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Catalogo delle Stele

5. Caius Faltonius Secundus

Rinvenimento:

La stele è stata rinvenuta a Mainz nel giugno del 1886 durante i lavori di canalizzazione di Flachsmarktstrasse, presso il civico n. 8, di fronte allo Stadioner Hof, un palazzo nobiliare che in quel periodo era usato come quartier generale delle forze militari di Mainz182.

Materiale: Calcare del bacino di Mainz183.

Misure: l’intera stele misura di altezza 2,73 m, di larghezza 1,17 m e 30 cm di

spessore. Però la nicchia con le figure occupa 1,31 m di altezza dell’intera stele, 0,47 cm sono occupati dal campo per l’iscrizione e 0,95 cm è lo spazio inferiore della stele che serviva ad infilarla nel terreno.

Iscrizione:

C(aius) Faltonius C(ai) f(ilius) Pom(ptina) (tribu) / Secundus Dertona (domo) mil(es) / leg(ionis) XXII Pr(imigeniae) an(norum) XLVI stip(endiorum) XXI / h(ic) s(itus) e(st)184

Stato di conservazione:

La stele è conservata in tutte le sue parti, anche se presenta dei danni anche abbastanza consistenti. I volti dei due personaggi ai lati di Faltonius sono quasi del tutto distrutti, quello di sinistra completamente, quello di destra ha conservato la forma della testa e parte del collo. Anche il volto di Faltonius ha subito dei danni. La zona dal setto nasale al mento risulta asportata, parte della capigliatura, soprattutto a sinistra, è perduta. La mano sinistra del soldato non si è conservata e anche il pomolo del pugio

182 Keller 1887, 528. 183 BOPPERT 1992, 96.

184 “È sepolto qui Caio Faltonio Secondo, figlio di Caio, della tribù Pomptina, originario della città di

80 su cui era appoggiata ha subito dei danni. Un profondo taglio incide la stele dal centro, circa all’altezza degli pteryges, fino alla gamba del servo sulla sinistra di Faltonius. La gamba destra del soldato a causa di questa profonda spaccatura viene fortemente compromessa, tanto che la coscia e il ginocchio non si sono conservate mentre rimane parte del polpaccio. La gamba sinistra, anche se raschiata nel senso della lunghezza, si conserva quasi del tutto. Secondo Keller questa spaccatura sarebbe stata causato da un colpo di ascia già in età antica185.

La parte superiore della stele presenta il bordo scheggiato e la nicchia sembra spingere verso l’esterno superando i limiti della cornice. La parte inferiore della stele, al di sotto dell’iscrizione è lasciata grezza, forse perché non finita186 o perché sarebbe

comunque andata nascosta nel terreno.

Descrizione:

Stele di forma rettangolare, molto semplice per quanto riguarda la decorazione architettonica. Presenta infatti al centro una nicchia arcuata che accoglie tre figure a rilievo. Gli estradossi risparmiati dalla nicchia sono riempiti da una peculiare decorazione fitomorfa che Rinaldi Tufi187 ha chiamato «rosetta triangolarizzata»,

motivo molto comune sul Reno188 ma anche a Carnuntum, sul Danubio. La nicchia

arcuata sborda rispetto alla cornice lineare dei due estradossi. All’altezza della testa del soldato la nicchia si vede forse un accenno dell’umbone di una conchiglia che, se fosse stata presente, avrebbe dovuto essere dipinta, visto che non ne rimangono

185 KELLER 1887, 529. 186 RINALDI TUFI 1988, 31. 187 Ivi, 54

188 Ivi, passim: Stele di Annaius a Bad Kreuznach, stele di Pintaius e stele di Q. Petilius Secundus a

Bonn, stele di Oclatius a Neuss, stele di Licaius a Wiesbaden, stele di C. Valerius Berta Crispus a Wiesbaden presentani tutte negli estradossi la rosetta triangolarizzata; in ESPERANDIEU 1918, 5811 la stessa rosetta è utilizzata come riempimento del frontone.

