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CAPITOLO 4. I DILEMMI

4.1 Definizione: dilemmi o incidenti critici?

Nel porre i dilemmi come oggetto di studio è necessario un primo passaggio di chiarimento su cosa si intende per ‘dilemmi’ e quali i diversi significati attribuiti a questo termine.

In linea generale ne viene data una duplice accezione: la prima fa riferimento all’uso del termine nella logica e nella filosofia ed indica un’argomentazione che prende le mosse da due proposizioni poste in alternativa, una contraria all'altra che conducono a una stessa conclusione, mentre l’altra si riferisce ad un uso estensivo del termine ed indica un problema di difficile soluzione.

La definizione riportata dal vocabolario Treccani34 sintetizza questi due versanti: il dilemma è una

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“forma di argomentazione, nella quale si stabilisce, in generale, un’alternativa tra due ipotesi (dette corni del d); di qui l’espressione dilemma cornuto con cui è spesso chiamata quest’argomentazione), da ciascuna delle quali deriva la conseguenza, affermativa o negativa, che si vuol dimostrare: proporre, risolvere un dilemma.”

In senso estensivo indica “alternativa, necessità di scelta tra due contrastanti soluzioni

quando ogni altra via d’uscita sia esclusa: porre una persona di fronte a un d.; trovarsi dinanzi a un d.; risolvere l’atroce dilemma”.

Wikipedia ne evidenzia la funzione retorica e sottolinea maggiormente il significato di difficoltà a fare una scelta:

Un dilemma (dal greco δί-λημμα "proposizione doppia") è un problema che offre un'alternativa fra due o più soluzioni, nessuna delle quali si rivela, in pratica, accettabile. Il dilemma viene proposto spesso come espediente retorico nella forma "devi accettare A, oppure B", dove A e B sarebbero proposizioni che conducono a ulteriori conclusioni. Applicato in tal modo, esso può essere un sofisma, o una falsa dicotomia35

Nel processo di disambiguazione del termine, si osserva che il termine viene usato anche per nominare alcune formulazioni di paradossi o problemi scientifici e logico-filosofici come il dilemma del prigioniero, il dilemma del viaggiatore, il dilemma di Haldane 36. Le accezioni anglosassoni esplicitano con maggiore chiarezza come il dilemma sia legato a soluzione tutte ugualmente sgradite o impraticabili.

Nell’ambito del servizio sociale il tema dei dilemmi è stato preso in considerazione principalmente dagli studiosi che si sono occupati di etica professionale, sempre in relazione alla natura ambivalente del servizio sociale e alla difficoltà di definire gli orientamenti degli interventi in modo chiaro e netto.

Nella realizzazione della ricerca ho scelto di adottare la definizione proposta da S. Banks in cui il dilemma è

“la scelta tra due alternative ugualmente insoddisfacenti, rispetto al benessere umano37

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Voce ‘dilemma’, su wikipedia italiano (consultazione agosto 2010). La voce presente sul sito inglese cita

“A dilemma is a problem offering at least two solutions or possibilities, of which none are practically acceptable; one in this position has been traditionally described as "being on the horns of a dilemma", neither horn being comfortable; or "being between a rock and a hard place", since both objects or metaphorical choices being rough”

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i primi due dilemmi sono utilizzati nella teoria matematica dei giochi e mettono in evidenza come il comportamento razionale si scontra con l'intuizione riguardo a ciò che sia più o meno "conveniente', il terzo è indica un problema insoluto nell’ambito dei teorici dell’evoluzione.

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“a choice between two equally unwellcome alternatives relating to human welfare” – Banks (2001) e Beckett and Maynard, (2006)

Va specificato che nel proporre questa definizione S. Banks parla di ‘dilemmi etici’ e non di dilemmi tout court e che, come si vedrà più avanti gli studi sull’etica professionale tendono a proporre varie classificazione dei tipi di dilemmi, per esempio indicando se si tratta di dilemmi organizzativi, morali o che mettono in gioco aspetti personali; in questa fase ritengo opportuno conservare un’accezione ampia del termine.

