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L’alleanza tra città e campagna nella rappresentazione bolscevica

3. Le caratteristiche della massa contadina

Si è detto che la necessità della leadership del proletariato nella mentalità bolscevica era dovuta tanto alla tradizione ideologica marxista quanto a una serie di stereotipi e rappresentazioni sulla campagna in generale, e russa in particolare. In altre parole, insieme alle leggi storiche dello sviluppo sarebbero le caratteristiche proprie dei contadini e della loro vita sociale che ne renderebbero indispensabile la guida da parte del proletariato.

In questa parte si vedrà velocemente quali erano per i bolscevichi tali caratteristiche. Queste saranno sviluppate e chiarite ulteriormente nell’arco di tutto l’elaborato, ma è necessario fornirne preliminarmente un quadro generale il più possibile conciso. È interessante notare come ognuna di queste caratteristiche era sviluppata in negativo rispetto ai caratteri che distinguevano invece il proletariato e, soprattutto, l’utopia dell’uomo sovietico negli ideali di progresso tipici dell’ideologia

205 Trinadcatyj S’ezd RKP(b), 440. 206 Trinadcatyj S’ezd RKP(b), 441.

98 bolscevica. Questa modalità di rappresentazione per opposizioni binarie corrisponde al sistema simbolico di raffigurazione dell’altro che maggiormente comporta ricadute sulla costruzione dell’identità.207 La descrizione dei tratti contadini e l’utilizzo di questi come strumenti nel discorso

sulla campagna si legavano continuamente alla contrapposizione con un proletariato il più delle volte immaginario in cui i bolscevichi vedevano rispecchiato il futuro dello stato.

Da ciò che si è detto finora emerge che la passività, che corrisponde perfettamente alla rappresentazione dei contadini come classe “relativa” e “dipendente”, era per i bolscevichi caratteristica essenziale della massa contadina. Per i leader sovietici la tipica passività e mancanza di iniziativa e coscienza politica dei contadini non era solo naturale, ma anche necessaria dal momento che essi, secondo la legge leninista delle forze motrici della rivoluzione, dovevano attendere l’iniziativa del proletariato.

La passività del contadino era legata alla sua caratteristica che primariamente lo contraddistingue e lo contrappone al proletario, l’arretratezza (octalost’). Come illustrato nel III capitolo, la dicotomia arretratezza/progresso era il perno intorno al quale si era sviluppata tutta la rappresentazione della contrapposizione tra città e campagna dai tempi di Pietro il grande da parte dell’intelligencija e che aveva costituito le fondamenta del discorso egemonico dell’élite. L’idea dell’arretratezza russa, legata prevalentemente al mondo rurale, era servita per secoli come mezzo per legittimare politiche di controllo e di trasformazione della campagna.208 Un esempio di questo

legame nel discorso dei bolscevichi al potere è offerto sempre da Zinov’ev nel suo discorso per la fondazione del Krestintern:

207 Cfr. Stuart Hall, «The West and the Rest: Discourse and Power», in Formations of modernity (Cambridge: Polity Press in association with Blackwell and the Open University, 1992), 275–331; Said, Orientalismo, 53.

208 A questo proposito un enorme debito è dovuto al contributo di studiosi come Cathy Frierson, Yanni Kotsonis e Judith Pallot, che tra gli altri hanno portato alla luce l’importanza dell’aspetto discorsivo nella storiografia della modernizzazione russa nel periodo prerivoluzionario. Per i lavori più importanti vedi Frierson, Peasant Icons; Kotsonis, Making Peasants

Backward; Pallot, Transforming Peasants: Society, State and the Peasantry, 1861–1930; Pallot, Land Reform in Russia, 1906-1917.

99 Prima della guerra imperialista, un tentativo del genere sarebbe stato condannato alla rovina.

Troppa arretratezza tra le fila dei contadini, sono troppo poco avvezzi all’organizzazione, ancora di più su scala internazionale.209

L’arretratezza contadina era quindi per i modernizzatori il tratto russo da estirpare per poter indirizzare il paese sul sentiero dello sviluppo, il che dopo la rivoluzione del 1917 equivaleva alla sua socialistizzazione e industrializzazione, e allo stesso tempo ciò che rendeva il contadino impossibilitato a prendere parte attiva in questa trasformazione.