81 tracce nel rilievo. Il fondo della nicchia è liscio, dalla sua sommità fino ai piedi delle figure. L’iscrizione non ha cornice.

Le tre figure sono disposte sullo stesso piano, frontalmente, una accanto all’altra, ma è evidente che sono rappresentate secondo una proporzione gerarchica in cui la figura al centro è la più importante. Le due figure laterali non vengono menzionate nell’iscrizione, ma presumibilmente si tratta dei due schiavi di Faltonius. Lo schiavo a sinistra ha come gamba portante la destra mentre la sinistra è quella flessa ed è anche leggermente più arretrata, come per far spazio al suo padrone che effettivamente col suo mantello gli copre parte del braccio sinistro. I vestiti di entrambe le due figure degli schiavi non sembrano delle tunicae. Questi abiti, così ampi e pesanti, in pieghe fitte e rettilinee, senza alcun tipo di fibbia, sono stati interpretati189 come dei cappotti molto

comuni presso le popolazioni indigene del Nord. Al collo di entrambi i soldati sono due sciarpe, ricche di pieghe, che dovevano servire per proteggersi dal freddo. Non si tratta in questo caso della focale, ossia la pesante sciarpa che contraddistingueva i militari, ma comunque sembra che la moda militare abbia influenzato anche quella indigena190.

Secondo Rinaldi Tufi, le due figure hanno al collo un cucullus191, cioè una mantellina

dotata di cappuccio192. Il personaggio sulla sinistra tiene con la mano destra uno stylus,

oggetto consistente in un’asticella di forma circolare o quadrata, con una estremità appuntita per incidere sulla tabula cerata, mentre l’altra parte era formata da una spatola, a forma di trapezio o rettangolo, che serviva per cancellare quanto si aveva

189 WILD 1968, 171. 190 WILD 1968, 180.

191 RINALDI TUFI 1988, 31.

192 Il cucullus detto anche caracalla o palla gallica era una lunga veste manicata con cappuccio che

originariamente arrivava fino alle caviglie e che fu importato dalla Gallia riscuotendo un grande successo soprattutto nell’ambito militare, ma anche negli alti ranghi visto che l’imperatore Marco Aurelio Antonino Bassiano (212-217 d.C.) lo indossava così spesso che è passato alla storia col soprannome Caracalla. SETTE 2000, 44; inizialmente il termine era riferito solo al cappuccio, in seguito prese ad indicare anche la mantellina che copriva le spalle WILD 1968, 225.

82 scritto193. Gli stili potevano essere in bronzo o ferro ma anche in legno, avorio e metalli

più preziosi. Nell’altra mano avrebbe una tavoletta di cera. Si tratterebbe di un tabellarius194, uno schiavo che aveva il compito di recapitare al padrone le lettere a lui

indirizzate. Il personaggio a destra tiene con la mano sinistra una fascio di stoffa che ha appoggiato sulla spalla, una mappa. Nell’altra mano ha un oggetto che ha causato problemi nell’identificazione. Si tratta di un oggetto dai contorni netti, con una parte iniziale che sborda dalla mano dello schiavo, una parte centrale più stretta e una finale più larga della prima. La parte centrale è divida longitudinalmente da alcune fasce, due sul lato destro e due su quello sinistro, ogni coppia presenta al centro un bottone. Quattro cinghie dividono orizzontalmente la parte iniziale e finale dell’oggetto; a destra e a sinistra presentano però inclinazioni diverse, entrambe le parti convergono però verso il centro. Così sembra quasi come se in realtà gli oggetti fossero due, identici ma speculari. Per Keller si tratterebbe di una borsa o sacca da viaggio195. Questo

potrebbe anche spiegare i vestiti che indossano, i quali erano spesso utilizzati come tenuta da viaggio antipioggia. Sulla scia dell’interpretazione della tenuta da viaggio, Esperandieu 196 vede nell’oggetto una lanterna, uno strumento assolutamente

