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CAPITOLO 6 – I SERVIZI PER LA TUTELA DEI MINORI: CONTESTO E DILEMMI ETICI

6.2 la relazione tra servizi e giustizia minorile

6.2.1. Il mutamento identitario della giustizia minorile

Contemporaneamente anche nell’ambito della giustizia minorile si avvia un profondo mutamento che provoca un consistente cambiamento anche nel rapporto tra servizi e tribunali e una complessiva rimodulazione dei reciproci ruoli.

Colpisce che tale rimodulazione avvenga in carenza di un dibattito capace di far dialogare i due ambiti e che la riflessione sull’impatto dei cambiamenti resti il più delle volte confinato a scambi autoreferenziali, interni al mondo dei servizi o delle magistrature.

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Il DCPM del 2001 che definisce i LEA, stabilisce infatti la competenza delle ASL per le funzioni psicodiagnostiche e di cura per i casi di abuso, ma in molte regioni questa indicazione non viene applicata.

Il processo di trasformazione della figura del giudice minorile è talmente profondo da aver indotto alcuni a definirlo come una ‘modifica del dna della giustizia minorile italiana, sintomo di una “crisi identitaria” (Andria P., 2009). Esso prende le mosse a partire dalla modifica dell’art 111 della Costituzione66, attuata nel 2000 per dare maggiore sostanza ad alcuni principi fondanti di procedimenti penali nei confronti degli adulti come la garanzia di un reale contraddittorio, la paritarietà tra accusa e difesa, la terzietà del giudice67. Questi principi sono stati trasferiti nell’ambito della giustizia civile minorile senza particolari attenzioni alla misura in cui avrebbero snaturato il processo minorile, a suo tempo costruito con l’esplicita intenzione di differenziarlo dal procedimento giudiziario per gli adulti (Fadiga, 2009).

Il ‘nuovo’ giudice minorile ama qualificarsi come giudice “garante” che opera come figura terza al di sopra e al di fuori degli altri pubblici poteri” differenziandosi dal precedente tipo di giudice minorile definito come “giudice amministratore”, funzionalmente collegato con i servizi sociali, dotato anche di poteri di autoattivazione (Villa L.; 2008). Per dare maggior corpo alla ‘terzietà’ e rafforzare lo schema del contraddittorio tra le parti, una norma della legge 149/2001 sull’adozione e l’affidamento introduce la nomina del difensore d’ufficio del minore, e quindi la figura dell’avvocato del bambino.

Sul versante dei servizi questa rappresentazione è profondamente distonica con quanto costruito negli anni precedenti, in cui il giudice minorile viene chiamato in causa quando è necessario rafforzare la “protezione dei bambini”, e non tanto quando va garantita una ‘giusta’ decisione presa grazie ad un processo che diventa ‘giusto’ se favorisce il contraddittorio tra le parti.

Il primo interrogativo suscitato da questi mutamenti è il domandarsi “da quale ‘parte’ possano stare i servizi”: in questo nuovo scenario la visione di una contrapposizione tra ‘parti’ che difendono gli interessi del bambino ‘contro’ parti che difendono gli interessi dei genitori risulta fortemente incongrua con la filosofia degli interventi maturata dagli operatori che vedono la protezione come una tappa di un più ampio processo di aiuto. Il nuovo scenario giudiziario infatti, mettendo al centro non tanto il tema delle protezione del bambino quanto quello della limitazione dei poteri parentali, rischia pericolosamente di associare il procedimento civile a quello penale.

La nuova normativa, approvata nel 2001 entra in vigore solo successivamente nel 2007, dopo numerose proroghe. Viene applicata in modo caotico, confuso e disorganico, le prassi adottate sono diverse a seconda dei Tribunali e delle Procure68. L’Associazione dei

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Legge costituzionale n.2 del 23/11/1999 67

La riforma è più nota come del ‘giusto processo’, voluta dal governo di centro destra in relazione ad alcuni procedimenti connessi alla criminalità organizzata

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. in una recente ricerca dell’unione nazionale delle Camere minorili ha evidenziato un’elevatissima eterogeneità della prassi adottate dai tribunali per i minorenni sul territorio nazionale (seconda indagine

magistrati minorili promuove un dibattito particolarmente vivace che si concentra su aspetti di metodo e di merito, ma raramente si estende al mondo dei servizi.

