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23. La ringraziamo molto per il tempo dedicato alla compilazione del questionario

1.4. NOTE CONCLUSIVE

Quello finora tratteggiato appare un quadro non molto ottimistico dei nostri ado-lescenti, giovani, giovani-adulti. Ma il senso di un lavoro come questo sta anche qui:

mostrare le criticità, le debolezze, le difficoltà per come esse appaiono dai dati ogget-tivi e al di là delle ansie collettive, al fine di poterle affrontare con cognizione di causa stabilendo priorità e piani di azione razionali e ben congeniati.

Ogni epoca ha difficoltà e potenzialità. La nostra vede affacciarsi lo spettro di una crisi economica senza precedenti (o quasi) per le rinunce e il ridimensionamento degli

stili di vita che implica, ma non necessariamente questo ha solo risvolti negativi. C’è an-che l’opportunità di liberare creatività e darle spazio, proprio a partire dai giovani: forse più fragili e sperduti del passato, quando le strade erano convenzionalmente stabilite e le possibilità di evitarle poche, essi necessitano di nuovi orizzonti di senso e di speranza.

I dati presentati non vogliono, quindi, dire che siamo di fronte a nuove genera-zioni senza possibilità: piuttosto che siamo di fronte alla necessità di inventare nuove vie e nuove proposte credibili, accattivanti e, soprattutto, che rispondano a bisogni legati alla crescita e all’indipendenza dei nostri ragazzi. È necessario costruire nuove premesse perché ci sia una reale libertà di crescere, che non significhi libertà di fare ciò che si vuole ma possibilità di diventare ciò che si è. E questo spetta a noi adulti, tutti senza esclusione né esoneri.

Facciamoci ancora aiutare dallo psicologo36: “Se le nere profezie si avvereranno, nei prossimi anni, gli adolescenti e i giovani adulti del nostro paese e di mezza Eu-ropa dovranno confrontarsi con una crisi senza precedenti: è il loro incubo, ed è poco probabile che si rassegnino ad aver studiato e sperato per vedersi poi relegare nell’esercito della disoccupazione giovanile e della fascia debole della popolazione.

È verosimile che protesteranno e lotteranno. E che possa scatenarsi una ribellione violenta. Se penso alla disperazione individuale, patita nella solitudine della propria cameretta e ai gesti disperati che la morte del futuro suscita, ho motivo di ritenere che, se le medesime passioni vengono condivise da una intera generazione, possa delinearsi uno scenario drammatico. Siamo ancora in tempo. Ma per gestire il futuro, è meglio prevederlo.”

Facciamoci aiutare anche dalla storia e ricordiamo quella più recente di giovani in rivolta a Londra (agosto 2011), in Spagna (con il movimento degli indignados) o nei Paesi arabi, con la loro “primavera”: se non possiamo prevedere il futuro, possiamo quantomeno ipotizzarlo e organizzarlo in modo da offrire nuovi orizzonti. Siamo ancora in tempo: non perdiamone altro.

36 G. Pietropolli Charmet, Cosa farò da grande. Il futuro come lo vedono i nostri figli, Laterza, Roma - Bari, 2012, p. 147.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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SITI CONSULTATI CITATI NELLE NOTE (ultimo accesso: luglio 2012)

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Capitolo 2

La criminalità minorile in provincia di Trento: alcuni dati della Procura presso il Tribunale per i Minorenni

Elisa Martini

2.1. PREMESSA

La devianza minorile si configura come un fenomeno articolato e multidimensionale che si manifesta con comportamenti diversi sia nel livello di intensità sia per le con-seguenze che tali comportamenti arrecano da una parte al minore e, dall’altra, alla società. Per questo motivo lo studio del fenomeno richiede spiegazioni che non pos-sono essere univoche ma riconducibili ad una pluralità di interpretazioni che si rifan-no ora ad una scuola di pensiero ora ad un’altra.

Tra i vari orientamenti teorici in ambito sociologico possiamo distinguerne alme-no quattro:

1. la Scuola di Chicago e il concetto di anomia di Merton;

2. la teoria dell’associazione differenziale elaborata da Sutherland, e perfezionata con Cressey;

3. la teoria dell’apprendimento sociale di Bandura;

4. la teoria dell’etichettamento di Beck e Lemert.