fondamentale quando si viaggiava di notte. Rinaldi Tufi lo interpreta invece come due soleae, ossia dei sandali. I sandali erano calzature per ambo i sessi, costruite di una semplice suola e da strisce di cuoio che si allacciavano sul collo del piede. I sandali erano per lo più usati in casa ed era considerato sconveniente indossarli in pubblico, tanto che c’era l’usanza di far portare ai servi un paio di sandali per poterli usare in casa degli ospiti197. Interpretando i due oggetti come elementi dell’abbigliamento, il

193 PRESICCE PARISI – ROSSINI 2017, 272-273. 194 KELLER 1887, 530.

195 Id.

196 ESPERANDIEU 1918, 317. 197 SETTE 2000, 70.

83 servo sarebbe da intendere come un vestiarius198. Questo termine può identificare o

un qualunque lavoro che abbia a che fare con l’abbigliamento, dal produttore di vesti al mercante, ma anche semplicemente un servo guardarobiere199.

Al centro è il defunto, che svetta per le proporzioni rispetto ai suoi due compagni. È rappresentato frontalmente, la testa gira leggermente verso la spalla destra. Anche qui è presente una sorta di ponderazione, la gamba sinistra è quella di appoggio, la destra è quella flessa. Il defunto occupa tutto lo spazio disponibile in altezza, toccando quasi l’apice della nicchia e arrivando con i piedi quasi oltre il bordo del campo dell’iscrizione. Benché al defunto sia data una tale importanza, per esempio nelle dimensioni date alla figura e nella cura di ogni singolo particolare dell’armamento e del vestiario, le proporzioni del corpo non corrispondono al vero: le braccia piegate sono troppo piccole rispetto al resto, così come la mano destra. Per quanto riguarda il volto sono ben riconoscibili, sebbene rovinati, entrambi gli occhi di cui si vedono le palpebre ben segnate, forse anche le pupille erano incisa. La pettinatura è un casco uniforme di cui si intravedono appena alcune ciocche sulla fronte. Per quanto riguarda il vestiario il defunto indossa una paenula, che si chiude intorno al collo in un rigonfiamento ricco di pieghe da intendere come il cucullus, il cappuccio del mantello, oppure come la focale. La paenula si apre in due archi di tessuto sul petto, uno di questi viene sostenuto dalla mano destra del soldato. La paenula ricade dietro le spalle in larghe pieghe ad arco ed arriva quasi alle caviglie del soldato. Sotto la paenula indossa una tunica bogenförmig geschürzt, che scende dai fianchi in profonde pieghe ad arco. Il cingulum è doppio e presenta, nella cintura che regge il gladius delle partizioni decorative rettangolari. Le cinture sono quasi una sopra l’altra anche se in realtà dovevano essere incrociate, in questo modo la cintura del pugnale è quasi del tutto

198 RINALDI TUFI 1988, 31. 199 TRAINA 2000, 115.

84 coperta, anche se dal poco che si vede non sembra essere decorata. Gli pteryges sono qui costituiti da quattro cinghie a cui sono attaccati dei rivetti tondi. Non sappiamo quanto dovevano essere lunghe le cinghie, perché in questa parte la stele presenta un profondo intacco, ma è plausibile che fossero della stessa tipologia corta ritrovata nella stele del soldato n. 4200 anche perché nell’angolo inferiore della tunica che è

parzialmente intatto non ve n’è traccia. Il pugio si appoggia sull’anca sinistra, e il suo pomolo doveva essere il punto di appoggio della mano sinistra del soldato. La guardia del pugio è parecchio danneggiata, ma sembrerebbe avere una forma a doppia voluta201. Sotto la guardia è una fascia con contorno a rilievo alle cui estremità si

