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Lo scambio economico e il dibattito sulle vie di sviluppo

4. Le due vie dello sviluppo agricolo russo

Lo sviluppo dell’agricoltura sovietica negli anni centrali degli anni ’20 poneva all’attenzione dei dirigenti di partito non soltanto i problemi fondamentali del carattere e della durata della Nep, ma anche quelli onnipresenti nell’amministrazione e nel pensiero russi dell’unità di produzione agricola efficiente. La questione dello sviluppo industriale finanziato attraverso le eccedenze, le risorse e le esportazioni dei prodotti agricoli, necessitava di un’agricoltura forte e di una scelta tra le due alternative onnipresenti e mai risolte dello sviluppo agricolo russo: il principio collettivistico e quello individualistico, la soluzione socialista e quella capitalistica.

Sul piano pratico, se l’agricoltura sovietica doveva nutrire le città e le fabbriche, fornire materie prime alle industrie sovietiche, assicurare un’eccedenza per l’esportazione e accumulare riserve di capitale per lo sviluppo industriale, bisognava assolutamente che si organizzasse in una forma efficiente e votata alla produzione massiccia. Questo problema aveva due soluzioni alternative: la soluzione socialista di un’agricoltura collettiva su larga scala e la soluzione capitalistica consistente nell’eliminare le restrizioni al libero gioco delle forze economiche e nell’introdurre nell’agricoltura contadina i processi della concorrenza. La Nep, e soprattutto la sua interpretazione buchariniana, che

307 KPSS v rezoljucijach i rešenijax. S’ezdov, konferencij i plenumov CK, vol. II (Moskva: Gospolitizdat, 1953), 373. 308 Per questo discorso vedi il prossimo capitolo.

144 determinò la politica economica di partito a partire dal XIII Congresso di partito ed ebbe il suo culmine con le riforme della primavera del 1925, aveva puntato sulla soluzione capitalistica anche se in modo non totalmente esclusivo. L’espressione logica di questa scelta politica era stata quella di esaltare il contadino efficiente e intraprendente che accresceva i suoi possessi e la sua attrezzatura, che impiegava manodopera salariata e produceva generi di notevole valore monetario, e di permettere che il contadino debole e inefficiente desse in affitto o abbandonasse la sua terra, e diventasse un operaio salariato sia nell’agricoltura che nell’industria. Liberata da camuffamenti e abbellimenti, questa era una politica di appoggio al kulak, che lo incoraggiava a rafforzarsi a spese del contadino debole e inefficiente. Al di là degli imbarazzi teorici che questa scelta di fondo comportava, la fiducia nell’agricoltura contadina individuale non perse terreno almeno fino al 1927. Dopodiché, una serie di fattori sia strutturali che contingenti ne causò la crisi.

Tra i motivi strutturali c’era il forte divario tra i settori posti sotto stretto controllo statale e soggetti a pianificazione e il grande assente dell’agricoltura. Il raggiungimento degli obiettivi indicati per l’industria pesante, per il commercio estero, per l’innalzamento del livello di vita, tutti questi fattori dipendevano dal fatto che il raccolto di cereali e delle materie prime agricole raggiungesse i quantitativi previsti.309 Tutti questi fattori spostarono crescentemente il favore dell’intelligencija

verso il concetto di unità agricola di grandi dimensioni, individuale o collettiva che fosse, e verso una maggiore pianificazione e industrializzazione della produzione contadina.310 Suggestioni che di fatto

si concretizzarono nella nuova linea ratificata al XV Congresso di partito nel dicembre del 1927, che sanzionò la pianificazione come il fattore centrale dell’economia sovietica.

