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La mancata concessione del termine a difesa al sostituto provvisorio

3. Gli artt 108 e 97 comma 4 c.p.p.: il problema

3.1 La mancata concessione del termine a difesa al sostituto provvisorio

A seguito della ricerca condotta dalla Camera Penale di Roma in collaborazione con l’istituto Eurispes nel 2008, emerge che all’interno del 35% dei processi cui si fa ricorso alla difesa d’ufficio (contro il 65% nei quali viene in gioco la difesa di fiducia), nel 48% di essi si ricorre alla figura del sostituto provvisorio ex art. 97 comma 4, in quanto il difensore inizialmente nominato si disinteressa della causa. Ecco allora come da un semplice dato emerga la problematica, pratica prima ancora che teorica, del rapporto tra termine a difesa e sostituto processuale104.

Una volta avvenute la revoca o rinuncia tardive al mandato fiduciario, all’udienza successiva sarà poco probabile sia la presenza di un nuovo difensore di fiducia, sia di quello d’ufficio, ed allora di fatto accadrà che il giudice nominerà un sostituto provvisorio ex art 97 comma 4 c.p.p., il quale si qualificherà o come sostituto del nuovo difensore di fiducia non ancora attivo o del precedente difensore di fiducia,

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Evidenzia come nella prassi la norma sia elusa, con conseguente nomina, in fase dibattimentale, di un difensore non iscritto nell’elenco degli avvocati d’ufficio, A. SCALFATI, Commento agli

artt. 96-108 c.p.p., 2001, p. 716.

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Cass., Sez. I, 30 ottobre 2014, n. 3333; Così Cass., Sez. II, 16 marzo 1995, in Dir.pen.proc., 1995, secondo cui l’elenco ha «la sola funzione di facilitare la scelta dei difensori disponibili e reperibili».

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Lo spunto è di T. BENE, op. cit., p. 179.

104

Emblematico, in relazione al problema che ci accingiamo ad analizzare, il caso, realmente accaduto, e riportato nel testo di P. REBECCHI, Il difensore d’ufficio, in Quaderni per la

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che in base al meccanismo dell’art 107 c.p.p. sarà ultrattivo105

; perciò tale difensore ex art 97 coma 4 c.p.p. potrà giovarsi del termine a difesa ex art 108 c.p.p. ?106

Oppure, potrà il sostituto ex art 97 comma 4, nominato a seguito di una mera assenza (ingiustificata), giovarsi del termine suddetto?

La Corte Costituzionale107 in più occasioni ha negato la concessione di questo termine al difensore nominato come sostituto provvisorio ex art. 97 comma 4 c.p.p. .

Se osservata da un certo angolo di visuale, la differenza fra il difensore ex art. 108 c.p.p. e quello ex art. 97 c.p.p. sembra in realtà non esserci se si guarda al dato concreto per cui, in entrambi i casi, l’avvocato si trova a dover affrontare una difesa del tutto impreparato.

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La seconda sezione penale della Cassazione, con sentenza del 17 marzo 2015, n. 15778, ha preso in esame il caso di un imputato che, due giorni prima dell’udienza dibattimentale, aveva revocato il mandato al proprio difensore, nominandone un secondo, il quale aveva richiesto ed ottenuto il termine dilatorio ex art. 108 c.p.p. . Il giudice di merito, tuttavia, aveva proseguito l’istruttoria con la nomina di un sostituto temporaneo, e in esito alla stessa condannava l’imputato. A parere della Corte, «nel caso in cui il difensore di fiducia che abbia ricevuto l'avviso per l'udienza rinunzi all'incarico prima della sua celebrazione, il giudice può provvedere alla nomina di un difensore d'ufficio all'udienza stessa, atteso che la suddetta rinunzia non ha effetto immediato, essendo il difensore di fiducia rinunciante ancora onerato della difesa dell'imputato fino all'intervento di tale nomina» e prosegue affermando che il «Giudice di primo grado ha [correttamente] rigettato l'istanza di rinvio e, contemporaneamente, una volta accertata l'assenza del primo difensore [cioè quello revocato], ha provveduto a nominare un sostituto ai sensi dell'art. 97 c.p.p., comma 4».

