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Cap 8.2 IL DILEMMA STRUTTURALE

8.2.1. Il bisogno del bambino e il bisogno del genitore

Alcuni assistenti sociali esprimono con parole dirette e semplici il nucleo centrale del dilemma: di fronte a sé hanno un bambino che chiede o manifesta un bisogno di aiuto e, contemporaneamente, coloro che hanno il ‘dovere/potere’ di dare aiuto non sono in condizioni di farlo o perché non ne riconoscono la necessità o perché non ne hanno le risorse. D’altra parte, nel caso dei servizi sociali di base, spesso sono questi stessi genitori che si rivolgono all’assistente sociale con una richiesta di assistenza e di aiuto, ponendo così un problema legato alla rottura di un patto implicito di collaborazione104.

Due giovani assistenti sociali, impegnate nei servizi territoriali descrivono il dilemma di fondo di questo lavoro:

...il dilemma è la consapevolezza di aver di fronte un bambino in estrema sofferenza, che ha bisogno di una protezione e dall'altra avere la stessa consapevolezza nei confronti del genitore, che il bambino potrà avere un aiuto ma quel genitore no... cioè secondo me quando si aiuta un minore nello stesso modo bisognerebbe aiutare il genitore, l'adulto, invece il nostro sistema su questo fatica... (A2: 8)

Allora... per quanto mi riguarda il dilemma.. è la difficoltà è di tenere insieme i bisogni del bambino e però anche i bisogni del genitore… ti faccio un esempio di adesso .. B2:6

Viceversa A2, operatrice con poco più di cinque anni di esperienza in un servizio di base per famiglie e minori, descrive il forte legame instaurato con una madre venticinquenne, e il suo bambino di sette anni, accolta da più due anni una comunità con il figlio,che non riesce ad avviarsi ad un percorso di autonomia. Nella storia infantile della ragazza c’è un abuso da parte del padre e l’attuale partner è tossicodipendente.

.. lei è molto richiedente, viene sempre da me in ufficio tre, quattro volte la settimana.. si vorrebbe affiliare.. ha le crisi di panico, non riesce a lavorare . .. quando è persa con la testa non bada a G. … Da due anni noi ci arrovelliamo: G. può stare con

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In altra sede (Bertotti, 1996) avevo mostrato come il patto di collaborazione si basasse su un’implicita condivisione di una ‘costellazione relazionale’ che articola i ruoli attorno al problema, individuando chi sia il beneficiario dell’intervento (per es. la madre che chiede aiuto), il ‘colpevole’ della situazione problematica (per es. il padre), la ‘vittima’ (la madre e il bambino) e il ‘salvatore’ (l’assistente sociale) e che è proprio questo accordo implicito che viene meno nel momento della segnalazione al tribunale.

la sua mamma oppure la sua mamma è compromessa e G ha bisogno di un affido intanto che la sua mamma abbia finito di sistemarsi? Questa cosa ci lacera!

Ancora A2 è altrettanto chiara nell’esprimere i termini generali del dilemma e lo qualifica esplicitamente come dilemma ‘etico’:

“il dilemma etico è il dover scegliere tra bambino e genitore e non poter dare aiuto a tutti “A2

Dai diversi racconti si evince come il dilemma si produca strada facendo, a fronte di una storia di interventi che non producono il risultato sperato e alla constatazione che la relazione instaurata con il genitore non è sufficiente a produrre il cambiamento sufficiente per ripristinare una relazione positiva tra genitori e figli. Ed è in quel momento che si rende necessario capire qual è la decisione migliore da prendere ma il coinvolgimento anche emotivo attivato sia nei confronti del genitore che dei bambini, per sostenere il cambiamento rende difficile orientare una scelta nel ‘solo’ interesse del bambino.

