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Il fenomeno dell’accaparramento delle terre nello stato delle Tanzania.

4.3 Panorama generale del land grabbing in Tanzania.

4.4.1 Il caso Sun Biofuels.

L’azienda Sun Biofuels è una società di origine britannica che da alcuni anni si è lanciata nel business dei biocarburanti in Africa Orientale, infatti oltre alla concessione in Tanzania ne possiede un’altra in Mozambico e una in Etiopia. Il progetto presentato dall’azienda britannica in Tanzania riguarda l’acquisizione di 8.000 ettari di terra destinati alla coltivazione della jatropha con un contratto d’affitto valido per 99 anni47.

La regione oggetto dell’investimento si trova nel distretto di Kisarawe che si trova a 70 km da Dar es Salaam, capitale politica ed economica della Tanzania. Inoltre, la posizione di questa località è molto positiva per gli investitori a causa della vicinanza alla costa e all’aeroporto di Dar es Saalam. Nella zona oggetto dell’investimento si trovano 11 villaggi e la popolazione di questi villaggi supera i 12.000 abitanti. Il caso dei distretti di Kisarawe ha ricevuto molta attenzione da parte dei media ed ha contribuito ad accrescere la preoccupazione sui diritti all’accesso delle terre e l’impatto degli investimenti nel settore dei biocarburanti in Tanzania48.

Una prima fase di negoziazione ebbe luogo nel 2006 quando un parlamentare del

46 United Republic of Tanzania, Ministry of Energy and Minerals, Guidelines for sustainable liquid biofuels development in Tanzania, 2010, in http://www.tzdpg.or.tz, consultato in data 20/02/2018.

47 F. Nelson, E. Sulle, E. Lekaita, Land Grabbing and Political Transformation in Tanzania, 2012, pp. 10-12, consultato in data 19/02/2018.

distretto di Kisarawe tenne una serie di incontri con le popolazioni degli undici villaggi del distretto per proporre l’eventuale progetto dell’investimento e ascoltare domande e dubbi della popolazione. Il parlamentare espose le intenzioni dell’azienda britannica presentando l’investimento nelle loro terre come un’opportunità di sviluppo da non perdere. Infatti, la Sun Biofuels in cambio delle terre si offriva di creare o ristrutturare scuole, costruire centri medici, riparare strade e fornire nuovi strumenti agricoli e inoltre la creazione di nuovi posti lavoro49. I villaggi hanno accettato di cedere le proprie terre

in cambio di queste promesse e hanno ceduto chi il 30, chi il 35, chi il 45 per cento dei propri terreni. Tuttavia, nonostante le popolazioni hanno dato il loro consenso a cedere le terre non c’è nessun documento legale che possa attestare questi accordi. Inoltre, alcune compensazioni sono state pagate mentre altre no, poi i criteri per stabilire il valore delle terre non sono chiari, né è chiaro perché alcuni villaggi e alcuni proprietari hanno ricevuto indennizzi e altri no. Nel villaggio di Muhaga ad esempio, dopo circa due anni dall’accordo, la ditta britannica non aveva mantenuto nessuna delle sue promesse, ossia nessun nuovo ospedale, nessuna nuova scuola, stesse strade dissestate e nessuna pompa per l’acqua corrente, soltanto due famiglie ottennero degli indennizzi50.

La maggior parte delle promesse non vennero mantenute, a parte una, quella della creazione dei posti di lavoro. Infatti, qualche centinaio di persone furono impiegate nelle piantagioni con contratti da 108.000 scellini al mese che equivalgono circa a 54 euro51. Benché la paga sia più alta rispetto al salario minimo previsto dal governo del

Paese, le condizioni lavorative sono piuttosto difficili e dure, ad esempio per i lavoratori non vi è nessuna protezione dai pesticidi. Come negli altri villaggi del distretto anche in questo villaggio il consenso a cedere le proprie terre è avvenuto oralmente senza alcuna documentazione formale. Infatti, molti dei villaggi ancora non sanno quanti ettari hanno effettivamente ceduto e nemmeno hanno la certezza di ricevere compensazioni. Ad esempio, l’unico documento in mano al villaggio di Muhaga è una lettera d’impegno su carta intestata che dice che presto sarebbe stato apportato un programma per garantire l’acqua pulita agli undici villaggi. Tuttavia, anche questa promessa non venne mantenuta52.

Le terre oggetto dell’investimento dell’azienda inglese fino agli anni settanta erano

49 D. Carrington, UK firm’s failed biofuel dream wrecks lives of Tanzania villagers, The Guardian, 30 ottobre 2011, in www.theguardian.com , consultato in data 21/02/2018.

