La destrutturazione formale del potere regolamentare nell’evoluzione dei decreti normativi ma non regolamentar
L. n 232 del 2016 (Legge d
5. La reazione dei soggetti che controllano la struttura del potere
5.2. La posizione (quanto meno ondivaga) del Consiglio di Stato
Chi invece, ad un certo punto, sembrò prendere di petto tutte queste questioni è il Consiglio di Stato che, soprattutto nel 2012, rese alcune decisioni importantissime in tema di potere regolamentare, tra cui, quella di gran lunga più nota - oltre alle due decisioni della IV sezione, del 16 febbraio 2012, n. 812 e del 28 febbraio 2012, n. 1120 - è stata, senza dubbio, quella dell'Adunanza plenaria n. 9 del 2012 . 186 187
Nella sent. n. 9 del 2012, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato affronta due questioni teoriche fondamentali: quella del criteri sostanziali di identificazione delle fonti e quella del trattamento giuridico degli atti normativi secondari adottati in violazione dello schema tipico di cui all'art. 17 della legge n. 400 del 1988.
In riferimento ai criteri di individuazione della natura dell'atto, il Consiglio di Stato ha fatto applicazione dei criteri tradizionali sostanziali, dicendo che «è atto normativo quello i cui destinatari sono indeterminabili sia a priori che a posteriori (essendo proprio questa la conseguenza della generalità e dell’astrattezza), mentre l’atto amministrativo generale ha destinatari indeterminabili a priori, ma certamente determinabili a posteriori in quanto è destinato a regolare non una serie indeterminati di casi, ma, conformemente alla sua natura amministrativa, un caso particolare, una vicenda determinata, esaurita la quale vengono meno anche i suoi effetti» . 188
Commentate da M. MASSA, Due sentenze ambiziose sul potere normativo dell'amministrazione, Consiglio 186
di Stato, sez. IV, sentenza 16 febbraio 2012, n. 812, in Giornale di diritto amministrativo, n. 11/2012, p. 1088-1095.
N. LUPO, Il Consiglio di Stato individua un criterio per distinguere tra atti normativi e atti non normativi, 187
Giornale di diritto amministrativo, 12 / 2012, p. 1209.
L’indagine contenutistica per la qualificazione dell’atto non è peraltro una novità nella giurisprudenza del
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Consiglio di Stato. La stessa posizione è espressa dalla sentenza 16 febbraio 2012, n. 812, della sez. IV del Consiglio di Stato, (con nota di M. MASSA, Due sentenze ambiziose sul potere normativo dell'amministrazione, Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 16 febbraio 2012, n. 812, in Giornale di diritto amministrativo, n. 11/2012, p. 1088-1095) che ha evidenziato quanto segue: I) il regolamento è un atto amministrativo a contenuto normativo; II) il regolamento si contraddistingue per i caratteri della generalità ed astrattezza e ripetibilità delle proprie previsioni; III) la caratterizzazione in termini di generalità ed astrattezza delle previsioni del regolamento ne determina anche l’ulteriore, necessario carattere della efficacia verso l’esterno delle sue norme; IV) ciò che distingue i regolamenti dagli altri atti amministrativi generali (ad esempio, un bando di gara o di concorso) non è da rinvenirsi solo in aspetti formali ma anche nella circostanza che gli atti amministrativi generali costituiscono espressione di potere della pubblica amministrazione volto alla cura di un interesse pubblico in riferimento ad un obiettivo concreto e determinato, temporalmente circoscritto e strutturalmente esauribile. L’utilizzo di criteri sostanziali per l’individuazione della natura dell’atto è proseguita, di recente, anche nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del 20 dicembre 2017, n. 11 secondo cui un decreto ministeriale che si rivolge a soggetti determinati o, comunque, facilmente determinabili non ha natura regolamentare, e in quella del 27 febbraio 2019, n. 4 e n. 5, secondo cui la determinatezza dei destinatari sin dal momento della adozione del provvedimento (rendendoli così “categoria chiusa”) rende privo il provvedimento degli elementi essenziali della norma giuridica ossia l’astrattezza (intesa come capacità della norma di applicarsi infinite volte a tutti i casi concreti rientranti nella fattispecie descritta in astratto), la generalità (intesa come indeterminabilità, sia ex ante che ex post, dei destinatari della norma) e l’innovatività (ovvero la capacità di modificare stabilmente l’ordinamento giuridico);