F1 riporta la difficoltà a trovare il giusto equilibrio tra il rispetto dell’integrità della famiglia e la tutela dei singoli individui, tra il rispetto dell’autonomia delle persone e le esigenze di protezione dei bambini:

.. è un problema quando fai una scelta così definitiva o ti trovi a parteggiare per l’uno o per l’altro … ci sono quelli che dicono la famiglia non si deve dissolvere mai...per me questo non è così vero, non è il valore della tutela della famiglia ma è salvaguardare l’individualità. … ,,, In quel caso li avevamo proprio paura che questa ragazza in un momento di aggressività potesse fare del male al bambino, quindi prevaleva la protezione del bambino. … si, è un dilemma tipico. Spesso abbiamo questa difficoltà. Noi che lavoriamo sulle famiglie rischiamo sempre, o di non vedere o di non sentire, o di lasciare che le cose capitano. O rischiamo di fare danno agendo troppo. F1:16 ..

Il dilemma ‘strutturale’ si manifesta con modalità differenti a seconda delle diverse fasi in cui si sviluppa l’intervento. Due di queste riguardano il rapporto con il Tribunale per i minorenni: si tratta della segnalazione di una situazione di un minore in pericolo all’autorità giudiziaria e delle decisioni relative all’allontanamento dei minori dalla famiglia.

a. la segnalazione al tribunale per i minorenni

La segnalazione di una situazione al tribunale per i minorenni viene considerata dilemmatica in quanto modifica il contesto della relazione con la famiglia. La (non ampia) letteratura professionale sostiene le ‘buone ragioni’ di questo atto argomentando sui seguenti piani:

- esso è dovuto nel rispetto di un dettato giuridico che prevede l’obbligo per ‘i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio’ di segnalare all’autorità giudiziaria le situazioni di ‘abbandono morale o materiale dei minori e quindi, in nome di un interesse superiore consente, all’interno di alcuni principi di derogare al segreto professionale 105.

- Esso è uno ‘strumento ’ per realizzare un intervento in favore dei minori, nei casi in cui il loro benessere sia minacciato nell’ambito della relazione genitoriale. In questa accezione quindi la decisione di segnalare all’autorità giudiziaria presuppone che gli operatori abbiano effettuato un complesso processo valutativo in cui: a) rilevano una situazione di grave malessere dei bambini, b) sono in grado di attribuire tale malessere ad una principale responsabilità genitoriale e c) che non si siano trovate strade differenti per ottenere un miglioramento della situazione.

Si tratta quindi di un passaggio particolarmente delicato e complesso su cui non vi è una chiara ed organica normativa nazionale al quale, proprio per colmare questa assenza, si sono dedicate praticamente tutte le linee guida emesse dalle regioni dal 1989 in poi (Bollini, 2009).

Osservando i risultati delle interviste, si rileva che sono principalmente i servizi di base che riportano l’obbligo di segnalazione come dilemma, sia perché ricevono le segnalazioni da parte di altre agenzie del territorio come ad esempio la scuola, sia perché sono loro stessi a considerare la necessità di far intervenire l’autorità giudiziaria minorile per le situazioni già seguite dal servizio, a fronte del fallimento degli interventi attuati a ridurre le

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L’obbligo è contenuto nelle due leggi sull’adozione e l’affidamento (la 184/1983 e la 149/2001). Nell’ambito degli addetti ai lavori si dibatte sulla nozione di ‘abbandono materiale e morale’ e su quanto sia associabile alle situazioni di maltrattamento, trascuratezza o ‘grave pregiudizio’ dei minori; il dibattito che si è concluso con l’acquisizione di analogia tra i due concetti ma esso non si è mai tramutato in una chiarificaizone legislativa. Altrettanto dibattuta è la questione relativa a chi deve essere considerato ‘incaricato di pubblico servizio’ e in che misura l’obbligo sia estendibile a altri professionisti (tipicamente le professioni sanitarie o educative) o come debbano essere connotate gli operatori impegnati presso agenzie del III° settore.

condizioni di disagio dei bambini e la fatica dei genitori a riconoscere lo stato di sofferenza dei figli.

Il dilemma si pone nei termini in cui da un lato si ritiene necessario far intervenire un’autorità esterna che sancisca la necessità di un cambiamento per tutelare il benessere dei bambini dall’altro si è consapevoli che la segnalazione comporterà un irrigidimento e un peggioramento della relazione con gli adulti genitori dei bambini, che si caratterizzerà con gli aspetti del controllo più che dell’aiuto e, laddove vi è una precedente relazione di aiuto, rompe la relazione fiduciaria. Nell’intento degli operatori la segnalazione sembra rappresentare un modo per spingere con più forza i genitori verso un cambiamento e per avere dall’autorità giudiziaria un ‘mandato più autorevole’ nella relazione con la famiglia. Il dilemma della segnalazione viene citato come problema principalmente dagli assistenti sociali più giovani e preoccupa di più gli assistenti sociali dei piccoli comuni rispetto a quelli impegnati nei servizi di base delle grandi città città.

