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3. Il brevetto e il diritto d’autore nell’ambito

3.1 Il rifiuto di contrarre

Prima di procedere verso la disamina dei singoli casi, è bene evidenziare un’ultima questione generale.

Si è citato fin ora il concetto di diniego o rifiuto di concedere licenze in maniera fugace e forse poco chiara, ma questo perché l’intento era quello di chiarire primariamente come e quando la titolarità di un diritto di proprietà intellettuale possa dopo aver originato una posizione dominante, dare vita ad un suo abuso, senza soffermarsi sulle modalità che in concreto si assumono per realizzarlo. È ovvio che tale circostanza debba essere adesso specificata.

Sia nel caso di titolarità del diritto di brevetto che nel caso di titolarità del diritto d’autore, la rappresentazione dell’abuso più usuale e sviluppata è costituita dal rifiuto di contrarre o contrattare, il quale si può a sua volta manifestare in varie forme.

Prima di qualunque altra considerazione, risulta preponderante l’esigenza di chiarire il nucleo del problema.

L’affermazione e lo sviluppo dei diritti di proprietà intellettuale hanno provocato l’intervento di soggetti terzi che cominciano ad avanzare sempre più richieste per ottenere da parte dei titolari dei diritti, la licenza per lo sfruttamento del bene.

In questi termini obbligare il titolare a concedere una licenza equivale a svuotare il suo diritto di esclusiva. Inoltre, tale obbligo creerebbe un immediato pregiudizio all’attività di ricerca e di sviluppo ed un disincentivo alla creazione artistica, tutti elementi che nella prospettiva a lungo termine sono nocivi per il mercato.

Non dimentichiamo, però, che la titolarità di questi diritti esclusivi può essere esercitata in modo abusivo o con finalità differenti da quelle previste magari con l’intento di violare le norme concorrenziali.

La giurisprudenza “comunitaria” quindi ha avvertito l’esigenza di risolvere tale situazione dandole un significato peculiare e soprattutto cercando un punto di equilibrio tra le due circostanze.

Nella sentenza Volvo134 essa afferma specificamente che l’obbligo di concedere una licenza a chiunque ne faccia richiesta anche dietro un ragionevole compenso, lo priverebbe del suo diritto.

In tale circostanza il rifiuto non rappresenta una limitazione della concorrenza di per sé, anzi si apprezza per il fatto di essere il prolungamento di un diritto che spetta regolarmente al titolare.

Per questo la giurisprudenza approdò all’idea di dover individuare circostanze supplementari in aggiunta all’esercizio del diritto di proprietà intellettuale, per poter classificare la situazione come abusiva della posizione dominante.

Inoltre la giurisprudenza giunse alla conclusione che solo la necessità di immettere sul mercato un prodotto nuovo per il quale sussista una potenziale domanda dei consumatori può fondare l’obbligo di contrarre.

                                                                                                               

134  Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 5.10.1988, causa 238/87, AB Volvo v Erik Veng (UK).  

Quest’ultimo quindi rappresenta un primo ed efficace strumento d’intervento atto a evitare limitazioni della concorrenza nel caso in cui un titolare di DIP si rifiuti di contrarre, però ha un doppio risvolto. Nel senso che è negativo per il titolare in quanto si vede limitato nell’esercizio del suo diritto di esclusiva, d’altra parte è positivo per la disciplina antitrust perché gli permette di monitorare situazioni a rischio e di intervenire dove non vengano rispettate le norme sulla concorrenza.

In ogni caso l’obbligo di contrarre non è l’unico strumento d’intervento. Molte altre sono le regole finalizzate alla creazione di restrizioni al libero ed indeterminato esercizio dei diritti da parte dei titolari.

Tali regole hanno diversa natura, alcune sono cosiddette generiche e sono rappresentate dalla legislazione europea antimonopolistica, altre invece più settoriali, sono le teorie economiche.