106

Nel c.p.p. 1930 si prevedeva invece che il termine fosse concesso solo nel caso di abbandono. Tuttavia un filone giurisprudenziale (fra i molti, Cass., Sez. IV, 19 ottobre 1972) sosteneva che tale termine dovesse concedersi tutte le volte in cui si voleva procedere alla nomina di un avvocato d’ufficio perché l’imputato ne era rimasto privo. R. CASIRAGHI, op. cit., p.360.

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Corte cost., 16 dicembre 1997, n. 450. Si tratta di un orientamento fatto proprio dalla Corte anche in altre pronunce, vedi, a titolo di esempio, Corte cost., ord. 8 maggio 1998, n. 162, in

Cass.pen., 1999, p. 1693; Corte cost., 20 gennaio 2006, n. 17, in Cass.pen., 2006, p. 1425.

In senso contrario, E. MARZADURI, Appunti sulla riforma costituzionale del processo penale, in

Scritti in onore di Antonio Cristiani: omaggio della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, Giappichelli, Torino, 2001, p. 460.

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Tuttavia non è detto che due situazioni uguali debbano ricevere il medesimo trattamento; vi potrebbero infatti essere elementi che giustifichino una differenziazione ed infatti la Corte si è concentrata anzitutto sulla ricerca dell’elemento scriminante le due ipotesi.

La Corte ha rilevato come l’art. 108 c.p.p. elenchi quattro ipotesi tassative108

(rinuncia, revoca, incompatibilità, abbandono) tutte accomunate dal fatto che «in ognuna di esse l'imputato rimane privo di difensore», spezzandosi così il legame/vincolo col precedente difensore, differenziando poi le prime tre (privazione definitiva) dall’ultima (privazione temporanea109

), ed aggiungendo che questo fatto di per sé non è sufficiente ad assimilare la fattispecie dell’abbandono a quella della assenza110

(per mancata comparizione o per non

108 In senso contrario alla qualificazione come ipotesi tassative, R. CASIRAGHI, op. cit., p. 373 109

Corte cost., 16 dicembre 1997, n. 450 «tanto che il difensore che abbia abbandonato la difesa dell'imputato può riprendere il proprio ruolo ogniqualvolta ricompaia» e «L'abbandono, considerato anche come illecito, è comunque un istituto per il quale (così come per il rifiuto di assumere la difesa di ufficio) è dettata dall'art. 105 una apposita disciplina, la quale investe anche i motivi dell'abbandono e dà con questo a tale fattispecie una sua configurazione del tutto particolare. Nel dettare la disciplina generale per il termine a difesa, la legge ha preferito collocare l'abbandono accanto alla rinuncia, alla revoca, all'incompatibilità proprio per questo comune risultato che in tutte si verifica di lasciare l'imputato privo di difensore, e dare così la prevalenza a questo carattere rispetto a quei caratteri che l'abbandono ha invece in comune con l'assenza e che si riducono, in definitiva, alla possibilità di riassumere in ogni momento l'effettività della difesa senza bisogno di alcuna nuova nomina o d'altra formalità».

La Corte ci vuol dire che, seppur vi sia un elemento che accomuna la mera assenza all’ipotesi dell’abbandono, e cioè che in entrambi i casi il difensore titolare può riassumere l’incarico, ciò non è sufficiente per equiparare le due fattispecie.

110

La Corte richiama una precedente sentenza della giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. Un., 11 novembre 1994, in Cass.pen., 1995, p. 883 ss.), che già aveva messo in risalto la differenza fra le ipotesi dell’art. 108 c.p.p. e la mera assenza, infatti le «Sezioni unite […] ha[nno] avuto modo di precisare che nelle situazioni che di per sé non comportano la revoca del mandato per il difensore di fiducia o la dispensa dall'incarico per il difensore d'ufficio (situazioni alle quali la legge sopperisce ai sensi dell'art. 97, comma 4, con la designazione di un sostituto), "il titolare dell'ufficio di difesa rimane sempre l'originario difensore designato, il quale, cessata la situazione che alla sostituzione ha dato causa, può riprendere immediatamente il suo ruolo e ricominciare le sue funzioni, non richiedendo la legge, proprio per la immutabilità della difesa e per l'automatismo della reintegrazione, comunicazioni o preavvisi di sorta"».

