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CAPITOLO 3. L’ETICA E I DIVERSI APPROCCI

3.3 i diversi approcci all’etica

Nella prospettiva della filosofia morale, possono aversi diversi approcci all’etica connessi a differenti concezioni filosofiche. Una prima distinzione viene fatta tra etiche teleologiche e etiche deontologiche.

Le prime sono definite anche ‘etiche del bene’ perché suggeriscono un modello di condotta finalizzato alla realizzazione del bene; il giudizio di valore viene dato in base alle conseguenze dell’atto ed è per questo che sono denominate anche ‘consequenzialiste’ o ‘utilitariste. In questo approccio quindi le azioni non sono giuste o ingiuste in sé ma per le conseguenze che hanno; la critica a questo tipo di etica è che in tal modo non è in grado di funzionare come guida per l’azione e che è scarsamente sensibile alla necessità di avere norme stabili.

Le etiche deontologiche sono invece denominate le etiche del ‘giusto’ o etica del dovere assumono che la qualità morale dipende da fattori intrinseci all’azione stessa e che le azioni abbiano delle proprietà in sé che le rendono giuste o sbagliate indipendentemente dalle conseguenze che hanno. A questo approccio fanno riferimento tipicamente le etiche di tipo kantiano. Le osservazioni critiche a questo approccio si basano sostanzialmente sul domandarsi fino a che punto deve spingersi la conformità alla norma (Neri, 1999 op. cit)

Così anche l’etica professionale può essere analizzata collocandola nelle diverse cornici filosofiche a cui si riferisce e varie sono le classificazione utilizzate dagli studiosi. Banks ad esempio assume l’esistenza di tre diversi approcci: kantiano, utilitarista e radicale (Banks, 1999:33-35), e propone due macro categorie di approcci imparziali e parziali a cui attribuisce i diversi tipi di etica. Gray e Webb (2010) adottano una suddivisione tra teorie non naturalistiche e teorie naturalistiche. Ad ogni modo vari autori sia italiani (Neve, 2008; Tassinari, 2005, Vecchiato e Villa 1995) che stranieri sono concordi nel rilevare come la maggior parte della letteratura sui valori nel servizio sociale faccia riferimento alla corrente filosofica kantiana, in particolare guardando i sette principi individuati negli anni ’50 da Biestek su cui si è basato gran parte del servizio sociale occidentale.

Il paradigma kantiano assume come fondamento che gli esseri umano sono individui liberi e razionali, da cui derivano i principi etici del rispetto per ogni singolo individuo e i principi di libertà individuale e giustizia (intesa come rispetto dei diritti e del merito) come principi morali. I principi operativi che ne derivano sono: il rispetto dell’autodeterminazione, la riservatezza l’atteggiamento non giudicante, l’accettazione e il rispetto per i diritti degli utenti.

Un secondo paradigma fa riferimento alle teorie utilitaristiche: in esse gli esseri umani sono individui liberi e la società deve trovare un compromesso tra le diverse libertà, il principio morale del rispetto dell’individuo si declina in ‘giustizia’ intesa come ‘equa

distribuzione’ da cui deriva il concetto del trattamento imparziale, e in ‘utilità’ intesa come promozione del benessere degli utenti e del benessere comune. Entrambe le morali kantiane e utilitaristica sono basate su un sistema di diritti e doveri individualizzati, la cui enfasi è posta sull’imparzialità e la razionalità.

Banks individua poi una terza categoria di approcci che nomina “radicale” in cui comprende gli approcci antioppressivi così come quelli marxisti. Per essi l’assunzione di base è che “gli esseri umani sono esseri sociali la cui libertà è realizzata nella società”, il principio morale fondamentale è il rispetto per gli esseri umani sociali, la giustizia è intesa come uguaglianza di partenza e l’utilità intesa come bene collettivo coincidente con il bene individuale; i principi per il servizio sociale che ne derivano sono il rispetto delle differenze, la lotta alle disuguaglianze l’azione verso il cambiamento sociale, l’empowerment individuale e collettivo.

Secondo questa ripartizione, i principi e i valori tradizionali del servizio sociale sono ampiamente afferibili all’approccio kantiano ed è la progressiva collocazione poi del servizio sociale nell’ambito dei sistemi di welfare e nella pubblica amministrazione a portare in campo, in relazione alle problematiche di gestione delle risorse e funzioni di controllo sociale, l’approccio afferibile alle filosofie utilitaristiche; da questi due diversi approcci scaturiscono spesso doveri contrastanti e conflitti valoriali.