Le indicazioni più interessanti giungono però sull’altro versante, da cui emerge una posizione molto netta nella direzione della coincidenza, in senso prescrittivo, tra potere normativo secondario e potere regolamentare. Il Consiglio di Stato, infatti, nega apertamente la possibilità che il potere normativo secondario si possa manifestare per mezzo di atti diversi da quelli previsti dall'art. 17, commi 1 e 3 della legge n. 400 del 1988, escludendo pertanto che «possano esistere decreti ministeriali a contenuto normativo ma non avente carattere regolamentare». Di li in avanti però, l’applicazione di questo orientamento è stato - soprattutto per questo secondo aspetto - quanto meno, ondivago. Talvolta è stato seguito e portato alle sue naturali conseguenze, soprattutto dai Tribunali Amministrativi Regionali: come ad esempio ha fatto il Tar Lazio, prima con le sentenze nn. 7478 e 7479 del 2016, e poi con la sentenza n. 11452 del 2017 che, dopo aver riconosciuto la natura regolamentare dei decreti ministeriali oggetto del proprio giudizio, li ha annullati per violazione dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988. Altre volte invece, e forse nella maggior parte dei casi, le indicazioni stringenti e chiare fornite nel 2012 sono state eluse, nei molti casi in cui si ha l’impressione che il giudice amministrativo abbia voluto fermarsi prima (negando a monte la natura normativa dell’atto censurato) e talvolta perfino apertamente smentite. La più chiara indicazione in questo senso è senza dubbio la sentenza n. 5035 del 2016, di riforma delle già menzionate sentt. nn. 7478 e 7479 del 2016 del Tar Lazio, in cui il Consiglio di Stato ha espressamente affermato che «la qualificazione dell’atto come “non regolamentare” comporta la inapplicabilità […] del vincolo modale […] previsto dalla disposizione
costituzionale nel riparto delle competenze» . 189
Se cercata nel complesso di ciò che emerge dalle sue pronunce allora, la posizione del Consiglio di Stato risulta difficile da inquadrare. Soprattutto se si considera che è proprio il supremo giudice amministrativo l’organo maggiormente toccato dalla pratica elusiva che riguarda l’art. 17 della legge n. 400 del 1988. La sua posizione però non può ancora dirsi definitiva, e sembra avvicinarsi più alle indicazioni fornite nel 2012 che a quelle espressa nella giurisprudenza successiva, il riferimento al fenomeno della “fuga dal regolamento” fatto dal Presidente del Consiglio di Stato nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2018, con l’auspicio a che la tendenza a prevedere atti atipici, originata anche dalla volontà di evitare il parere del Consiglio di Stato, si possa arrestare definitivamente. E la questione infatti è tutt’altro che chiusa, e l’11
Nello stesso senso, più recentemente Cons. St., sez. VI, 24 luglio 2017, n. 3665 e n. 3666
dicembre 2019, la sezione III del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 8435, ha rimesso all'Adunanza plenaria una serie di questioni che riguardano il d.m. 4 maggio 2012 (in relazione alla lettera b) dell’art. 5, comma 1) in tema di moduli transattivi e termine di prescrizione per gli indennizzi iure proprio da emotrasfusione infetta, tra cui emerge una questione circa la nozione di regolamento e gli elementi di differenza con gli atti amministrativi generali (o), nonché sul procedimento di formazione dei regolamenti e l’inosservanza dell’art. 17 della l. n. 400 del 1988 (n). L’Adunanza plenaria però, con la sentenza 2 aprile 2020, n. 9 ritenendo improcedibile il ricorso di primo grado, non si è espressa su nessuna delle questioni di diritto . 190
«L’improcedibilità del ricorso di primo grado esime inoltre questa Adunanza plenaria dal pronunciarsi
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sulle questioni di diritto deferite dalla Sezione III rimettente ed in secondo luogo comporta che debba essere annullata senza rinvio la sentenza di primo grado di accoglimento del ricorso medesimo».