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La Legge n 400 del 1988 e il tentativo di tipizzare la fonte regolamentare

La destrutturazione formale del potere regolamentare nell’evoluzione dei decreti normativi ma non regolamentar

1. Il potere regolamentare destrutturato: cenni di un inquadramento teorico

1.1. La Legge n 400 del 1988 e il tentativo di tipizzare la fonte regolamentare

I presupposti e le modalità di esercizio del potere regolamentare sono disciplinati dagli artt. 87 co. 5, 117 co. 6 della Costituzione e, soprattutto dalla legge n. 400 del 1988 (in particolare all’art. 17).

Le disposizioni costituzionali stabiliscono: (1) che il potere regolamentare spetti allo Stato nelle materie affidate - dall’art. 117 co. 2 Cost. - alla sua competenza legislativa esclusiva, alle Regioni «in tutte le altre materie», e agli enti locali in un ambito circoscritto alla «disciplina dell’organizzazione e dell’esercizio delle funzioni loro attribuite», e (2) che i regolamenti del Governo siano emanati dal Presidente della

Repubblica (art. 87 co. 5 Cost.) All’interno di questa cornice, la legge ordinaria (n. 118 400 del 1988) si è occupata, invece, di prevedere e disciplinare le tipologie di regolamento e di regolarne il procedimento di formazione. Il modo in cui questo è stato fatto è stato descritto nel capitolo precedente.

Nelle intenzioni del legislatore, la legge n. 400 del 1988 avrebbe dovuto determinare la tipizzazione, attraverso un modello unico e indefettibile, della fonte regolamentare, stabilendo un sistema chiuso e ordinato delle fonti secondarie . Mentre, infatti, il 119 sistema delle fonti di rango primario è da sempre (e pacificamente) considerato un sistema chiuso, nel senso che le fonti primarie sono tutte tassativamente previste in Costituzione (numerus clausus), le fonti di rango secondario sono tradizionalmente ricondotte ad un sistema aperto e atipico. Tra la disciplina costituzionale delle fonti primarie e quella delle fonti secondarie ci sono, infatti, almeno due importanti differenze. La prima è che la Costituzione contiene una disciplina organica degli atti “legislativi” e dei loro procedimenti di adozione. La seconda è che, mentre per gli atti con forza di legge del Governo, la legge n. 400 del 1988 ha imposto, con una scelta che è parsa risolutiva , la corrispondenza espressa tra nome e formula di pubblicazione 120 dell’atto, per gli atti secondari è stata percorsa un’opzione diversa, perché è stato mantenuto il nomen iuris di decreto (del Presidente della Repubblica, Ministeriale o del Presidente del Consiglio dei Ministri) ed è stato stabilito che il riferimento al nome di

Regolamento debba essere solo incorporato nel titolo dell’atto (co. 4 dell’art. 17 della

legge n. 400 del 1988). La differenza è sensibile, perché in un caso il nome degli atti (leggi, decreti legge e decreti legislativi) coincide la formula di pubblicazione e

L’art. 87 co. 5 Cost. contiene, però, una menzione non esaustiva dei regolamenti. E’ prevalsa infatti

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l’interpretazione secondo cui la regola dell’emanazione del Presidente della Repubblica non si applichi in modo organico al potere regolamentare. E infatti, l’art. 87 co. 5, non esclude l’ammissibilità dei Regolamenti ministeriali e inter-ministeriali, che non sono emanati dal Presidente della Repubblica. Su questo aspetto ci si è concentrati nel capitolo precedente.

«Il tentativo della legge n. 400 del 1988 (fu quello) di porre fine al pluralismo disordinato nella

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produzione normativa secondaria attraverso l’imposizione di una forma tipica ai regolamenti», V. MARCENÒ, Quando il formalismo giuridico tradisce se stesso: i decreti di natura non regolamentare, un caso di scarto tra fatto e modello normativo nel sistema delle fonti, in Osservatorio sulle fonti, fasc. 3/2011, p. 3 (corsivo aggiunto).

Fino all'entrata in vigore della legge n. 400 del 1988, i decreti legislativi erano adottati nella generica

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forma di d.P.R. Problemi del tutto simili a quelli che oggi si pongono circa l’appartenenza (o meno) al sistema delle fonti di atti che si presentano con il medesimo nome (d.m. o d.p.c.m.), si sono posti fino al 1988 in merito alla riconducibilità ai diversi gradi del sistema delle fonti (primarie o secondarie) degli atti normativi del Governo emanati con la medesima formula di d.P.R. Peraltro l’autoqualificazione è accompagnata da ulteriori prescrizioni: ad esempio, per quanto riguarda i decreti legislativi, l’art. 14 della legge n. 400 del 1988 stabilisce che si debbano indicare, nel preambolo dell’atto, la legge di delegazione, la deliberazione del Consiglio dei Ministri e gli altri adempimenti del procedimento prescritti dalla legge di delegazione. In questo senso, la legge n. 400 del 1988 completa un percorso iniziato con il d.P.R. n. 1092 del 1985, sulla pubblicazione degli atti normativi.

rappresenta un criterio di identificazione univoco e immediatamente riconoscibile, mentre, nell’altro caso, la denominazione dell’atto non indica univocamente la sua natura, e questa è ricavata solo per mezzo della menzione nel titolo. Si tratta evidentemente di un fatto decisivo, che ha consentito al Governo di fare leva sull’ambiguità del nomen (generico e dunque neutro) dell’atto per travestire, dietro la medesima forma, atti sostanzialmente differenti. Per quanto riguarda il Regolamento, la legge n. 400 del 1988 è dunque intervenuta «in modo timido e parziale» a porre rimedio a incertezze che si erano manifestate già prima della sua entrata in vigore dato che la 121 denominazione formale dell'atto ha continuato ad essere quella generica di "decreto" (utilizzata anche per una congerie di atti non normativi).

Pur nella sua «timidezza», il combinato disposto di queste disposizioni ha rappresentato, per una parte (molto minoritaria) della dottrina, lo spunto di un percorso ermeneutico verso la tipizzazione del sistema delle fonti secondarie. Nell’art. 117 co. 6 Cost., sarebbe possibile riconoscere, secondo questa interpretazione, oltre alla regolamentazione dei titoli di competenza della potestà regolamentare tra i livelli di governo anche la configurazione - a questo punto costituzionalizzata - del Regolamento quale unica fonte delle norme secondarie del Governo.

Una parte della dottrina ha sostenuto, infatti, che nell’art. 117, comma 6, Cost., si possa trovare il fondamento costituzionale della fonte regolamentare . D’altro canto, 122 l’opera di sistemazione posta in essere dalla legge n. 400 del 1988, stabilendo un criterio univoco di individuazione formale degli atti normativi secondari del Governo e collegandosi al dettato costituzionale, avrebbe completato l’opera di chiusura, configurando la forma e il procedimento di cui all’art. 17 della legge n. 400 del 1988

G. U. RESCIGNO, L’atto normativo, Zanichelli, Bologna, 1998, p. 131 e p. 136,

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N. LUPO, La potestà regolamentare del Governo dopo il nuovo Titolo V della Costituzione: sui primi

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effetti di una disposizione controversa, in P. CARETTI (a cura di), Osservatorio sulle fonti - 2002, Torino, 2003, 237 ss.; R. BIN, Problemi legislativi e interpretativi nella definizione delle materie di competenza regionale. Rileggendo Livio Paladin dopo la riforma del Titolo V, in Scritti in memoria di Livio Paladin, Jovene, Napoli, 2004, soprattutto p. 334; F. BATISTONI FERRARA, Una nuova fonte di produzione normativa: i decreti ministeriali non aventi natura regolamentare, in Le fonti del diritto, oggi. Giornate di studio in onore di Alessandro Pizzorusso, Pisa, 3 - 4 maggio 2005, Pisa, 2006, pp. 191 ss.

come l’unico canale possibile per l’esercizio del potere regolamentare del Governo . 123 Un’ulteriore tentativo in questo senso è stato fatto nel giustificare, a partire dalla natura della legge n. 400 del 1988 (quale legge sulla normazione, e quindi fonte sulla produzione) la capacità di condizionare la validità degli atti - di pari grado - a cui si riferisce . 124

Si tratta di letture plausibili e intrinsecamente coerenti, la cui ricaduta, in termini di controllo di costituzionalità, sarebbe stata la valorizzare dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988 come parametro interposto dell’art. 117, co. 6, Cost. nei giudizi di costituzionalità delle disposizioni legislative che rinviano ad atti normativi secondari in deroga all’art. 17 della legge n. 400 del 1988. Letture che, però, la dottrina maggioritaria (accreditata, almeno apparentemente, dalla giurisprudenza 125 costituzionale) non ha condiviso.

La prevalenza di quest’altra opzione ermeneutica , secondo cui il rispetto del principio di legalità esige solo che l’atto secondario rispetti il dettato della legge che a questo rimanda, ha impedito di fare dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988 un modello indefettibile. Il consolidamento di questa convinzione ha, dunque, reso estremamente fragile la posizione della legge n. 400 del 1988, esponendola alle dinamiche della produzione giuridica senza alcuna copertura costituzionale. Dalla sua entrata in vigore

La tesi è condivisa da G. TARLIBARBIERI, sia in Il potere regolamentare del Governo (1996-2006), in P. 123

CARETTI (a cura di), Osservatorio sulle fonti – 2006, Giappichelli, Torino, 2007, p. 188, che in Atti regolamentari ed atti pararegolamentari nel più recente periodo, in U. DE SIERVO (a cura di) Osservatorio sulle fonti - 1998, Giappichelli, Torino, 1999, pp. 241-285, e in particolare a p. 243, in cui sostiene che «dopo l’entrata in vigore della legge n. 400/1988 la sussistenza di un potere para-regolamentare in capo all’Esecutivo appare quantomeno dubbia».