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reperibilità) «perché [nel primo caso] vi è sempre qualche elemento, anche se non formale, di certezza, che permette di asserire che l'imputato è rimasto privo di difensore», mentre nella mera assenza si mantiene l’originario vincolo difensivo111, perciò l’effettività della difesa resta garantita. Ed infatti per la Corte la semplice assenza può dipendere dai più disparati motivi (ad esempio un semplice ritardo o una strategia difensiva) e quindi non priva l’imputato della difesa112 (come invece avviene nelle ipotesi dell’art 108 c.p.p.).

Si sostiene perciò, che diversa sia la funzione difensiva esercitata dall’avvocato nelle ipotesi dell’art. 108 c.p.p., rispetto a quella esercitata nel caso di mera assenza. Infatti, in quest’ultima ipotesi, l’effettività del diritto di difesa sarebbe garantita dal fatto che il difensore originario (di fiducia o d’ufficio che sia) potrebbe in qualunque momento tornare, riassumere l’incarico, ed approntare una concreta strategia difensiva. Peraltro la Corte aggiunge che l’assenza del difensore, a differenza delle quattro ipotesi ex art 108 c.p.p. potrebbe addirittura essere una strategia difensiva deplorevole, e perciò, da stigmatizzare.113

Al massimo, si conclude, il giudice potrà concedere un rinvio ad horas114 per

comprendere gli atti e studiare una strategia difensiva. «L’inutilità di tale concessione appare evidente»115.

111

D. ARCELLASCHI, La difesa d’ufficio: aspetti normativi e pratici, in Teoria e pratica del

diritto, Milano, Giuffrè, 2009, p. 51

112

Tuttavia, siccome in entrambi i casi, assenza ed abbandono, si fa ricorso al sostituto provvisorio, il difensore è in egual modo ignaro dei fatti in causa.

A ciò si potrebbe obiettare che se il difensore non si presenta all’udienza, ma non siamo in un caso enucleato dall’art. 108 c.p.p., siccome viene comunque nominato un sostituto, all’imputato sarebbe garantita l’effettività della difesa.

È agevole però replicare affermando che il sostituto è in realtà un difensore che si trova a dover partecipare all’atto solo in ossequio ad un criterio formale (così, C. DI BUGNO, op. cit., p. 973) ed inoltre l’effettività della difesa deve prescindere dai motivi che hanno portato alla sostituzione.

113

D. ARCELLASCHI, op. cit., p. 53, il quale rileva come, seppur condivisibile da un punto di vista teorico, la Corte qui non abbia manifestato alcuna attenzione al dato empirico, a ciò che quotidianamente accade nelle aule di giustizia.

114

Sul punto la giurisprudenza europea della Corte e.d.u. appare lapidaria: è lesiva di un concreto ed effettivo esercizio del diritto di difesa, la concessione di un termine ad horas, o comunque inidoneo a garantire l’esercizio del diritto di difesa, vedi, Corte e.d.u., 10 ottobre 2002, Czekalla c. Portogallo; Corte e.d.u., 21 marzo 1998, Daud c. Portogallo.

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Si tratta, a ben vedere, di una scelta che si fonda nell’esigenza di impedire un uso fraudolento che del termine potrebbero fare l’imputato e il suo difensore116

. Certo è però, che se un istituto si presta ad un impiego abusivo, il rimedio non deve essere ricercato nel limitare l’applicazione dello stesso, bensì nel prevedere strumenti per adoperarlo in maniera corretta.