50 S. Liberti, op.cit., pp. 212-213. 51 Ibidem.

abitate dalla popolazione locale che poi in seguito alle politiche di villaggizazzione fu spostata nei villaggi. Tuttavia, la comunità locale continuava a sfruttare queste terre per la propria sussistenza, coltivando i terreni. Tuttavia, dopo lo spostamento della popolazione nei villaggi, quelle terre sono state ricoperte dalle foreste. Comunque, la popolazione locale ha continuato a sfruttarle praticando una serie di attività come la caccia, la raccolta della legna e di frutti, di vegetali, funghi ma soprattutto venivano sfruttate anche le risorse idriche di queste terre. Queste attività di sussistenza erano alla base della vita di queste comunità, ed erano e sono le donne che prevalentemente se ne occupano. Durante la negoziazione degli accordi questi fattori non sono stati tenuti in considerazione, infatti le terre sono state classificate come marginali e inutilizzate, ma in realtà rappresentavano una fonte primaria di sussistenza per queste comunità. Il risarcimento stabilito dalla legislazione del Paese dopo otto anni dalla stipula degli accordi non era stato ancora corrisposto. Dinamiche di questo tipo sono avvenute anche in diversi altri distretti della Tanzania, il caso della Sun Biofuels è indicativo per poter comprendere in che modo si svolgono le acquisizioni su larga nella maggior parte della Tanzania. Come detto precedentemente gran parte delle promesse fatte dall’azienda inglese non sono state mantenute, l’unica ad essere stata mantenuta è stata la creazione dei posti di lavoro, infatti fino al momento del fallimento la Sun Biofuels ha assunto circa 700 persone appartenenti agli undici villaggi. I lavoratori impiegati appartenevano a due categorie, ossia c’erano quelli impiegati su base giornaliera e quelli provvisti di un contratto regolare che prevedeva un lavoro continuativo. A loro volta quelli assunti regolarmente erano divisi in lavoratori qualificati e non qualificati, i lavoratori qualificati percepivano uno stipendio più alto rispetto ai non qualificati i quali rappresentavano la maggioranza. I lavoratori giornalieri rispetto a quelli assunti per un tempo continuativo non godevano di alcuni benefici, come ad esempio l’assicurazione sanitaria o la buonuscita. Il salario pagato dall’azienda inglese sicuramente era superiore rispetto al salario minimo percepito dagli altri lavoratori tanzaniani ma nella maggior parte dei casi le condizioni lavorative non erano delle migliori. Il lavoro in piantagione era caratterizzato dalle scarse condizioni igienico sanitarie, dal pesante carico di lavoro, e dalla mancata protezione e formazione all’uso di sostanza chimiche come i pesticidi con conseguenti rischi per la salute. Generalmente i lavoratori assunti dalla Sun Biofuels erano quelli che prima che la terra venisse occupata dall’azienda, possedevano gli appezzamenti più piccoli, e probabilmente hanno accettato quel lavoro poiché non riuscivano a raggiungere un reddito sufficiente dalle proprie terre. Inoltre, i lavoratori

che passavano tutto il tempo a lavorare in piantagione non potendo occuparsi delle proprie terre assumevano altre persone che le potessero lavorare. La presenza degli investitori ha cambiato quindi le dinamiche lavorative all’interno di queste popolazioni, attirando anche nuovi lavoratori da altri distretti che venivano impiegati sia nelle piantagioni della società britannica e sia nei piccoli appezzamenti rimasti agli agricoltori locali. Questo nuovo flusso di persone inoltre ha portato all’aumento dei prezzi degli affitti dei terreni e a una maggiore richiesta di beni a livello locale. I vantaggi più grandi li hanno avuti le famiglie costituite da più di un membro che lavorava nella ditta, mentre invece le famiglie dove magari lavorava solo un membro hanno sofferto maggiormente la insicurezza alimentare. Il 50% delle persone che abitavano questi villaggi si trovava in condizioni di insicurezza alimentare. I prezzi dei beni alimentari erano aumentati inoltre la diminuzione delle attività agricole ha portato ha aumentato la dipendenza dagli acquisti. La popolazione con l’arrivo degli investitori ha perso l’accesso alle risorse di quelle terre diventando sempre più dipendente dagli acquisti. Infatti, le popolazioni perdono l’accesso alle foreste che prima venivano usate per attività di sussistenza come la caccia o la raccolta di frutti e la produzione di argilla e altri beni cari per queste popolazioni, perdendo così un’importante fonte di reddito.

Nel 2011 l’azienda fallì, i lavoratori persero il lavoro e le dinamiche lavorative di queste popolazioni tornarono ad essere quelle di prima. Ma l’enorme differenza rispetto a prima è che queste popolazioni non hanno più accesso alle risorse e ai beni che offriva la foresta.

