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CAPITOLO 2. I VALORI COME GUIDA ALL’AZIONE

2.1 I valori come guida dell’azione negli studi sociologici

In questa sede ritengo utile dare un breve quadro sul dibattito relativo ai valori nelle scienze sociali con un’attenzione alla loro capacità di influenzare l’azione. Secondo Gallino (1978) i valori definiscono:

“modelli d’azione o condotta più appropriati, ‘giusti’, in situazioni reputate di rilevanza cruciale in varie sfere e settori della società, in tal modo esprimendo la concezione dominante del modello di convivenza cioè dell’ordine sociale che la collettività dovrebbe realizzare e rispettare” Gallino (1978).

In questa prospettiva, i valori possono essere quindi visti come criteri che influenzano la scelta dei mezzi rispetto ai fini, sostengono l’azione e costituiscono lo sfondo su cui si articola l’attività valutativa. Principalmente oggetto di studio dell’etica e della filosofia morale, i valori sono diventati oggetto di studio anche delle scienze sociali nel momento in cui sono stati considerati come ‘motori’ dell’agire. Nell’ambito delle teorie dell’azione sociale, alcuni studiosi (Navarini, 2005; Marletti, 2006; Sciolla, 2008;) hanno messo in luce la tradizione sociologica della riflessione sui valori. Sciolla (1992; 2008) fa risalire a Max Weber, le radici sociologiche del pensiero sui valori, con l’identificazione di uno specifico ‘tipo ideale’ di agire “razionale orientato al valore”, accanto a quello ‘razionale orientato allo scopo’. Per Weber i valori sono delle convinzioni che vengono perseguite senza riguardo per le conseguenze prevedibili e in base alla credenza della loro ‘obbligatorietà’. Durkheim considera i valori come un “fatto morale e vi associa la caratteristica della “desiderabilità: riferendosi alla deontologia kantiana, afferma che oltre ad essere un ‘dovere’, il fatto morale deve apparire anche come “un bene”.

In altre parole non è sufficiente la componente dell’obbligo o della costrizione per identificare un valore, ma deve esserci anche una sua ‘attrazione’, una desiderabilità di qualcosa che si ama e che tutti riconoscono.

In questo modo, secondo Marradi (2005), Durkheim introduce la componente dell’ambiente sociale e indica il controllo normativo che la società esercita; attribuisce al valore la concezione di un “bene collettivo”, distinguendo tra valori e norme. Da qui la differenza tra morale e comportamento.

All’inizio del ‘900 i tratti costitutivi dei valori come “concezioni del desiderabile, sentiti

come obbligatori, non inferibili dai comportamenti” sono quindi già chiari; tuttavia

Sciolla (2008) osserva che altri grandi teorici del tempo sono “scettici”: Marx ad esempio sostiene che i valori sono una forma di ideologia le cui dichiarazioni con pretesa di universalità sono da considerare alla luce della loro radice di classe e come giustificazione ex post da parte delle classi dominanti. Ancora Sciolla (ib) osserva un altro versante ‘moderno’ di scettici costituito dagli etnometodologi così come dagli studiosi di prospettiva comportamentista, i quali sostengono l’inaccessibilità dei valori all’indagine empirica, in quanto legati alla soggettività degli individui, poco conoscibile non solo al ricercatore ma anche al soggetto stesso.

Un altro elemento del dibattito, già citato anche da Weber ma che verrà ampiamente ripreso dagli studi successivi, riguarda l’esistenza di un ‘politeismo dei valori’, ovvero il fatto che i valori possono essere molteplici e coesistenti, talvolta anche contrastanti. Questo implica che l’individuo sia posto di fronte ad una scelta e che debba mettere in atto un processo di selezione in caso di conflitto tra valori. Kluckhohn (1951) riprende il concetto di selettività e definisce il valore come

“ una concezione del desiderabile, implicita o esplicita, distintiva di un individuo o caratteristica un gruppo, che influenza l’azione con la selezione tra modi, mezzi e fini disponibili” Kluckhohn (1951:395)

Il rapporto tra valori e norme è un altro filone di studio rilevante ai nostri fini. Gallino distingue tra norme di carattere generale e norme più specifiche, in cui

