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Il calcolo del rischio di credito relativo ad un portafoglio di posizioni

3.2 Rischio di credito

3.2.6 Il calcolo del rischio di credito relativo ad un portafoglio di posizioni

Per quanto attiene la stima del Value at Risk di un portafoglio costituito da un insieme di posizioni, è necessario non solo conoscere il livello di rischio che ogni singola posizione possiede, ma anche i fattori sistematici di rischio e le correlazioni che esistono tra le diverse posizioni.

I fattori sistematici possono essere rappresentati dai settori produttivi dove sono attivi i soggetti adati (indice settoriale) oppure dalle aree geograche in cui gli stessi operano o altri parametri simili. È importante identicare tali fattori perché sulla base di questi è possibile comprendere il grado di diversicazione delle posizioni presenti all'interno del portafoglio considerato. Le correlazioni che devono essere calcolate, perciò, sono riferite alle posizioni in relazione ai fattori sistematici.

Per arrivare a denire il Value at Risk è necessario innanzitutto stimare la perdita inattesa corrispondente al portafoglio complessivo. Per compiere ciò si deve denire la funzione di distribuzione dei prezzi di un portafoglio, quindi la distribuzione complessiva che si ricava dall'unione di tutte le distribuzioni delle singole posizioni, tenendo però conto del grado di diversicazione che può esistere tra le stesse.

Il procedimento per l'individuazione di questa distribuzione complessiva è sotteso ad alcune problematiche:

• la dimensionalità dei portafogli.

Per quanto concerne il primo problema, nel caso di un portafoglio crediti, le principali assunzioni, ossia la normalità della distribuzione con connessa simmetria della stessa e la possibilità di denire le dipendenze mediante le correlazioni, non valgono più, poiché le variabili utilizzate sono delle bernoulliane. Per risolvere questo problema si sono analizzate le possibili forme di dipendenza fra queste ultime variabili e si è constatato che una misura di dipendenza tra variabili bernuolliane non è direttamente valutabile. Eventualmente, per tale valutazione è possibile usufruire di una variabile latente, poiché si può instaurare tra queste una relazione biunivoca. A questo punto, per facilitare la stima dei parametri, si può scegliere come variabile latente proprio una distribuzione Gaussiana così da poter ricavare la misura di dipendenza tra più variabili normali mediante la struttura delle correlazioni. In questo modo è possibile superare il primo problema.

Per quanto riguarda il secondo problema, ossia la dimensionalità dei portafogli considerati, esso è strettamente connesso alla disponibilità dei dati: purtroppo per eettuare le stime necessarie si dovrebbero possedere serie storiche di dati molto lunghe, che concretamente non si hanno. A questa limitazione sono state proposte alcune soluzioni: in generale sono stati elaborati dei modelli che, in poche parole, deniscono delle variabili articiali, o comunque comuni, che riassumono al loro interno l'andamento di una serie di variabili in modo da ridurre la dimensionalità dei dati.

Eliminati questi problemi, l'approccio CreditMetricsTM fonda il proprio procedimento sul

presupposto di stimare le variabili normali come distribuzioni dei rendimenti dell'equity, così da rendere tutto stimabile e permettere di spiegare l'andamento delle solvibilità e dei default a livello congiunto. Per procedere, quindi, alla denizione della distribuzione complessiva dei rendimenti di un portafoglio composto da una serie di posizioni, si deve utilizzare una simulazione Monte Carlo:

1. si individuano le controparti inserite in portafoglio;

2. si modellizza la dipendenza tra le controparti attraverso un modello fattoriale che deve poi essere stimato (ad esempio verranno denite delle distribuzioni normali dei rendimenti);

3. si deniscono i fattori sistematici (ad esempio l'indice chimico e l'indice automobili- stico);

4. si costruiscono le distribuzioni dei fattori sistematici e si stima la correlazione tra questi;

5. si denisce la soglia (oltre la quale vi è il default) sulle distribuzioni dei rendimenti denite al punto 2;

7. tali realizzazioni poi devono essere mappate sui modelli fattoriali deniti preceden- temente;

8. si devono simulare anche le componenti idiosincratiche così da poter calcolare la realizzazione dei rendimenti simulati e comprendere se essa si trova sopra o sotto la soglia dei default;

9. individuata la posizione della realizzazione si deniscono i prezzi associati, sia in caso di solvibilità, sia in caso di default e poi li si somma per ottenere il prezzo complessivo (sarà uno dei tanti valori che serviranno per denire la distribuzione complessiva); 10. si eettua tale procedimento un numero elevato di volte così da ottenere l'istogramma

empirico dei valori simulati, che rappresenta la distribuzione dei prezzi del portafoglio complessivo considerato.

Una volta denita questa distribuzione è possibile individuare il percentile desiderato con il quale arrivare a determinare il Value at Risk del portafoglio complessivo.

3.3 Rischio operativo

Il rischio operativo è denito come il rischio di incorrere in perdite derivanti dall'inade- guatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni, incluso il rischio legale. A questa sua denizione si perviene solo nel 2004, grazie al Secondo Accordo di Basilea che, oltre a estendere una sua denizione che potesse essere riconosciuta a livello normativo da tutti i partecipanti, pose le basi per la sua misurazione e, quindi, per l'introduzione di tale tipologia di rischio tra quelli quanticabili, rientranti nel primo pilastro. Solo dalla ne degli anni '90 questa tipologia di rischio iniziò ad essere considerata come estremamente rilevante nel mondo nanziario, conseguentemente, l'at- tenzione all'identicazione, misurazione e controllo di tale rischio si intensicò, portando alla necessità di porre urgentemente delle regole che avessero ecacia a livello normativo (Basilea 2).

