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3. Oggetto del diritto: segni distintivi e opere

3.1 I segni distintivi

La disciplina dei segni distintivi nell’Unione europea trova la sua fonte primaria nelle norme contenute nei Trattati64, in particolare all’art.36 del TFUE è menzionata la “tutela della proprietà industriale e commerciale”. Le basi giuridiche previste all’interno del TFUE sono poi state concretizzate mediante l’adozione di atti di diritto derivato. Ma i segni distintivi attingono ad ulteriori fonti, in primis le diretti e i regolamenti comunitari, ed in seguito, da un lato la Carta di Nizza, e dall’altro le Convenzioni Internazionali che come abbiamo già avuto modo di notare, costituiscono la stella polare della normativa industriale.

L’UE aderendo all’accordo TRIPS e all’accordo CUP hanno fatto sì che queste Convenzioni divenissero parte integrante dell’ordinamento dell’Unione europea, tanto esse suppliscono ad eventuali lacune normative europee. È un caso esemplare il Protocollo di Madrid65, emendato nel 2006, a cui l’Unione ha aderito con la Decisione 2003/793/CE del Consiglio, che regolamenta la procedura di registrazione del marchio comunitario informandola al procedimento internazionale amministrato dall’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale.

                                                                                                               

64  S’intendono i trattati susseguitisi dapprima nella Comunità europea e poi nell’Unione europea; tutte le azioni intraprese dalla Comunità, oggi Unione, si basano su trattati approvati liberamente e democraticamente da tutti i paesi membri. Percorrendo la strada a ritroso, i trattati a cui si fa riferimento sono: il Trattato di Lisbona, il Trattato di Nizza, il Trattato di Amsterdam, il Trattato di Maastricht, l’Atto unico europeo, il Trattato di Bruxelles e i Trattati di Roma.  

65  Il Protocollo di Madrid è un trattato amministrato dall'Ufficio internazionale dell'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI), concernente la registrazione internazionale dei marchi ed in vigore dall'aprile 1996. Il Protocollo è stato sottoscritto da molti paesi di tutto il mondo, tra cui la maggior parte degli Stati europei, gli Stati Uniti, il Giappone, l'Australia, la Cina, la Russia, nonché, nell'ottobre 2004, l’Unione europea in quanto tale. Il Protocollo di Madrid offre ai titolari di marchi la possibilità di estendere la protezione dei loro marchi in molti paesi grazie al   semplice deposito di una domanda direttamente presso l'ufficio nazionale o regionale competente in materia di marchi, Cfr.  https://oami.europa.eu

Dunque non è difficile notare come la disciplina europea dei segni distintivi sia da considerarsi un continuo intersecarsi di fonti appartenenti a piani e livelli distinti.

Procedendo oltre, è giunto il momento di specificare la natura e il contenuto dei segni distintivi, termine che indica un involucro in cui risiedono il marchio, l’insegna, la ditta, le indicazioni geografiche e il nome a dominio66.

Tra questi, il marchio è il segno distintivo che sicuramente vanta un’importanza di gran lunga superiore rispetto agli altri segni, e che può rappresentare un importante elemento nell’ambito della tematica qui in oggetto, ossia il rapporto tra la disciplina antitrust e la proprietà intellettuale. I marchi costituiscono strumenti particolarmente idonei a creare od a rafforzare barriere all'ingresso di nuovi concorrenti sul mercato, l’istituto quindi si presta facilmente ad abusi da parte di imprenditori in posizione dominante. Dato che quest’ultimo è l’oggetto specifico della presente trattazione, sembra necessario soffermarsi in modo dettagliato sulla disciplina del marchio.

È dunque stata fatta la scelta sistematica di procedere con un’analisi specifica volta alla descrizione dettagliata dell’istituto del marchio e ad un’analisi meno approfondita ma sempre esaustiva, degli ulteriori segni67.

Anche il marchio è sottoposto ad una pluralità di discipline, nazionale, comunitaria ed internazionale, questo aspetto multiforme assume qui                                                                                                                

66  Con il termine “nome a dominio” si indica l’“indirizzo” digitato nella barra di navigazione del browser per collegarsi ad un sito internet. Nello specifico, i nomi a dominio non sono altro che sequenze di lettere e/o numeri, combinate dagli autori dei sito in modo che possano essere facilmente memorizzate. Anch'essi, come gli indirizzi veri e propri, sono unici e non possono essere duplicati: ad una sequenza di numeri corrisponderà sempre e comunque un solo nome a dominio, e viceversa. Uno studio approfondito è rintracciabile in SIROTTI GAUDENZI, Manuale pratico dei marchi e dei brevetti, Rimini, 2005, Cap. X, pp.197 e ss; e UBERTAZZI (a cura di), La proprietà intellettuale, Torino, 2011, Cap. III, pp. 169 e ss.  