L’ignoranza contadina era ciò che costituiva uno dei tratti tipici di questa arretratezza. Anche in questo caso la visione bolscevica risultava imbevuta della tradizionale rappresentazione del narod nel periodo zarista, che sotto questo aspetto si evolse poi nella figura del seryj mužik nel periodo post- emancipazione.210 Secondo questa tradizione, la proverbiale ignoranza del mondo contadino derivava

non soltanto dalla materialità della condizione sociale, ma soprattutto dal dato culturale della mancata esposizione alla “civilizzazione” europea.211 L’aggettivo prostoi (semplice) completava

frequentemente il sostantivo narod per indicare esplicitamente il suo riferimento alla popolazione contadina. Alternativamente, allo stesso scopo veniva usato l’aggettivo černyj (oscuro) che connotava la semplicità derivata dall’isolamento culturale con la stupidità, la spontaneità e l’incoscienza. Infatti, il narod era rappresentato come fondamentalmente irrazionale, incosciente di sé stesso e della sua posizione storica e sociale, ovvero quella attribuitagli dagli stessi intelligenty.212 Allo stesso tempo, i

capi bolscevichi fondavano la scientificità dei loro giudizi a proposito dell’ignoranza contadina nell’opera di Marx e Engels, a sua volta permeata dal pregiudizio sul cosiddetto “idiotismo della vita rurale”.213

209 Zinov’ev, «Privet Krasnomu Krest’janskomu Internacionalu», 12. 210 Vedi pag. 64-66.

211 Ovviamente, a seconda delle diverse posizioni dell’intelligencija, questo isolamento del popolo russo poteva rappresentare per sia una qualità, la permanenza dell’autentica e incontaminata specificità culturale russa, che un tratto esclusivamente negativo da estirpare in nome di una modernizzazione che seguisse lo sviluppo occidentale.

212 Cfr. Frierson, Peasant Icons, 34.

100 Così come per i governati zaristi prima di loro, anche per i leader sovietici l’ignoranza contadina passava dall’essere una caratteristica dettata dalle circostanze storico-sociali a un tratto congenito, rigidamente attribuitagli per dote di natura, cristallizzato attraverso la secolare esposizione al modo di vita e all’ambiente contadino. Da un lato, non c’era da stupirsi dell’ignoranza del contadino, non era colpa sua. Essa dipendeva dal contesto, dalla condizione di isolamento in cui era stato deliberatamente tenuto dalla borghesia e dall’aristocrazia nel periodo prerivoluzionario.

I nostri contadini sono quasi analfabeti, abbiamo il 70 percento di analfabeti. Non c'è da stupirsi: un’intera generazione di proprietari terrieri ha appositamente tenuto i contadini nell’oscurità, hanno letteralmente fatto cinture dalla pelle dei contadini, il monopolio statale degli alcolici ha funzionato per decenni perché tutti i contadini affondassero nella vodka! Che cosa c’è di sorprendente, se tra i mužiki c'è qualcosa di brutto, selvaggio, semi-selvaggio, e così via?214

Dall’altro, la rappresentazione del mondo rurale e della sua arretratezza veniva così strettamente collegata con la sua ignoranza che essa ne risultava un tratto imprescindibile, che sarebbe stato estirpato soltanto con la completa distruzione, seppure non fisicamente violenta ma culturale, di quel mondo. Questa concezione si legava al concetto di fondamentale obsolescenza della classe contadina, anch’esso di derivazione marxista. Nella società senza classi, il “tipo sociale”, e quindi culturale, contadino era destinato a scomparire in un modo e nell’altro nella classe operaia e nella sua distruzione sarebbero ricadute anche tutte le sue peculiari caratteristiche. Più del borghese, egli rappresentava un anacronismo proveniente dalle più antiche strutture socioeconomiche, un “residuo (ostatok) dei tempi passati, anche se un ‘residuo’ che ha un’enorme incidenza”.215 Coerentemente

con questa rappresentazione, la forma di relazione che ne conseguiva era quella della tolleranza provvisoria:

Noi vogliamo la distruzione e il superamento di quello che Marx chiamava l'idiotismo della vita

rurale, ovvero la limitatezza dell’orizzonte (organičennost’ krugozora) del contadino, i suoi

confini del villaggio (okolizi) […] E se manteniamo la guida corretta di questo processo, se

214 Grigorij E. Zinov’ev, «Učitel’stvo i krest’janstvo», in Licom k derevne. Stat’i i reči: Sbornik (Leningrad: Gosudarstvennoe Izdatel’stvo, 1925), 119.

101 conduciamo correttamente la nostra pedagogia sociale, raggiungeremo la distruzione di questa

maledetta (prokljataja) psicologia.216

Quest’ambiguità sull’origine dell’ignoranza contadina sarà conservata per tutto il periodo della Nep. Soprattutto nei due anni immediatamente successivi alla morte di Lenin, nel periodo più “filocontadino” della Nep,217 c’era molta fiducia nella capacità dell’educazione politica per

“estirpare” la ograničennost’ (limitatezza) contadina.218 Come si vedrà, la possibilità o meno di

“trasformare” il contadino in proletario attraverso l’educazione sarà un tema ricorrente seppure sotterraneo nel dibattito politico della Nep, spesso usato in modo strumentale e demagogico.