Diversamente da quanto ci si poteva aspettare tuttavia, gli AS che indicano questo come passaggio dilemmatico, non esplicitano il dilemma della potenziale lesione del patto di fiducia con la famiglia; i dubbi appaiono piuttosto collegati al concetto di efficacia, ovvero al domandarsi se l’intervento dell’autorità giudiziaria sia idoneo a produrre il cambiamento

auspicato nei genitori e ottenere un ‘allineamento’con ciò che l’assistente sociale ritiene

sia il benessere e l’interesse del minore.

In questo senso si esprime B4 a fronte della segnalazione di inadempienza scolastica di un bambino figlio di una madre russa che, dopo problemi con un’insegnante, decide di educare il figlio ‘in proprio’ facendo venire meno importanti occasioni di socializzazione per il bambino:

il bambino andava a scuola volentieri... c’è stato un problema con la maestra di matematica Ho cercato di parlare con la mamma ma era assolutamente convinta di non farlo andare, solo lei poteva insegnargli.. il suo avvocato ha fatto sapere che lei poteva essere in grado di seguire il bambino e fare lei da educatrice. Io ho fatto la segnalazione al Tribunale ma mi domandavo se questo era il modo giusto per farlo tornare a scuola… Mi è stato risposto dopo quasi un mese chiedendo un’ulteriore indagine sociale, quando bastava che il tribunale prescrivesse di rimandare a scuola il bambino .. B4:9

In altri casi il dilemma si colloca nel quadro di separazioni altamente conflittuali nelle quali viene rilevato, solitamente nell’ambito scolastico, uno stato di profondo malessere psicofisico dei bambini. La segnalazione al tribunale viene pensata come un modo per ‘obbligare’ i genitori a mettere in atto una ‘tregua’ per creare uno spazio protetto dal conflitto e provare a rimediare alla sofferenza dei minori contesi.

E’ il caso di B1 che descrive la situazione di preoccupazione e di stallo in un caso di violenza assistita in cui l’assistente sociale si domanda se la segnalazione al Tribunale per i minorenni “serva”

.. Il mio grosso cruccio è il sapere che non è una situazione così grave da far intervenire il Tribunale minorenni, però non è neanche così da niente da poterci passare sopra… con la consapevolezza che se loro (i genitori) non si muovono ad aprire il procedimento presso il Tribunale ordinario, la situazione può solo peggiorare e chi ne fa le spese saranno i bambini. e che io me li ritroverò qui non più a 6 e 2 anni, ma a 10 e 6 pieni di rabbia e sofferenza… B1

Le ragioni su cui poggia il dilemma sembrano quindi essere legate al tema dell’efficacia degli interventi e al domandarsi se l’entrata in campo di una dimensione coercitiva sia una buona strata per introdurre un cambiamento. Non appare né una riflessione sull’impatto che questo ha nella vita della famiglia (per esempio in termini di stigmatizzazione), probabilmente precluso dal valore superiore dato alla sicurezza dei bambini né un sull’impatto che ha nella relazione tra assistente sociale e genitori.

b. l’allontanamento dei minori dalla famiglia

Dopo la decisione se segnalare al Tribunale, lo snodo più critico riguarda la decisione sulla permanenza o meno del minore nel contesto famigliare, ovvero il tema dell’allontanamento. Si tratta di un provvedimento che, salvo le situazioni di urgenza106, deve essere deciso dall’autorità giudiziaria. È un intervento su cui si concentrano la maggioranza delle campagne mediatiche sull’operato dei servizi e su cui vi è quindi una grande attenzione e pressione pubblica.

Su questo tema, gli assistenti sociali si interrogano sull’utilità’ dell’allontanamento come mezzo per ottenere un miglioramento nelle condizioni di vita dei minori e non tanto, come avveniva per la segnalazione, come modo per produrre un diverso ingaggio della famiglia.