La risoluzione del Congresso sulle “direttive per lo stabilimento del Piano quinquennale per l’economia nazionale” conteneva una razionalizzazione della svolta verso la pianificazione che tuttavia presenta molti elementi di continuità con il discorso presentato finora. Essa cominciava con un excursus della situazione economica nei dieci anni dalla rivoluzione e con la rivendicazione della politica portata avanti nei primi anni della Nep. In un decennio tante cose erano cambiate: il

309 Cfr. Carr e Davies, Pianificazione, Agricoltura e industria (1926-1929):234; Lewin, Contadini e potere sovietico, 280. 310 Cfr. Daniel Thorniley, The Rise and Fall of the Soviet Rural Communist Party, 1927-1939 (New York: St. Martin’s Press, 1988), 13.

145 “contenuto sociale delle leve di comando economiche” erano diventato “essenzialmente diverso” e così anche le relazioni tra città e campagna. Sotto il nuovo regime,

l’industria ha volto il suo sguardo alla campagna ed è diventata un fattore potente/poderoso (mogučij) nella sua trasformazione (pereobrazovanie) socialista, e la crescita del mercato interno ha cominciato ad assumere la forma della prosperità (blagosostojanie) del villaggio, non della sua distruzione (razorenie), come avveniva sotto il capitalismo.

Qui è evidente la continuità con l’etica salvifica e civilizzatrice dell’industrializzazione socialista, in una rappresentazione che seguiva la teoria delle forze motrici della rivoluzione. L’avanguardia del proletariato aveva conquistato le leve di comando economiche. Nel suo incontro con la campagna, il proletariato aveva trasformato la campagna, provocandone l’aumento della prosperità al contrario di ciò che aveva provocato l’incontro con il capitalismo, che alla campagna aveva portato solo distruzione e parassitismo. Questa trasformazione aveva posto le condizioni per il piano, attraverso il quale si sarebbe compiuto l’ultimo stadio della trasformazione del contadino:

È possibile una guida pianificata dell’economia sulla base della nazionalizzazione dell’industria pesante e di altre leve di comando, soppiantando sempre di più l’anarchia del commercio capitalista.

Questa possibilità veniva presentata come un trionfo sull’arretratezza russa e su quelle posizioni politiche che reputavano impossibile superarla e costruire il socialismo:

I risultati dello sviluppo economico della cosiddetta Nuova politica economica […] hanno completamente confermato la tesi di Lenin per cui nel nostro paese abbiamo tutto ciò che è necessario e sufficiente per la costruzione del socialismo, che le oggettive condizioni interne dello sviluppo socio-economico sovietico non rendono assolutamente inevitabile il collasso o la degenerazione della dittatura del proletariato, che l’esistenza di un grande numero di aziende contadine e il legame tra queste e l’economia di stato non deve assolutamente trasformare il nostro paese nella terra della limitatezza contadina (ograničennost’).311

311 XV S’ezd Vcesojuznoj Kommunističeskoj Partii (bol’ševikov). Stenografičeskii Otčet (Moskva; Leningrad: Gosudarstvennoe Izdatel’stvo, 1928), 1291.

146 Allo stesso tempo si ribadiva la necessità di mantenere tempi lenti e conservare lo “sviluppo combinato” per un “ritmo di crescita di lungo termine il più rapido possibile” e di evitare il “massimo trasferimento (perekačka) di fondi dall’economia contadina all’industria”.312 Allo stesso tempo, però,

Rykov, uno degli esponenti di partito più vicini a Bucharin che aveva sempre sostenuto la necessità e l’inviolabilità dell’alleanza con il contadino agiato, nella sua relazione sulle direttive per il piano descrisse come “inevitabile e ammissibile in questa fase di sviluppo” quel “trasferimento forzato”, quel “pompaggio di risorse” (perekačka) che la maggioranza del partito aveva sempre usato in senso dispregiativo contro i sostenitori di Preobraženskij.313

Pertanto, a livello logico la risoluzione riusciva a inserire la svolta verso la pianificazione in piena continuità con il programma precedente. A livello discorsivo, inoltre, l’approccio verso la campagna e i contadini non era cambiato. Nonostante i trionfanti accenni ai passi compiuti nel portare il contadino dalla “nostra parte”, egli rimaneva ancora tale. Semplicemente si sosteneva che i tempi fossero maturi per una trasformazione più profonda, che poteva allora compiersi con gli strumenti del socialismo: attraverso la pianificazione in misura maggiore che tramite il mercato. Dai verbali del Congresso si intravede bene questa tensione tra l’esigenza economica di pianificare l’agricoltura (e quindi garantire un predeterminato afflusso di materie prime per il sostentamento e per l’industria) e l’instabilità del mercato contadino, quella che veniva descritta come “l’incapacità dell’agricoltura di piegarsi ai processi ai processi di pianificazione”. Gli interventi dei relatori al Congresso, come si riflesse poi nella risoluzione finale, erano permeati dalle dicotomie piano/mercato, regolamentazione/anarchia, stabilità/instabilità. Il contadino veniva insistentemente presentato come l’elemento più contrario alla pianificazione. Tuttavia, la garanzia di ottenere da lui forniture stabili a condizioni vantaggiose era un presupposto essenziale per l’industrializzazione.

Kaminskij, uno dei massimi sostenitori delle forme cooperative di produzione agricola, nella sua relazione al congresso criticò l’eccessiva instabilità nel fissare i prezzi dei cereali da parte del

312 XV S’ezd VKP(b), 1293.

313 XV S’ezd VKP(b), 772. Sulla paradossale convergenza di questo passaggio del discorso di Rykov con quelle che erano fondamentalmente le idee di Preobraženskij cfr. anche Lewin, Contadini e potere sovietico, 167.

147 partito negli ultimi anni, dicendo che questa politica favoriva in ultima analisi la differenziazione sociale nelle campagne, nonché le tendenze individualistiche contadine:

Il contadino, a modo suo, si è adattato alla nostra politica dei prezzi instabile e irregolare. Questo perché ha dove ritirarsi (octupat’). Arretrata e impoverita (octaloe i niščee), la nostra

economia contadina passa con grande facilità a forme naturali di economia […] In termini di

classe, il risultato della pratica dei prezzi variabili e delle loro fluttuazioni durante la stagione è molto sfavorevole. Con la fluttuazione, vince colui che può trattenere la merce, cioè il gruppo delle fattorie benestanti e perde sempre il gruppo dei poveri con pochi mezzi.314

Per poter superare questa anarchia congenita del mercato, in particolare contadino, nella risoluzione si raccomandava che il piano dovesse continuare a incoraggiare le cooperative di credito e di mercato, ma anche “cominciare a dare un esteso supporto a tutte le possibili forme cooperative di produzione (comuni, kolchozy, arteli, associazioni di produttori, fattorie cooperative, etc.) oltre che ai sovchozy il cui livello deve essere innalzato” e un “incoraggiamento totale all’unificazione delle piccole fattorie contadine in grandi fattorie collettive”. Inoltre, si denunciava l’esistenza di una “massa di cooperative ‘selvagge’ ancora non incorporate nel sistema cooperativo centralizzato” che dovevano essere integrate.315 Tutto questo era accompagnato dall’inquietudine e dal linguaggio

bellicoso generati da quella associazione strettissima tra pianificazione e “offensiva contro i kulaki”, la cui formula, nella forma e nel contenuto, risultava ben diversa da quella della “competizione” tipica del periodo 1924-1926.

In presenza di questa situazione, gli avvenimenti dell’inverno 1927-1928 innescarono la crisi. Importanti segnali dell’insuccesso del raccolto del 1927 erano evidenti già durante i lavori del Congresso, ma la cosa non venne direttamente affrontata in quella sede in quanto i relatori preferirono capitalizzare e completare la sconfitta dell’opposizione senza pubblicizzare troppo la criticità della situazione nelle campagne, di cui per altro non si capiva ancora la portata.316 Dati i buoni risultati dei

raccolti dei due anni precedenti, le aspettative erano alte anche per l’anno in corso con piani che

314 XV S’ezd VKP(b), 1218.

315 XV S’ezd VKP(b), 1299, 1313, 1311.

148 stimavano ammassi superiori rispetto alle quote record del 1926-1927. Tuttavia, nel dicembre del 1927 non se ne era raccolta neppure la metà.317 Al contrario delle altre crisi, stavolta il problema non

era la scarsità del raccolto, ma il fatto che i produttori si rifiutavano di consegnare i cereali di cui disponevano, creando immediatamente un clima di tensione con le autorità che stimavano riserve contadine molto alte. Le difficoltà che lo Stato si ritrovava ad affrontare non derivavano quindi da una crisi di produzione, ma dall’imbarazzo di trattare con produttori che facevano valere la loro posizione di mercato, aspettando a vendere i prodotti per godere del rialzo dei prezzi in primavera e garantirsi una certa quota da accumulare.318

Non potendo superare la riluttanza dei contadini a consegnare i cereali con stimoli economici, la necessità di soddisfare le esigenze del piano e la crescente ostilità nei circoli di partito verso i contadini benestanti e la politica di conciliazione degli anni precedenti portarono all’adozione di “misure straordinarie” per tutta la prima metà del 1928 per garantire l’afflusso di cereali. La gravità della situazione economica che i capi di partito dovettero affrontare all’indomani del XV Congresso ricordava quella del 1919 e del 1920, in piena guerra civile, e le misure adottate per scongiurare una crisi degli approvvigionamenti in tutta l’economia nazionale ricordarono i metodi di requisizione forzata tipici del comunismo di guerra.319 Nonostante la retorica di conciliazione tipica della Nep su

cui il partito continuava a insistere, l’ostilità tra città e campagna si stava riaprendo.

Nella narrazione di partito, le cause della crisi furono presentate esclusivamente e unanimemente come colpa del kulak e della sua ingordigia capitalista. In aprile, nella risoluzione del Comitato Centrale si additava come responsabile “l’aumento del reddito nelle campagne, specialmente quello degli strati dei contadini agiati e dei kulaki”. Seppur condannando alcuni abusi, la risoluzione esclamava trionfalmente che la campagna per gli ammassi aveva contribuito a

317 Cfr. Abram S. Mendel’son, Pokazateli kon’junktury narodnogo chozjajstva SSSR za 1923/24 - 1928/29 gg. (Moskva: «Planovoe chozjajstvo» Gosplan SSSR, 1930), 51, 56; James Hughes, Stalin, Siberia, and the crisis of the New Economic

Policy (Cambridge New York: Cambridge University Press, 1991), 103–4.

318 Carr e Davies, Pianificazione, Agricoltura e industria (1926-1929):44–45.

319 Per la crisi degli ammassi e l’applicazione delle misure straordinarie cfr. in particolare Carr e Davies, Agricoltura e industria (1926-1929):64–44; Hughes, Stalin, Siberia, and the crisis of the New Economic Policy, 123–33; Lynne Viola et al., The War against the Peasantry, 1927-1930: The Tragedy of the Soviet Countryside (New Haven, CN: Yale University Press, 2005), 7–117.

149 “l’indebolimento del ruolo e dell’influenza dei kulaki” nei villaggi.320 Soltanto grazie all’applicazione

delle misure straordinarie era stato possibile risolvere la crisi, questo non era in discussione. Al di là di questo risultato, era evidente la divisione ai vertici del partito sul reale significato di quelle misure nel contesto della crisi e, di conseguenza, anche sul loro destino futuro. Da una parte, c’era chi le interpretava come interventi veramente straordinari in una congiuntura particolarmente drammatica e quindi considerava chiusa l’esperienza dato il loro inopinabile successo pratico. Tra questi c’erano sicuramente Bucharin, ma anche Tomskij e soprattutto Rykov, che si spese in modo particolare per sottolineare il carattere temporaneo delle misure e la necessità di abbandonarle il prima possibile. Dall’altra c’era chi era entusiasta del loro funzionamento e ne auspicava in fondo la continuazione. Tra questi, il presidente del VSNCh Kujbyšev a fine gennaio aveva dichiarato pubblicamente che l’applicazione delle misure amministrative che “secondo regole normali ‘non deve essere fatto’” aveva prodotto “indiscutibili risultati” e che “i metodi amministrativi e la direzione amministrativa non si devono indebolire.321 A fine marzo Kaganovič, sempre entusiasmandosi per l’efficacia delle

misure straordinarie e sostenendo la seconda ondata di aprile-giugno, disse che si doveva assolutamente “liquidare quell’atteggiamento di smobilitazione” proprio di alcuni membri del partito dopo i risultati del gennaio-febbraio.322

Reintroducendo quindi la soluzione amministrativa, la crisi degli ammassi riproponeva con ancora maggiore intensità di quanto già non fosse nell’autunno del 1927 la questione dello sviluppo rurale della Russia e dell’unità produttiva efficiente. Le divisioni create dalla diversa interpretazione della crisi degli ammassi continuarono ad inasprirsi lentamente fino alla frattura tra coloro che continuavano a difendere la smyčka con i contadini individuali (kulaki e serednjaki) come alleanza obbligata e necessaria per garantire l’afflusso di cereali e coloro che si stavano convincendo che la collettivizzazione, associata ad un’aspra lotta contro i kulaki, sarebbe emersa come l’unica via per ottenere le forniture alle condizioni dello stato.

320 KPSS v rezoljucijach, II:372–80.

321 “Torgovo-promyšlennaja gazeta“, 4 febbraio 1928.

150 Si stava gradualmente perdendo fiducia nell’agricoltura individuale e soprattutto nella capacità dello stato di dominare la relazione di mercato con la campagna che aveva caratterizzato la politica del partito dal 1924 in poi, ritornando su quelle tradizionali preferenze collettivistiche del primo marxismo russo. In continuità con il XV Congresso, tutta la letteratura di questo periodo fu fortemente connotata da generali valutazioni di carattere etico riguardo alla dicotomia pianificazione/mercato, regole/anarchia, non soltanto riguardo alla effettiva e contingente situazione economica, ma sull’essenza originale dei rapporti socioeconomici. Il 2 marzo del 1928, per esempio, un appello del Comitato Esecutivo Centrale che riguardava l’aumento dell’area seminata conteneva anche espliciti giudizi a favore della soluzione collettivistica poiché “il passaggio a un livello superiore di produzione non può essere realizzato con la forza delle singole famiglie contadine”.323 A fine maggio,

durante la seconda ondata di misure straordinarie nelle campagne, Stalin parlò ad un’assemblea di studenti all’Università di Sverdlov a proposito della commerciabilità (tovarnost’) del grano esprimendo una chiara preferenza per sovchozy e kolchozy, che producevano meno delle aziende individuali, ma destinavano allo Stato una percentuale molto più grande di questa produzione.324 A

giugno entrò nella polemica Frumkin, vicecommissario del Narkomfin, a difesa della proprietà individuale. Egli inviò una lettera al Politbjuro il 15 giugno in cui sosteneva che la forma collettivistica non aveva alcuna garanzia di successo immediato contro quella individuale, che al momento dava frutti nel breve periodo e pertanto andava promossa in quanto maggiore produttrice di cereali, anche se comportava un pericolo capitalista nel lungo termine.325 Poco tempo dopo anche

Mareckij e Astrov, due discepoli di Bucharin dell’Istituto dei professori rossi, pubblicarono degli articoli a sostegno della proprietà individuale. Questa posizione si basava comunque sull’opportunità nel presente di mantenere ancora questa forma di produzione per motivazioni che erano o politiche –

323 Citato in Carr e Davies, Pianificazione, Agricoltura e industria (1926-1929):66. 324 Iosif V. Stalin, Sočinenija, vol. XI (Moskva: Gospolitizdat, 1949), 84–86.