M. Gray e S. Webb (2010) propongono una diversa denominazione per le due macrocategorie in cui collocano i vari approcci etici: teorie etiche non – naturalistiche e teorie etiche naturalistiche. Le prime fanno sostanzialmente riferimento alla etica kantiana di cui si è detto, vengono definite non naturalistiche perché prescindono dalle specifiche caratteristiche della natura umana e fanno riferimento a principi astratti e ideali (il riferimento è Platone). Nel servizio sociale queste teorie si basano sul concetto basilare dell’autodeterminazione, concetto su cui M. Gray si sofferma per mostrare come esso non sia privo di incongruenze. Già la Perlman sosteneva che era una nozione illusoria, e più recentemente Spicker (1999, in M. Gray id. p. 30) evidenzia come sia una nozione strutturalmente contraddittoria con il lavoro dell’assistente sociale e che contribuisce a rendere opaca la dimensione di autorità e potere intrinseca nella relazione con l’utente e rendendola opaca impedisce di assumerne consapevolezza (Timms, 1983).

Le teorie etiche naturalistiche fanno invece riferimento alla filosofia aristotelica che definisce come bene ultimo il fiorire e il benessere della natura umana, e comprende quindi quelle etiche che danno valore all’esito delle azioni. Fanno parte di queste gli approcci teleologici l’utilitarismo come forma del consequenzialismo che prevede di massimizzare il bene per tutti, il consequenzialismo e infine l’etica delle virtù; con questa si intende la posizione aristotelica per cui la moralità nasce dal carattere della persone e dalle sue virtù. L’approccio etico delle virtù è stato frequentemente posto come alternativa agli approcci deontologici ma viene recentemente messo in discussione dagli studi che mostrano come vi siano vari fattori, indipendenti dalla

virtuosità dell’agente, legati alla situazione che influenzano un agire più o meno moralmente adeguato29.

Una distinzione molto simile viene proposta da S. Banks tra a approcci imparziali e

distaccati e approcci parziali e situati in cui, i primi sottolineano la moralità come

un’azione razionale dell’agente morale, uguale nelle diverse circostanze (ripulita dai sentimenti personali o dalle preoccupazioni relazionali) mentre i secondi enfatizzano gli aspetti soggettivi di carattere e le relazioni interpersonali. All’interno del primo approccio vengono citati:

- l’etica basata sui principi. È l’etica che prevede che il giudizio sulla correttezza di un’azione venga dato sulla base di un principio fondante sovraordinato; come per es. il principio del rispetto della dignità umana da cui poi dipendono i diversi principi operativi. È l’approccio più diffuso nel servizio sociale e che informa tutte le impostazioni dei codici etici e deontologici e che spinge alla ricerca di principi fondanti. Anzi si tratta di un approccio più diffuso in tutti gli ambiti dell’etica professionale30

- L’etica basata sui diritti prevede che il giudizio sull’azione sia collegato al rispetto di alcuni diritti della persona che non possono essere violati, come ad esempio il diritto alla libertà. Questo approccio può essere visto come una difesa dall’utilitarismo ma apre l’interrogativo su come si fa ad asserire quali sono i diritti che le persone hanno, in base a quale principio; come si è visto a proposito dell’IFSW alcuni organismi di servizio sociale hanno esplicitamente assunto le carte dei diritti internazionale come loro codice etico di riferimento. - L’etica basata sul discorso. Fondata da Habermas viene vista come uno sviluppo particolare dell’approccio Kantiano, in base alla stessa affermazione di Habermas per cui ‘solo le teorie kantiane possono sostenere la promessa di una procedura imparziale’; egli tuttavia basa l’eticità non sul contenuto dell’azione ma sulla base della correttezza dell’azione comunicativa. È in infatti nell’interazione comunicativa che si sostanzia il nucleo delle moralità e della comprensione reciproca, basata su tre principi (Houston S,. 2008)31.

- L’etica basata sui casi secondo cui il giudizio morale si costruisce sulla comprensione dettagliata di casi particolari, in cui i principi morali sono utilizzati come punto di partenza (Jonsen, 1996; Beauchamp and Childress, 1994; 2001) prestando una forte attenzione al contesto

29

i fautori di questa critica vengono denominati situazionisti 30

hanno evidenziato questo aspetto due importanti studiosi, Beauchamp and Childress (2001), che hanno esaminato le decisioni etiche in campo biomedico, dove per esempio sono previsti quattro principi fondanti dell’autonomia, della beneficenza, della giustizia

31 ciascuno ha il diritto di parlare e prendere parte al discorso, ognuno è autorizzato a porre qualsiasi domanda su qualsiasi cosaognuno è autorizzato a introdurre qualsiasi argomento nel discorso; ognuno è autorizzato a esprimere le sue attitudini, desideri e bisogni; a nessuno può essere impedito di esercitare il suo diritto sui punti procedenti (Habermas, 1990 )

Gli approcci imparziali e distaccati sono stati criticati per l’eccessiva fiducia illuministica nelle teorie e nella razionalità dell’agire e per il fatto di trascurare ogni considerazione sia delle dimensioni individuali dell’agente morale (carattere, motivazioni, emozioni, motivazioni) sia delle relazioni con cui esso deve interagire.