In una accezione ampia infatti la nozione di dilemma può essere associata al concetto di ”episodio critico” utilizzato dagli studiosi delle culture organizzative per esplorare le strutture cognitive messe in campo per far fronte alle incertezze e alla complessità delle problematiche trattate. Tra gli studiosi italiani per esempio Lanzara (1993) e Bifulco (1997) hanno utilizzato questo concetto per osservare quali meccanismi sono adottati nelle situazioni che gli operatori avvertono come ‘critiche’. Essi qualificano le situazioni critiche come quelle situazioni in cui le normali linee guide dell’agire e i meccanismi messi in atto dalle organizzazioni per automatizzare il processo di riduzione della complessità sono messi in crisi e ‘non funzionano più’. In questi frangenti gli operatori sono costretti a riconfrontarsi sui presupposti con cui agiscono, a riscoprire le ragioni del loro agire e interrogarsi su ‘cosa’ non funziona più’; è possibile che attraverso questa analisi emerga un conflitto di valori che si presenta come ‘dilemma’. Lanzara (op.cit) mostra come i momenti critici facciano emergere i ‘frame in use’38, ovvero le cornici cognitive normalmente adottate per guidare l’azione, e costringano a sottoporle a verifica. Gli stessi suggeriscono di prestare attenzione alle dissonanze tra cognizione e azione e a partire da questo osservare l’operatività quotidiana per cogliere ‘gli scarti’, spesso inconsapevoli, tra le teorie in uso e le teorie dichiarate dagli attori (Argyris, 1992).

Passando dall’approccio delle cultura organizzative ad un approccio antropologico, M. Sclavi (2003) osserva come i dilemmi scaturicano da un conflitto valoriale e che l’analisi di dilemmi può attivare un processo creativo in quando il conflitto obbliga, riprendendo Bateson, ad ‘uscire dalle cornice’, e attraverso questo può contribuire ad un cambiamento.

Ancora Bifulco (ib) suggerisce che i dilemmi nascano proprio dal porre le questioni secondo uno schema di valori contrapposti, con la caratteristica dei ‘giochi a somma zero’, in cui è difficile intravedere e prefigurare quella strada intermedia in cui i due corni del dilemma trovino viceversa entrambi una collocazione valorizzando le differenze39.

Sempre sulla falsariga dell’analisi degli episodi critici sono interessanti gli studi proposti dalla sociologia pragmatica francese relativo all’analisi delle ‘grammatiche giustificative’,

38

Lanzara (2003)

39

A questo proposito Bifulco (1997) segnala come il modello ‘clinico – riparativo, favorisca l’instaurarsi di dilemmi e la sottolineatura dell’asimmetria e della disparità nelle competenze specialistiche e tecniche, trascurando i vissuti soggettivi e la relazione interpersonale che viene letta solo come ‘prestazione di ruolo’

nella parte in cui afferma la possibilità di descrivere le opzioni cognitive e quelle morali degli attori, nel momento in cui gli attori sono costretti a spiegare e ‘giustificare’ il senso delle proprie azioni (Boltansky L. Thevenot, L, 1991; Breviglieri e Stavo-Debauge, 1999). Infine anche l’ampio filone di studio sulla riflessività si è fondato sull’analisi degli episodi critici e in un recente testo sull’analisi degli errori Sicora (2010) mostra come lo studio degli episodi critici sia fondante per l’attivazione di un apprendimento. Sicora riprende il concetto dell’”incidente” da Flanagan (1954) e lo definisce come

“un’attività umana osservabile, sufficientemente compiuta in sé da permettere di trarre delle inferenze e fare predizioni sulla persona che ha eseguito l’azione.. per essere definito critico tale evento deve avvenire in una situazione in ciu non solo l’intento dell’atto deve essere abbastanza chiaro all’osservatore ma anche le sue conseguenze sufficientemente definite da lasciare pochi dubbi intorno ad esse” (Flanagan, cit da Sicora 2010:40)

A questo Consoli (2008) aggiunge che l’episodio critico deve essere associato ad una ‘dissonanza’ “un evento che emana un senso di potenziale dissonanza”; infine, secondo Schon “l’irrompere del risultato inatteso giunge quale segnale di inadeguatezza della teoria in uso sottesa all’azione” .

4.1.1. I segnali premonitori: le emozioni con cui si manifesta il

dilemma

I vari filoni di studio sulla riflessività considerano l’incidente critico nel momento in cui esso è avvenuto e offrono piste di riflessione su come gli errori possono essere utilizzati e trasformati in apprendimento.

Viceversa lo studio dei dilemmi può a mio avviso essere visto come lo studio di quella fase che ‘precede’ il verificarsi dell’errore in cui ciò che entra in campo è la prefigurazione di un possibile esito spiacevole. In questo senso, ed è questa la mia teoria, i dilemmi possono essere visti come ‘campanelli di allarme’ o segnali premonitori della possibilità di commettere degli errori.

