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CAPITOLO 5. STRATEGIE DI RISPOSTA AI DILEMMI

5.3. Fattori di tipo organizzativo

5.3.4 Managerialismo e autonomia professionale

Un altro fattore che influenza la gestione dei dilemmi etici è il processo di managerializzazione che ha investito il sistema di Welfare a partire dagli anni ’90 nel momento in cui si è diffusa la trasposizione di modelli organizzativi tratti dal mondo della produzione e delle azione al settore dei servizi sociali e sanitari.

Con il termine di ‘managerialismo’ si intende un insieme piuttosto ampio mutamenti organizzativi e gestionali strettamente connessi alla diffusione delle politiche neoliberiste. Esso si caratterizza in primo luogo come un’ideologia che afferma la possibilità superare la crisi dei sistemi welfare attraverso l’adozione di modelli di funzionamento tratti dal libero mercato, attraverso cui si può ottenere sia il contenimento dei costi sia il miglioramento costante dei servizi.

Il new public management (NPM) si presenta come la soluzione principe basata sui tre assunti della modernizzazione, del nuovo e dell’efficienza (Newmann, 2005). Propugna superamento di confini professionali come avere una relazione amorosa con un utente, o farsi prestare dei soldi etc

una gestione manageriale dei servizi e la necessità di sostituire la modalità di gestione tipica delle burocrazie pubbliche istituzionali considerate fonte di sprechi e inefficienze (Bifulco, 2008). Economicità, efficacia ed efficienza sono le altre parole d’ordine della nuova ideologia che raccoglie, almeno inizialmente, consensi da più parti.

Il NPM si definisce così come un sistema organizzativo che intende rimediare ai guasti prodotti dalle organizzazioni burocratiche e prevede che le decisioni vengano guidate non tanto dal rispetto della norma e delle procedure (“rule driven”) quanto dal risultato (“output driven”). Ovvero, il valore e la bontà di servizio non viene data dal corretto e adeguato rispetto delle procedure, come nell’idealtipo delle organizzazioni burocratiche, ma dal raggiungimento del risultato e della capacità del manager di scegliere e rischiare. Il managerialismo si sviluppa in stretta connessione con l’adozione di un’ottica di mercato applicata al welfare che prevede l’adozioni di alcuni assunti principali.

Uno di questi è che si interrompa il monopolio della gestione dei servizi da parte dell’ente pubblico, che si diffondano servizi prodotti da enti privati e che questi entrino in competizione tra loro. Un secondo presupposto, associato al primo, prevede che l’utente si trasformi da ‘cliente/utente’ di un servizio a ‘consumatore’, dotato della possibilità di scegliere i servizi che ritiene più utili per sé, in una pluralità di offerta, a cui si affida anche il ruolo di giudicare la qualità del servizio. Terzo tassello di questo processo è la separazione tra chi ‘acquista’ i servizi, chi ne usufruisce e chi li eroga o li produce e l’attivazione di una competizione tra erogatori di servizi.

Sottesa a questa impostazione si trova la critica al ruolo giocato dai burocrati – professionisti ovvero da quelle figure professionali inserite nelle organizzazioni come figure incaricate di una funzione intermediaria tra l’istituzione e il bisogno del cittadino. Il ruolo del professionista viene visto come di indebita manipolazione in quanto si ritiene che esso agisca nell’interesse proprio o dell’istituzione anziché di quello dell’utente, alimentando quella che verrà nominata come l’etica della sfiducia (ethics of distrust). Il presupposto della libera scelta è che le persone abbiano la capacità di scegliere e di stabilire chiaramente di cosa hanno bisogno; la relazione tra chi realizza il servizio e chi lo utilizza viene declinata solo in termini di soddisfazione e qualità.

Questi a grandissime linee i presupposti ideologici e concettuali del managerialismo; in misura variabili essi sono stati applicati anche in Italia coerentemente con le diverse linee politiche assunte dai governi regionali e prima nell’ambito sanitario e successivamente nell’ambito dei servizi sociali.

Vediamo a grandi linee le ricadute del processo di applicazione di questi presupposti per osservarne l’impatto della pratica professionale degli assistenti sociali e nella produzione e gestione dei dilemmi.

• La focalizzazione sui risultati e l’assoluta priorità data ai vincoli di spesa ha comportato una sottolineatura dell’importanza di dimostrare l’efficacia e

l’efficienza degli interventi dei servizi in modo da poter affermare come il denaro pubblico sia stato ben speso (il ‘value for money’ è la formula utilizzate in Inghilterra per indicare questo concetto). È il tema dell’accountability e delle procedure di valutazione dei risultati sostenuti dalla convinzione che sia/fosse possibile valutare l’esito degli interventi attraverso indicatori oggettivi.