In senso conforme a questo orientamento della Corte delle Leggi si affianca un consolidato filone giurisprudenziale117 e dottrinale118, che ha individuato come elemento comune alle quattro ipotesi dell’art. 108 c.p.p. il venir meno del legame professionale col primo difensore, cosa che invece non accade nell’ipotesi dell’art. 97 comma 4 c.p.p.119.

116

In questo senso, Corte cost., 16 dicembre 1997, n. 450 «Quel che non si può consentire è che attraverso una serie di assenze non previste e non motivate si innesti una serie di rinvii ex art. 108, rinvii che anche se la legge prevede che debbano essere di pochi giorni possono invece portare, come il più delle volte accade nelle condizioni attuali della vita giudiziaria, a intervalli di lunghezza insostenibile per un ordinato svolgimento della giustizia e per gli interessi delle altre parti del processo»

117

Ex plurimis Cass., Sez. V, 13 marzo 2015, n. 25487; Cass., Sez. V, 4 febbraio 2013, n. 23728; Cass., Sez. III, 25 ottobre 2005, n. 2019; Cass., Sez. II, 30 aprile 1999, n. 6015 «In tema di concessione del termine per preparare la difesa, la disposizione di cui all'art. 108 c.p.p. - che prevede la concessione di un termine "di norma non inferiore a 3 giorni" al nuovo difensore dell'imputato, o a quello designato in sostituzione, nei casi di rinuncia, di revoca, di incompatibilità e di abbandono della difesa - non è applicabile nelle ipotesi in cui il giudice designi, ai sensi dell'art. 97 comma 4 c.p.p., un sostituto al difensore non comparso la cui istanza di rinvio per contemporaneo impegno professionale sia stata disattesa.».

Si riscontra invece in senso difforme, come unicum giurisprudenziale, la Cass., Sez. V, 3 febbraio 2010, n.10795, in Cass.pen. 2011, p.1509, in base alla quale la «Corte dei diritti dell'Uomo ha reiteratamente deciso nel senso che, in ossequio all'art. 6 della Convenzione, l'Autorità Giudiziaria è tenuta a consentire al difensore nominato in udienza un lasso di tempo per permettergli di prendere visione degli atti», pertanto «è causa di nullità d'ordine generale, a regime intermedio, il diniego del termine a difesa a favore del difensore nominato in sostituzione del titolare non comparso per asserito legittimo impedimento, non riconosciuto tale dal giudice». Per una critica a quest’ultimo orientamento vedi, G. LEO, Sul diritto al termine del difensore designato a norma

dell’art. 97, comma 4, del codice di rito, in Dir.pen.proc., 2010, p. 945.

118 S. CAMPANELLA, op. cit., p.1694 ss. 119

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Si ritiene cioè che quando l’art. 108 c.p.p. parli di «abbandono», non ricomprenda anche le ipotesi di assenza ingiustificata o abbandono implicito.

Sempre su questo versante va riportato l’orientamento giurisprudenziale120

che, valorizzando al massimo il principio di immutabilità del difensore d’ufficio, afferma che nelle ipotesi di sostituto provvisorio ex art. 97 comma 4 c.p.p., le notificazioni debbano avvenire esclusivamente nei confronti del sostituito, unico titolare del munus.

Alla sentenza della Corte Costituzionale sono state mosse numerose critiche121. In primo luogo mentre il sostituto di fiducia potrà preparare al meglio la difesa, quello d’ufficio, essendo la nomina effettuata al momento stesso dell’udienza, dovrà limitarsi ad un controllo solo di facciata, con la conseguente realizzazione di una difesa ineffettiva e la violazione dell’art. 6 CEDU in relazione al tempo necessario per preparare al meglio la difesa.

In secondo luogo la Corte afferma che la concessione del diritto ex art. 108 c.p.p. comporterebbe l’elusione dell’art. 420-ter comma 5 c.p.p. (prima art. 486 comma 5 c.p.p.122) in quanto si verrebbe ad applicare la disciplina che quest’ultima norma riserva alle ipotesi di legittimo impedimento prontamente comunicato anche a quella del difensore assente, con la conseguenza che, una sentenza che accogliesse la questione di illegittimità, renderebbe vana la tutela che il legislatore ha approntato solo ed esclusivamente all’art. 420-ter comma 5123

.