Al primo gruppo appartengono la concezione di devianza di Merton1 - come forma di adattamento alle pressioni anomiche - e la teoria della delinquenza giova-nile sub-culturale di Cohen2 che riprende alcune considerazioni mertoniane sulla devianza. Nello specifico, collegandosi ai risultati della scuola di Chicago, Merton considera il comportamento deviante come una risposta “normale” a pressioni pro-venienti della struttura della società. In altre parole, la condotta deviante viene consi-derata come un sintomo della tensione tra le aspirazioni prescritte culturalmente e le vie socialmente strutturate per il raggiungimento di una meta. Quando alcune mete vengono enfatizzate in modo pressante da parte della società (ad esempio il succes-so economico), si creano le condizioni per l’anomia: non tutti gli individui hanno uguale possibilità di successo economico con mezzi legittimi, di conseguenza essi tenteranno di raggiungere la stessa meta anche con mezzi illegittimi. Cohen nel suo

1 R.K. Merton, Teoria e struttura sociale, vol. III, Sociologia della conoscenza e sociologia della scienza, Il Mulino, Bologna, 2000.

2 A.K. Cohen, Delinquent Boys: The Culture of the Gang, Free Press, Glencoe IL, 1955.

studio sulle bande giovanili fece proprio l’insegnamento di Merton sulla devianza e andò oltre delineando il concetto di subcultura delinquenziale. Lo studioso affermò che tutti i giovani vanno alla ricerca di uno status sociale, tuttavia non tutti possono raggiungerlo con le stesse opportunità. Ciò succede più frequentemente tra i figli delle famiglie delle classi inferiori che mancano di vantaggi materiali e simbolici. La cosiddetta frustrazione da status può far scaturire vari tipi di adattamento rispetto ai valori delle classi medie: vengono così poste nuove norme, nuove regole che legit-timano certi comportamenti portando alla creazione di una nuova forma cultura-le, una subcultura delinquenziale. Diventare o meno delinquenti dipende molto dal modo in cui i giovani dei ceti subalterni interagiscono coi membri della subcultura delinquenziale, da quanto essi considerano i componenti delle bande delinquenziali come altri significativi e da quanto identificano la soluzione dei problemi causati dalle tensioni prodotte dalla disgregazione sociale con la subcultura delinquenziale.

Per il secondo gruppo di teorie, la devianza si ha laddove sono presenti gruppi sociali non integrati sul piano culturale: il comportamento criminale viene appre-so all’interno di un certo ambiente appre-sociale come qualsiasi altro comportamento. La devianza, quindi, viene definita come espressione di norme e valori che consentono o prescrivono modelli di comportamento in contrasto con le norme e con le conven-zioni sociali più ampiamente condivise. Sutherland3, e successivamente Cressey4 par-lano di teoria dell’associazione differenziale per intendere la devianza come comporta-mento “appreso”, che non coinvolge solo strati marginali e subalterni della società: un soggetto diventa deviante quando prendono il sopravvento le definizioni favorevoli alla violazione. Tale corrente di pensiero apre la strada a una nuova prospettiva nello studio delle condotte devianti, ipotizzando un modello fondato sulla diversità cul-turale e quindi non più sull’assenza o meno di norme condivise, ma sull’esistenza di differenti codici normativi e culturali.

Per il terzo gruppo di teorie, la devianza deriva da ed è il prodotto di processi di socializzazione primaria non conformi. All’interno di questa scuola di pensiero rientrano gli studiosi che hanno esaminato il rapporto tra stili educativi e compor-tamento deviante secondo la prospettiva dell’apprendimento sociale e quello della psicoanalisi e della struttura di personalità. Nella teoria dell’apprendimento sociale, Bandura5 evidenzia come l’apprendimento non implichi esclusivamente il contatto diretto con gli oggetti, ma avviene anche attraverso esperienze indirette, sviluppa-te attraverso l’osservazione di altre persone. L’osservazione, infatti, permetsviluppa-te già ai

3 E.H. Sutherland, Principles of Criminology, University of Chicago Pres,s Chicago, 1924.

4 D.R. Cressey, The differential association theory and compulsive crimes, in “Journal of criminal law and criminology”, 1954, 45 pp. 49 - 64.

5 A. Bandura, Social Learning Theory, General Learning Press, New York, 1977.

bambini di scoprire le conseguenze di certe azioni e quale sia il comportamento più appropriato e utile in determinate circostanze. Inoltre, la possibilità di imitare un modello negativo è potenziata nel momento in cui si osserva che il comportamento deviante permette di ottenere dei vantaggi (il cosiddetto rinforzo vicario).