D’altro canto si possono trovare etiche collocabili nell’ambito di approcci “parziali e

situati” ancorati ad elementi specifici o dell’agente o del contesto. Essi comprendono:

- Le etiche focalizzate sull’agente, che sottolineano invece delle caratteristiche dell’azione le caratteristiche della persona che prende la decisione morale. Si tratta dell’etica delle virtù cui si è già fatto cenno ed ha lo scopo di far emergere la persona al di là dell’astrattezza dei principi (Foot., 1978; MacIntyre, 1985; Crisp and Slote, 1997, Hursthouse, 1999; Rhodes, 1986; Oakley and Cocking, 2001)

- le etiche basate sulla comunità, l’agire etico è legato all’identità della persona che è a sua volta inserita in un contesto con specifici ruoli, che costituiscono un vincolo. È una teoria etica che critica la visione kantiana dell’individuo come essere razionale autodeterminantesi che agisce secondo un codice astratto ed è stata criticato sia dai liberali che dalle studiose femministe che ne vedono i rischi di un’oppressione da parte della morale comunitaria. È un approccio però utilizzato per riattivare la responsabilità sociale e promuovere la cittadinanza attiva (Etzioni, 1995, Giddens, 1998) e sulla mutua responsabilità per stabilire i valori comuni.

- Le etiche basate sulla relazione associano diverse teorie etiche a partire da quella femminista, accomunate dall’importanza data alla relazione con l’altro. Prende le mosse dal lavoro di C. Gilligan (1984) sul differente senso morale delle donne confrontato con la morale maschile, quest’ultima più preoccupata del rispetto dei diritti, dell’uguaglianza, della reciprocità (etica della giustizia) a fronte di una morale femminile (etica del ‘care’) attenta all’aver cura, all’ascolto delle diverse possibili visioni dei diritti e della giustizia32, all’impegno, la cui preoccupazione sta nel distacco, nell’abbandono e nell’indifferenza. Focalizza maggiormente le relazioni di dipendenza e di vulnerabilità, e delle qualità necessarie per questo33 ed è stato un approccio molto utilizzato nel campo delle relazioni di aiuto e di cura; Sevenhuisen (1998) lo utilizza nell’ambito dell’affidamento dei minori in Olanda, Rauner (2000) nel lavoro con i giovani etc, Kittay (1999) per gli infermieri

32 Da qui il titolo del suo testo fondamentale: “With a different voice” 33

Quattro elementi sono indicati come caratteristici dell’etica del “care: attenzione, il ‘rispondere’ (responsiveness), competenza, responsabilità” (Tronto, 1993 integrati da Rauner, 2000) ………

Secondo alcuni la scelta di uno dei due approcci appare poco sostenibile ma nel contempo necessaria: in questo senso di esprime Hekman (1995) quando riprende Gilligan e mostra come le due ‘etiche’ (quelle della ‘giustizia’ e l’etica della ‘cura’) siano entrambe necessarie ma non possano essere utilizzate contemporaneamente; utilizza come esemplificazione di questo concetto il disegno proposto da Wittengstein (1972) che può essere visto sia come coniglio che come anatra ma non simultaneamente entrambi.

Una terza via è prospettata da Lorenz (2006; 2010) il quale ritiene che l’etica non vada pensata con l’approccio distaccato/imparziale come una pietra di paragone rigida e immodificabile su cui misurare la correttezza del proprio agire ma nemmeno secondo l’approccio parziale e situato che ipotizza un’immersione totale nelle dinamiche soggettive e relazionali in cui perde ogni ancoraggio a parametri condivisi. Egli ritiene che l’etica vada concepita in termini normativi dove tuttavia la ‘normatività sta nell’assunzione di un metodo’ che sia eticamente rispondente ad alcuni principi morali, che comprenda accanto ai valori ma le conoscenze scientifiche sul comportamento umano e delle relazioni, il funzionamento della società o delle politiche, e che in quanto tale garantisce la correttezza e il rispetto. In questa stessa prospettiva S. Houston (2008) associa l’etiche del discorso e le teorie del riconoscimento di Honnet (1995) per mostrare come si possa far fronte ai nuovi dilemmi che il servizio sociale si trova a affrontare e traccia un ponte tra approcci telelogici e deontologici.

Su un piano simile si colloca l’approccio etico proposto da Nussbaum (1986, 2002) che ha sviluppato una teoria etica in cui contempera sia le preoccupazioni universalitstiche che quelle particolaristiche. A questo si riferisce Hugman (2008) quando, mettendo a confronto le modalità di reazione di assistenti sociali di due diversi paesi (Cina e Stati Uniti) di fronte ad un caso di violenza domestica, propone di utilizzare l’approccio delle capacità per prestare la dovuta attenzione alle differenze culturali. Secondo Hugmann (id) la considerazione delle ‘capacità umane’ può garantire un pluralità di valori e contemporaneamente uno scenario comune di riferimento.