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la nascita dei centri specialistici degli anni ’80: il diritto dei bambini alla

CAPITOLO 6 – I SERVIZI PER LA TUTELA DEI MINORI: CONTESTO E DILEMMI ETICI

6.1 l’evoluzione dei servizi per la tutela dei minori

6.1.1 la nascita dei centri specialistici degli anni ’80: il diritto dei bambini alla

I primi passi nell’acquisizione della consapevolezza sulla rilevanza del maltrattamento infantile e la necessità di assumerlo come tema degli interventi del sistema organizzato di aiuto si realizzano in Italia negli anni ’80, in cui nascono alcuni importanti centri specialistici e le prime iniziative esplicitamente dedicate questo tema55 . Nascono mossi da una forte carica ideale, con la finalità di arrestare il maltrattamento infantile

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l Centro per il Bambino maltrattato di Milano, si costituisce nel 1984 raccogliendo l’eredità di un precedente associazione, il CAF nato nel 1979 per iniziativa di un gruppo di privati cittadini, nel 1987 a Roma si costituisce presso l’ospedale Bambin Gesù di Roma un’unità clinica specializzata e l’associazione per l’età evolutiva; a Cagliari il primo centro pubblico Numero Blu promosso dalla Provincia di Cagliari. Nel 1987 nasce il Telefono Azzurro, con la prima linea nazionale di soccorso per le vittime. Dal 1984 al 1996 la rivista ‘Bambino Incompiuto’, promossa dall’AIPAI (Associazione italiano per la Prevenzione dell’Abuso all’Infanzia), raccoglie i principali contributi sul tema.

intrafamigliare, dichiarando la necessità di contrastare e superare il silenzio che isola la famiglia nella violenza. L’attenzione è posta quindi sulla necessità di denunciare e far emergere il fenomeno, superando l’omertà e il senso di vergogna che lo chiude nel segreto delle mura domestiche e contemporaneamente rendere il sistema maggiormente in grado di arrestare la violenza contro i bambini, di restituire giustizia alle vittime, contrastando l’idea che i bambini siano esclusiva ‘proprietà’ dei genitori. È di questi anni l’inizio di una conoscenza scientifica del maltrattamento infantile che viene esplorato nelle sue conseguenze e nelle condizioni che rendono possibile un intervento di cura dei bambini vittime, da cui nasce il movimento per la protezione dell’infanzia in Italia.

Alcune frasi ‘slogan’ ne indicano l’impronta culturale. La prima, coniata nell’ambito di una delle prime campagne pubblicitarie del Telefono Azzurro, “un bambino maltrattato oggi sarà un genitore violento domani” (campagna 1987) dimostra l’attenzione alle conseguenze della violenza e sottolinea l’urgenza di un intervento in un’ottica di prevenzione terziaria.

La seconda, “dietro un bambino maltrattato c’è una famiglia in crisi”, che titola uno dei primi articoli descrittivi del modello di intervento adottato dal CBM (Centro per il Bambino Maltrattato e cura della crisi familiare) di Milano56, associa alla necessità di rompere il muro del silenzio, una chiara posizione in merito all’oggetto di lavoro e di metodo. Denunciando la dicotomia tra la minimizzazione del maltrattamento verso i bambini e la criminalizzazione dei genitori maltrattanti propone una ‘terza via’, quella dell’esplicitazione del fenomeno e la cura delle relazioni famigliari. Il maltrattamento viene infatti definito come ‘sintomo’ di una disfunzione famigliare, la protezione e la ‘cura’ del bambino sono strettamente legate e connesse alla ‘cura’ delle relazioni famigliari. L’équipe del Cbm prefigura così la possibilità di gestire il potenziale (o reale) conflitto tra la difesa del diritto del bambino ad essere allevato senza violenza e la difesa del diritto dell’adulto genitore. Questa si gioca attraverso l’adozione di un modello processuale di intervento che consente di collocare in una sequenza le diverse esigenze dell’intervento (Bertotti, Gabbana, 1993). Nelle fasi iniziali, una di ‘rilevazione’ il cui scopo è l’individuazione del livello di gravità e di pericolo in cui si trova il bambino, e una di protezione, il cui scopo è mettere il bambino al riparo dalla violenza, l’attenzione è rivolta al bambino e a quanto accaduto. Nelle fasi successive ci si dedica a costruire gli scenari futuri e l’attenzione si sposta dal bambino ai suoi genitori e alla famiglia: in una prima fase, chiamata di ‘valutazione57

