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Catalogo delle Stele

20. Firmus Ritrovamento:

Stele ritrovata nel 1882 a Adernach (antica Antunnacum, oggi a cinquanta km a sud di Bonn e cento km a nord di Mainz, sotto la giurisdizione di Koblenz nel Palatinato), presso la Koblenzer Tor (in Hochstrasse).

Materiale: Calcare.

Misure: 2,95 m di altezza, 89 cm di larghezza e 36 cm di spessore Iscrizione:

[F]irmus / Ecconis f(ilius) / mil(es) ex coh(orte) / Raetorum / natione M/ontanus / ann(orum) XXXVI / stip(endiorum) X[V?]II [--] / heres [e]x tes(tamento) / po[sui]t //

Fuscus / serv[u]s // 440

Stato di conservazione:

La stele si presenta conservata in ogni sua parte, anche nel coronamento che come vedremo è una parte “staccabile” della stele vera e propria. La superfice però presenta delle parti scheggiate e alcune parti mancanti. Per esempio, il volto del soldato e quello del personaggio a destra non sono più riconoscibili perché fortemente urtati, anche se si riesce a riconoscere la forma della capigliatura di Firmus e le orecchie. La testa del servo Fuscus non si è conservata. L’iscrizione del personaggio a destra non è

440 L’iscrizione della stele di Firmus si compone di tre parti, ognuna sotto il personaggio a cui si riferisce.

L’unica parte di iscrizione completamente conservata è quella riguardante Firmus; della figura alla destra del soldato si legge solo «FUSCUS SERV..» interpretato come “il servo Fuscus”; mentre della figura a sinistra del soldato si leggono solo poche lettere ma nessuna in grado di chiarire il senso dell’iscrizione. Nell’’iscrizione di Firmus leggiamo: “Firmus, figlio di Ecconis, soldato ex coorte Raetorum, originario della tribù dei Montanus, morto a 36 anni e in servizio da 1(?) anni, gli eredi costruirono questa tomba secondo le volontà testamentarie”. Il CIL legge sul podio di sinistra la scritta «SSAVIES».

152 pervenuta, quella del servus a sinistra è rovinata e anche quella di Firmus presenta delle lacune.

Descrizione:

La stele di Firmus rappresenta un unicum secondo diversi fattori. La stele infatti si presenta composta da due parti. Quella superiore è la più ridotta ed è la terminazione della stele vera e propria. Questa parte superiore è composta da un frontone triangolare con rosetta al centro e foglie che si allungano verso gli angoli esterni. Sulla cuspide del frontone si appoggiano le zampe anteriori di una sfinge alata con volto di donna, che purtroppo risulta abraso. Alla destra e alla sinistra della sfinge sono invece due leoni accucciati. Sotto le zampe dei leoni, inglobati nel rettangolo che custodisce il frontone triangolare, sono due teste di arieti viste di profilo di cui si riconoscono bene le corna ritorte ai due angoli della parte superiore della stele, gli occhi, le narici e il muso dell’animale.

Gli estradossi della stele a nicchia sono decorati da rosette (la particolare forma permette qui di parlare di «rosetta triangolarizzata»441. La nicchia presenta invece un

motivo a corda come cornice, mentre all’interno assume la forma di una conchiglia di cui si vede l’umbone a coronamento della testa del soldato.

Il defunto è rappresentato in piedi, frontale, all’interno della nicchia, i piedi si appoggiano ad un piedistallo in cui è incisa l’iscrizione. La gamba sinistra è quella portante, anche se il tutto non è rappresentato in modo molto chiaro. La capigliatura è simile a quella di Annaius, ovvero con chiocce rese a «blocchetti romboidali»442. Il

braccio destro del soldato si piega, in modo abbastanza innaturale, reggendo due hastae che sbordano dalla nicchia e infatti appaiono incise sul montante e