325 La lettera è stata pubblicata in Danilov, Manning, e Viola, Tragedija sovetskoj derevni. Kollektivizacija i

razkulačivanie. Dokumenty i materialy. Tom 1 maj 1927 - nojabr’ 1929, 290–95.Per la vicenda cfr. Lewin, Contadini e potere sovietico, 242–43; Graeme Gill, The Origins of the Stalinist Political System (Cambridge University Press, 2002),

151 il pericolo di una rottura dell’alleanza con la campagna (razmyčka) – o di necessità economiche di breve periodo. La superiorità dell’azienda collettiva in linea teorica non era messa in discussione.326

Al Comitato Centrale di luglio, Stalin tornò sul tema dell’accumulazione in modo sorprendentemente simile al primo Preobraženskij. Egli disse che poiché il metodo della “rapina delle colonie (grabež kolonij) e in generale il saccheggio di paesi stranieri (ograblenie čužich stran)” era precluso, rimaneva una sola soluzione: “sviluppare l’industria, l’industrializzazione del paese a spese dell’accumulazione interna (vnutrennoe)” e che il tributo (dan’) o la supertassa (sverchnalog) che avrebbero dovuto pagare i contadini era sì spiacevole ma necessaria. Per Stalin, la garanzia delle riserve del grano rientrava nella sfera della sicurezza nazionale, una condizione necessaria per “difendere la posizione del potere sovietico lungo la linea interna e lungo la linea esterna.” Il contadino del 1928, sosteneva Stalin, “non è più quello di sei anni fa”, adesso avanzava maggiori pretese derivate dall’innalzamento del suo livello di vita e dal fatto che “sta già dimenticato il proprietario terriero” e l’appoggio che in questo il partito rappresentava. In caso di conflitto con i paesi capitalisti, lo stato non poteva permettersi di combattere anche “una guerra nelle retrovie con il

mužik”. Lo stesso valeva per l’economia interna, dove l’incertezza nel mercato del grano bloccava la

modernizzazione dell’intero complesso statale. L’unico modo per ottenere tali riserve era una maggiore pianificazione dell’agricoltura, mentre il sistema vigente significava camminare “ogni volta lungo il bordo del burrone, contenti del fatto che abbiamo l’opportunità di terminare l’anno di approvvigionamento all’impronta (tak-na-tak)”.327 Si univano qui i temi della intrinseca

inaffidabilità politica dell’alleato contadino, la cui lealtà era condizionata all’opportunismo e non durava nel tempo, e della inaffidabilità e inferiorità della forma economica contadina piccoloborghese (stichija).

326 Cfr. Valentin N. Astrov, «K tekuščemu momenty», Pravda, 1 luglio 1928; Valentin N. Astrov, Pravda, 13 luglio 1928. L’articolo di Mareckij è citato nell’articolo di Astrov del 1 luglio. L’attività di Mareckij e soprattutto di Astrov sulla Pravda in polemica con le misure straordinarie dell’inverno e della primavera fu notevole in questo periodo, tanto da essere anche oggetto di denuncia da parte di Molotov alla riunione di luglio del Comitato Centrale, per il quale tali attacchi alla linea del partito nel suo giornale ufficiale risultavano intollerabili. Cfr. documento n.117 in Danilov, Manning, e Viola, Tragedija sovetskoj derevni. Kollektivizacija i razkulačivanie. Dokumenty i materialy. Tom 1 maj 1927

- nojabr’ 1929, 354.

152 Moshe Lewin ha fatto notare come fu proprio in quel Plenum di luglio che Bucharin si rese conto che la maggioranza del Comitato Centrale cominciava a spostarsi verso le tesi di Stalin.328 La

spaccatura che si era creata al tempo della crisi degli ammassi era sempre più alla luce del sole e già si denunciava una deviazione “di destra”. Tuttavia, nonostante le divergenze relative alle misure di emergenza, nella sua replica al Segretario generale al Plenum di luglio Bucharin riconobbe che le difficoltà negli approvvigionamenti avevano rivelato delle