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Ai sensi dell’articolo 403 del CC il sindaco , nella sua veste di ‘pubblica autorità’ ha la possibilità di ordinare il collocamento di un bambino d’urgenza laddove si ritrovi in ‘luoghi insalubri e pericolosi. Per una disamina critica di questo articolo si veda Domanico, 2008

L’oggetto della decisione è se la sospensione della convivenza familiare (e la temporanea supplenza delle figure genitoriali) sia un passaggio adeguato per garantire al minore una situazione più protettiva e accudente a fronte di un distacco dai genitori e dall’ambiente di vita che può essere traumatico.

Gli assistenti sociali intervistati esplicitano che il dilemma è tra la cntinuità della relazione o la separazione

… si, i valori in contrasto sono tra la continuità e la separazione. .. è una situazione frequente e tipica per chi lavora in tutela .. cioè tra l’insistere se mantenere un legame col genitore, anche se è un legame che ha tutta una serie di pecche e di rischi, oppure sostituirlo con qualcosa che al bambino può servire di più. Per quanto mi riguarda, è una domanda che mi pongo spesso.. (H2:6)

Le incertezze sono di diversa origine.

Possono essere relative al fatto che gli elementi di sofferenza rilevati per il bambino siano legati ad una condizione problematica del nucleo famigliare nel suo complesso o della coppia genitoriale e non indichino una responsabilità diretta e specifica dei genitori verso il bambino. Oppure che l’allontanamento non serva a produrre un effettivo miglioramento della situazione del minore.

E’ ancora il racconto di B1 che ci consente di capire meglio. E’ un caso di violenza domestica in cui è la bambina di otto anni a chiedere aiuto alla maestra. Incaricata di effettuare un approfondimento della situazione a seguito della segnalazione della scuola alla Procura Minori, B1 si scontra con la chiusura e l’inaccessibilità del padre della bambina:

la bambina aveva scritto alla maestra “mio papà e mia mamma si picchiano maestra, cosa devo fare?”.. nel fare l’indagine ci ho messo l’anima: ho visto la mamma, il papà non si presentava .. ho messo in campo anche la mediatrice culturale, lei mi spiega che per la loro cultura la donna non si può separare dal marito .. chiamo il marito e lo invito ad un incontro con anche la mediatrice lui mi insulta e non dà alcun peso alle mie parole..tanti tentativi inutili .. la bambina continua a scrivere alla maestra: ‘mi hai detto di chiudermi nella mia stanza e di accendere la radio, ma là ce il mio fratellino piccolo, cosa devo fare? Aiutami, solo tu puoi farlo’ ..’ io l’ho detto loro che non mi piace quando litigano, ma oggi si tiravano le pentole’. .. il mio dilemma è che presi separatamente padre e madre sono capaci: Il papà li manda a scuola vestiti bene, con i compiti, i quaderni… insomma fa il papà! Quando è a casa da solo se li prende in braccio, li accarezza, li coccola, gioca con il piccolino, lo accompagna all’asilo… e idem la mamma. Ma quando sono insieme proprio non gira, … Io non reputo che l’allontanamento dei minori sia la soluzione a questa situazione,.. avrebbero bisogno di un trattamento di coppia e famigliare ma non c’è né motivazione né risorse .... il Tribunale non può dire altro che: “allontanateli." Che altro può fare? Perché la

violenza assistita non è che non sia niente, Il mio dilemma è: se dico questo il tribunale mi dice di allontanarli, ma io non voglio. B1 :10, 11

Un'altra tipologia si ha quando c’è un forte il legame affettivo tra genitori e figli ma questo non è sufficiente per modificare le condizioni di vita in cui versano i bambini. In questo racconto si tratta di una famiglia deprivata con problemi economici e culturali, in cui il padre ha da sempre un’invalidità e non ha mai lavorato, quattro figli di cui tre con problemi sanitari (due di loro con ritardo mentale e l’ultima nata idrocefala. E2 descrive il lungo e faticoso percorso di aiuto ed esplicita che “il dilemma c’è tutte le volte che c’è inadeguatezza insieme a coesione famigliare”.