Sussistono varie prospettive teleologiche per guardare la situazione135. Sicuramente se ne possono evidenziare due.

La prima prospettiva è quella della concorrenza dinamica che considera gli squilibri del marcato uno stimolo per gli imprenditori rivali.

La seconda prospettiva è quella della concorrenza sui meriti che invece considera gli squilibri del mercato un premio per gli imprenditori più validi e forti.

In ogni caso la scelta tra le due prospettive è rimessa all’interprete che deve provvedervi sulla base di valutazioni giuridiche più ampie.

Secondo questa logica comunque il rifiuto di contrarre si dovrebbe inquadrare tra gli strumenti che creano asimmetrie sul mercato.

In realtà a prima vista può apparire come un comportamento naturale e fisiologico, come già detto, dato che in determinati casi gli inventori del bene non hanno a disposizioni altri mezzi di protezione, il rifiuto si                                                                                                                

135  Per una esposizione completa del tema, si veda BERTANI, Proprietà intellettuale, antitrust e rifiuto di licenze, in Quaderni di AIDA, Cap. III.  

fa apprezzare come uno strumento di autodifesa, tanto che lo si può leggere come strumento di tutela.

Certo, però, se si studia approfonditamente il motivo della mancata concessione della licenza, il rifiuto finisce per mostrarsi nella sua essenza una situazione a rischio per la disciplina antitrust.

Infatti laddove il diritto di esclusiva comporti una posizione dominante, il rifiuto opposto dal titolare del diritto ad un terzo contraente, può creare uno sfruttamento della posizione stessa ed un impedimento agli altri imprenditori rivali in quanto di per sé il rifiuto è un istituto unilaterale, assoluto ed in antitesi con gli interessi dei concorrenti.

Il rifiuto di contrarre quindi si pone tra le forme di abuso più discusse e contestate ma anche più praticate.

Si diceva poc’anzi che il rifiuto di contrarre può assumere varie forme. In effetti il rifiuto di condividere risorse di proprietà intellettuale comprende un’ampia gamma di situazioni e di comportamenti da cui può derivare una limitazione alla concorrenza. Talune sono riconducibili direttamente all’art.102, lett b,c,d TFUE, talaltre sono solo indirettamente ricomprese nell’elenco non tassativo previsto dal TFUE.

Nell’ampio genus del rifiuto di contrarre verranno esaminate nello specifico due spiecies: il rifiuto di concedere licenze ed il rifiuto di concedere beni o servizi.

Per il momento è sufficiente rammentare che la Corte ha evidenziato due diversi atteggiamenti che il titolare può assumere, è necessario distinguere tra due forme di rifiuto che in generale appartengono alla categoria del rifiuto di contrarre o contrattare, ma nello specifico sono : “il rifiuto di consegnare un prodotto a clienti che intendano utilizzarlo su un mercato derivato ed il rifiuto di concedere licenze ad un

concorrente che intendeva fabbricare e vendere prodotti incorporanti l’opera tutelata”136.

Quindi si evidenziano le due formule in cui si manifesta l’abuso di posizione dominante quando l’imprenditore è titolare di diritti brevettuale, da un lato si parla di rifiuto di fornire un prodotto o un servizio e dall’altro lato si parla di rifiuto di concedere licenza.

Prima di procedere alla disamina dei singoli resta ancora un ultimo aspetto da valutare.

È utile descrivere brevemente i punti di divergenza tra la disciplina del rifiuto nel diritto brevettuale e nel diritto d’autore, nel caso in cui il titolare ne faccia veicolo per abusare della propria posizione dominante.

In primo luogo tra il brevetto e il diritto d’autore vi è una differenza strutturale della protezione.

Il rifiuto espresso da parte del titolare del brevetto di concedere a terzi l’autorizzazione a sfruttare i diritti che ne scaturiscono configura un contrasto con le regole della concorrenza per cui i diritti riconosciuti al titolare non sono infiniti infatti non si estendono al di là dell’ambito determinato attraverso l’interpretazione del brevetto stesso. Ciò significa che il bene è protetto solo con riguardo a talune utilizzazioni determinate di volta in volta.