Pur essendo direttamente implicati come attivatori, ‘consulenti’ ed ‘esecutori’ delle decisioni della magistratura i servizi restano sostanzialmente fuori dal confronto e sembrano subire passivamente il tortuoso processo di ridefinizione delle regole69.

6.2.2 Le conseguenze operative

Le conseguenze operative di queste norme si rendono visibili in alcuni punti nevralgici della connessione tra giustizia e operatività dei servizi e in particolare riguardano: la segnalazione delle situazioni di pregiudizio dei minori, gli interventi di protezione d’urgenza, e le funzioni di controllo e vigilanza sui minori “affidati” all’ente locale in quanto la potestà genitoriale è stata ‘limitata’ dal provvedimento del Tribunale. Su questi punti si gioca la stretta interdipendenza tra servizi e magistratura e le nuove norme portano a mettere in discussione il processo di reciproca rappresentazione e attribuzione di senso

a. La segnalazione all’autorità giudiziaria: il ruolo dei servizi prima

dell’intervento giudiziario

L’obbligo della segnalazione in capo al servizio è sempre stato un tema dibattuto70 tra gli operatori; si pone come dilemma quando viene meno il delicato bilanciamento tra benessere del minore e miglioramento delle condizioni familiari ed è particolarmente forte nei contesti in cui il servizio struttura i propri interventi sulla base di un’adesione volontaria da parte dei genitori. Gli operatori pensano alla segnalazione quando verificano che i propri interventi non sono sufficienti a garantire il benessere minimo dei bambini e ritengono che il pronunciamento del giudice possa riattivare un processo di responsabilizzazione dei genitori e dare maggiore forza e autorevolezza agli interventi ipotizzati. Il successo di questa scommessa si basa sull’ipotesi che i genitori abbiano un nazionale dell’unione delle camere minorili (uncm) 2010 “L 149/2001 – Prassi in evoluzione” – www.camereminorili.it

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a titolo esemplificativo è interessante osservare come la maggioranza degli articoli apparsi sulla rivista ‘minori e giustizia’ dell’associazione nazionale dei giudici minorili, che ha dato ampio spazio al dibattito su questa tematica sia scritta da magistrati con una quasi assente voce dei servizi

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Si tratta di un dibattito diffuso anche a livello internazionale dove i diversi sistemi di protezione dell’infanzia hanno adottato posizioni differenti: chi verso la stretta obbligatorietà della segnalazione (come il sistema inglese) e chi verso la volontarietà e la valutazione di opportunità (come il sistema belga)

legame affettivo con il figlio tale da spingerli a reagire positivamente alla ‘minaccia’ di perdere la responsabilità parentale e avviare i cambiamenti prospettati. Per gli operatori quindi, la segnalazione alla procura minori non è (e non dovrebbe essere) il passo da fare quando si sono perse tutte le speranze di cambiamento, ma piuttosto quando, avendo già provato molte strade, si ritiene ve ne siano altre da tentare. Essa ha il significato di rendere chiaro ai genitori qual è la finalità e l’ordine di priorità dell’intervento dei servizi: il benessere di bambini o l’aiuto ai genitori. Nell’effettuare la segnalazione i servizi sottopongono al giudice anche un parere in merito agli elementi di preoccupazione/pregiudizio per i minori e ai loro bisogni di protezione.

