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Land grabbing in Africa Subsahariana.

3.4 La negoziazione e la stipulazione degli accordi.

3.4.1 Il caso del Madagascar.

Tra i vari casi di land grabbing il caso del Madagascar del 2008 è particolarmente indicativo per capire in che modo avvengano i contratti e quanto la popolazione all’oscuro dei progetti sia in grado di fare.

Nel 2008 la società sudcoreana Daewoo Logistics aveva ottenuto in uso per 99 anni 1.300.000 ettari di terra, un’aerea grande quanto l’intero Belgio per la produzione di mais e di olio da palma. La popolazione venne a conoscenza della notizia grazie alla stampa estera quando l’accordo era già stato stipulato63. In base all’accordo la società in

cambio dell’affitto della terra avrebbe dovuto realizzare le infrastrutture necessarie allo sviluppo della superficie acquisita: strade, sistemi di irrigazione e impianti di stoccaggio per il mais. Praticamente il governo del Madagascar aveva ceduto l’uso della metà della sua terra coltivabile in cambio della promessa di nuovi posti di lavoro e la realizzazione di opere pubbliche, la società coreana inoltre aveva dichiarato di essere disposta ad investire in Madagascar sei miliardi di dollari in venticinque anni. In base alle aspettative, entro il 2009 su duemila ettari di terra sarebbe cominciata la produzione di mais nell’ovest dell’isola, per poi arrivare gradualmente al raggiungimento di un milione di ettari, mentre i restanti trecentomila che si trovavano nell’est del Madagascar sarebbero stati utilizzati per la produzione di palma da olio. La popolazione che apprese la notizia dalla stampa estera non la accolse molto bene. Si mossero infatti diverse organizzazioni per la difesa delle terre malgasce attraverso petizioni in rete e appelli alla

stampa decise ad ottenere delle informazioni in più su cosa realmente stava accadendo nel proprio paese e a forzare le autorità nazionali a rendere pubblico l’accordo64. Anche

la stampa malgascia e l’opposizione si mossero insieme alla popolazione chiedendo di fermare questo accordo che praticamente avrebbe portato alla svendita del paese. A fine gennaio del 2009 queste proteste portarono al manager della società coreana a lamentare un fermo del progetto a causa della cattiva pubblicità fatta al progetto. L’affare Daewoo si trasformò in un caso capace di aumentare il dissenso della popolazione nei confronti del governo del presidente Ravalomanana che in quei tempi guidava il paese e che quindi aveva approvato il progetto in questione. Il dissenso e il malcontento nei confronti dell’operato del presidente malgascio erano già alti poiché gli veniva contestato il fatto che non era riuscito a migliorare le condizioni di vita della popolazione. In seguito alla chiusura di alcuni canali radio e televisione privati ordinata dal governo nella capitale malgascia scoppiò una rivolta, la gente invase le strade devastando negozi e molte persone furono ferite e morirono in seguito a queste proteste e sotto gli spari della guardia presidenziale. Il sindaco di Antanarivo Andry Anjoelina incitava i suoi concittadini alla protesta, la lotta tra Anjoelina e Ravalomanana continuò fino al sei marzo 2009 quando il presidente del Madagascar fu costretto alla resa dai militari. Il 21 marzo Anjoelina con in sostegno dei militari si insediò come capo del paese e già tre giorni prima il 18 marzo aveva provveduto ad annullare l’accordo con la società coreana. Il nuovo presidente del Madagascar sottolineò il fatto che nella costituzione del paese la terra non poteva essere né venduta né affittata, seppure sostenesse di non essere contrario all’idea di poter lavorare con gli investitori, ma prima di farlo era necessario cambiare la costituzione e prima ancora consultare la popolazione. Il caso Daewoo Logistic sicuramente è molto importante sia per capire l’impatto che può esserci sulla popolazione, sia il modo in cui avvengono gli accordi ossia senza un consenso libero e informato dei cittadini. In molti altri paesi, l’affitto o la cessione delle terre procedono in modo silenzioso, più o meno a porte chiuse, tra governi interessati ad ottenere profitti e investitori che vogliono assicurarsi cospicui ritorni o importare derrate alimentari.

La popolazione del Madagascar non solo è riuscita a bloccare l’accordo, ma addirittura le proteste hanno portato alla caduta del governo, certamente questo è un esempio che ben fa comprendere quanto la popolazione contraria a questo genere di investimenti sia

in grado di fare, tuttavia è anche vero che l’accaparramento delle terre in Madagascar non è finito con il fallimento dell’affare Daewoo. Ad oggi secondo i dati di land matrix in Madagascar sono stati ceduti circa 588.000 ettari di terra, e i contratti stipulati sono 14. Tra i maggiori investitori in Madagascar ci sono i paesi europei in particolare Germania, Francia, Regno Unito65. Anche l’Italia è presente in Madagascar con due

accordi, uno che riguarda la cessione di 100.000 e l’altro di 19.00066. Il primo riguarda

la società italiana Tozzi Green, esso è stato firmato nel 2012 e prevede l’affitto per trent’anni di 6.558 ettari con l’obiettivo finale di arrivare a centomila ettari nel 201967.