Il diritto d’autore, invece, qualunque sia l’opera in questione tutela il bene in sé in tutte le sue utilizzazioni con rare eccezioni, tale caratteristica conferisce al titolare un potere più vasto quasi assimilabile ad un controllo totale sul bene in quanto comprende anche le utilizzazioni non comprese e non previste al momento della creazione dello stesso.

Al di là di questo primo dato, molti ancora sono i punti di divergenza tra le due situazioni di non scarsa rilevanza.

                                                                                                               

Una seconda differenza infatti sussiste circa le modalità con cui la privativa nasce, si origina. Per ottenere protezione di un invenzione apprezzabile solo sul piano della tecnica occorre ovviamente ottenere un brevetto poiché non sussistono rilievi tali che facciano apprezzare l’opera sul piano artistico, dunque per ottenere il brevetto l’opera dev’essere svelata descrivendola dettagliatamente così che dopo la scadenza della privativa qualunque soggetto esperto del settore possa riprodurla.

Il diritto d’autore invece sorge spontaneamente in maniera del tutto automatica con la stessa creazione dell’opera, ne consegue che anche un prodotto non del tutto promulgato e svelato sia comunque protetto. Da ciò consegue che anche attraverso un’opera semi sconosciuta un imprenditore riesca a limitare la concorrenza. Tale considerazione sembra avere dell’assurdo, tutt’altro: ciò può facilmente accadere nel settore delle banche dati e nel settore dei programmi per elaboratore o software, settori in cui per la prima volta le creazioni artistiche non si apprezzano solo per l’apporto creativo e innovativo ma anche e soprattutto per la loro innegabile utilità e funzionalità nella pratica. In terzo luogo, un ultimo profilo di differenziazione che sembra utile rammentare attiene al piano dei rimedi contro gli abusi dei diritti di proprietà intellettuale che sono stati elaborati in seno alla giurisprudenza dell’Unione europea. Il rimedio più penetrante è costituito dal regime di licenze obbligatorie.

In questa sede non procederemo alla sua completa disamina, verrà altresì ripreso nel quarto ed ultimo capitolo poiché rappresenta lo strumento più utilizzato ed efficace per impedire od arginare violazioni del diritto antitrust attraverso la titolarità di privative industriali.

Per il momento basti rammentare che il rimedio delle licenze obbligatorie non ha la stessa portata nel brevetto e nel diritto d’autore, anzi si può affermare che nella sua veste più pura lo si rintraccia solo nel diritto brevettuale, in quanto il settore autorale presenta come

limitazione all’esercizio indiscusso del potere di esclusiva soltanto il divieto di ledere il diritto morale e il diritto di ottenere un equo compenso137.

Un attento e articolato regime di licenze obbligatorie quindi è contemplato solo in materia brevettuale, nello specifico l’art. 31 dell’accordo TRIPs dispone regole severe e dettagliate.

Tali licenze infatti sono previste nel caso di brevetti dipendenti e nel caso in cui esse siano necessarie per correggere “un comportamento risultato, a seguito a procedimento giudiziario o amministrativo, anticoncorrenziale”(lett.k).

A tale licenza è ammesso derogare solo in presenza di due condizioni indispensabili: la sussistenza di un precedente tentativo dell’aspirante alla licenza di ottenere una licenza su base contrattuale, e la necessità che il regime di licenza sia giustificato prevalentemente per l’approvigionamento del mercato interno.

In termini generali queste sono le differenze apparse più significative e utili per la definizione dei due settori disciplinari.

Adesso è sicuramente giunto il momento di procedere alla disamina dei settori singolarmente utilizzando soprattutto la descrizione di taluni casi specifici che agevoleranno la comprensione del tema trattato.