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I casi concreti e la loro gestione

23. La ringraziamo molto per il tempo dedicato alla compilazione del questionario

4.3. DEVIANZA ED ESPERIENZA SUL CAMPO

4.3.1. I casi concreti e la loro gestione

Gli atti devianti che gli intervistati hanno incontrato nella loro pratica lavorativa quotidiana ricalcano a grandi linee quelli già discussi per i Dirigenti scolastici e Di-rettori di CFP, ovvero:

a. “marinare” la scuola (individualmente o in gruppo): si tratta di uno dei com-portamenti trasgressivi che ha maggiori continuità con il passato, in quanto praticato anche dalle generazioni precedenti. La problematicità odierna con-cerne la sua maggiore diffusione tra gli adolescenti, la maggiore frequenza

con cui compare nella biografia del singolo, ma soprattutto il tipo di attività che i ragazzi possono svolgere in sostituzione alla scuola, che possono scon-finare nell’avvicinamento a situazioni di rischio;

b. prevaricazioni di tipo verbale, attuate nel confronto interpersonale e con la mediazione delle nuove tecnologie (facebook o sms): a volte, gli insulti sono riferibili a pregiudizi di tipo razziale, ma più frequentemente riguardano diver-sità non accettate tra i ragazzi. Si segnalano, tuttavia, casi in cui la prevaricazio-ne verbale è fiprevaricazio-ne a se stessa, ovvero non vieprevaricazio-ne inprevaricazio-nescata da situazioni precedenti o da particolari caratteristiche della vittima ma viene attivata in modo indiffe-renziato per dare uno sfogo alla propria rabbia o come gesto goliardico;

c. possesso, uso e spaccio di sostanze psicoattive: è una situazione che viene de-scritta più spesso come riferita, soprattutto dalle associazioni, mentre i casi in cui viene descritta come esperita fanno parte del sistema giudiziario e di polizia;

d. atti di vandalismo (a strutture, edifici o cose) che si esplicitano con scritte o danneggiamenti;

e. furti;

f. atti di violenza privata (costringere una persona a fare qualcosa che non vuo-le oppure impedirvuo-le di fare ciò che vuovuo-le) che si esplicitano a volte con l’uso della violenza;

g. risse;

h. pornografia minorile attivata con l’ausilio delle nuove tecnologie (ripresa con la videocamera di coetanee in atteggiamenti equivoci e diffusione a mezzo internet).

Questi atti, comunque, si configurano per la maggior parte degli intervistati come gesti perlopiù aggressivi, mentre le condotte violente sono quantitativamente limitate.

Le modalità di gestione dei singoli casi sono molto diverse tra loro in relazione alle regole e alle procedure più o meno formali che contraddistinguono ognuna delle realtà qui coinvolte. Tuttavia, è possibile identificare alcuni orientamenti generali che costituiscono il leit motiv delle interviste e che si fondano sull’idea della rieducazione dell’adolescente attraverso l’atto deviante. Più nello specifico:

1. l’attenzione principale è rivolta alla fase che anticipa l’esplosione dei compor-tamenti devianti, dunque l’approccio prevalente è di tipo preventivo, volto a individuare precocemente quei comportamenti o atteggiamenti “soglia” che possono sconfinare successivamente in atti di devianza conclamata. Questa azione preventiva viene svolta a diversi livelli: quello dell’ascolto e della com-prensione degli stati d’animo che attraversano nel quotidiano gli adolescenti

e delle esperienze che conducono, ma soprattutto l’imposizione di norme di comportamento chiare e che, se infrante, prevedano sanzioni inderogabili.

La necessità di punti di riferimento saldi viene indicata dagli intervistati non solo come una necessità per la sopravvivenza della singola associazione o re-altà, ma anche come un bisogno inespresso di fermezza degli adolescenti; in ultima analisi, l’atto deviante rappresenterebbe proprio un’espressione disfun-zionale di questo bisogno di punti fermi e di attenzione del mondo adulto.

2. Le strategie utilizzate per affrontare casi conclamati di trasgressione e devianza hanno un approccio ri-educativo simile a quello indicato dai Diri-genti scolastici e Direttori di CFP. In tutti quei casi che implicano lo scontro aperto tra ragazzi, dunque prevaricazioni, insulti, risse o pestaggi, la strategia principale è quella di mediare i conflitti, ovvero permettere agli interessati di risolvere in modo autonomo i propri conflitti facendone emergere le ra-gioni e le possibilità di risoluzione; il ruolo dell’adulto è quello di facilitatore (e non quello risolutore) e l’obiettivo finale è la trasformazione del conflitto in opportunità. In alcuni casi, dove un conflitto particolarmente violento e profondo impedisce il confronto diretto, l’adulto porta i singoli interessati a trovare le modalità più idonee a gestirlo. L’ascolto e la rielaborazione delle componenti motivazionali caratterizza anche tutti quegli atti che provocano un danno a sé o alle cose.

3. Anche la punizione, che può sconfinare in sanzioni disciplinari limitate al contesto o nella denuncia e nell’intervento del sistema giudiziario, viene uti-lizzata in funzione ri-educativa. Gli intervistati ritengono che la certezza del-la punizione sia un elemento su cui attualmente le varie agenzie educative (scuola e famiglia in primis) non investono molto, in un eccesso di indulgen-za verso gli autori dell’atto deviante, motivato anche dalla paura delle con-seguenti reazioni di stigmatizzazione sociale. Nella realtà, gli intervistati so-stengono che si debba recuperare il senso pedagogico della punizione, anche se questo implica il coinvolgimento della giustizia, in quanto solo in questo modo è possibile ristabilire l’autorevolezza degli adulti e delle norme di con-vivenza civile, far comprendere le conseguenze che i comportamenti devianti possono avere ed evitare in molti casi che il senso di impunità sconfini in comportamenti di gravità maggiore.

4. L’ascolto e la riflessione sugli aspetti motivazionali ed emotivi costituiscono una strategia di lavoro anche delle istituzioni giudiziarie e dei servizi sociali che se-guono i singoli casi. L’ingresso nelle maglie giudiziarie è un momento partico-larmente critico a livello emotivo in quanto gli adolescenti sentono su di loro il peso del giudizio degli adulti e dei propri coetanei rispetto alle azioni compiute;

il rischio concreto che si corre con interventi sbagliati è quello di cristallizzare la loro immagine sociale in quella del deviante senza permettere un reale cam-biamento identitario. Anche in questi percorsi, dunque, è importante partire dalla crisi per strutturare interventi personalizzati che permettano una reale riabilitazione e, soprattutto, per trasformare tale crisi in opportunità, senza che il risarcimento del danno esaurisca la funzione reale della pena, il cui valore è anche di percorso di responsabilizzazione e di riflessione su di sé.

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