Caratteristica della ograničennost’ rurale non era solo l’ignoranza derivata dallo scarso livello di istruzione, ma la vera e propria irrazionalità nell’azione e nel modo di vivere, che distingueva il contadino dall’abitante di città ed era anch’essa una derivazione della dicotomia arretratezza/progresso. Anche in questo caso, questa rappresentazione forniva la base logica per la teoria della necessità della rukovodsvo del proletariato, e quindi del partito: l’attore razionale era l’operaio, il proletario, che può capire e anticipare le ripercussioni dei possibili indirizzi politici sul futuro, mentre i contadini potevano solo “sentire” gli effetti di una certa politica una volta che essa era già in vigore. Così disse nel dicembre del 1924 Trockij, riferendosi all’urgenza di una maggiore pianificazione dell’economia:

Questo il contadino ancora non riesce a capirlo. Ma ogni comunista, ogni operaio evoluto, deve comprenderlo. Presto о tardi, il contadino sentirà (počuvstvuet) nella sua economia le ripercussioni del lavoro del Gosplan.219

216 Nikolaj I. Bucharin, «Učitel’stvo i komsomol», Pravda, 4 febbraio 1925.

217 Si intende qui “filocontadino” nel senso del dibattito pubblico, dalla morte di Lenin all’inverno del 1925-1926. 218 Termine estensivamente usato dai bolscevichi in alternativa a “idiotismo”, costantemente accompagnato dall’aggettivo “contadino”. Ograničennost’ è il sostantivo dell’aggettivo ograničennyj, che significa generalmente “limitato”, “piccolo”, ma in senso prevalentemente intellettuale. Denota la caratteristica di una persona con una “conoscenza ristretta, orizzonti ristretti, interessi ristretti”. Ožegov e Švedova, Tolkovyj slovar’ russkogo jazika. 219 Trockij, Novyj kurs, 98.

102 Insieme alla dicotomia arretratezza/progresso, quella di irrazionalità/razionalità richiama altre combinazioni retoriche provenienti dalla mentalità illuminista, che tanto aveva influenzato il materialismo marxista. La pretesa di custodire il monopolio della ragione e della scelta razionale, contro altre inclinazioni come il sentimentalismo, il fanatismo religioso ed ogni forma di comportamento considerato impulsivo ed illogico, costituisce da sempre una delle classiche giustificazioni per ogni tipo di dominazione, conservazione di rapporti di su uguaglianza, in senso sia dispotico, violento, che paternalista.220

Una delle parole chiave del lessico bolscevico che spiega bene la rappresentazione dicotomica fondamentale di razionalità/irrazionalità è stichija, che ricorre frequentemente e relativamente a temi diversi, sempre relativi al mondo socioculturale altro, alternativo al sovietico e al proletario, soprattutto contadino. Stichija significa primariamente “elemento” o “forza della natura”, come i quattro elementi della tradizione filosofica ellenica o anche i fenomeni naturali spesso caratterizzati da potere distruttivo. L’aggettivo stichijnyj è quindi usato in associazione a questo concetto di forza elementare della natura, ma è anche legato alla spontaneità che caratterizza tali fenomeni, che per definizione si verificano al di là di ogni forza razionale, per breve tempo e con particolare impeto distruttivo. Stichijnyj significa quindi involontario, non responsabile, non soggetto a volontà o ragione. Gradualmente questo termine ha guadagnato nella lingua russa l’applicazione alla vita sociale oltre che naturale. In questo senso sta a significare quindi ciò che “scorre senza influenza normativa da parte delle persone, della società” o anche “leadership non organizzata, senza una corretta organizzazione”, in contrapposizione cioè ad ogni forma di regolamentazione.221 Questa

accezione si ritrova in particolare nella letteratura della Socialdemocrazia russa, che contrapponeva l’intrinseca vocazione socialista alla pianificazione con la stichija piccoloborghese (melkoburžuaznaja), ovvero le tendenze anarchiche delle masse contadine, legate alla preferenza per il libero mercato e all'aspirazione alla proprietà privata. Come vedremo nel V capitolo, questa

220 Cfr. Bill Ashcroft, Gareth Griffiths, e Helen Tiffin, Postcolonial Studies: the key concepts (London: Routledge, 2013), 25–28; Hall, «The West and the Rest».

221 Tat’jana Efremova, Novyj slovar’ russkogo jazyka. Tolkovo-spoboobrazovatel’nyj (Moskva: Russkii jazyk, 2000); Ožegov e Švedova, Tolkovyj slovar’ russkogo jazika; Antinazi, «Enciklopedija sociologii», 2009, http://sociology.niv.ru/doc/encyclopedia/socio/fc/slovar-209-3.htm.