La presenza di dilemmi potrebbe anche indicare il venir meno della funzionalità delle cornici di guida dell’azione. Ovvero, attraverso la nozione di ‘dilemma’ pongo il tema della prefigurazione di un possibile errore e degli interrogativi sui criteri che vengono adottati per orientare le scelte, nel momento in cui tale orientamento non è chiaro.

E’ utile descrivere quali possono essere i “segnali premonitori” di un dilemma e le modalità attraverso cui questi segnali vengono ‘processati’ da parte dell’operatore, a partire dall’esplorazione dei vissuti emotivi che accompagnano la percezione di un dilemma.

Interessanti a questo proposito alcuni studi sulla fenomenologia dei dilemmi morali tra i cui una riflessione della filosofa Carla Bagnoli (2006).

Essa esplora il tema ponendo in primo luogo il quesito relativo al ‘perché si esperiscono i dilemmi morali’ e risponde esponendo due diverse teorie. Una prima teoria (Hare R.M, 1981) ritiene che il dilemma nasca da un difetto di tipo cognitivo, morale o logico dell’agente che si trova a decidere, e secondo questa teoria, detta dell’agente ‘difettoso’, non sussistono dilemmi ma solo scelte difficili, e il ruolo dell’etica è di dare le indicazioni necessarie al superamento di tali ‘difetti’ in un assetto di tipo normativo.

Una seconda ipotesi invece (Williams, 1981) dà peso all’esperienza emotiva dell’agente e afferma che il dilemma nasce perché vi sono valori differenti e incomparabili, dai quali nascono obblighi che sono in conflitto, e non c’è via per risolverli se non trovando un modo di sfuggire alla decisione oppure affrontando una perdita di valore.In tal caso, la perdita viene vissuta come un attacco all’integrità dell’agente.

I sentimenti associati al vivere un dilemma morale sono in primo luogo quello della

perplessità e dello smarrimento e, in secondo luogo, in relazione alla prefigurazione delle

conseguenze derivanti dalla scelta, sono i sentimenti retrospettivi di colpa, il rimorso e il rincrescimento, la vergogna.

Tuttavia, rispetto al sentimento di perplessità, smarrimento o paralisi iniziale, Bagnoli afferma che l’agente vive queste emozioni non tanto perché esso sia incerto sul suo dovere ma quanto perché la situazione non gli permette di individuare con chiarezza qual è l’azione da fare e la scelta a cui è obbligato non sembra tanto infondata o irrazionale

quanto arbitraria, ovvero non fondata su ragioni” (Bagnoli, 2006: 15) e questo vissuto di

arbitrarietà dà luogo ad un sentimento di ribellione e di rivolta..

“…. verso la situazione stessa che impone di prendere una decisione impossibile, quando ci impone di decidere quando veramente non si tratta per noi di “scegliere”….l’enfasi sulla perplessità e l’arbitrarietà ci consente di prestare attenzione alla ragione fondamentale per cui i dilemmi morali rappresentano un problema serio per l’agente: la questione cruciale non è tanto che cosa fare, ma perché, cioé che cosa fare sulla base di ragioni con cui ci identifichiamo e che riteniamo valide. … il dilemma mette a repentaglio la nostra integrità mettendo in pericolo le condizioni alle quali possiamo esercitare ed esprimere le nostra identità pratica..” (Bagnoli 2006:32)

Anche J. Dewey, il cui lavoro fondante per l’analisi del pensiero e delle successive elaborazioni sul pensiero riflessivo, osserva alcuni tratti emozionali connessi alla rottura della routine, tratti emozionali che descrive come ‘uno stato di dubbio, di esitazione, perplessità, difficoltà mentale” (1963:72)

Similmente S. Banks (2006:169-170) dedica attenzione agli aspetti emotivi ed osserva come nel far fronte al dilemma etico gli assistenti sociali si espongano al biasimo (da parte

degli altri) o vivano sensi di colpa (da parte di se stessi). In alcuni casi questi sentimenti sono giustificati e in altri no.

Nel fare la scelta tra due valori o principi etici in conflitto S. Banks prevede quattro tipi di reazioni dell’assistente sociale:

1) la scelta è stata fatta con consapevolezza dei rischi e si ha un cattivo esito, l’operatore si sente in colpa e si domanda se si poteva fare diversamente;

2) L’azione è stata guidata da una scelta morale e si ha un cattivo esito, l’operatore può essere biasimato ma non si sente in colpa per il proprio operato;

3) l’operatore effettua fa un compromesso tra i propri principi etici e cede alla decisione gerarchica, si sente in colpa;

4) l’operatore effettua un compromesso tra i principi etici, giustificandolo in nome di un ordine di priorità. Ritiene di agire moralmente.