Durante il periodo di attività dell’azienda la creazione di nuovi posti di lavoro per la popolazione locale e la loro retribuzione sicuramente hanno stimolato l’economia locale. La comunità rurale ha avuto la possibilità di avere un’alternativa lavorativa che le consentiva di aumentare il proprio reddito e migliorare la propria condizione economica. Inoltre, anche molte donne sono state impiegate e hanno percepito uno stipendio. Tuttavia, nel complesso gli impatti sulle condizioni socio-economiche di molte altre famiglie sono stati negativi. L’arrivo dell’azienda ha determinato la perdita di gran parte delle risorse e una diminuzione del proprio reddito in seguito alla perdita delle terre che occupavano, inoltre anche chi viveva grazie alle attività svolte nella foresta perse una parte consistente del proprio reddito. L’azienda poi non ha rispettato le promesse fatte per ottenere la concessione della terra e quindi le comunità non possono usufruire di nuovi centri medici, nuove scuole e strumenti agricoli e legalmente non possono contestare nulla poiché queste condizioni non erano state inserite formalmente

nel certificato di occupazione. In seguito, il fallimento del progetto ha portato all’annullamento anche di qualsiasi tipo di beneficio anche se esiguo per la popolazione. Le comunità di questi villaggi sono rimaste senza lavoro e senza terre e in cambio dell’occupazione delle proprie terre non hanno ricevuto la realizzazione dei servizi sociali e delle infrastrutture che si aspettavano e che erano stati pattuiti.

Conclusioni.

Negli ultimi anni l’ampiezza del fenomeno della mercificazione delle terra ha assunto delle proporzioni sempre più grandi, anche se come avvertono numerosi e autorevoli studiosi si tratta di stime perché nella maggior parte dei casi non vengono rese note l’estensione degli ettari acquistati, il prezzo, gli anni di durata del contratto. E soprattutto le parti contraenti cercano di tenere nascoste le conseguenze economiche e sociali sulle popolazioni colpite dall’esproprio. Infatti, nella maggior parte dei paesi del Sud del mondo non esistono titoli giuridici di proprietà sulla terra che appartiene allo stato e le comunità locali le utilizzano in base a un diritto consuetudinario per la coltivazione e il pascolo.

Dal lavoro svolto emerge quindi il carattere globale del fenomeno dell’accaparramento delle terre che interessa praticamente tutto il pianeta e il fatto che dare una definizione unica a questo fenomeno è praticamente impossibile ma quello che più conta è capire quali sono le conseguenze sulla vita delle comunità e dei paesi colpiti.

L’ampiezza del fenomeno e le relative conseguenze economiche, sociali, politiche hanno catturato l’attenzione e la preoccupazione di Organizzazioni non governative, agenzie governative e attori istituzionali che attraverso varie modalità si sono impegnate non solo nella conoscenza della reale entità del fenomeno ma anche nella proposta di possibili soluzioni che possano soddisfare le esigenze delle parti ma con maggiore attenzione e sostegno alle parti più deboli e vulnerabili.

Ciò che è emerso, è che nella maggior parte dei casi, gli investimenti stranieri non contribuiscono allo sviluppo rurale dei paesi poveri e alla eliminazione della povertà, bensì acuiscono la fragilità della sicurezza alimentare e destabilizzano i rapporti sociali e la cultura di intere comunità rurali. L’espropriazione dei terreni di interi villaggi, infatti impedisce alle popolazioni di avere il libero accesso alle terre e quindi alle risorse che ne derivano. Le comunità infatti non perdono solo un posto dove vivere ma anche la loro unica fonte di sostentamento. Il fenomeno del land grabbing è difficilmente compatibile con il rispetto del diritto del libero accesso alla terra da parte delle popolazioni locali. Uno dei rischi maggiori è quindi la perdita della sicurezza alimentare di queste popolazioni. Infatti l’accaparramento delle terre nella maggior parte dei casi porta alla cessazione dell’uso delle terre coltivabili da parte delle popolazioni locali, allo stesso tempo esse non hanno più accesso alle risorse idriche per l’irrigazione dei terreni e spesso accade che anche l’accesso all’acqua potabile diminuisce. Inoltre, la

popolazione locale non potrà contare sui prodotti agricoli che tradizionalmente usava per il proprio sostentamento poiché questi prodotti vengono sostituiti dagli investitori con coltivazioni destinate alla produzione di biocarburanti o comunque di prodotti alimentari destinati all’esportazione. La mancanza di acqua e di cibo rappresentano quindi un rischio per la salute di queste popolazioni. Dal presente lavoro emergono situazioni, in particolare è stato analizzato il contesto dell’Africa Subsahariana, in cui la gran parte della popolazione vive grazie all’agricoltura familiare. Si tratta di regioni caratterizzate da un alto tasso di povertà il quale è concentrato maggiormente nelle aree rurali. Per cui si assistono a scenari come quello etiope ad esempio, in cui da una parte la popolazione vive grazie agli aiuti umanitari internazionali e dall’altra le terre vengono accaparrate per le coltivazioni di beni alimentari, che poi invece di essere destinati alla popolazione locale in lotta contra la fame vengono esportati.