103 contrapposizione “naturale” tra i due atteggiamenti economici si ripropose con particolare intensità alla vigilia della “grande svolta” del 1929-1930 che portò alla collettivizzazione forzata e alla dekulakizzazione, e permase più tardi come strumento discorsivo della “guerra sociale” che si scatenò durante gli anni ‘30.222

Lo stesso termine ricorreva ancora nella rappresentazione di ogni azione e manifestazione politica contadina, di cui la “spontaneità” (stichijnost’) in contrapposizione all’organizzazione veniva costantemente identificata come tratto distintivo, soprattutto nel caso delle rivolte. Dalla dicotomia chiave razionalità/irrazionalità nacque infatti anche l’immagine particolarmente duratura attribuita al contadino russo come soggetto inerentemente apolitico, poiché incosciente della propria posizione di classe e, come si è detto sopra, incapace di organizzarsi se non sotto istituzioni eterodirette come il partito o l’esercito.

La peculiarità dei contadini consiste precisamente nel fatto che nonostante la loro numerosità è difficile formarli su una base organizzativa, anche quando sono permeati di spirito rivoluzionario.223

Un’altra caratteristica tipica della rappresentazione dei contadini che ebbe un peso determinante nell’evoluzione del pensiero e della politica sovietica rispetto alla campagna era quella della diffidenza. Il contadino era dipinto come “naturalmente diffidente” verso lo straniero e soprattutto rispetto agli “uomini della città”, gli amministratori, che vedeva come “invasori” non avvezzi ai metodi dell’agricoltura e al modo di vivere della campagna. Questo i bolscevichi lo evincevano da come i membri di partito venivano a volte accolti nei villaggi, e lo collegavano a un tratto naturale della psicologia contadina, non legato ad una responsabile presa di posizione contraria alle politiche e ai metodi centrali.224

222 Cfr. Moshe Lewin, «Society and the Stalinist state in the period of the five year plans», Social History 1, n. 2 (1976): 143.

223 Trockij, Socinenija, 3:XX.

224 Iosif V. Stalin, Sočinenija, vol. VI (Moskva: Gospolitizdat, 1947), 381. Sulla generale convinzione degli abitanti di città di una naturale diffidenza contadina nei loro confronti vedi anche Viola, Best Sons.

104 Questa convinzione in una naturale sospettosità contadina, nel naturale pregiudizio contadino verso la città, finiva per sollevare i comunisti da ogni responsabilità legata ad altre ragioni di contrarietà. Passava il messaggio per cui anche se fortemente devoti alla causa i bolscevichi non avrebbero potuto convincere il contadino a fidarsi di loro, se non per ignoranza allora per diffidenza.

Un altro alibi per il fallimento delle politiche del partito era costituito dal convincimento delle “tendenze egoiste” attribuite alla naturale psicologia contadina. In questo consisteva anche la stichija piccoloborghese del contadino russo e risiedeva altresì la necessità di controllo del proletariato sulla campagna, che per il suo egoismo risultava un alleato inaffidabile. In un discorso al Congresso degli insegnanti di tutta l’Unione tenutosi a Mosca il 17 gennaio del 1925, Bucharin dichiarò che nelle aree urbane un errore del partito si risolveva rapidamente “nello scorrere generale della vita quotidiana”, perché la classe lavoratrice aveva una tendenza comune, una “inclinazione” (ustremlenie) alla condivisione di classe che è completamente assente nel villaggio, dove “ogni errore si moltiplica inevitabilmente per la predisposizione (ustremlenie) alla proprietà privata che è insita nel contadino stesso”. Bucharin usò il termine ustremlenie in tutti e due i casi. L’attitudine alla proprietà, come ogni altra caratteristica elencata in questo paragrafo, veniva considerata come qualcosa di naturale, un’inclinazione una tendenza, “comune a tutta la classe” (obščeklassovyj).225 Una era comunitaria,

l’altra egoista. Perciò ad una poteva essere concessa maggiore autonomia mentre sull’altra bisognava esercitare una supervisione più stretta. La tesi dell’inaffidabilità dell’alleato contadino, soprattutto del contadino medio, secondo i bolscevichi la categoria più socialmente ibrida e oscillante della campagna, fu usata estensivamente come giustificazione delle politiche più repressive nei confronti della popolazione rurale.

Pertanto, tutte queste caratteristiche, che qui sono solo accennate ma ricorreranno frequentemente nel corso dell’analisi, costituivano allo stesso tempo causa e conseguenza della necessità della rukovodstvo del proletariato. Vediamo ora come questa rappresentazione prese vita, influenzò e fu influenzata nel dibattito teorico sulla valutazione del ruolo dei contadini, che di fatto costituì il cuore della dialettica di partito all’indomani della morte di Lenin.

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