’, ci si propone di comprendere e modificare la dinamica

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L’articolo citato è di S. Cirillo, (1986); il modello di intervento venne presentato in un convegno svoltosi a Ferrara nel 1984, su “le prospettive relazionali nelle istituzioni e nei servizi territoriali” riportato in AA VV (1985)

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All’epoca viene definita come ‘valutazione della recuperabilitò delle funzioni genitoriali’ e si realizza in forma ‘coatta’ attraverso un invio prescritto all’autorità giudiziaria, con un quesito di tipo peritale. La valutazione viene realizzata in una forma ‘dinamica’ e vede i professionisti mettere in campo un’attitudine terapeutica. È questa caratteristica che fece inizialmente qualificare la proposta del CBM come la proposta di una “terapia coatta”, provocando alcune polemiche e rettifiche: si parlò quindi di invio coatto.

relazionale sottesa alla violenza e di sperimentare i cambiamenti che potrebbero consentire al bambino di essere restituito alla propria famiglia in un contesto sicuro. L’esito di questa fase è una ‘prognosi’ e la fase seguente di ‘trattamento’ ha lo scopo di costruire le condizioni di benessere per il bambino a medio lungo termine e si differenzia a seconda dell’esito della fase precedente: nella direzione di consolidare i cambiamenti positivi della famiglia e ‘restaurare le piene responsabilità genitoriali nel caso di una ‘prognosi positiva’; di individuare un contesto famigliare alternativo per il bambino nel caso in cui i genitori e i famigliari non avessero attuato i cambiamenti necessari. Ogni fase è scandita da un provvedimento giudiziario: il Tribunale per i minorenni viene in questo periodo rappresentato come il partner dei servizi ed è l’istanza istituzionale che sola può legittimare la realizzazione di interventi che prevedono elementi coattivi nei confronti dei genitori.

Sul piano delle politiche sociali gli anni ’80 sono un periodo di evoluzione del sistema di welfare e di grande sviluppo dei servizi in generale; si estendono i diritti e se ne differenzia l’offerta e i servizi per l’infanzia e la famiglia sono di tipo universalistico: servizio di medicina scolastica, asili nido, la tutela della lavoratrici madri, i consultori famigliari (Ferrario P, 2001). In un clima culturale sostanzialmente orientato da una visione progressiva dei servizi (Olivetti Manoukian, 2005) le realtà metropolitane avviano la sperimentazione di interventi volti a contrastare l’istituzionalizzazione dei bambini e la cronicizzazione del disagio. Sono di questi anni le prime esperienze di diffusione dell’affido famigliare, delle comunità educative o famigliari, dell’educativa domiciliare e dei centri di aggregazione territoriali.

Ciò malgrado, la protezione dei minori tende ad essere gestita in termini assistenziali, in sostanziale continuità culturale con l’eredità derivanti dei grandi enti nazionali (Omni, Enaoli etc) recentemente disciolti e si articola in interventi di sostegno materiale e di ricovero in istituto per i bambini delle famiglie più povere.

In contrasto con questo orientamento, i nuovi centri propongono che accanto alle competenze sociali ed educative si mettano in gioco competenze psicologiche specifiche e che, superando l’assenza di una richiesta esplicita e spontanea di trattamento, si metta il sapere psicologico a disposizione per aiutare i cosiddetti “casi sociali”. Si intravede una presa di posizione di tipo ‘politico’ che sfida un approccio rinunciatario o implicitamente deterministico che sembra considerare la problematicità e il disagio di alcune famiglie come immodificabili.

Questo approccio viene visto positivamente dalla magistratura minorile che in quegli anni, in seguito alla riforma del diritto di famiglia e all’emanazione del DPR 616/77 che sostanzia il processo di decentramento e con l’art. 23 attribuisce alla responsabilità degli enti locali l’attuazione dei provvedimenti civili ed amministrativi del Tribunale per i minorenni. Va detto che la collaborazione tra servizi e magistratura prefigurata dal DPR 616/77 prende avvio con molte diffidenze e contrasti da parte degli operatori che temono di veder

snaturato il proprio compito professionale e di vedersi trasformati in agenti di polizia con esclusive funzioni di controllo (Pavarini, Bergonzini, 1985)

6.1.2 Gli anni ’90 - La diffusione dei servizi pubblici in ambito socio