Il rischio operativo è caratterizzato dalla particolarità che la sua denizione non identica un unico elemento, ma ricomprende al suo interno una serie di eventi dierenti:

• Processi interni: essi sono ravvisati in tutte le procedure che si svolgono all'interno delle banche, come ad esempio, il controllo contabile, la designazione dei ruoli e delle responsabilità di ogni soggetto, oppure, la denizione dei modelli e delle metodologie per il monitoraggio e il controllo dei rischi. Eventuali procedure inadeguate, erronee o difettose possono arrecare delle ingenti perdite.

• Risorse umane: con tale locuzione si fa riferimento all'insieme complessivo del per- sonale. Facile da intuire è che eventuali fattori come l'incompetenza, la negligenza,

l'inadempimento degli obblighi contrattuali, le azioni dannose o conittuali, le deci- sioni sbagliate, la violazione volontaria (frodi) o non volontaria di normative o regole, ossia tutte le circostanze legate ad errori (o frodi) umani, possono comportare delle notevoli perdite.

• Sistemi tecnologici: essi deniscono l'insieme degli applicativi informatici. Rilevanti perdite posso derivare dall'interruzione, dal malfunzionamento o dal guasto degli apparecchi informatici: com'è noto, oggi la tecnologia è un elemento indispensabile per il funzionamento dell'intero sistema bancario, allo stesso tempo, però, risulta essere anche il suo tallone d'Achille, poiché eventuali problemi relativi a tali tecnologie (ricomprese le violazioni informatiche nella sicurezza) hanno impatti ragguardevoli. • Fattori esterni: con questa espressione si circoscrive l'insieme delle circostanze, quali,

le attività criminali (frodi esterne), la vulnerabilità del contesto politico (cambiamenti a livello giuridico e normativo legati al diverso ambiente politico), gli eventi militari, politici e naturali (guerre, atti terroristici, catastro militari). Sono tutti elementi indipendenti dalle scelte o dai sistemi interni, ma che possono impattare in modo consistente sulle perdite della banca.

Il conne tra ogni singola fattispecie è estremamente sottile e labile. Si desidera esplicare tale aspetto attraverso un esempio: si supponga che vi sia stato un terremoto in un de- terminato Paese e che una banca abbia subito ingenti perdite a causa della perdita di una liale in tale area. Subito si potrebbe aermare che tale perdita sia dovuta ad un fattore esogeno, appunto, il terremoto. In primo luogo si potrebbe ribattere sostenendo che se tale liale avesse adoperato un sistema informatico adeguato (ad esempio con un programma di salvataggio automatico di tutti i dati in memorie esterne e indipendenti), il terremoto non avrebbe arrecato tutti i danni che si sono eettivamente manifestati. In secondo luo- go si potrebbe sostenere che il problema non lo si deve imputare al sistema informatico non adeguato, ma all'organo manageriale negligente che non ha saputo prendere decisioni accorte su tale questione (risorse umane). Inne, l'origine di tale danno potrebbe essere imputato ad un inadeguato processo interno che non ha denito in modo corretto i ruoli e le responsabilità degli organi direzionali e quindi che ha comportato una serie di azioni e reazioni a catena che hanno nito per produrre una perdita considerevole per la banca. Attraverso questo esempio, si è voluto sottolineare il conne evanescente di tutte le fat- tispecie rientranti nella categoria del rischio operativo, ma, allo stesso tempo, anche la peculiarità principale di tale rischio: esso è intrinseco all'attività bancaria.

Il rischio operativo, diversamente dalle altre tipologie di rischio n qui analizzate, non viene assunto dalla banca in modo discrezionale (per esempio, la banca può decidere se assumersi il rischio di credito mediante la scelta di erogare o meno un mutuo), ma esso emerge nel momento in cui ha luogo l'attività bancaria, poiché è conseguenza naturale e ineluttabile di tale operatività e quindi non è possibile eliminarlo in alcun modo, essendo

intrinsecamente legato ad essa.

Un ultimo aspetto importante da evidenziare è che il rischio operativo rientra nella ca- tegoria dei rischi puri, ovvero, quelli che, a dierenza dei rischi speculativi che possono comportare dei risultati positivi o negativi, determinano in ogni caso una perdita. Un esempio di rischio puro è l'incendio: esso, qualunque sia la sua entità, durata o luogo di sviluppo, causerà sempre e comunque un danno e quindi una corrispondente perdita. Il rischio operativo è identico: essendo un rischio intrinsecamente legato all'attività della banca, che si deve sempre assumere, tutte le volte che tale rischio si manifesta (in veste di una delle fattispecie sopra elencate) comporta sempre un danno e quindi una perdita.

Il rischio operativo, riassumendo, si dierenzia dai rischi visti precedentemente (rischio di mercato e rischio di credito) principalmente per 3 motivi:

• è un rischio puro e non speculativo;

• è un rischio intrinsecamente legato all'attività bancaria e quindi non eliminabile a priori;

• è un rischio che, per denizione, ricomprende una serie di eventi dierenti.

Per tali considerazioni esso è di dicile misurazione però, nei primi anni duemila, molte società, banche e istituzioni nanziarie si sono adoperate per mettere a punto delle tecniche che potessero essere utilizzate per misurare tale tipologia di rischio.

In questa sede si analizzeranno unicamente i sistemi di quanticazione del rischio operativo fondati sulla metrica del Value at Risk.