In opposizione a queste teorie si sviluppa la Labelling Theory6, che si focalizza spe-cialmente sul processo del divenire devianti, in cui giocano un ruolo fondamentale i processi di attribuzione, di etichettamento e di stigmatizzazione sociale. La condi-zione di devianza viene resa “oggettiva” dai processi di definicondi-zione ed etichettamento operati dalle varie agenzie sociali e finisce, quindi, con l’acquisire un valore prescrit-tivo, inducendo l’individuo stigmatizzato a fare della sua diversità un ruolo stabile e ad assumerla quale componente centrale del proprio Sé7.

Nel caso di episodi di devianza e criminalità minorile, i mezzi di comunicazione - specialmente stampa e televisione - sono particolarmente presenti nel seguire co-stantemente e con attenzione lo svolgersi delle vicende e nel fornirne una dettagliata descrizione, contribuendo in maniera diffusa a quel processo di etichettamento di cui parlavamo sopra. Nella maggior parte dei casi succede che i processi mediatici rafforzino il diffondersi di un’opinione pubblica distorta in merito a tali comporta-menti provocando, specialmente negli ultimi anni, un forte allarme nella collettività.

Questo timore viene spesso accompagnato da richieste di interventi sia sul piano giu-ridico sia su quello sociale, soprattutto nel caso in cui l’azione illecita venga compiuta in un contesto di gruppo.

Il presente lavoro si propone di affrontare brevemente questa tematica in un’ottica oggettiva a partire da dati amministrativi ufficiali. In particolare, l’obiettivo è dare una possibile risposta ai seguenti interrogativi: come si manifesta in Trentino il fenomeno della criminalità minorile? Esistono diversi tipi di criminalità tra i giovani? Che ca-ratteristiche hanno i giovani criminali che commettono un reato in modo associativo rispetto a coloro i quali agiscono in modo isolato?

Come riportato più sopra nella presentazione della ricerca, per tentare una pri-ma risposta a questi interrogativi, si presenterà qui l’analisi riguardante le denunce a carico di minorenni registrate alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Trento. Le elaborazioni proposte prenderanno in considerazione sia le denunce riferite a minorenni in età imputabile (quindi di età superiore ai quat-tordici anni) sia quelle a carico di quattordicenni, per il periodo che va dal 2003 al

6 Tra gli autori più significativi, si veda H.S. Becker, Outsiders. Saggi di sociologia della devianza, EGA Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2003; E.M. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Giuf-frè, Milano, 1981.

7 P.L. Berger, G. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna. 1966

2010. Si ricorda che i dati considerati non riguardano l’universo bensì circa l’83% dei minori denunciati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Trento in quel periodo, percentuale ampiamente soddisfacente per poter trarre considerazioni interessanti sul fenomeno della criminalità minorile nella provincia di Trento.

Una nota per la lettura: in un’ottica prettamente statistica, il fenomeno delle devianze minorili presenta numerosi ostacoli a cominciare dalla difficoltà di rilevare e di catturare appieno i principali tratti distintivi che caratterizzano queste manife-stazioni. Tali ostacoli si traducono, da un lato nel numero limitato di fonti statistiche disponibili, dall’altro nei dati che inevitabilmente sono affetti dalla presenza di un no-tevole sommerso che ne rende l’interpretazione non immediata. Prima di presentare e prendere in considerazione i dati è quindi doveroso porre in evidenza un’avvertenza:

come in tutte le analisi sulla criminalità basate su dati ufficiali, anche in questo caso il fenomeno non si esaurisce completamente: accanto ai reati che entrano a pieno titolo nelle statistiche ve ne sono altri effettivamente compiuti ma che rimangono nascosti, non sono registrati e che nell’insieme costituiscono il cosiddetto numero oscuro. È un dato di fatto che il numero di fascicoli risente spesso della propensione alla denuncia di una data popolazione in un dato territorio: per cui in un’area si può essere propensi a denunciare meno oppure a denunciare una particolare categoria sociale rispetto a un’altra. Questa precisazione per segnalare che i dati presentati sono da considerarsi come un punto di osservazione importante e imprescindibile ma non esaustivo del fenomeno oggetto di studio.

2.2. ANDAMENTO DELLA CRIMINALITÀ E CARATTERISTICHE SOCIO-

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