441 RINALDI TUFI 1988, 26. 442 Id., 19.

153 sull’estradosso. Il soldato indossa una tunica a maniche corte che si intravede nella parte inferiore ed è della tipologia bogenförmig geschürzt. Sopra la tunica sembra indossare una lorica hamata, di cui si vede l’estremità finale resa con delle frange probabilmente in lana; la lorica è liscia e probabilmente era resa in pittura. Sopra la lorica Firmus indossa una paenula con uno spesso cappuccio raccolto intorno al collo, di cui i due lembi si aprono sul petto in una serie di pieghe e poi ricadono dietro la schiena sempre con diverse pieghe formando un arco dietro le ginocchia del soldato. Alla vita porta due cinture incrociate decorate da piastre rettangolari metalliche che presentano delle decorazioni incise a forma di rombi, rosette, cerchi e quadrati. La cintura che sostiene il gladius sulla destra, presenta una fibbia di forma a D, che punta a destra e da cui pende il lembo inferiore della cintura. Al cingulum che sostiene il gladius è attaccata una placca rettangolare che è ciò che sostiene le cinghie degli pteryges. Le cinghie in questo caso sono otto e ognuna di queste presenta dieci rivetti piatti di forma circolare. Ogni cinghia presenta alla fine un elemento rettangolare a cui si aggancia il pendente di forma lanceolata. Le cinghie arrivano quasi all’orlo della tunica. Dietro le cinture è infilato un oggetto piatto rettangolare, forse una tavoletta da scrittura443, che è del tutto simile a quella di Flavoleius444 e per cui possono valere le

stesse interpretazioni. Il pugio del soldato è appeso sulla sinistra alla cintura in secondo piano. L’impugnatura e la guardia di questo sono in gran parte rovinate, mentre il fodero si conserva abbastanza bene e possiamo vedere come sia decorato da due quadrati con incise due rosette, mentre l punta ha delle linee che convergono verso il disco rotondo che forma il puntale dell’arma. Del gladius possiamo immaginare un probabile pomolo ovale, impugnatura con intacchi per le dita e guardia ombrelliforme, ma non è chiaro il rilievo a causa del cattivo stato di conservazione.

443 HOSS 2014, 7, n. 1. 444 Cfr. n.2 del Catalogo.

154 Nella mano sinistra reggeva probabilmente lo scudo che si vede inciso sotto la fascia di delimitazione della nicchia a conchiglia. La mano però sembra anche aperta a toccare la testa del personaggio sulla sinistra del soldato, di dimensioni di circa un mezzo inferiori rispetto al soldato. Questo personaggio, di cui l’iscrizione molto rovinata non ne conserte l’identificazione, indossa presumibilmente una toga e potrebbe tenere in mano un rotolo, anche se non è molto chiaro dal rilievo. Il personaggio a destra del defunto invece, è il più piccolo tra i tre e purtroppo non si è conservata la testa. Si ipotizza che indossasse un cucullus445, il mantello manicato provvisto di cappuccio,

originariamente un indumento celtico446. Al di sotto di questo mantello porta una tunica

che arriva quasi fino alle caviglie. Dalla spalla destra scende verso il fianco sinistro la tracolla di una borsa.

Particolarmente interessante è il fatto che Firmus si sia fatto rappresentare armato di tutto punto, mentre il personaggio alla sua sinistra sia stato rappresentato in toga. La toga è la veste del cittadino romano e, come il cingulum è uno status symbol del militare romano, così la toga è un simbolo di chiunque volesse rappresentare il proprio posto nella società romana. Quindi si potrebbe ipotizzare che il personaggio non identificato sia il figlio di Firmus il quale ottenne la cittadinanza romana grazie al servizio del padre nell’esercito romano.