.. L’indagine sociale ha messo a fuoco un forte legame affettivo tra i membri, l’ultima figlia che viene definita “un miracolo vivente” perché nonostante i problemi fa cose che non sembrerebbe poter fare, probabilmente per il clima di affetto che c’è. …. cui ci siamo detti: “Diamogli una possibilità” per due anni abbiamo dato aiuti economici e attuato interventi mirati con i bambini…i genitori hanno risposto in maniera diversa. La mamma corre come una dannata, rinunciando anche a curare se stessa e un papà che non fa nulla. Abbiamo pensato molto ma siamo arrivati alla soluzione di allontanamento: madre e due figli da una parte, padre e due figli dall’altra. Però è stato difficile. Ma l’unico figlio più consapevole ha un grado di sofferenza enorme. (E2: 5,6).

In altri casi, la difficoltà sta nel decidere su situazioni seguite da lungo tempo, con genitori

(quasi sempre madri) le cui storie infantili sono state caratterizzate da violenze a abusi, in

cui gli interventi effettuati non sono stati efficaci. Nelle parole degli operatori l’ipotesi dell’allontanamento sembra rappresentare la rinuncia a proseguire gli interventi e la dichiarazione di impotenza rispetto all’obiettivo conseguire un miglioramento delle condizioni del minore che passi attraverso la sua famiglia.

Sono tanti i racconti di questo tipo. G3 riporto una storia difficile da più generazioni, di una madre 30 enne con cinque figli avuti da tre diversi partner, appartenente ad un nucleo famigliare pluri e cronicamente assistito dal servizio sociale, con i figli in comunità, in affido famigliare o ai padri, figlia di nota prostituta della città. L’assistente sociale racconta di anni e anni di vari tentativi e di interventi “spezzettati” ..

“il Tribunale ha fatto molto fatica a prendere delle decisioni... Il risultato è che siamo sempre con il piede sospeso con questi ragazzi.. ci domandiamo in continuazione: che cosa facciamo? Li allontaniamo o non li allontaniamo? …. L’idea era di fare un intervento unitario … e la difficoltà è proprio questa, oscilliamo sempre tra l’aiuto per cercare di ricostruire delle capacità di queste donne e di questi genitori e la sensazione molte volte che forse non ce la faranno mai.. anche il Tribunale non decide e oscilla con noi.. G3

In questo tipo di situazioni i servizi per la tutela dei minori si aspettano sia il Tribunale per i minorenni a sancire l’assenza di cambiamenti sufficienti e ad assumere le decisioni definitive su quale sia il destino delle responsabilità genitoriali e gli interventi da attuare per garantire il benessere dei minori. I servizi sembrano avvertire con forza la necessità che un ente terzo assuma una posizione chiara che supporti un orientamento più deciso verso interventi in favore dei figli autorizzando l’abbandono dei tentativi di recupero dei genitori.

Il dilemma ricorda le difficoltà nello stabilire quando una cura medica può essere definita ‘accanimento terapeutico’ e pone anche per l’ambito del sociale il quesito relativo a “quando è giusto smettere di curare?”.

c. le decisioni sul dopo: affido o adozione?

L’allontanamento dai genitori apre la domanda relativa al: “e dopo, che succederà?” e al “tornerà?”, Non è una domanda retorica e la risposta varia a seconda dei soggetti che se la pongono e della gravità delle situazioni. Mette in campo il tema della possibilità/speranza che i genitori si rimettano in grado di garantire ai figli un accudimento adeguato sul medio lungo termine.

La legislazione e le linee guida prefigurano l’allontanamento come un evento temporaneo che richiede a seguito del quale si apre una fase in cui vengono considerate e sostenute tutte le possibilità e le risorse affinché il minore rientri nella propria famiglia. Solo in assenza di questa possibilità si prevede di dare al minore una famiglia ‘alternativa’. Nella loro formulazione originaria i due istituti dell’affido e dell’adozione corrispevano a queste due diverse possibilità: all’affido nel caso in cui vi siano le risorse perché il minore ritorni con i proprio genitori naturale e all’adozione nel caso in cui tale prospettiva non si dia. Per ciò che emerge dalle interviste, nella pratica questo orientamento è decisamente sfumato e si intravede un’ampia gamma di situazioni confuse da cui emerge: