Lo sforzo profuso negli anni ‘60 è stato tale (e con esso, probabilmente, il senso di appagamento che ne è derivato) che l’interesse per la materia sembrò aver raggiunto il proprio esaurimento. L’impressione emerge tra le righe con cui, nel 1992, Ugo De Siervo apre la serie di lavori che risveglierà l’interesse per lo studio del potere regolamentare, a suo dire «poco indagato, almeno di recente» . L’interesse sopito si risvegliò dunque a fine secolo, non 84 appena si compii il percorso di realizzazione di una disciplina organica dei poteri normativi del Governo.
Fu l’approvazione della Legge del 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) a riaprire, d’un tratto, il dibattito sul potere regolamentare, rinnovandolo profondamente, nel metodo (di li in avanti improntato ad un approccio attento al dato empirico) e nei contenuti. E se pure non lo monopolizzò, fu sicuramente capace di polarizzare l’attenzione su alcune questioni particolari, per le quali, però, non è difficile vedere il legame palese che le riporta alle coordinate di sempre: la natura e il fondamento del potere. Questo intervento legislativo infatti intervenne nel solco di un percorso teorico stabilizzato dentro una struttura concettuale consolidata, e posizionata intorno ai temi della natura e del fondamento del potere. Quadro teorico che si replicò nei giudizi espressi sulla legge: da un lato in essa si volle vedere, in quanto tentativo di razionalizzazione (in senso limitante) degli strumenti normativi del Governo, il consolidamento della centralità parlamentare , dall’altro in essa si vide il segnale 85 U. DE SIERVO, Il complesso universo degli atti normativi secondari del Governo, in U. DE SIERVO (a
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cura di), Norme secondarie e direzione dell’amministrazione, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 12.
L. CARLASSARE, Il ruolo del Parlamento e la nuova disciplina del potere regolamentare, in Quaderni
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dell’evoluzione del ruolo del Governo come sede di decisione normativa . 86
L’approvazione della legge n. 400 del 1988 fu il compimento di un percorso estremamente lungo e complesso, iniziato negli anni immediatamente successivi all’avvento della Costituzione , attraverso cui si giunse, per la prima volta nella storia repubblicana, a fornire 87 una disciplina generale e organica dell’attività normativa del Governo, nonché una sistemazione alle competenze del Consiglio dei Ministri e del Presidente del Consiglio , 88 dando attuazione al dettato costituzionale e intervenendo in ambiti fino ad allora disciplinati per lo più da leggi pre- costituzionali89 (sulla cui compatibilità con il nuovo ordinamento costituzionale erano stati espressi dubbi diffusi).
Il giudizio su questo intervento oscilla da sempre tra il merito del suo contenuto e il grande limite della sua forma, con il secondo ormai inevitabilmente prevalente, perché, avvolgendo il primo, lo ha nei fatti ampiamente vanificato. La Legge 23 agosto 1988, n. 400 ha, infatti, il grande merito di aver fornito un quadro normativo all’attività di Governo (in particolare, per quello che qui interessa, all’attività normativa). Essa rappresenta infatti il tentativo di offrire al Governo, nella sua collegialità, un attribuzione permanente di potere regolamentare , di 90 esecuzione, attuazione integrazione e capace di occupare, nelle materie non coperte da riserve di legge, lo spazio lasciato libero dalla normazione primaria. In questo, però, il suo merito incontra il suo limite: il tentativo non faceva i conti con il fatto che, un’attribuzione legislativa generale - disposta cioè una volta per tutte91- finisse in realtà per far rientrare dalla finestra il problema del suo fondamento.
E. CHELI, Ruolo dell'esecutivo e sviluppi recenti del potere regolamentare, in Quaderni costituzionali. -
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10 (1990), n. 1, pp. 53-76.
Per trovare il primo disegno di legge in proposito A.C. 2762 (Legislatura) si deve risalire fino alla I
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legislatura.
E’ stato detto, a questo proposito, da uno degli autori che più e meglio se ne è occupato, che ili principale
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merito della legge n. 400 è stata la sua stessa approvazione. G. TARLI BARBIERI, La disciplina del ruolo normativo del Governo nella legge n. 400 del 1988, ventinove anni dopo, in Osservatorio sulle fonti, fasc. n. 1/2018. Si veda anche A. BARBERA, Costituzione della Repubblica italiana, in Enciclopedia del diritto, Annali VIII, Milano, 2015, p. 304.
Per quanto riguarda il potere regolamentare, il riferimento è, evidentemente, soprattutto alla l. n. 100 del
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1926.
L. VERRENTI, Regolamenti amministrativi (voce.), Dig. disc. Pubb., Utet, Torino, XIII, p.48.
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Senza dubbio era questo il convincimento del legislatore del 1988: non solo, infatti, l’art. 17 quando lo ha
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ritenuto necessario ha imposto specifici conferimenti di potere (è il caso dei regolamenti ministeriali e inter- ministeriali), ma sarebbe lo stesso senso logico dell’intero intervento legislativo (per non dire della previsione di una tipologia di regolamento strutturalmente indipendente da una specifica attribuzione di potere) a dover essere messo altrimenti in discussione.
Il giudizio critico sulla legge n. 400 del 1988 ha riguardato, infatti, non tanto i problemi del suo contenuto (su cui pure non sono mancate le critiche ) quanto quello legato alla sua 92 forma, restituito all’interprete e confermato come problema della sua applicazione. La natura non costituzionale della fonte ha lasciato, in altre parole, irrisolta la questione della sua natura e, nel momento in cui la giurisprudenza ha dimostrato di non accogliere la tesi secondo cui le leggi sulla normazione - in quanto fonti sulla produzione - deriverebbero dalla loro natura la capacità di vincolare la validità delle altre (non tollerando di essere disattese nel corso del procedimento di formazione degli atti cui si riferiscono)93il contenuto della legge n. 400 del 1988 è stato esposto, privato di ogni strumento per resistervi, alle leggi successive che, senza modificarne i contenuti, hanno disciplinato diversamente, o più frequentemente semplicemente ne hanno disatteso - implicitamente o esplicitamente - le prescrizioni. Tutto questo, insieme ad altri aspetti che si cercherà di porre in luce, ha aperto la strada alla fuga
dalla forma regolamentare, su cui ci si soffermerà nel prossimo capitolo.
Dentro questo grande problema stanno gli altri, che riguardano, in particolare l’ammissibilità costituzionale della categoria dei regolamenti indipendenti94e la disciplina dei regolamenti di delegificazione95(di cui alla lett. (c), del comma 1, e al comma 3 dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988). Sulla distinzione tipologica operata dall’art. 17 co. 1 della legge n. 400 del 1988 - tra regolamenti esecutivi (e strettamente esecutivi), di attuazione e integrazione, indipendenti e di organizzazione - non sembra utile soffermarsi, poiché è la legge stessa che da essa non fa derivare particolari conseguenza. Sicché la classificazione dei tipi di regolamento è utile, da un punto di vista teorico, più che altro a misurare lo spazio del potere regolamentare nella relazione con la legge (che è mobile ed è a disposizione di questa),
In particolare per la mancata riduzione delle competenze di amministrazione diretta affidate alla Presidenza
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del Consiglio, per la mancata revisione del numero dei Ministeri e, più in generale, dei componenti del Governo. F. MODUGNO, È possibile parlare ancora di un sistema delle fonti?, in Il pluralismo delle fonti previste
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dalla Costituzione e gli strumenti per la loro ricomposizione, M. SICLARI, (a cura di), Editoriale scientifica, Napoli, 2012, in particolare, p. 35 s.; P. CARNEVALE, Osservazioni sparse in tema di norme sulla normazione e su talune caratteristiche del loro regime giuridico, in Diritto romano attuale, 2003, 9, p. 144 s.
Secondo L. CARLASSARE, Regolamenti dell’esecutivo e principio di legalità, cit., pp. 113 ss., 173 ss.,
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187 ss.; e, Prime impressioni sulla nuova disciplina del potere regolamentare prevista dalla l. n. 400 del 1988 a confronto col principio di legalità, in Giur. Cost., 1988, II, pp. 1476 ss., la previsione di una potestà regolamentare indipendente comporta sempre una violazione del principio di legalità. A sostegno della compatibilità costituzionale di questa categoria di regolamenti, invece, E. CHELI, Ruolo dell’esecutivo e sviluppi recenti del potere regolamentare, in Quad. cost., 1990, p. 69, secondo cui, in coerenza con la sua tesi, il fondamento del potere regolamentare indipendente starebbe «più che nella legge direttamente nella Costituzione o nella posizione che la stessa ha conferito al Governo, non solo come organo di indirizzo, ma anche di normazione».
Per cui si rimanda a A. BARBERA, Appunti sulla delegificazione, in Politica del diritto, 1988, pp. 417 ss;;
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G. TARLI BARBIERI, Le delegificazioni (1989/1995), Giappichelli, Torino, 1996.; e C. LAVAGNA, La delegificazione: possibilità, forme, contenuti, in AA.VV., Studi per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, IV, Firenze, 1969; T. MARTINES, Delegificazione e fonti del diritto, in Studi in onore di P. Biscaretti di Ruffia, Milano, 1987.
tra un minimo (regolamenti di esecuzione) e un massimo (regolamenti indipendenti), nel cui mezzo sta l’ambito di azione dei regolamenti di attuazione e integrazione.
Una nota a parte va fatta però sui regolamenti indipendenti, per dire di come le critiche della dottrina, seppure non accreditate dalla giurisprudenza hanno comunque, in un certo senso, raggiunto il loro scopo, contribuendo a creare intorno a questa figura lo spettro di un dubbio che ha finito per frenare drasticamente il loro utilizzo. Tanto che dalla sua reintroduzione per opera della legge n. 400 del 1988, la prassi gli ha prodotti in numero estremamente esiguo, come peraltro era già stato previsto da chi aveva sottolineato la difficile configurabilità di materie che non siano - in qualche modo - regolate dalla legge o da atti ad essa equiparati . 96
La forma non costituzionale della legge n. 400 del 1988, smentendo la tesi secondo cui la disciplina delle fonti dovrebbe essere contenuta esclusivamente in fonti costituzionali , lasciò 97 dunque aperto il problema del fondamento del potere regolamentare, trovando diverse difficoltà ad integrare il dettato Costituzione che, lo si è già detto, non contiene nemmeno l’accenno di una disciplina sul punto, e che ne presuppone, tutt’al più, l’esercizio (all’art. 87 co. 5 Cost.) in modo assolutamente generico: secondo la maggior parte degli interpreti più come un mero riconoscimento formale, che come un fondamento-riconoscimento.
Il problema della capacità della forma regolamentare di vincolare la futura produzione giuridica - su cui ci si soffermerà nel prossimo capitolo - venne rimesso in discussione nel 2001. Dopo la riforma del titolo V della Costituzione si è, infatti, iniziato a ritenere che il fondamento costituzionale che non era stato rinvenuto nell’art. 87 co. 5, potesse essere ricavato nel testo riformato dell’art. 117 co. 6. Ciò che, in questo senso, potrebbe rendere il riferimento di cui all’art. 117 diverso da quello di cui all’art. 87, è che, nel primo caso, il concetto di Regolamento è utilizzato in modo necessariamente sinonimico a quello di atto normativo secondario del Governo. Al punto che, se così non fosse, la sua disciplina faticherebbe a trovare perfino un qualche senso logico, posto che questo non può stare che nella volontà di disciplinare la ripartizione del potere normativo secondario tout court e non solo quello che si estrinseca in atti che portano un certo nome. Da un lato, dunque, nell’art. 117 co. 6 Cost., si sarebbe potuto riconoscere, oltre alla regolamentazione della competenza della potestà regolamentare tra i diversi livelli di governo, la configurazione - a questo punto
A. PACE, I ridotti limiti della potestà normativa del Governo nella l. n. 400 del 1988, in Giur. Cost., 1988,
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II, 1492.
A. RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni, V ed., Giappichelli, Torino, 2009, in particolare p.
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costituzionalizzata - del Regolamento quale unica fonte delle norme secondarie del Governo. Una parte della dottrina ha sostenuto, infatti, che nell’art. 117, comma 6, Cost., si possa trovare la “tipizzazione” delle fonti secondarie, così che si potrebbe parlare di numerus
clausus sia con riferimento alle fonti primarie che a quelle secondarie .98 Dall’altro lato, l’opera di sistemazione posta in essere dalla legge n. 400 del 1988, stabilendo un criterio univoco di individuazione formale degli atti normativi secondari del Governo e collegandosi al dettato costituzionale, avrebbe completato l’opera di chiusura, configurando la forma e il procedimento di cui all’art. 17 della legge n. 400 del 1988 come l’unico canale possibile per l’esercizio del potere regolamentare . Un’altra soluzione possibile, poi, avrebbe potuto essere 99 quella di derivare dalla natura della legge n. 400 del 1988, quale legge sulla normazione (e quindi fonte sulla produzione) la capacità di condizionare la validità degli atti - di pari grado - a cui si riferisce . Come si vedrà, però, questa opzione ermeneutica non è stata condivisa 100 dalla maggioranza della dottrina e, per ora, nemmeno dalla Corte costituzionale, e la legge n. 400 del 1988, lasciata in balia delle dinamiche della produzione giuridica priva di una copertura costituzionale, ha perso ogni capacità di adeguare al suo dettato la produzione normativa.