Così, F. MODUGNO, È possibile parlare ancora di un sistema delle fonti?, in M. SICLARI (a cura di), Il 124

pluralismo delle fonti previste dalla Costituzione e gli strumenti per la loro ricomposizione, Napoli, 2012, in particolare pp. 35 s.

In questo senso si veda la posizione di G.U. RESCIGNO, Note per la costruzione di un nuovo sistema delle 125

fonti, in Diritto pubblico, 2002, p. 808, secondo cui «sarebbe temerario, alla luce della storia del nostro ordinamento, sostenere … che il nuovo Titolo V impone che tutti gli atti che la Costituzione chiama regolamenti nel Titolo V debbono portare il nome ufficiale di regolamenti e sono atti normativi per la sola loro forma» (corsivo aggiunto). Secondo l’autore citato, si dovrebbe poter affermare che l’art. 117, co. 6 si voglia riferire implicitamente alla forma di cui alla legge n. 400 del 1988, immaginando una saldatura» che non potrebbe rinvenuta nelle sue intenzioni e né tanto meno dal testo.

in poi infatti, gli studi in materia hanno, come prevedibile, dato conto di una ininterrotta e perdurante deroga a quanto da essa stabilito . 126

Questa sua “fragilità” ha dunque finito per operare quale valvola di sfogo delle (varie) deroghe - espresse o tacite - al modello tipico dei regolamenti governativi e ministeriali stabilito dalla legge in via generale. Si tratta del fenomeno, ormai noto, della “fuga dal regolamento”, che consiste in una vera e propria «erosione» dell’art. 17 della legge n. 400 da parte di leggi successive . 127

A tutto questo poi, come si vedrà, la riforma del Titolo V della Costituzione ha contribuito ad offrire anche un movente ulteriore, nella misura in cui, circoscrivendo l’ambito di competenza del potere regolamentare dello Stato alle sole materie di competenza legislativa esclusiva, ha fatto divampare (con le forme diverse di cui poi si darà conto) l’atteggiamento di ribellione alla legge n. 400 del 1988.

Il fenomeno della fuga dalla forma regolamentare oggi è mossa, dunque, da un duplice intento elusivo: quello che riguarda la procedura dall’art. 17 (soprattutto, come si vedrà, dal parere del Consiglio di Stato) e, dal 2001 in avanti, quello che riguarda la sottrazione al controllo del rispetto riparto delle competenze regolamentare tra Stato e Regioni.

Come si può facilmente intuire dal susseguirsi, ininterrotto, di importanti studi sull’argomento. G.

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PUCCINI, La forma dei regolamenti del Governo oltre i modelli dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988, in U. DE SIERVO (a cura di) Il potere regolamentare nell'amministrazione centrale, Il Mulino, Bologna, pp. 25-73; G. TARLIBARBIERI, Atti regolamentari ed atti pararegolamentari nel più recente periodo, in U. DE SIERVO (a cura di) Osservatorio sulle fonti - 1998, Giappichelli, Torino, 1999, pp. 241-285; F. MODUGNO - A. CELOTTO, Un «non regolamento» statale nelle competenze concorrenti, in Quaderni costituzionali, 2/2003, pp. 355-356; L. GENINATTI SATÈ, I fatti critici del sistema delle fonti e la crisi del principio di legalità, in Diritto Pubblico, n. 3/2005, pp. 885-944; A. MOSCARINI, Sui decreti del governo “di natura non regolamentare” che producono effetti normativi, in Giurisprudenza costituzionale, 2008, 5075 ss; E. ALBANESI, I decreti del Governo “di natura non regolamentare”. Un percorso interpretativo, in M. CARTABIA, E. LAMARQUE, P. TANZARELLA (a cura di), Gli atti normativi del Governo tra Corte costituzionale e giudici. Atti del convegno annuale dell'Associazione "Gruppo di Pisa" Università degli Studi di Milano-Bicocca, 10-11 giugno 2011, pp. 169-196; V. MARCENÒ, Quando il formalismo giuridico tradisce se stesso: i decreti di natura non regolamentare, un caso di scarto tra fatto e modello normativo nel sistema delle fonti, cit.; B. TONOLETTO, Fuga dal regolamento e confini della normatività nel diritto amministrativo, Dir. Amm. 2-3/2015, pp. 389-427; M. GIANNELLI, I decreti “di natura non regolamentare”. Un’analisi a partire dalla prassi della XVI e XVII legislatura, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019. Disponibile in: http://www.osservatoriosullefonti.it

G. TARLI BARBIERI, Atti regolamentari ed atti pararegolamentari nel più recente periodo, cit., in 127

1.2. Una cosa è disporre, altra cosa è provvedere: sul rapporto tra criteri

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