Il fatto che negli ultimi tempi molte segnalazioni inviate alle procure della Repubblica per i minorenni vengono archiviate o diano seguito a provvedimenti protettivi considerati blandi dagli operatori, indica come stiano divergendo i criteri adottati nel ritenere necessario un intervento della magistratura minorile.

b. le funzioni di controllo e vigilanza

Un secondo gruppo di interrogativi riguarda il ruolo che i servizi sono chiamati a giocare

durante l’intervento dell’autorità giudiziaria. Dal punto di vista dei servizi si tratta dei

contesti così detti “coatti” in cui la relazione con la famiglia è resa obbligatoria dalle prescrizioni del tribunale e queste sono basate sulla rilevazione/accertamento di comportamenti giudicati (dal tribunale) come gravemente pregiudizievoli.

Le prescrizioni sono impartite in base alla convinzione che possano produrre un cambiamento positivo per ripristinare condizioni di sufficiente benessere per il minore. Anche qui l’intervento dei servizi è caratterizzato dalla necessità di gestire congiuntamente funzioni di sostegno e di controllo; lo sforzo culturale dei professionisti è stato nella direzione di rendere praticabile e dotato di senso l’uso di due diversi registri del sostegno e del controllo71, coerentemente con i propri presupposti scientifici e deontologici.

La possibilità di salvaguardare i processi di attribuzione di senso dei mandati di controllo in modo non repressivo è legato alla coerenza del sistema normativo a cui il controllo fa riferimento ma anche alla condivisione dei valori di riferimento, sia a livello sociale che etico-professionale. Dal punto di vista della coerenza e sensatezza del sistema delle regole, la fragilità del sistema italiano è che esso è caratterizzato dalla presenza di un “patchwork” normativo in cui le norme vengono estratte dal loro contesto originario e adattate alle diverse esigenze.

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Mi riferisco, tra le altre, alle riflessioni di F. O. Manoukian, in E. Neve, S. Giraldo “Il lavoro sociale tra aiuto e controllo”, Animazione sociale, marzo 1995.

Un esempio citato da molti è la formula dell’affido dei minori all’ente. Domanico72 ne dettaglia l’ambiguità mostrando la necessità di una specifica e contestuale declinazione da parte del magistrato; inoltre ne denuncia un uso improprio da parte dei servizi, in particolare quando osserva come spesso il decreto dell’autorità giudiziaria venga utilizzato dagli operatori per ottenere dai propri dirigenti la messa in campo di risorse a favore dei minori, risorse che altrimenti, alla luce dei tagli sulle spese e dei processi di negoziazione locale, non verrebbero date.

Sullo scenario sono poi entrati in gioco una serie di altri attori: gli avvocati, sia quelli che difendono gli interessi dei genitori sia quelli che difendono il minore e i periti o consulenti tecnici, nominati d’ufficio o nominati dalle parti. Questi nuovi attori assumono alcune delle parti in precedenza assunte dagli operatori dei servizi di tutela, rappresentando i punti di vista della madre o del padre, del bambino, formulando valutazioni in risposta ai quesiti peritali. IL tutto avviene in modo frammentato e confuso, in assenza di un luogo in cui ricomporre le divergenze e tentare un rinegoziazione delle responsabilità: tutto è gestito con il registro del contenzioso e continui sono i conflitti di competenza.

6.2.3 Avvocati e consulenti: nuovi attori sullo scenario della tutela

dei minori

Infine l’implementazione del ‘giusto’ processo ha portato ad un aumento del numero di

avvocati e consulenti che interagiscono con gli operatori, su terreni che pongono anch’essi

un’esigenza di ridefinizione e responsabilità.

a. Avvocati dei genitori e avvocato del minore

La presenza degli avvocati dei genitori è inizialmente collegata a procedimento in corso anche in ambito penale o alle separazioni conflittuali ed essi sono raramente visti dagli operatori come collaboratori nella costruzione di percorsi di cambiamento.

Le prime reazioni degli operatori di fronte agli avvocati dei genitori sono state di diffidenza e di chiusura73 e la carenza di spazi di confronto ha alimentato reciproci pregiudizi. Gli operatori vedono gli avvocati come aprioristicamente schierati in difesa dei loro clienti e li ritengono indifferenti al benessere dei bambini; gli avvocati guardano agli operatori come

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M. G. Domanico “Interventi di urgenza disposti dal tribunale e affido all’ente: questioni aperte e criticità”, in S. Galli, M. Tomé, (2008).