“le norme di carattere generale si avvicinano ai valori e talvolta si confondono con essi,

mentre le norme più specifiche appaiono come mezzi procedurali per realizzare le prime”. Aggiunge poi che (id): “Tanto più è astratto il valore tanto maggiore è la sua funzione motivazionale. Valori generici, tipo la libertà o l’uguaglianza, hanno concorso a determinare l’azione storica di masse immense di individui (mentre) le norme in cui gli stessi valori si specificano nell’agire quotidiano lasciano sovente le masse pressoché indifferenti”. (Gallino, 1976:466)

Secondo Gallino quindi i valori manterrebbero la loro forza attrattiva nella misura in cui si mantengono ‘distanti’ dall’agire quotidiano; pensando al servizio sociale potremmo dire che questo avviene nella misura in cui i valori non entrano troppo nel dettaglio dell’operatività. Secondo Williams (1967), i valori e la norma sociale sono

strettamente collegati ma i valori sono concepibili come “standard di desiderabilità indipendenti da situazioni specifiche” mentre le norme “sono criteri con cui le

situazioni specifiche possono essere, e sono, giudicate”. Per Hechter, (1992) le norme

sono esterne all’autore e per essere efficaci richiedono di essere sanzionate, mentre i valori sono criteri durevoli, interni alla persona che non necessitano di sanzioni; i processi culturali attraverso cui influenzano il comportamento sono diversi: quello dell’imitazione e l’apprendimento per i valori, quello della sanzione e della disapprovazione sociale per le norme.

Secondo Pizzorno (2008)20, i valori conducono a prendere decisioni sul modo migliore da attuare per raggiungere uno scopo mentre le norme sono valide o invalide, dicono cosa è doveroso fare e presidiano l’agire deontologico. I valori invece dicono cosa sia buono o raccomandabile e rispondono all’agire teleologico.

Di questo ampio dibattito ritengo utile sottolineare tre punti:

- La differenza tra valori e norme sociali, dove i primi sono criteri di giudizio per i secondi;

• La presenza di più riferimenti valoriali che possono coesistere e tra cui è necessario scegliere,

• Il tema della selettività, i processi culturali attraverso cui valori e norme influenzano il comportamento.

Nella prospettiva di questo lavoro di ricerca includerò il peso giocato dalla dimensione organizzativa e dal contesto specifico in cui si inserisce il lavoro dell’assistente sociale. (vedi oltre).

Oggi il tema dei valori è di nuovo preso in ampia considerazione e pervade diversi ambiti del discorso pubblico. Tale diffusione sembra legata alla consapevolezza che l’attività del valutare (nel senso di ‘attribuire valore’) è onnipresente e universale, sia in ambito pubblico che privato. L’esperienza dice che i conflitti di valore sono una realtà costante con cui individui e soggetti collettivi si confrontano, che si presentano sotto forma di “dilemmi cruciali di azione” (Sciolla, 2008:90) nei quali vengono messe in campo concezioni anche contrastanti del benessere collettivo. A tale proposito Pizzorno (ib), a partire da una distinzione analitica tra un uso ‘pubblicistico’ e uno ‘disciplinare’ del termine ‘valore’, argomenta come sia possibile cogliere il sistema di valori a cui si fa riferimento solo ricostruendo il giudizio sociale attraverso cui le

conseguenze dell’atto vengono accolte e tradotte nel sistema di valori a cui quella

società fa riferimento. Pizzorno giunge a tale conclusione dopo aver mostrato la fallacia della distinzione weberiana di un’azione orientata allo scopo contrapposta ad un’azione orientata al valore e conclude la sua riflessione con alcune asserzioni particolarmente significative per questo studio. La prima relativa al fatto che il valore

20

mi riferisco alle “Note sparse di Alessandro Pizzorno alle lezioni di Roma Tre e Milano Bicocca, aprile 2008, non pubblicate. In particolare, la distinzione tra valori e norme è tratta da Pizzorno dal dibattito giurisprudenziale riportato da Habermas in ‘Fatti e norme’.

non può rifarsi all’intenzione di chi compie l’azione ma al giudizio di valore

implicitamente o esplicitamente espresso dai partecipanti all’azione che giungono a costituire una più o meno definita ‘comunità di valori’; secondo, che il valore va considerato come un’espressione collettiva e che, terzo, si possono distinguere tre diversi livelli di agire del soggetto: un agire che non introduce un discorso modificatore e non comporta conseguenze innovative nel gruppo di riferimento, uno che invece richiede un accordo esplicito tra i partecipanti in quanto le situazioni non sono già normate e si deve agire in condizioni di incertezza e infine un agire orientato alla ‘conversione’ in cui la condotta di valore mira ad essere adottata da altri soggetti.