collocano due anelli che reggevano il pugnale alla cintura. Il fodero del pugio è fittamente decorato, sulla fascia centrale ci sono tre o quattro rilievi che potrebbero assomigliare a fiori, i bordi sono scontornati a rilievo. Altri due anelli sono presenti al centro del fodero. La punta è un triangolo terminante in una sfera. Il gladius è molto lungo, dal petto del soldato fino al ginocchio. Si riconosce bene il pomolo, sopra il quale è una mezza sfera. L’impugnatura presenta quattro intacchi per le dita. La guardia è andata perduta, ma si potrebbe ipotizzare una forma a semisfera. Il fodero della spada non è decorato se non fosse per due fasce che corrono lungo i bordi, in ultimo termina in una sfera, come il pugio. La spada ha la peculiarità di adattarsi non tanto e non solo al fianco del soldato, ma all’intero rilievo. Se infatti la si osserva da sinistra, essa sarà interamente visibile. Dal punto di vista frontale invece il pomolo, l’impugnatura, la guardia e la prima parte del fodero appaiono in visione quasi del tutto laterale, mentre dalla metà del fodero in poi, sembra che la punta si giri, schiacciandosi contro il rilievo, per adattarsi ad una visione frontale.

200 Vedi supra.

85 Il defunto proveniva dall’Italia settentrionale, dall’antica città di Dertona, oggi Tortona in Piemonte. La sua è l’unica stele ritrovata a Mogontiacum che proviene da questa città, che nell’antichità era al centro delle vie consolari della Cispadana202.

Flavoleius fa parte della legio XXII Primigenia, una legione fondata dopo il periodo augusteo. Le legioni che presentano come cognomen quello di Primigenia (XV e XXII) sono state spiegate come delle nuove legioni che hanno ricevuto l’aquila da vecchie legioni che avevano lo stesso numero, ma questa spiegazione, anche se ormai accettata, non si è rivelata essere soddisfacente per Parker203. Egli propone che a

creare queste legioni, non sia stato Caligola nel 39 d.C.204, ma l’imperatore Claudio nel

42 d.C. quando si trovò bisognoso di nuove forze per invadere la Britannia205. In ogni

caso la legione resta di stanza a Mogontiacum dal 39 o 43 al 71 d.C.

Datazione:

Considerando il breve range in cui la legio XXII Primigenia risiedette a Mogontiacum, assumendo che Caligola o Claudio arruolarono nuove leve per la formazione delle due legioni, XVI e XXII, e considerando il fatto che Faltonius fu un soldato per ventuno anni e morì in servizio, allora possiamo restringere la datazione della stele agli anni 60-71 d.C., quindi in età neroniana. Inoltre, la formula che si trova nell’iscrizione, hic situs est, sul Reno in età flavia (69-96 d.C.) non viene più utilizzata206.

202 BOPPERT 1992, 97. 203 PARKER 1958, 93.

204 RITTERLING 1924, voce “legio”, in Pauly-Wissowa, “Real-Encyclopaedie der Classicischen

Altertums-Wissenschaft” afferma che la legio XXII Primigenia sarebbe stata creata da Caligola per che

l’imperatore aveva in mente un grande piano di conquista della Germania, in linea con l’opera del padre Germanico, e per metterlo in pratica voleva concentrare sul Reno un largo numero di forze, il che significava creare nuove legioni. Inoltre, il cognomen Primigenia sarebbe stato dovuto al fatto che Germanico era molto devoto alla Fortuna Primigenia, che era festeggiata a Roma il 25 Maggio, un giorno dopo il suo dies natalis. Secondo PARKER 1958, 96 e ss. se Caligola avesse veramente voluto onorare suo padre, avrebbe dato come cognomen Germanica o Victrix. Per lo studioso è più plausibile pensare che sia stato Claudio a creare le legioni in previsione dell’attacco alla Britannia e che le abbia chiamate

Primigenia con la speranza che la dea Fortuna Primigenia guidasse l’esito della spedizione.

205 PARKER 1985, 98. 206 HOLDER 1980, 144.

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