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CAPITOLO 6 – I SERVIZI PER LA TUTELA DEI MINORI: CONTESTO E DILEMMI ETICI

6.1 l’evoluzione dei servizi per la tutela dei minori

6.1.3 i primi anni del 2000: lo smantellamento dei servizi Asl

Nei primi anni del 2000 la terza fase di mutamento dei servizi per la tutela dell’infanzia si apre con il fenomeno del “ritiro delle deleghe”, termine con cui si indica il ritiro della delega data dai Comuni, titolari della funzione ex art. 23 DPR 616/77, alle ASL per la gestione delle funzioni di tutela dei minori. Il processo di ritiro delle deleghe si colloca nel nuovo quadro fornito dalla riforma i servizi sociali approvata alla fine del 2000 (l. 328/2000) e dalla progressiva implementazione dei sistemi di welfare regionali, conseguenti alla modifica del titolo V della Costituzione, in riferimento in particolare all’art. 117, avvenuta nel 200161.

Complessivamente questo fenomeno si colloca coerentemente con i generali processi di modifica dei sistemi di welfare diffusi anche a livello europeo e ne ripercorre gli elementi di localizzazione, adozione di nuovi sistemi di governance e rivisitazione delle specializzazioni presenti in altri paesi (Bifulco, 2005).

Il processo di ritiro delle deleghe tuttavia appare poco argomentato sul piano dei contenuti e dell’efficacia degli interventi; esso sembra sostanzialmente legato alla progressiva riduzione delle risorse e all’aziendalizzazione delle Asl che inseriscono forti vincoli di budget e procedure di valutazione e standardizzazione degli interventi, sempre più articolati su base prestazionale. Infatti, pur nel quadro di importanti differenze regionali (in Lombardia il processo è più netto), le ASL mutano la loro identità trasformandosi da gestori di servizi a soggetti ‘committenti’ di servizi; si diffonde il principio della sussidiarietà e del quasi mercato, e si assiste al consolidamento della separazione tra gli interventi socio assistenziali e socio sanitari.

Queste modifiche rendono sempre più faticose le condizioni di lavoro delle equipe tutela minori delle ASL e le aree di insoddisfazione nella relazione tra ASL e Comuni (che restano formalmente titolari della funzione di tutela e ne rispondono politicamente) si fanno sempre più ampie. Nel primo quinquennio del 2000 molti Comuni, alla luce della difficoltà a trovare accordi per una reimpostazione del sistema e dell’esplicito orientamento di alcune regioni alla ‘dismissione’ di questi servizi, si avviano alla costituzione di servizi tutela ‘in proprio’. In questo processo, le equipe delle Asl vengono sciolte e smantellate, il personale, specialmente quello psicologico, viene collocato su altre funzioni o precarizzato; vengono chiusi i rapporti di consulenza e gli operatori dipendenti vengono comandati presso i nascendi servizi comunali. Le competenze maturate dai gruppi di lavoro che avevano contribuito a far crescere la cultura e la qualità degli interventi nella protezione dell’infanzia vengono disperse e frammentate62.

Gli enti locali affrontano la gestione delle deleghe con molte difficoltà e con l’impegno di costruire assetti organizzativi adeguati alle esigenze del territorio. Basano il loro ingaggio sulla esperienza maturata con la legge 285/97, citata da alcuni (Battistella, De Ambrogio, 2003) come il “banco di prova” della 328/00, che aveva consentito di sperimentare le prime forme di collaborazione e governance. I ‘nuovi servizi tutela’ vengono impostati con l’intento di evitare le criticità emerse nella gestione dei servizi ASL, salvaguardandone al tempo stesso i vantaggi. Le aree di insoddisfazione dei comuni costituiscono ‘le buone ragioni’ del ritiro delle deleghe, i vantaggi offerti dalle equipe tutela delle ASL sono

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Tra le altre , a titolo esemplificativo si segnala l’équipe contro gli abusi del’lAUSL di Ferrara, l’èquipe dell’ospedale Bambin Gesù, il centro di trattamento multifamigliare dell’ASL di Milano, l’èquipe zonale del distretto di San Giuliano Milanese (mi)

assimilabili all’identificazione dei rischi prefigurabili nell’abbandonare il contesto sociosanitario63. Tra le aree di insoddisfazione troviamo:

