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Durante gli anni ’90, quando le rivendicazioni e i presupposti del paradigma revisionista erano stati ormai integrati pienamente nel linguaggio della storiografia sovietica di matrice occidentale, questi furono a loro volta messi in discussione da una nuova impostazione metodologica, che spostò il fulcro dell’analisi dalla storia sociale ad un approccio più culturale, teoricamente inquadrato e maggiormente centrato sul soggetto comune, più che sullo stato o la società nel suo complesso. L’ispirazione per questo nuovo approccio “post-revisionista” viene genericamente fatta risalire alla pubblicazione di Magnetic Mountain da parte dello storico americano Stephen Kotkin70 e al suo

utilizzo delle teorie del filosofo francese Michel Foucault, mentre il filone di ricerca da lui ispirato fa prevalentemente riferimento alla rivista Kritika.71

L’opera di Kotkin è uno studio dettagliato della costruzione del famoso impianto metallurgico per la produzione e lavorazione dell’acciaio e dell’adiacente città Magnitogorsk, costruiti a tappe forzate durante il primo piano quinquennale. L’autore dimostra come i programmi di industrializzazione dell’epoca formassero parte integrante del tentativo dello stato sovietico di porsi come ingegnere sociale e costruire una nuova, migliore “civiltà socialista”.72 Attraverso questo caso

70 Stephen Kotkin, Magnetic Mountain: Stalinism as a Civilization (Berkeley: University of California Press, 1995). 71 Kritika. Explorations in Russian and Eurasian History ha cominciato la sua pubblicazione nel 2000. Tra i maggiori storici post-revisionisti si ricordano Peter Holquist, Michael David-Fox, Amir Weiner, Igal Halfin, Jochen Hellbeck, Franchine Hirsch e Anna Krylova.

72 Nella versione originale l’autore usa il termine inglese civilization, che in italiano si traduce sia come “civiltà” intesa come l’insieme delle forme economiche, sociali, politiche, culturali specifiche di un popolo; sia come “civilizzazione”,

37 studio emblematico, Kotkin traccia un quadro affascinante e innovativo dell’impatto che lo stalinismo ha avuto nella vita quotidiana dei cittadini sovietici, e del ruolo dell’ideologia nella sfera privata. Nel quadro che emerge, si capisce che la civiltà stalinista vantava una sua “lingua” (il bolscevismo), una “religione” (il marxismo-leninismo), una particolare interpretazione della storia mondiale, costumi e istituzioni proprie, e traeva la sua auto-identificazione contro il modello capitalista, come forma superiore di modernizzazione.73

Un’idea, quella della rivoluzione come momento zero della storia, creatrice di uno stretto e inedito rapporto tra stato e individuo, che era già stata avanzata da storici russi dissidenti come Mihail Heller e Aleksandr Nekrič, per i quali lo stato sovietico possedeva rispetto a tutti gli altri una

Peculiare caratteristica – e cioè il totale influsso del partito al potere su qualunque campo della realtà, in misura sconosciuta nel passato – [e questa] ha determinato la natura delle istituzioni sovietiche nonché lo stesso carattere dell’homo sovieticus. […] “La storia dell’homo sapiens” scriverà Arthur Koestler “è partita da zero.” E si può aggiungere: proprio da questo punto è iniziata anche la storia dell’homo sovieticus.74

In Magnetic Mountain, Kotkin utilizza fonti provenienti dagli archivi di stato e di partito, della stampa centrale e locale, delle lettere inviate ai giornali dai lettori, e dei dibattiti contenuti nella pubblicistica sovietica. Oltre a ciò, l’autore si avvale anche del ricco materiale raccolto da studiosi sovietici per un progetto di ricerca sui maggiori centri industriali del paese, poi liquidato nel 1938,

ovvero come l’atto del civilizzare, che sul modello del francese civilisation implica più del primo termine un giudizio di arretratezza e di progresso: il rendere o il divenire civile, cioè il fatto di dare o di acquistare condizioni di vita che sono considerate più evolute da parte dell’agente. Nelle pagine che seguono vengono usate entrambe le traduzioni a seconda del contesto.

73 Kotkin sostiene infatti nelle sue conclusioni che la crisi dell’Unione Sovietica fosse intimamente legata alla perdita della “fede” da parte dei cittadini sovietici nella superiorità del loro sistema, o civiltà, rispetto al capitalismo. Rappresentando e costruendo sé stesso come un “anti-mondo del capitalismo”, il socialismo sovietico non riuscì nel lungo periodo a sostenere la sfida che si era posto nel superarlo e la competizione finì per minare le basi stesse della sua esistenza. L’unico epilogo possibile fu quindi “la drammatica auto-liquidazione del regime”. Vedi Magnetic Mountain, 360.

74 Mihail J. Heller e Aleksandr M. Nekrič, Storia dell’URSS: dal 1917 a Eltsin, 3. ed (Milano: Tascabili Bompiani, 2001), 6–7. Vedi anche Mihail J. Heller, Cogs in the Soviet Wheel: The Formation of Soviet Man (Alfred A. Knopf, 1988).

