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Il caso delle Brigate Rosse: il rifiuto del processo

4. L’art 97 comma 5

5.1 Il caso delle Brigate Rosse: il rifiuto del processo

La problematica del rapporto fra autodifesa e difesa tecnica, nelle forme dell’ammissibilità o meno nel nostro sistema della cd. autodifesa esclusiva, viene catapultato sulla scena pubblica a seguito delle vicende degli anni ’70 relative ai processi contro le “Brigate rosse”267

e i “Nuclei armati proletari”268.

Prima ancora che da un punto di vista pratico, la questione dell’autodifesa esclusiva si pone in astratto, con riferimento ai vari modelli processuali.

Nei sistemi inquisitori, dato che la difesa è vista come un alibi, una maschera, che viene modellata a seconda del caso, ammettere un’autodifesa esclusiva significherebbe rischiare di far venir meno quella minima parvenza di legalità. Viceversa nei sistemi accusatori è ammissibile in astratto prevedere una rinuncia alla difesa tecnica, in quanto l’esigenza è quella di dare il massimo spazio alla volontà dell’imputato, sempre che questa non sia sottoposta a coercizione esterna. Infatti si tratta di modelli che prevedono istituti che necessariamente si legano alla presenza di un soggetto qualificato, basti pensare all’escussione dei testimonio alla fase di ricerca delle prove; in tali circostanze assume una importanza più che significativa la figura dell’avvocato, perché la sua presenza non è solo a tutela del diritto dell’imputato, ma anche garanzia della regolarità del processo.

Tornando alle vicende degli anni ’70, gli imputati, dopo essersi assunti le responsabilità delle loro condotte, dichiararono di non riconoscere nel Tribunale italiano un’autorità legittima per poterli giudicare e perciò rifiutarono qualunque tipo di difesa tecnica. Gli avvocati erano, a loro dire, “difensori del regime”.

267 V. CHIUSANO, Storia ed esperienze nel processo alle B.R., in Cass.pen., 1997, p. 2940 268 Il processo cui si fa riferimento prese avvio il 17 maggio 1976 a Torino.

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Insomma, eravamo difronte a ciò che Jacques Vergès aveva definito come un «processo di rottura»: gli imputati non volevano difendersi nel processo, e neppure dal processo269 essi non riconoscevano nello Stato italiano il soggetto idoneo a giudicarli. Non una semplice eccezione di difetto di giurisdizione, bensì un ripudio categorico del processo.

Fu espresso da autorevoli giuristi270 un parere pro veritate favorevole all’applicazione diretta nel nostro sistema dell’art. 6 par. 3 lett. c, CEDU o in via subordinata, la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità degli artt. 125 e 128 c.p.p. abr.

Uno degli elementi che fondava la tesi favorevole all’autodifesa esclusiva, prendeva le mosse da una particolare lettura del dettato costituzionale: dato il riconoscimento di una libertà in senso positivo, da ciò dovrebbe derivare anche la tutela di cd. Libertà negative; perciò così come la Costituzione permette al soggetto di esercitare dei diritti in senso positivo, così gli permette di esercitarli in negativo: l’imputato potrebbe così scegliere, sulla base dell’art. 24 Cost. che riconosce il diritto di difesa, sia di farsi assistere da un avvocato, sia di difendersi personalmente in maniera esclusiva271. In altri termini, si tratta di optare per uno Stato che, dopo aver garantito a tutti la possibilità di essere assistiti da un difensore ed informato delle conseguenze di una scelte negativa in tal senso, lascia libero il singolo cittadino di optare per un’autodifesa esclusiva272

.

Altra dottrina ha invece sostenuto che quell’istanza fu correttamente rigettata (manifesta infondatezza) dalla Corte di assise di Torino con ordinanza del 29 novembre 1976. In particolare si è rilevato come la presenza del difensore sia al contempo non dannosa ma proficua, infatti non annulla la possibilità di autodifendersi da parte dell’imputato ed assolve ad un interesse pubblico di

269

L’esigenza di difendersi non solo nel processo, ma anche dal processo è ritenuta pienamente legittima da T. PADOVANI, A.D.R. risponde, cit., p. 3606. Diverso è il caso in esame nel quale gli imputati si “difendevano” dal “giudizio” dello Stato.