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Per esempio il timore di denuncia degli operatori o di eccessiva esposizione mediatici, ha portato alcune organizzazioni a vietare il contatto tra operatori e avvocati, incaricando di questo solo il responsabile di servizio.

rigidamente guidati da pregiudizi, burocrati, poco qualificati, insensibili e dotati di eccessivo potere. Gli operatori partono dal presupposto che il riconoscimento anche parziale delle difficoltà sia una risorsa importante per fondare un processo di cambiamento e costruire una relazione collaborativa: il loro timore è che gli avvocati rafforzino lo strutturarsi di una negazione e di una rigida contrapposizione. Il rapporto con gli avvocati è segnato da interrogativi: per esempio, come gestire la richiesta di alcuni avvocati di essere presenti ai colloqui con i genitori? In servizi caratterizzati da sovraccarico di lavoro e una logica managerialista che porta talvolta al ‘minutaggio’ delle prestazioni, qual è il senso di dedicare tempo e cura al rapporto con gli avvocati, sacrificando il tempo dedicato agli utenti? E come fare quando gli avvocati, con cui si è faticosamente costruita un’intesa, cambiano? Come gestire il tema del segreto professionale?

A questi interrogativi si aggiungono poi quelli legati alla recente introduzione della figura

dell’avvocato del minore. In quanto “avvocato del bambino” si posiziona in un’area molto

vicina a quella degli operatori che si rappresentano e sono rappresentati con una funzione di protezione e ‘advocacy’ del minore per cui le possibilità di sovrapposizione e confusione possono essere molteplici. Un esempio significativo dei rischi di confusione è quando l’avvocato del minore propone un progetto profondamente diverso da quello ipotizzato (e spesso già avviato) da parte dei servizi74.

b. I consulenti tecnici – i periti

Problemi analoghi possono verificarsi nel caso delle consulenze tecniche, nella relazione con i consulenti tecnici (CTU o CTP). Le richieste di consulenze sono sempre più frequenti, legate all’incremento delle separazioni conflittuali; avvengono non solo su iniziativa del tribunale o dagli avvocati ma anche degli stessi operatori, in particolare quando questi ritengono di aver esaurito le proprie risorse di autorevolezza e credibilità agli occhi della famiglia. Considerando che anche gli operatori svolgono funzioni valutative e di trattamento, diventa evidente la potenziale sovrapposizione degli interventi.

Alcuni consulenti (molti dei quali sono o sono stati operatori) hanno cercato di elaborare delle linee di comportamento che rendano la perizia congrua con il quadro complessivo ma anche qui la sensazione è che il dibattito resti limitato e circoscritto e fatichi a collocarsi in una prospettiva di più ampio respiro. Un punto critico oggetto di confronto riguarda la possibilità che il parere tecnico sia riconosciuto come sufficientemente autorevole da essere assunto come base di riferimento per impostare ed orientare il successivo trattamento da parte di quegli stessi operatori che possono maturato un diverso parere. Un secondo elemento riguarda l’impatto della differenze di contesto nel

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È quindi particolarmente apprezzabile l’impegno di alcune camere minorili di aprire un confronto su questi temi

rapporto famiglia-consulenti e come le valutazioni maturate in quel contesto possano essere transitate nella relazione con altre persone, mantenendo la loro validità.

Lo scenario attuale appare quindi denso di contraddizioni: da un lato sembra prevalere un clima di diffidenza, sfiducia e distanza tra gli operatori e le famiglie, segnalato da episodi diretti di aggressione così come da un incremento delle denuncie dei genitori contro operatori e magistrati75. Dall’altro le segnalazioni ai servizi tutela aumentano, non solo da parte delle agenzie del territorio, come le scuole o le associazioni, anche da parte dei cittadini direttamente interessati da problemi genitoriali ed esistenziali che spontaneamente vi si rivolgono portando una domanda di aiuto non solo assistenziale ma anche consulenziale.