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Cap 8.2 IL DILEMMA STRUTTURALE

8.3.1. Cosa si intende per dilemmi etici?

Nella parte introduttiva ho dichiarato la mia scelta di adottare come definizione di dilemma etico, tra le varie proposte, quella utilizzata da S. Banks secondo la quale il dilemma etico è “l’essere di fronte a due soluzioni ugualmente insoddisfacenti”. Si è visto anche come malgrado questa definizione appaia di semplice e immediata comprensione la sua concettualizzazione sia complessa e non favorisca l’individuazione degli elementi costitutivi di un dilemma. La definizione prevede infatti che si possano prefigurare chiaramente due strade e che siano entrambe possibili ed entrambe insoddisfacenti ma in questa concettualizzazione resta senza risposta la domanda relativa al ‘insoddisfacenti per chi’ e in relazione a quali standard viene decisa l’equivalenza delle due strade. Ciononostante gli assistenti sociali intervistati non hanno avuto particolari esitazioni nel raccontare uno o più episodi che rappresentassero una situazione dilemmatica così come vi sono stati vari assistenti sociali che hanno tranquillamente qualificato alcuni episodi come ‘dilemmi etici’.

Cos’è quindi per gli assistenti sociali un dilemma etico? Di cosa si compone la tensione valoriale e la duplicità delle alternative che vengono percepiti in contrasto?

Per H3 è difficile descrivere in generale cosa sia un dilemma etico ma nel tentarne un descrizione si può vedere come essa sia legato ad un contesto e a rinvia ad un’idea di “qualcosa che dovrebbe essere”

un dilemma etico? . come dire..è qualcosa che dovrebbe essere e non sempre è .. però non sempre ciò che è il meglio può essere il bene, sono delle situazioni in cui tu pensi che quella cosa giusta da fare sarebbe quella ma ti rendi conto che non fa bene, non so come dire, è un po' complicato, tradurre mi diventa difficile e non vorrei banalizzare ... (H3: 9)

Ancora H3 mette in evidenza l’aspetto della ‘correttezza’ del lavoro ma aggiunge il valore di una relazione che si basi sulla trasparenza e l’onestà. Si riferisce al dilemma di dover fare un’indagine sociale nei confronti di una famiglia di cui sa, ma non può dire, che è contemporaneamente in corso un accertamento penale per una denuncia di abuso sessuale del padre nei confronti della figlia, svelato dalla bambina stessa

..etico è comunque poter fare correttamente il nostro lavoro, con questa famiglia, con queste bambine, costruire una relazione che in quel momento era una farsa, perché non era sincera, doveva solo continuare a chiedere come vanno senza potersi occupare veramente di loro .. etico nel senso che era una forzatura e rischiava di mettere le bambine anche in una situazione peggiore perché c’era un clima di sospetto …. H3

Da questi primi cenni sembra che per gli operatori il dilemma etico corrisponda ad un conflitto di pareri su quale sia l’intervento da attuare per realizzare il benessere dell’utente. Ovvero, essi hanno un’opinione abbastanza precisa su quale sia la strada da percorrere ma affinché questa si realizzi è necessaria la collaborazione di altri soggetti i quali però non aderiscono a quel progetto di intervento e seguono altri obiettivi e altre logiche. Ma spesso questo è la manifestazione esteriore delle difficoltà strutturale in cui i servizi possono sentirsi da soli.

Riprendo a questo proposito una testimonianza citata a proposito dei dilemmi strutturali, da B2, giovane assistente sociale impegnata nel servizio territoriale di un piccolo comune, a proposito della richiesta di accoglienza e aiuto che la mamma di un bambino a cui ho già fatto cenno in precedenza, e dell’impossibilità materiale del servizio di continuare a mettere in campo l’aiuto che sarebbe necessario alla ragazza:

lei richiede tanto, ti chiede di aiutarla ha fatto tanto.. si spende, poi a fronte della sua fatica, i risultati non sono proporzionali.. però c’è anche un discorso concreto, se va in affido, lei non ha una casa.. noi non possiamo pagare una casa per lei .. è un po’ la paura di essere cattive, è molto più complesso però il pensiero è: tu hai avuto una vita così sfortunata, nessuno ti ha mai dato niente e adesso, che tu hai fatto questo

pezzo come me, che hai fatto tanta fatica, a distanza di due anni il risultato di questo tuo percorso è che il bambino va in affido… qui prendere una decisione è veramente molto difficile .. B2

Mentre G3 invece pone chiaramente il nocciolo del dilemma nella responsabilità sul ‘recidere dei legami e l’assumere decisioni consistenti che influenzano il destino delle persone

per me la definizione di un dilemma etico è quando si tratta di recidere dei legami. .. se si pensa alle adozioni, io le ho seguite un po’ .. quando vedo i figli degli amici adottati che fanno una brutta fine, mi chiedo con che diritto si recidono certi legami e che conseguenze hanno sulla vita di questi ragazzi.. La responsabilità è il dilemma rispetto al recidere certi legami, per esempio dove fa una brutta fine forse questo legame che è stato spezzato, magari non per colpa dei servizi, e il fatto di spezzare certi legami può essere molto importante sulla vita delle persone..noi magari non lo vediamo ma c’è.. G3

Si è visto anche in precedenza come l’aggettivo ‘etico’ – o meglio il ‘non etico’ – sia utilizzato quando l’operatore vuole manifestare la propria disapprovazione verso chi ostacola quello che per gli assistenti sociali è un agire professionale corretto. Accade in particolare per nelle situazioni tipiche del ‘dilemma strutturale’ in cui il conflitto tra servizi si gioca su chi difende e interpreta al meglio il benessere del bambino (o del proprio cliente). Il dilemma (senza l’aggettivo ‘etico’) sembra quindi configurarsi come un contrasto sulle scelte di intervento e quindi un conflitto di opinioni su cosa sia meglio fare. In questo vissuto si ritrova perfettamente l’osservazione posta da C. Bagnoli a proposito della fenomenologia dei dilemmi ‘morali’ a cui ho fatto cenno nella prima parte (vedi supra cap. 4.3), quando evidenzia che l’agente morale esperisce un sentimento di ribellione e rivolta perché la scelta a cui è obbligato ‘non sembra tanto infondata o

irrazionale quanto arbitraria, ovvero non fondata su ragioni” (Bagnoli, 2006: 15)

Nei dilemmi citati a proposito del rapporto tra assistente sociale e organizzazione, il contrasto è riconducibile alla tradizionale tensione tra mandato professionale e mandato

istituzionale su cui si soffermano molti autori e, come si è visto nella prima parte,

costituisce una cifra distintitiva dello sviluppo dell’identità professionale.

Ciò che emerge dalle interviste è una tensione legata al doppio mandato e ad una sorta di ‘conflitto di lealtà’ che contrappone l’essere fedeli all’utente o l’essere ‘fedeli all’organizzazione’ e che questo conflitto si fa consistente quando i valori professionali divergono dai valori perseguiti dall’organizzazione e si fa lacerante quando l’ “oggetto di lavoro” è l’aiuto ai genitori e il benessere dei bambini.