Sui laterali della stele sono poi scolpite due figure di Attis rappresentate in atteggiamento luttuoso mentre appoggiano la testa inclinata sul pugno. Le gambe incrociate si accavallano l’una sull’altra cercando una posizione di appoggio che non riesce a dare l’impressione di stabilità. Entrambe le figure sono vestite in modo analogo secondo la moda frigia, con un cappuccio a punta che fa parte di un mantello che copre

445 RINALDI TUFI 1988, 26. 446 Cfr. n. 83 del Catalogo.

155 il petto del defunto e scende sulle spalle, una tunica stretta in vita che ricade fino a sopra le ginocchia, pantaloni lunghi e scarpe a punta. Le due figure sono sormontare da due scudi amazzonici, le pelte. Le due figure appaiono speculari. L’elemento interessante è dato dal fatto che esse, seppur simili, non sono uguali, né sembrano essere state realizzate dalla stessa persona447. L’Attis sul fianco sinistro presenta delle

iridi incise da un foro, quello sul destro no. Quello di sinistra sembra più pensieroso che dolente, quello di destra ha invece un volto imbronciato con gli angoli della bocca che ricadono verso il basso. A sinistra Attis chiude il pugno e appoggia le nocche al mento in una posa naturalistica, a destra lo scalpellino non sa rendere evidentemente la prospettiva di un pugno chiuso visto di scorcio e sembra quasi che qui la figura si stia toccando l’orecchio più che il mento. Il cappello della figura di destra presenta degli sbuffi di stoffa che vanno verso l’esterno che quello di sinistra non ha. E anche le pelte sopra i due Attis sono l’una diversa dall’altra. Insomma, sembra abbastanza chiaro che siamo di fronte a due scalpellini diversi e se consideriamo la figura di Firmus, dobbiamo ritenere che fossero almeno in tre a lavorare su questa stele.

Il soldato apparteneva alla cohors Raetorum ovvero la cohors I Raetorum equitata cuiuium Romanorum. Il problema legato a questa unità è che sono state ritrovate delle tracce come diplomi o stele di soldati in quattro province diverse, quindi si può pensare che esistessero quattro unità con lo stesso nome e numero oppure che la stessa unità abbia servito diverse province, ovvero Moesia, Raetia, Germania Inferior e Asia448. Per

quanto riguarda la natione di Firmus, i Montani formavano nell’esercito romano tre coorti anche se come popolo in sé non sono menzionati da Plinio Il Vecchio né da

447 RINALDI TUFI 1988, 79. 448 SPAUL 2000, 276-278.

156 Strabone o Claudio Tolomeo. Il fatto che Firmus indichi come appartenenza vuole presumibilmente dire che doveva esistere anche un popolo chiamato Montanus449.

Nell’iscrizione una lacuna consistente è costituita dalla cifra relativa agli anni di servizio del soldato. Esperandieu pensa che si tratti di XVII450, il che comporterebbe un

arruolamento del soldato all’età di 19 anni.

La stele di Firmus presenta comunque delle pecche nell’esecuzione. Principalmente esse si ravvisano nella resa anatomica del soldato, se la testa infatti è di dimensioni quasi pari al vero, il resto del corpo, man mano che si scende verso i piedi, viene sempre di più rimpicciolito per fare in modo che tutta la figura del soldato riesca ad entrare nella nicchia. I piedi del soldato scivolano quasi sul podio dove è incisa l’iscrizione funebre di Firmus. Anche la resa del braccio destro presenta delle evidenti difficoltà da parte dello scalpellino, che non riesce a rappresentare in maniera convincente il braccio piegato nel reggere le lance. Rinaldi Tufi propone l’idea per la quale saremmo davanti non ad una vera e propria stele, ma ad una stele con statua di stehende Soldaten451, proprio perché la composizione della stele appare diversa da

ogni altra stele renana. Tale composizione potrebbe essere comunque frutto di una particolare richiesta del cliente.

Datazione:

Per la datazione della stele, Hatt paragona la figura di Firmus a quella di Faltonius e ascrive la stele al periodo flavio452. Per Rinaldi Tufi453 si tratterebbe di un prodotto

dell’età giulio-claudia avanzata (27 a.C.-68 d.C.).