67  Con “ulteriori segni” s’intendono: l’insegna, la ditta e le indicazioni geografiche protette, per quanto riguarda i segni tipici, poi il nome a dominio internet e lo slogan per quanto riguarda invece i segni atipici, così definiti in quanto non presenti nella normativa codicistica italiana.  

un significato peculiare, si manifesta come la possibilità per l’imprenditore di registrare il marchio in tre diversi ambiti, nazionale, comunitario e internazionale. Si procede in tal modo, ad un climax ascendente, più ampio sarà il territorio geografico in cui l’imprenditore commercia i prodotti con quel marchio, maggiore sarà il raggio d’azione e di valore commerciale assunto dal marchio, la registrazione comunitaria o internazionale conferisce quindi diritti più estesi.

Al di là di questo primo aspetto, il modo forse più utile e corretto per dare una precisa definizione del marchio, è quello di descriverne le funzioni. Esso assolve a più funzioni contemporaneamente, nonostante non vincoli l’imprenditore non essendo obbligatorio, è dotato di una forza maggiore rispetto ad insegna e ditta, peraltro obbligatori, perché è polifunzionale. Nel contesto europeo ci sono state oscillazioni giurisprudenziali in merito alle funzioni da attribuire al marchio, tuttavia si è stabilito che convivano almeno tre funzioni, ricostruite sulla base dell’interesse ad uniformare le strategie commerciali degli imprenditori operanti negli stati membri dell’UE.

Da un punto di vista economico il marchio assolve per l’imprenditore ad una funzione di garanzia qualitativa del prodotto o del servizio da lui stesso realizzato perché il marchio è il segno distintivo più in grado di attrarre l’ attenzione del consumatore. Si tratta di una vis attrattiva inevitabile poiché essendo apposto direttamente sul prodotto, è più facile che il marchio resti impresso nella mente del consumatore. La seconda funzione del marchio, cosiddetta giuridica, è la funzione distintiva, il marchio serve ad individuare la sottoclasse di beni interni ad un’altra classe di beni della stessa categoria. È un problema di individuazione, il consumatore non dev’essere confuso circa la qualità, la natura o la provenienza.

Poi vi è una terza funzione del marchio, quella pubblicitaria, il marchio è definito come uno strumento che riesce ad accaparrare clientela, per cui è uno strumento idoneo a pubblicizzare il prodotto, in quest’ottica è

corretto investire risorse per l’accaparramento della clientela di una esclusiva, tuttavia limitatamente ai prodotto identici o affini.

Oltre a definire le funzioni del marchio, nell’ordinamento europeo, si è reso necessario stabilire, sia che cosa configurasse un segno suscettibile di costituire un marchio d’impresa, sia quali dovessero essere i requisiti che i segni devono presentare per ottenere una valida protezione.

Per entrambe le questioni la normativa che detta le linee guida è rappresentata dalla Direttiva 2008/95/CE, cosiddetta Direttiva Marchi (DM)68, e dal Regolamento CE n.207/2009 cosiddetto Regolamento sul Marchio Comunitario (RMC)69. L’articolo 2 della DM e l’articolo 4 del RMC hanno ricostruito la nozione di marchio, invece gli articoli 3 e 4 della DM e gli articoli 7 e 8 del RMC disciplinano i requisiti necessari affinché un segno possa costituire un marchio.

Lo studio approfondito ed esaustivo del diritto di marchio richiederebbe molte altre precisazioni, tuttavia in tale sede per esigenze espositive, si è ritenuto preferibile soffermarsi esclusivamente su un ultimo aspetto ritenuto rilevante ai fini della presente disamina, quello relativo al marchio collettivo70.