L’accordo è stato firmato con il governo centrale del Madagascar per il vantaggioso prezzo di dieci euro l’anno a ettaro, il tipo di coltivazione che viene fatto è diretto alla produzione di biocarburanti attraverso la coltivazione della pianta di jatropha. Come s’è visto nel caso Daewoo del 2009 secondo la costituzione malgascia la terra non può essere ceduta senza che la popolazione esprima il suo consenso, quindi l’accordo dovrebbe avvenire in seguito a un processo complesso dove sono presenti tutte le parti in causa. L’azienda italiana dichiara di essersi installata con il consenso della popolazione, tuttavia in seguito alle proteste e le rivendicazioni delle popolazioni locali contro questa occupazione, ciò sembrerebbe non corrispondere alla realtà dei fatti68.

Secondo la legislazione malgascia nonostante sia riconosciuto il diritto consuetudinario sulla proprietà anche allo stato è riconosciuto un ampio margine di movimento e così anche agli investitori stranieri che di frequente finiscono per occupare i territori dove vi sono insediati pastori o agricoltori i quali reclamano il diritto di vivere e occupare quelle terre in quanto le occupano di generazione in generazione69. Nel caso italiano della

società Tozzi Green le terre destinate alla coltivazione della jatropha sono occupate dall’etnia Bara che vive di pastorizia. Secondo il governo del Madagascar queste terre non sono abbastanza produttive poiché dedicate perlopiù solo al pascolo, di conseguenza esse non generano un reddito per le casse dello stesso stato, il quale per questo motivo preferisce cederle agli investitori stranieri, i quali dovrebbero quindi provvedere a renderle redditizie70. Questa legislazione piuttosto poco chiara

65 Cfr. www.landmatrix.org, consultato in data 27/01/2018. 66 Ibidem.

67 T. Perrone, Land grabbing in Africa, il caso del Madagascar, in www.lifegate.it, 16 gennaio 2017, consultato in data 28/01/2018.

68 Re: Common, Il problema del land grab in Madagascar, in www.recommon.org, 18/12/2012, consultato in data 28/01/2018.

69 G. Franchi, L. Manes, Assalto alla terra. Appunti e riflessioni tra Italia e Madagascar, in www.recommon.org, marzo 2014, pp. 7-8, consultato in data 28/01/2018.

sicuramente non consente alla popolazione di proteggersi da tali investimenti poiché non ne hanno gli strumenti legali71. Inoltre, le piantagioni di jatropha non permettono

agli animali allevati (in questo caso si parla di zebù) di muoversi come facevano prima, e se, questi animali entrando nei campi coltivati li danneggiano, i pastori sono costretti a pagare delle multe molto salate72. Queste comunità quindi rivendicano il diritto

all’auto-sostentamento che gli viene negato strappandogli i loro terreni, infatti il progetto attuato dalla società Tozzi impedisce ai pastori di accedere alle proprie terre e alle risorse che da esse ne derivano, frena la produzione per il consumo locale tentando di passare da un sistema tradizionale e sociale che comunque è autosufficiente per le popolazioni locali a un sistema di produzione di energia su larga scala decisamente lontano e da quella che è la vita tradizionale della popolazione locale. La società d’altro canto sostiene l’impatto positivo del progetto sottolineando ad esempio la creazione di nuovi posti di lavoro73. Quello che sempre traspare da questi acquisizioni su larga scala

è il contrapporsi di due modelli opposti, infatti da una parte vi sono gli investitori, aziende e società che con il sostegno delle istituzioni vogliono rilanciare la produzione su larga scala di un’agricoltura che di poco supera il livello di mera sussistenza e dall’altra parte vi sono le organizzazioni contadine che chiedono il rispetto del diritto alla terra e invocano investimenti pubblici. Non si tratta semplicemente di due diversi tipi di modelli di sviluppo ma bensì di due modelli culturali. Secondo il modello che rappresenta gli investitori la terra viene vista come un luogo in cui si produce in maniera industriale fondamentalmente per sfamare la popolazione che è in continua crescita. Il secondo modello invece vuole proteggere e difendere la tradizione di vita nei campi, il rapporto con la terra, il sapere contadino tramandato nei secoli e respinge l’idea della grande piantagione a monocoltura che con la terra ha un puro rapporto di sfruttamento. Il primo modello si rispecchia in un mondo urbano, in una popolazione in continua crescita e che deve essere nutrita, il secondo si rispecchia nell’ambiente rurale delle campagne.

71 Ibidem. 72 Ibidem. 73 Ibidem.