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Land grabbing in Africa Subsahariana.

3.3 Il mito della terra vuota.

Sicuramente le terre africane offrono una grande opportunità per chi investe, infatti più della metà della terra disponibile a livello globale e che potrebbe essere utilizzata e resa coltivabile si trova in 10 paesi di cui ben sei di questi sono africani (Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Madagascar, Ciad e Zambia) ed ammonterebbe a 445 milioni di ettari pari a un terzo della terra coltivabile31. Questa grande disponibilità

di terra indubbiamente rende i paesi africani i primi candidati nel fenomeno della corsa alle terre. Secondo le stime della Banca Mondiale più del 70% della terra oggetto di investimenti su larga scala si trova in Africa32.

Spesso le terre che vengono acquisite vengono definite inutilizzate o marginali, in realtà le terre che poi vengono destinate alle coltivazioni di piantagioni industriali prima erano foreste, torbiere o praterie o comunque erano utilizzate dalla popolazione locale. Definire la terra inutilizzata o marginale sono dei concetti che spesso vengono utilizzati dagli investitori per giustificare le acquisizioni di terra su larga scala. Questi concetti appaiono anche in diversi documenti ufficiali dei paesi africani. In Etiopia ad esempio, l’agenzia nazionale che promuove gli investimenti considera le terre oggetto di acquisizione da parte di investitori stranieri come acquisizioni che riguardano terre inutilizzate33. Ma questo tipo di classificazione è fonte di dubbi, considerando il fatto

che si tratta di un paese dove la maggior parte degli abitanti vive in aree rurali e vive grazie all’agricoltura34. Alcuni studi e ricerche sul paese etiope dimostrano ad esempio

che alcune terre occupate in seguito a questi investimenti e in particolare nelle regioni di

Beninshangul Gumuz e Afar, precedentemente erano utilizzate per la coltivazione

itinerante35 e per il pascolo. Questi studi dimostrano quindi che tali terre erano occupate

e sfruttate anche precedentemente all’insediamento degli investitori, e vi sono diverse ricerche che testimoniano la stessa situazione in altre ragione dell’Africa come ad esempio in Tanzania e Mozambico36. Il Mozambico con l’intenzione di attrarre nuovi

31 G. Chiusano, E. Dansero, op.cit., pp. 90-91. 32 Ibidem.

33 L. Cotula, S. Vermeulen, R. Leonard, J. Keeley, op.cit., p.62. 34 Ibidem.

35 L’agricoltura itinerante è un tipo di agricoltura in cui a brevi periodi di agricoltura si alternano peridi di maggese, ossia la terra viene messa a riposo in modo da prepararla per una successiva coltivazione e quindi rendere il terreno più fertile. Viene praticata solitamente nei terreni più aridi, è un sistema molto antico che risale al neolitico.

investimenti sulle sue terre dichiarava che solo il 9% dei 36 milioni di terra coltivabile era in uso e c’era la possibilità di sfruttare ulteriori 41,2 milioni di ettari non utilizzati. La Tanzania invece sottolineava che il paese disponeva di 94,5 milioni di ettari di terra dei quali dieci milioni erano coltivati, 26 milioni destinati all’allevamento e ben 58,3 milioni di ettari erano disponibili, inoltre per facilitare gli investimenti in Tanzania il governo istituì una banca della terra al fine di custodire gli ettari (milioni di ettari) da concedere agli investitori stranieri37. Cosi, come nel caso etiope, lo stesso vale per molti

altri paesi africani, ossia queste terre vengono definite inutilizzate dagli stessi governi ma in realtà in Africa la popolazione dedita all’agricoltura è triplicata riducendo il rapporto tra superficie disponibile e popolazione. In Etiopia, Kenya e Tanzania ogni abitante può contare su metà della terra rispetto a cinquanta anni fa, e in futuro questa disponibilità potrebbe continuare a diminuire38. Secondo le stime ONU nel 2050 la

popolazione africana raggiungerà i 2,4 miliardi di abitanti. In base a queste stime l’Etiopia arriverà ad avere 157 milioni di abitanti nel 2050, il Ghana 190, il Madagascar 73, la Tanzania 116, il Sudan passerà a 30 milioni, il Mozambico a 55 milioni e il Mali a 23 milioni di abitanti39. Anche in paesi con spazi enormi quindi le aree davvero libere e

non ancora produttive diminuiscono, ma questo non ferma i governi dei paesi africani che continuano a proporre i loro terreni agli investitori.

I concetti di terra inutilizzata o emarginata più che riflettere la reale utilizzazione e sfruttamento della terra si concentrano sul livello di produttività di essa. Questi termini spesso fanno riferimento non alle terre inoccupate ma a quelle terre che secondo il governo vengono utilizzate in maniera non produttiva40. Il grado di produttività di una

terra non deve essere necessariamente riferito al suo riscontro economico, infatti una terra può essere poco produttiva ma comunque essere indispensabile e vitale per le comunità locali che la occupano41. L’agricoltura nell’Africa Subsahariana permette il

sostentamento del 65% della popolazione e assicura il cibo nelle varie zone urbane42.

Nonostante ciò in Africa duecento milioni di persone soffrono la fame43. L’importanza

dell’agricoltura familiare in Africa si può riscontrare anche grazie ai dati della ONG

37 F. Roiatti, Il nuovo colonialismo. Caccia alle terre coltivabili, 2010, Università Bocconi Editore, pp.102-104.

38 Ibidem.

39 L. Cotula, S. Vermeulen, R. Leonard, J. Keeley, op.cit. p. 60. 40 Ibidem.

41 Ibidem.

42 C. Fiamingo, L. Ciabarri, M. Van Aken, I conflitti per la terra. Tra Accaparramento, consumo e

accesso indisciplinato, Lungavilla, Edizioni Altravista, 2014, pp. 140-141.

Rights and Resources Initiative secondo la quale mezzo miliardo di persone in Africa

dipende da circa 3,5 miliardi di acri coltivati da piccoli agricoltori, si tratta degli stessi terreni che spesso gli investitori stranieri definiscono sottoutilizzati44. Secondo i dati

dell’ILC (International Land Coalition), dal 2000 al 2010 in Africa sono stati acquisiti circa 261 milioni di ettari di terra coltivabile e un apporto significativo è stato dato da dalle istituzioni finanziarie e dai fondi pensione45. Inoltre, talvolta l’intervento avviene

in terre il cui uso è oggetto di un equilibrio delicato tra etnie. Intervenire sugli assetti agricoli e territoriali di questi paesi e quindi cambiare i sistemi di accesso e di uso della terra può comportare anche il dover trovarsi di fronte a questioni e rivendicazioni non solo economiche come ad esempio il riconoscimento di indennizzi agli agricoltori locali, ma anche sociali e culturali.