Risulta adesso necessaria una considerazione sulle tipologie di marchi esistenti. La tipologia presa in considerazione fino ad ora è stata quella del marchio individuale, senza considerare che ad esso si contrappone un marchio con il quale si assiste ad una dissociazione tra titolarità ed esercizio del diritto di marchio. La titolarità spetta all’ente o all’istituzione che ha richiesto e ottenuto la registrazione, e l’esercizio

                                                                                                               

68  Si tratta della   Direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008 , sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa.  

69  Si tratta del  Regolamento CE n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario. Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

70  Per uno studio dettagliato sul marchio collettivo si veda, VANZETTI – DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Milano, 2005, Cap. VIII, pp.259; e UBERTAZZI, La proprietà intellettuale, Torino, 2011, Cap. II, Sez. X, pp.131.  

spetta a chi faccia richiesta di utilizzo del marchio alla detta associazione o ente che l’ha registrato.

A livello universale la tutela del marchio collettivo è prevista all’art.7 bis del TRIPS71, mancando però in quella sede un’apposita definizione, gli artt. 66 e 67 del RMC72 risultano significativi.

Dalla lettura congiunta delle due norme si evince che la funzione del marchio collettivo in ambito europeo è garantire e certificare il prodotto rispetto a standard qualificativi di produzione e offerta di beni o servizi previsti nel regolamento d’uso.

Tale profilo mette in luce una problematica legata al marchio collettivo che si verifica laddove gli imprenditori richiedenti assumano dei comportamenti scorretti che possono consistere nel mancato rispetto degli standard qualitativi e del regolamento d’uso, nell’utilizzo di segni registrati affini al marchio collettivo, così da confondere il consumatore, o ancora nell’abuso di posizione dominante determinato dalla titolarità del marchio.

La preoccupazione del legislatore comunitario di impedire simili rischi emerge chiaramente nel Regolamento Marchio Comunitario (RMC), in cui ha inserito gli artt. 68 e 69 relative alle condizioni richieste per ottenere la registrazione, e gli artt.70 e 73 relativi all’utilizzazione del marchio comunitario collettivo.

Un’ultima precisazione circa le tipologie di marchio è d’obbligo. Accanto ai marchi collettivi si pongono i marchi di qualità o indicazioni geografiche protette, che integrano e specificano i marchi

                                                                                                               

71  Il termine TRIPS è l’acronimo di The Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights. Tradotto, Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale. Cfr. nota 48.  

72  Il testo dell’art. 66 è: “possono costituire marchi comunitari collettivi i marchi comunitari così designati all’atto del deposito e idonei a distinguere i prodotti o i servizi dei membri dell’associazione titolare da quelli delle imprese”. L’art. 67 invece prevede che sia necessario che la richiesta di protezione del marchio collettivo dev’essere accompagnata da un regolamento d’uso nel quale si devono indicare “le persone abilitate ad usare il marchio, le condizioni di appartenenza all’associazione e, qualora siano previste, le condizioni per l’utilizzo del marchio, comprese le sanzioni”.  

individuali, senza però sostituirli. Essi costituiscono la certificazione di una qualità che deriva direttamente dalla legge, l’apposizione del marchio di qualità infatti è rimessa al legislatore, non all’autonomia privata come avviene nel caso dei marchi collettivi. Anche tali segni distintivi rappresentano un mezzo utile per le imprese a sfruttare abusivamente la propria posizione dominante.

Per completezza d’indagine è necessario soffermarsi brevemente sui restanti segni distintivi, insegna e ditta, segni obbligatori per l’imprenditore, dotati però di un minor valore commerciale sul mercato rispetto al marchio.

L’insegna è mero segno distintivo del luogo, materialmente è una rappresentazione grafica riconoscibile e visibile da apporre nell’ apposito luogo in cui è stabilita l’attività commerciale.

La ditta se inquadrata attraverso la definizione data dall’archivio storico del giurista, è il nome commerciale, il segno distintivo del soggetto quindi dell’imprenditore che produce il bene. Se invece si segue la disciplina attuale, la ditta è legata all’attività svolta, quindi è soprattutto segno distintivo dell’oggetto73.

E per concludere, un accenno dev’essere rivolto al più recente tra i segni distintivi, il nome a dominio o domain name74. Con questa terminologia s’intende il nome del sito internet, dunque il luogo virtuale dell’esercizio dell’attività imprenditoriale e lo strumento utilizzato per indicare il commercio elettronico, attraverso il nome a dominio internet, l’imprenditore commercia e promuove propri prodotti o servizi.