38 tra cui interviste e memorie degli abitanti della città.75 In realtà, però, l’impatto che l’opera ha avuto

nel dibattito accademico deriva più dalla rivoluzione che questa operò nella prospettiva di ricerca piuttosto che dall’accesso a un inedito materiale d’archivio. Infatti, Kotkin si distanzia espressamente sia dalle ultime tendenze revisioniste ormai dominanti la scena accademica, sia dalla precedente interpretazione totalitaria.76

Attraverso l’impiego di nuove metodologie di ricerca e ponendo nuovi tipi di domande da una prospettiva teorica più postmoderna, il superamento delle scuole precedenti avviene tramite quella che si potrebbe dire una sintesi delle stesse.77 Secondo alcuni osservatori, invece, quello che Kotkin

propone è nient’altro che un riavvicinamento al modello totalitario, per via della rivalutazione del ruolo dell’ideologia nella costruzione del nuovo stato.78 In realtà, sebbene questa riscoperta sia una

delle caratteristiche fondamentali del lavoro di Kotkin, ciò avviene sotto una prospettiva teorica e interpretativa completamente differente dalla scuola totalitaria dominante fra i politologi americani nella prima fase della guerra fredda.

Ciò che interessa a Kotkin e viene poi ripreso da questa nuova linea di analisi, è l’ideologia come discorso nell’accezione del filosofo francese Michel Foucault. Usando una convincente espressione dell’autore, il marxismo non ha “proprietà magiche occulte”,79 ovvero il sistema

staliniano non era meccanicamente destinato a diventare ciò che era per via dei precetti marxisti. Contrariamente alla scuola totalitaria, gli storici post-revisionisti non concepiscono l’ideologia nel senso di un canonico corpo di testi seguiti alla lettera da un gruppuscolo di persone al potere, ma

75 Kotkin, Magnetic Mountain, 371–72.

76 Stephen Kotkin, «1991 and the Russian Revolution: Sources, Conceptual Categories, Analytical Frameworks», The

Journal of Modern History 70, n. 2 (1998): 384–425; Stephen Kotkin, «Really-Existing Revisionism?», Kritika: Explorations in Russian and Eurasian History 2, n. 4 (2002): 707–11.

77 Vedi Astrid Hedin, «Stalinism as a Civilization: New Perspectives on Communist Regimes», Political Studies Review 2, n. 2 (aprile 2004): 166–84.

78 Fitzpatrick, «Revisionism in Soviet History», 87. 79 Kotkin, Magnetic Mountain, 23.

39 piuttosto come una specie di Weltanschauung, qualcosa di collettivamente costruito piuttosto che imposto.80 Nelle parole di Kotkin, il bolscevismo:

deve essere visto non soltanto come un insieme di istituzioni, un gruppo di personalità, o un’ideologia, ma come un sistema di simboli e attitudini potenti, come un linguaggio insieme a nuove forme di comunicazione, nuovi modi di comportarsi in pubblico e in privato, perfino nuovi modi di vestire. In breve, come una continua esperienza attraverso la quale è stato possibile immaginare e lottare per far nascere una nuova civiltà chiamata socialismo.81

La principale rottura concettuale dello studio di Kotkin è la sua concezione del potere nel sistema staliniano, essenzialmente inedita nella storiografia sovietica e anch’essa derivata da Foucault. Da una parte, l’autore enfatizza le qualità produttive del potere nel sistema staliniano, e quindi la creazione del soggetto e della civiltà socialista, elevandolo per la prima volta a qualcosa di più di una forza unicamente repressiva. Dall’altra parte, questa prospettiva sul potere supera del tutto la diatriba della storiografia precedente riguardo agli approcci “from above/from below” riguardo alla giustificazione del potere e allo studio generale dei rapporti tra stato e società. Poiché secondo la prospettiva foucaultiana il potere non è localizzato nell’apparato statale centrale, ma al contrario le relazioni di potere sono multiple e decentrate,82 entrambe le interpretazioni sono imperfette perché

non esiste tale dicotomia. Le relazioni di potere sono presentate come parte della macchina dello

80 Nello stesso periodo, nel contesto accademico delle scienze sociali britanniche stava avvenendo un dibattito che identificava nella prospettiva discorsiva un utile strumento per l’analisi dell’ideologia in contesti comunisti, pur rimanendo solamente in ambito teorico. Vedi per esempio Joseph Shull, «What is Ideology? Theoretical Problems and Lessons from Soviet-Type Societies», Political Studies 40, n. 4 (1992): 728–741; Neil Robinson, «What was Soviet Ideology? A Comment on Joseph Schull and an Alternative», Political Studies 43, n. 2 (1995): 325–32; Rachel Walker, «Thinking about Ideology and Method: a Comment on Schull», Political Studies 43, n. 2 (1995): 333–42.

81 Kotkin, Magnetic Mountain, 14.

82 Vedi Michel Foucault, Power/Knowledge: Selected Interviews and Other Writings, 1972-1977, a c. di Colin Gordon (New York: Pantheon Books, 1980), 60, 122.