Sicuramente, ciò che permette agli investitori di avere facile accesso a queste terre sono le condizioni favorevoli offerte dai paesi ospiti. In seguito a un’analisi dei paesi oggetto di questi investimenti emerge come siano essi stessi a proporre le proprie terre agli investitori stranieri. Si tratta di paesi poveri e in via di sviluppo, i quali vedono una grossa opportunità negli investimenti sulle proprie terre, tuttavia come risulta spesso in questi casi di accaparramento, le promesse fatte dagli investitori non vengono mantenute e le opportunità finiscono per essere di gran lunga inferiori alle aspettative. Le leggi di questi paesi non tutelano i diritti della popolazione locale, la quale vive e coltiva le terre in base a dei diritti consuetudinari che non vengono riconosciti formalmente dallo stato. Il continente africano sicuramente rappresenta l’esempio più significativo di questo fenomeno. Come emerge dagli esempi trattati, la terra è spesso mal distribuita e non esistono sistemi fondiari che permettano la registrazione delle proprietà o comunque nei casi in cui essi siano presenti sono poco sviluppati. Un altro fattore che caratterizza questi paesi è l’instabilità politica e gli alti livelli di corruzione nei governi. Tutto ciò ha portato alla creazione del falso mito delle terre vuote, ossia gran parte della terra di queste regioni viene considerata improduttiva e inutilizzata e quindi potenzialmente perfetta per essere riallocata al fine di essere resa produttiva attraverso gli investimenti esteri in agricoltura. Tuttavia, come emerge attraverso l’analisi effettuata in questo lavoro, la terra che viene considerata inutilizzata e improduttiva in realtà non lo è affatto ma è occupata dalla popolazione locale che vi vive grazie alla pratica di un’agricoltura di sussistenza. Uno degli aspetti più controversi è il fatto che il canone d’affitto richiesto per la terra sia irrisorio e spesso inesistente. Gli

stati destinatari degli investimenti sostengono che ciò che conta per loro è soprattutto la realizzazione delle infrastrutture. Questo aspetto traspare nella maggior parte dei paesi dell’Africa Subsahariana, un esempio è fornito dall’affare Daewoo in Madagascar il quale prevedeva la cessione di 1.300.000 di ettari praticamente gratuitamente, in cambio della creazione di nuovi posti di lavoro e dello sviluppo della popolazione locale o come si è visto nel caso della Tanzania in cui la cessione delle terre è avvenuta in cambio della promessa della realizzazione di nuove infrastrutture, la realizzazione di scuole e ospedali e lo sviluppo delle terre in cui avvengono i progetti. Tutte promesse che poi non sono state mantenute.

Uno dei punti chiave è riuscire da un lato a rafforzare le capacità dei governi a negoziare gli accordi con le società e i fondi di investimento esteri, dall’altro tutelare i diritti dei piccoli contadini, dei pastori e delle donne, le parti più deboli e vulnerabili coinvolte in questo fenomeno.

La trasparenza durante la stipula e la negoziazione degli accordi è un requisito fondamentale ma che nella gran parte dei casi è totalmente assente e a farne le spese sono soprattutto gli abitanti dei paesi che cedono la loro principale fonte di sussistenza al migliore offerente. I governi e gli investitori guidati dal desiderio di concludere al più presto l’affare, non consultano le popolazioni e tendono ad ignorare i diritti consuetudinari, e soprattutto, non tengono conto dell’enorme patrimonio spirituale e culturale racchiuso nelle terra, sicuramente un concetto difficile da contemplare in un contratto. In sostanza la strada da percorrere per frenare l’accaparramento delle terre è informare le persone, ma soprattutto incominciare a riconoscere i diritti di coloro che vivono su quella terra e la usano. Pastori e contadini devono diventare la vera controparte degli investitori in grado di negoziare soluzioni che siano positive per tutte le parti. L’agricoltura familiare che rappresenta la principale fonte di sostentamento di queste popolazioni dovrebbe essere tutelata e non danneggiata e compromessa dalle acquisizioni di terra su larga scala che promuovono un tipo di agricoltura industrializzata.

Sicuramente un passo in avanti è stato compiuto dalle varie istituzioni internazionali come la Banca Mondiale o la Fao, che hanno formulato una serie di principi e linee guida con l’obiettivo di responsabilizzare gli investimenti e di tutelare le popolazioni coinvolte. Ma spesso questi principi sono stati criticati dalle varie Ong in difesa dei diritti degli agricoltori sia per il loro carattere non vincolante e sia perché vengono viste come un modo per legittimare il fenomeno della corsa alle terre.

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