alla luce di ciò si riscontra il fatto che il ruolo dello stato è di primo piano sia nei paesi di impronta socialista che sia nei paesi capitalisti per cui secondo questo sistema sarebbe lecito pensare che tutti i paesi africani siano socialisti17. Ma se si prende in considerazione il

peso delle autorità pubbliche sull'economia allora si potrebbe considerare tutti gli stati africani come capitalisti. Il ruolo attivo dello stato è una caratteristica propria dello stato coloniale che è stata conservata da tutti gli stati africani anche dopo la conquista dell'indipendenza18. 13 A. M. Gentili, op.cit., p. 388. 14 Ibidem. 15 Ibidem. 16 Ibidem. 17 Ibidem. 18 Ibidem.