• Al fine di garantire la libertà di scelta e per mettere al riparo gli utenti consumatori dalla discrezionalità (e manipolazione) dei professionisti e per consentire un controllo omogeneo sull’utilizzo delle risorse i processi di produzione dei servizi sono stati standardizzati e proceduralizzati ed è esplicito l’intento di ridurre le sfere di autonomia dei professionisti. La fiducia nel professionista come figura in grado di agire per il meglio viene sostituita da un processo di valutazione continua basato sul rispetto dei protocolli e delle procedure. Questo appare come un esito paradossale di un sistema che ha avuto come spinta iniziale l’obiettivo di de burocratizzare gli interventi. Inoltre viene introdotta una ossessiva parcellizzazione dei processi di lavoro (Bifulco, 2008:70)

• La sottolineatura dei risultati ottenuti porta con sé una focalizzazione sulla prevenzione del rischio di ricadute e recidive, e da questa nuova preoccupazione si sviluppa, anche nell’ambito della tutela minori un filone di studi sulla previsione e gestione del rischio (risk management), aspetto che per alcuni autori provoca un’ulteriore tensione e sfiducia tra professionisti e utenti. Altri osservano come questo possa produrre un fenomeno di “self fulfilling profecycies” I processi lavorativi, parcellizzati e standardizzati vengono messi sotto osservazione e intensificati (work intensification), sottraendo tutti gli spazi reputati non immediatamente produttivi; viene ridotto lo spazio del confronto tra pari ed ostacolata l’attitudine dei professionisti verso l’agire collettivo e cooperativo. Le decisioni vengono centralizzate e sottratte alla discrezionalità dell’operatore

Risulta abbastanza chiaro come questi assetti organizzativi portino ad una drastica riduzione di quegli ‘spazi vuoti’ a cui si riferiscono sia Lanzara (1993) che Bifulco (1997) in cui collocare i processi di adattamento, riflessione e negoziazione necessari per affrontare le situazioni complesse. Il NPM entra in campo in seguito alla constatazione degli scarsi risultati prodotti da quell’organizazione dei servizi, ma il processo di implementazione di questo nuovo sistema ha messo in luce, secondo alcuni molti autori, vari aspetti critici. L’orientamento ai risultati mette in discussione alcuni presupposti valoriali, in particolare relativamente a “all’orientamento universalistico, il profilo di eguaglianza e la dimensione pubblica dell’azione amministrativa” e numerose sono le critiche che il NPM ha sollevato. Suleiman (2005, citato da L. Bifulco, 2008) afferma

“.senza mezzi termini che si è trattato di uno smantellamento dello stato e di una revisione del contratto sociale che definisce gli obblighi reciproci tra Stato e cittadini .. il colpo che ha

fatto crollare tutto l’edificio è stato quello inferto attraverso la de-professionalizzazione della burocrazia (Bifulco, 2008:70)

Per quanto riguarda il servizio sociale, il managerialismo prefigura un ruolo di assistente sociale di ‘care manager’ con il compito di compiere una valutazione sia economica che dei bisogni del soggetto al fine di definire il ‘pacchetto di assistenza e servizi di cui il soggetto potrà usufruire, come se fosse una sorta di ‘broker nell’acquisto dei servizi e e di regista degli interventi (Fargion, 2009:91) e con il compito di promuovere e attivare l’individuo affinché eserciti la sua libertà di scelta e potere di orientamento.

Su questa prefigurazione di ruolo alcuni autori sostengono che esso rappresenta un’opportunità e un processo di modernizzazione positivo del ruooo del’assistente sociale (Segal, 1999; Butler e Drakeford, 2001) in quanto contiene in sé il ruolo di consulenza e promozione delle capacità individuali a cui il servizio sociale ha sempre aspirato e fatto riferimento.

Per altri, viceversa si tratta di un consistente arretramento per il rischio di mercificazione dei diritti e per la riduzione del lavoro di supporto, ascolto, accompagnamento, di relazione di accoglienza delle persone ad una progettazione di servizi, verifica del gradimento del servizio offerto e controllo di adeguatezza dei costi. Si cancella così il valore delle relazione e si abbandonano le persone che non hanno la competenza o capacità di capire di cosa hanno bisogno, di formulare una chiara richiesta o che esprimono un bisogno di dipendenza e aiuto che va al di là della singola prestazione (Jordan, 2005).

Infine viene ampiamente segnalato il rischio di impoverimento degli aspetti valoriali delle professione (Dominelli, 2001) e che una simile posizione porti i professionisti ad abdicare ad ogni responsabilità di cura, se dovessero effettivamente limitare il loro intervento all’esclusiva richiesta parziale avanzata dal cittadino.

Lorenz (2005), esaminando le parole chiave che accompagnano questo processo di trasformazione, osserva che esse 54 sono tutte vicine e intrinseche ai valori e ai principi metodologici del servizio sociale ma possono esser altrettanto lontane e contrarie ai valori fondanti se non vengono collocate nel quadro più ampio delle politiche sociali al cui interno assumono senso e significato.

Il sistema italiano vede una diffusione della pratiche managerialiste per ora più contenuta rispetto a quanto avvenuto in altri paese e diversificata a seconda dei contesti: a grandi linee essa si è diffusa maggiormente nel contesto sanitario e solo recentemente comincia a diffondersi nel settore dei servizi sociali , sembra riguardare di più i contesti delle grandi città più che i piccoli comuni. Tuttavia non vi sono ricerche specifiche in questa direzione.

54

si pensi ai concetti di empowerment, autodeterminazione, attivazione delle capacità, emancipazione, sviluppo di comunità e relazioni

CAPITOLO 6 – I SERVIZI PER LA TUTELA DEI