                                                                                                               

73  Con il fiorire della ditta officiosa e della ditta continuata, ad oggi non è più immediato che vi sia corrispondenza tra il nome proprio dell’imprenditore e il nome commerciale.   Nel diritto interno dell’ordinamento italiano, “ditta e insegna” sono rispettivamente collocati e definiti agli articoli 2563 e 2564 del Codice Civile. Per ulteriori chiarimenti su si veda VANZETTI – DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Cap. XII, pp.285. Invece per approfondimenti sulla disciplina europea di “insegna e ditta”, il rimando è alla Direttiva CEE 89/104 (oggi codificata come Dir. 2008/95/CE).  

Data la sua natura, il nome a dominio è strettamente legato al commercio elettronico, attività fiorente e ben sviluppata, ed ha lo scopo principale di favorire la crescita di quest’ultimo nonché l’uso e l’accesso alle reti e al mercato virtuale basato su internet. Queste considerazioni sono state esplicitate nelle premesse del Regolamento n. 733/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio75, e del Regolamento CE n. 874/200476 relativi alla messa in opera e alle funzioni del dominio .eu.

È opportuno chiarire che la normativa europea ha ad oggetto solo la procedura di registrazione del domain name, non anche la qualificazione giuridica dello stesso né la disciplina dei diritti ad esso sottesi, materia che resta di competenza del legislatore nazionale, inoltre nella disciplina comunitaria manca una vera e propria definizione del domain name, questa ed altre eventuali lacune vengono colmate attraverso il rinvio a norme di soft law o a codici di condotta cui la rete internet si ispira.

Per quanto riguarda invece la procedura di assegnazione, di registrazione e di revoca, in ambito europeo la regolamentazione non manca.

                                                                                                               

75  Il Regolamento CE n. 733/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 aprile 2002 relativo alla messa in opera del dominio di primo livello .eu prevede: “La creazione del dominio di primo livello .eu fa parte degli obiettivi intesi ad accelerare il commercio elettro- nico nel quadro dell'iniziativa eEurope, approvata dal Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000. [...] (3) I domini di primo livello costituiscono parte integrante dell'infrastruttura di Internet e svolgono un ruolo di primo piano ai fini dell'interoperabilità del World Wide Web («WWW» o «Web») su scala mondiale. Grazie al collegamento e alla presenza consentiti dall'assegnazione dei nomi di dominio e dei relativi indirizzi, gli utilizza- tori sono in grado di rintracciare gli elaboratori e i siti web sulla rete. I domini di primo livello costituiscono inoltre parte integrante di ogni indirizzo Internet di posta elettronica.” 76  Il Regolamento CE n. 874/2004 che stabilisce le disposizioni applicabili alla messa in opera e alle funzioni del dominio di primo livello .eu e i principi relativi alla registrazione, rappresenta una normativa importante nella disciplina del nome a dominio, tuttavia ha subito molte modifiche strutturali, l’ultima delle quali è rappresentata dal Regolamento CE n. 560/2009 della Commissione del 26 giugno 2009 che ha aggiornato gli elenchi che figurano nell’allegato del Regolamento CE n. 874/2004 al fine di tener conto debitamente dei nomi che contengono caratteri non disponibili in precedenza.  

La decisione n. 375 della Commissione77 ha previsto l’individuazione in EURid (European Registry for Internet Domains) dell’l’organismo senza scopo di lucro al quale sono affidate “l’organizzazione, l’amministrazione e la gestione del dominio di primo livello .eu”. Inoltre la Commissione ha stabilito che le procedure di registrazione si basino sul cosiddetto periodo sunrise, periodo in cui viene riservata la registrazione ai titolari dei diritti preesistenti, la cui nozione è specificata dal Regolamento n. 874/200478 che in un primo momento esplicita in via generale la procedura di registrazione e poi passa ad occuparsi della revoca.

Non dimentichiamo infine che essendo anche il nome a dominio un segno registrabile, può avere valenza più o meno estesa, nazionale, europeo o internazionale, per cui per acquistare un dominio esistono delle regole precise che cambiano a seconda del tipo di estensione che si desidera registrare.

Con questo non può dirsi certamente concluso l’esame della disciplina dei segni distintivi, restano ancora da evidenziare numerosi aspetti della disciplina comunitaria, tuttavia ritengo che ai fini della presente indagine si possa procedere oltre.