• Scarso controllo sulla ricaduta economica degli interventi di tutela. L’autonomia decisionale dei servizi dell’ASL in merito all’attivazione di interventi di protezione e sostegno che impegnano risorse comunali ha fatto sì che i Comuni fossero sempre più ‘ufficiali pagatori’, e sempre meno partecipi delle scelte fatte a fronte di importanti impegni di spesa derivanti dal collocamento dei bambini in comunità

• Scarso controllo sull’impatto del servizio sul territorio. L’attribuzione delle funzioni di tutela dell’infanzia ad un servizio specialistico aveva prodotto una progressiva

perdita di conoscenza dei gestori comunali delle condizioni più critiche dell’infanzia

esistenti sul territorio e sugli interventi messi in atto. A questo proposito alcuni autori (Olivetti Manoukian, 2005) hanno messo in guardia dal rischio che si instauri una ‘delega’ ai servizi sociali della gestione delle situazioni più critiche, che vengono così ‘evacuate’ dallo scenario delle responsabilità pubbliche delle politiche sociali.

• Scarsa connessione con le agenzie educative. Una terza area di insoddisfazione è stata la scarsa accessibilità dei servizi ASL da parte delle agenzie educative, come le scuole, che viceversa richiedono una consulenza nelle situazioni più gravi, come poteva essere lo svelamento di un abuso, ma anche nelle situazioni di disagio più lieve per attivare interventi di supporto senza un mandato di protezione giudiziaria.

• Iper-specializzazione e tempi lunghi di presa in carico. Un’ultima area critica riguarda il progressivo aumento del numero di situazioni in carico delle equipe specialistiche, la lunga durata degli interventi, con relativo ‘intasamento’ e creazione di liste di attesa, la difficoltà a valutare l’efficacia degli interventi e i rischi di cronicizzazione. Il tema della valutazione dell’efficacia è particolarmente complesso e in questa fase è stato letto come l’effetto di una ‘iperspecializzazione’ e difficoltà di definire il tempo di conclusione dell’intervento.

Ciò che, viceversa, la gestione ASL garantiva e rischiava di andare perduto nel passaggio alla gestione comunale sono i seguenti aspetti.

• L’adeguato dimensionamento territoriale in relazione alla specializzazione richiesta. I servizi tutela gestiti dall’ASL garantivano la disponibilità di competenze specializzate necessarie alla gestione di situazioni (come i gravi abusi)

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l’analisi di questi aspetti è stata costruita nel corso di interventi formativi e consulenziali alla costruzione dei Piani di zona e alla costituzione degli assetti organizzativi dei nuovi servizi condotti sia nell’ambito del settore formazione e ricerca del CBM (Centro per il bambino maltrattato) sia dell’IRS (Istituto di Ricerca Sociale). Gli esiti sono stati presentati e discussi nel corso di un seminario svoltosi nel 2004 a Milano, dal titolo “Dove vanno le politiche per i minori”

particolarmente complesse ma che riguardano un numero limitato di casi; il bacino territoriale dell’ASL salvaguardava la possibilità di un dimensionamento adeguato delle risorse .

• Interdisciplinarietà dell’intervento e connessione tra servizi socio sanitari e sanitari. La struttura delle equipe tutela dell’ASL poggiava sulla consolidata tradizione del lavoro in équipe pluriprofessionali tipica dei servizi socio sanitari (si pensi ai consultori, ai sert, alla psichiatria) garantendo la multidisciplinarietà dell’intervento necessaria nelle situazioni di maltrattamento. Inoltre favoriva una più facile e tempestiva attivazione servizi di cura degli adulti con problemi di dipendenza o salute mentale e alcune competenze specifiche legate all’ospedale (ginecologo, medico legale, il pronto soccorso)

• L’indipendenza dalla politica. La gestione ASL garantiva maggiore stabilità del servizio e una minore permeabilità alla dimensione politica. La gestione comunale dei servizi tutela ha fatto emergere due rischi: quello dell’instabilità degli assetti organizzativi, che rischiano di mutare a seconda del mutare dell’orientamento della giunta comunale o dell’ufficio di Piano, e quello delle interferenze politiche nello specifico degli interventi professionali con le famiglie.