270

Il parere è contenuto nel saggio, Il Problema dell’autodifesa nel processo penale, V. GREVI (a cura di), Zanichelli, Bologna, 1977, p. 170 ss.

271

Così, M. CHIAVARIO, Autodifesa si, ma …, in V.GREVI (a cura di), Il problema

dell’autodifesa nel processo penale, Zanichelli, Bologna, 1977, p. 43

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garanzia processuale. In relazione poi alla formulazione contenuta nella norma pattizia si è osservato che questa «non prevede in via alternativa la difesa personale e quella tecnica, ma «le armonizza entrambe in un sistema più articolato che appresta più efficace tutela al diritto di difesa»»273.

Inoltre vi sarebbe una significativa differenza fra la norma pattizia e la Costituzione: mentre la prima ha l’obiettivo di garantire i diritti dei singoli, per evitare che questi scendano al di sotto di una soglia minima di tutela, la seconda invece si preoccupa della difesa anche quale canone oggettivo di corretto svolgimento del processo274.

A seguito di quelle vicende intervenne la Corte costituzionale con sentenza n. 125 del 1979275 negando l’illegittimità costituzionale degli artt. 125 e 128 c.p.p. abr., nella parte in cui prevedevano come obbligatoria la difesa tecnica276:

273

P. FERRUA, A quarant’anni dall’assassinio dell’avv. Fulvio Croce: autodifesa e difesa

d’ufficio in due storici processi, in Proc.pen.giust., 2018, p. 1019.

274

In senso difforme, E. AMODIO, Ha senso imporre difensori alle brigate rosse?, in V.GREVI (a cura di), Il problema dell’autodifesa nel processo penale, Zanichelli, Bologna, 1982, p. 179- 180, il quale rilevava come invocare i principi di «legalità democratica» e garanzia oggettiva della difesa tecnica, a fondamento del divieto di autodifesa esclusiva, in un sistema come quello di allora, fosse incongruo. Viene portato l’esempio dell’interrogatorio: il giudice nominava all’imputato un difensore d’ufficio se questi ne era rimane privo, tuttavia se l’avvocato, correttamente avvisato, non si presentava, ciò non influiva sul diritto di difesa.

Per l’autore perciò, rispetto ad una richiesta così pressante da parte dei brigatisti di non avvalersi del difensore, costituisce un atto paternalistico ed ingiustificato quello di imporre con forza la presenza di un avvocato.

In sintesi, saremmo di fronte ad un ordinamento incoerente: da un lato non garantisce la difesa tecnica all’imputato che la invoca ma non può permettersela (infatti la disciplina dei non abbienti era sempre regolata dalla regio decreto n.3282 del 1923), dall’altro la impone a chi la rifiuta così palesemente.

275

Corte cost., 10 ottobre 1979, n. 125. In senso contrario rispetto alla sentenza E. MAIORCA, Una occasione mancata: la sentenza della Corte costituzionale sul «rifiuto

di difesa», Riv.it.dir proc.pen., 1980, p. 1358.

276

La Corte affermò che il diritto di difesa oltre ad essere inviolabile, è anche irrinunciabile, perché « è preordinato a tutelare beni e valori fondamentali dell'uomo». Il codice garantisce l’esercizio di una piena autodifesa, e il fatto che si preveda l’ obbligatorietà dell’assistenza tecnica non limita l’autodifesa, in quanto la presenza dell’avvocato non significa necessariamente che questi debba attuare una difesa nel merito anche contro la volontà dell’imputato, bensì che

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«l’arroccamento della Corte costituzionale su posizioni di netto rifiuto»277

dell’autodifesa esclusiva, si basava sul principio per cui il legislatore «interdice si esaudisca mai la pazza voglia di non essere difeso»278.

Tuttavia la Corte non ha mai fatto discendere dal quest’ultimo principio, un corrispettivo obbligo di “difesa/presenza attiva” da parte dell’avvocato.

Un conto, si è detto, è obbligare il difensore ad essere presente in udienza, altro è imporgli necessariamente, ed anche contro la volontà dell’imputato, di difendere nel merito quest’ultimo279. In virtù del fatto che l’unico titolare del diritto di difesa è, e resta in ogni circostanza, l’imputato, e valorizzando al massimo la volontà di questi, non potrebbe che derivare l’incostituzionalità delle norme che non tengano conto delle sue scelte280.

5.2 La differenza tra il rifiuto della difesa dal processo e il rifiuto della