449 Id., 278, n. 2.

450 ESPERANDIEU 1922, 213. 451 RINALDI TUFI 1984, 24. 452 HATT 1951, 150. 453 RINALDI TUFI 1988, 27.

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Conclusioni

Questa tesi, come si è potuto leggere, tratta di stele funerarie. Le stele sono dei manufatti in pietra, vere e proprie opere d’arte scultorea. Ma come si può affrontare lo studio della scultura quando ci si riferisce ad un periodo storico in cui non è presente ancora una vera e propria tradizione scultorea?

Infatti, quando i Romani cominciarono ad esplorare le terre del Reno non esisteva ancora una cultura figurativa, essa comincia con i monumenti funebri dei soldati sul limes. Per questo motivo lo studio delle stele renane ha interessato diverse generazioni di studiosi, proprio perché rappresenta l’inizio di una tradizione scultorea. Come per ogni opera scultorea fu necessario capire se gli scalpellini si servirono della natura o della cultura, e cioè rappresentavano nelle stele i soldati così come li vedevano oppure portavano dalla madrepatria una tradizione figurativa secolare. Come per qualunque altra questione, la verità sta nel mezzo. È accertato che questi esecutori dovevano avere origini italiche o quantomeno conoscere l’arte italica, ma è anche vero che compirono delle scelte iconografiche nel rappresentare i soldati e queste scelte probabilmente furono influenzate dai committenti delle loro opere. Le unicità che si ritrovano in queste stele sono imputabili alla necessità dei soldati di avere come ultima immagine un ritratto della propria persona a figura intera con in vista le armi e le insegne della professione. Farsi rappresentare con le armi, a figura intera e spesso all’interno di nicchia, era forse anche un modo per ricordare le prestigiose statue funerarie che si potevano trovare in monumenti funebri di ben più facoltosi personaggi romani. Le stele dall’Italia che mostrano la stessa iconografia però, come abbiamo accennato nella storia degli studi, non sono molte, eppure la loro presenza è un indizio per farci ritenere che le stele renane abbiano un precedente in Italia. Questo tipo di rappresentazione ebbe più favore sul Reno perché lì probabilmente si aveva

158 una maggiore concentrazione di soldati, che chiedeva di essere rappresentata in una veste quasi eroicizzata. Quando però sul Reno si cominciarono a costruire insediamenti stabili di civili e vaste zone vennero pacificate, non fu più necessario mantenere queste zone in una condizione di piena militarizzazione e infatti con la fine del I secolo d.C. questa iconografia viene progressivamente abbandonata e i soldati scelgono di farsi rappresentare in vesti civili.

Quello che si è cercato di fare è dare uno sguardo più ampio del problema interessandosi non solo all’analisi del monumento ma anche cercando di raccogliere informazioni della persona a cui apparteneva la stele e quindi anche cercando di ricostruire la storia delle truppe, laddove l’epigrafe si è conservata intatta.

Immaginando il futuro di uno studio come questo si potrebbe cercare di capire se questo tipo di iconografia abbia valicato i confini geografici della zona sul Reno per raggiungere altre province romane. Bisognerebbe anche capire se è ravvisabile una qualche evoluzione del tipo, anche oltre il I secolo d.C. Se si studiasse questo tipo di manufatto da diverse aree geografiche si potrebbero confrontare tra loro gli stili, si cercherebbe quindi di ritrovarne le influenze e di accertare se gli scalpellini siano stati suggestionati o meno dall’arte indigena.

Sicuramente uno studio come questo vanta dei precedenti illustri nel Corpus signorum Imperii romani, che da anni svolge un ottimo lavoro di catalogazione delle stele sul suolo renano. Eppure, si sente la mancanza di uno studio completo in lingua italiana di manufatti che appartengono anche alla nostra tradizione e che appartenevano a soldati provenienti dalle nostre regioni. E seppure esista il lavoro di Rinaldi Tufi, dobbiamo considerarlo più come un apripista che come uno studio risolutivo, inoltre si tratta di un’opera di più di trent’anni fa che è manchevole, senza colpe, di tutta la tradizione che è venuta dopo di esso. Le premesse fissate da Rinaldi Tufi come

159 l’importanza del ruolo della Cisalpina nell’arte renana sono ancora valide e vanno prese in considerazione anche negli studi da qui in avanti. Ma bisogna aggiungere a questo uno sguardo più scrupoloso dell’epigrafi, dei contesti di ritrovamento, della storia militare.