40 stato, ma ad un livello di vita ordinaria e quotidiana dei singoli, in fenomeni come la mutua sorveglianza tra gli individui e l’auto-rappresentazione.83

L’ideologia come discorso, la creatività e l’ubiquità del potere portano l’autore a mettere in discussione l’idea, portata avanti da Trockij84 e rivista da due importanti revisionisti quali Moshe

Lewin e Sheila Fitzpatrick, che lo stalinismo rappresenti in qualche modo un’inversione di marcia della rivoluzione.85 Al contrario, Kotkin fa notare come in realtà Stalin stesso si sia garantito il potere

nel momento in cui riuscì a presentarsi come il protettore dei presupposti rivoluzionari del leninismo. Stalin riuscì a presentare la sua leadership come continuazione dell’eredità ideologica della Rivoluzione d’ottobre mentre, attraverso la costruzione del socialismo, l’Unione Sovietica doveva diventare un esempio che il resto del mondo doveva ammirare ed emulare. Un esempio costruito nel mito della “modernizzazione” e sul modello delle società avanzate occidentali, ma come alternativa anticapitalista.

Tuttavia, l’aspetto messianico di questa dimensione rivoluzionaria, inevitabilmente presente nel progetto di civilizzazione stalinista, non sembra sufficientemente esplorato nel lavoro di Kotkin e in generale nelle ricerche del gruppo dei post-revisionisti. Inoltre, ciò che manca nel corpus di studi generato dalla nuova corrente metodologica, a dispetto dell’impianto teorico a cui fa riferimento, è una trattazione maggiore dell’alter-ego interno. Così come si afferma che la civiltà sovietica sia stata costruita in antitesi al modello capitalista “altro”, lo stesso progetto di ingegneria sociale presupponeva l’eliminazione di alcuni tratti culturali “interni” ritenuti incompatibili con il progetto di modernizzazione. In questo gioco di inclusione ed esclusione nel processo di civilizzazione socialista, gli esclusi per eccellenza sono proprio i contadini, portatori per definizione di quei tratti di individualismo, capitalismo, arretratezza e oscurità della vecchia società russa che si volevano sradicare. Curiosamente, quindi, mancano ad oggi studi culturali sulla civilizzazione socialista relativi

83 Sulla riscoperta della dimensione soggettiva dello stalinismo vedi l’articolo-manifesto di Igal Halfin e Jochen Hellbeck, «Rethinking the Stalinist Subject: Stephen Kotkin’s “Magnetic Mountain” and the State of Soviet Historical Studies»,

Jahrbücher für Geschichte Osteuropas 44, n. 3 (1996): 457–63.

84 Lev D. Trockij, La rivoluzione tradita (Milano: AC Editoriale, 2000). 85 Kotkin, Magnetic Mountain, 5.

41 al discorso dominate sul contadino russo da parte dei modernizzatori che si pongano in relazione con il periodo prerivoluzionario.86

Da questa rassegna emerge che esistono importanti premesse storiografiche in tal senso, mancano tuttavia degli studi culturali in materia. Quali sono le tappe dell’esclusione dell’idealtipo culturale del contadino dalla nuova civilizzazione socialista? Così come l’anticapitalismo è stato determinate nella costruzione del discorso della nuova civiltà, quanto ha pesato l’elemento antitetico “interno” nella costruzione della nuova identità? Il bolscevismo rappresenta in questo una rottura o esistono delle continuità con la tradizione intellettuale precedente? Gli strumenti metodologici e analitici della nuova corrente post-revisionista sembrano i più adatti a rispondere a queste domande. I concetti di ideologia come discorso e della cultura stalinista come civilizzazione, se accostati alla questione dell’esclusione culturale, riportano vicini ad un background teorico che ha fatto da sfondo anche agli studi sul discorso coloniale in contesti di colonialismo classico occidentale. Ed è qui che si toccano le due discipline della Sovietologia e degli studi postcoloniali, che fino all’inizio del XXI secolo hanno vissuto senza considerarsi molto, ognuna nei suoi rispettivi dipartimenti universitari, viaggiando indisturbate come rette parallele.

86 Per questo tipo di studi per il periodo prerivoluzionario vedi in particolare Cathy A. Frierson, Peasant Icons:

Representations of Rural People in Late Nineteenth-Century Russia (New York; Oxford: Oxford University Press, 1993);

Yanni Kotsonis, Making Peasants Backward: Agricultural Cooperatives and the Agrarian Question in Russia, 1861-

1914 (New York: Macmillan, 1999); Judith Pallot, a c. di, Transforming Peasants: Society, State and the Peasantry, 1861–1930 (London: Palgrave Macmillan, 1998). Questi, insieme ad altri, saranno esaminati nel dettaglio nel capitolo

III, che serve proprio per tracciare una linea di continuità tra il discorso sovietico sul contadino e quello prerivoluzionario tipico dell’intelligencija zarista.

43 Capitolo II