La ricerca si è concentrata per lo più sugli aspetti storico-artistici che riguardano le stele, solo limitatamente ha indagato elementi come il luogo in cui le stele furono originariamente poste, le botteghe dalle quali provenivano fino a risalire anche alla provenienza della pietra con cui sono state costruite. Un’analisi petrografica sulle stele renane potrebbe indagare la cava da cui si estraeva la pietra per le botteghe. Informazioni di questo tipo permetterebbero di capire se tutte le botteghe di uno stesso territorio si servivano dello stesso tipo di pietra o se esistessero dei criteri riguardo la scelta di una varietà di calcare piuttosto che un’altra. Nel caso del presente studio cinque stele454 scoperte a Mainz e Bonn utilizzano come materiale costruttivo il calcare

proveniente dalla Lorena, materiale che si presta alla realizzazione di prodotti di qualità senz’altro superiore a quelli che si realizzano con altri tipi di pietre come, per esempio, quella dal bacino di Mainz. Inoltre, anche se dal nostro studio non si evince questo dato per il limitato numero di stele prese in considerazione, sembrerebbe che nel contesto di Mogontiacum si utilizzasse questo tipo di calcare dalla Lorena più per le stele di ausiliari che per quelle di legionari455. Si vuole far intendere che se venissero

analizzati aspetti, che sono stati ignorati in precedenza, si potrebbero estrarre informazioni utili come in questo caso il fatto che gli ausiliari sembravano preferire pagare di più per una pietra migliore e che veniva da più lontano, piuttosto che accontentarsi di quella che si aveva a disposizione. Sarebbe di grande aiuto se si riuscisse a riconoscere la mano di alcuni degli artefici di queste stele e comprendere

454 Si tratta delle stele n. 2, 8, 9, 10, 11. 455 BOPPERT 1992, 76.

160 se ci fossero botteghe in ogni campo militare o se gli scalpellini si concentrassero solo nei centri maggiori.

Il problema più grave che ho rilevato nello studio di queste opere è sicuramente la mancanza di una bibliografia più aggiornata rispetto ai nostri tempi, si tratta infatti di uno studio che non riscuote più molto successo e che purtroppo sembra essere stato, mio malgrado, abbandonato. Eppure, ci sono ancora molte questioni irrisolte, come si è visto, che devono rispondere a tutto il processo produttivo di questi manufatti, dal soldato che le ordinava, dalla bottega a cui esso si rivolgeva e dalla cava in cui veniva scelta la pietra adatta, fino al trasporto via fiume del materiale lapideo, alla realizzazione della stele e alla messa in opera nella necropoli deputata. Sarebbe inoltre interessante capire se il committente scegliesse o meno come farsi fare rappresentare nella stele. Questo perché, sebbene le stele appaiano uniformi nella scelta dell’abbigliamento, ci sono dei casi in cui il soldato è rappresentato con il mantello da viaggio che nasconde l’armatura stessa, stele in cui è rappresentato lo scudo o l’elmo ed altre in cui entrambi non sono presenti. Non è rilevata però alcuna differenza di armamento nelle stele di soldati ausiliari e in quelli legionari, che appaiono sullo stesso piano dal punto di vista iconografico. Una comparazione tra stele di ausiliari e legionari potrà nuovamente provare come, se non altro sul piano iconografico, non sembrano esserci differenze tra i due corpi militari.

Infine, solo avendo una visione di insieme di tutti gli elementi che riguardano una stele e non della sola iconografia, si potrà gettare una nuova luce su questi monumenti di confine.

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