Tant’è che la giurisprudenza afferma che «nell’art. 97 comma 4 c.p.p., titolare dell’ufficio di difesa rimane sempre l’originario difensore designato […] ne segue che unico destinatario della notifica […] è il difensore che risulti titolare dell’ufficio», Cass., Sez. IV, 10 febbraio 2005, n. 12638.

120 Cass., Sez. Un., 11 novembre 1994. 121 R. CASIRAGHI, op. cit., p.371 ss. 122

In base al quale il difensore che ha un legittimo impedimento tempestivamente comunicato in dibattimento, ha diritto al rinvio dell’udienza.

Tale disposizione è stata abrogata con la legge 16 dicembre 1999, n. 479.

123

Corte cost., 16 dicembre 1997, n. 450: «Per questo il legislatore ha ritenuto (eccezion fatta per l'assenza in dibattimento motivata da legittimo impedimento tempestivamente conosciuto, per cui provvede l'art. 486, comma 5, già sopra richiamato) di non poter dare alla semplice assenza del difensore altra conseguenza se non quella della designazione immediata di un sostituto»

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Si dice cioè che se si concedesse il termine anche al difensore sostituto provvisorio, (e lo si farebbe per garantirgli di avere contezza delle carte processuali) nella nuova udienza, a seguito del rinvio, molto probabilmente si presenterebbe il difensore originario (con il venir meno perciò del ruolo del difensore sostituto) con la conseguenza che il rinvio sarebbe allora solo il frutto di una speculazione processuale che ha come unico scopo il far maturare i termini di prescrizione.

Del rinvio cioè gioverebbe solo il difensore che era rimasto assente124.

Peraltro, una soluzione di questo tipo significherebbe estendere una tutela che il legislatore ha predisposto solo nell’ipotesi ex art. 480 comma 5 c.p.p. anche al di fuori di quest’ultima125

.

Rispetto a questa seconda considerazione si controbatte dicendo che in primis, non si può per una mera eventualità limitare l’effettività del diritto di difesa, e in secondo luogo, che la ratio della normativa non è «punire il difensore che adduce un impedimento non legittimo, ma garantire sempre e comunque il diritto dell’imputato ad essere difeso»126

.

Terza critica che può essere mossa riguarda l’aver invocato, da parte della Corte, il principio di ragionevole durata dei processi per far scattare l’inapplicabilità della norma oggetto di ricorso.

Invero la Corte, secondo alcuni, avrebbe correttamente operato un bilanciamento fra esigenze processuali ed esigenze di tutela della difesa, anche in virtù del fatto che la ratio dell’art. 97 comma 4 è quella di andare a garantire la presenza di un soggetto qualificato (avvocato) per impedire che, l’assenza di quello originariamente scelto o designato, possa pregiudicare l’interesse generale ad un concreto e celere esercizio della funzione giurisdizionale. In sostanza con la figura del sostituto provvisorio «si privilegia, più che l’aspetto inerente alla capacità tecnica da offrire a tutela dei diritti dell’imputato/indagato, il momento della mera presenza come requisito formale della validità degli atti al fine di un agevole esercizio della funzione giurisdizionale»127

124

In questi termini anche, C. DI BUGNO, op. cit., p. 1658.

125 S. CAMPANELLA, op. cit., p. 1703. 126 R. CASIRAGHI, op. cit., p. 371. 127 S. CAMPANELLA, op. cit., p. 1702.

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Secondo altri invece, non si tratterebbe di un bilanciamento, ma di una indebita primazia del principio di ragionevole durata dei processi, che nonostante il suo rango costituzionale, non può prevalere sul diritto di difesa128.

Potremmo quindi riassumere le tre critiche dicendo che la sentenza della Corte in esame finisce per mortificare il ruolo del difensore ex art. 97 comma 4 c.p.p., che si troverà a dover improvvisare la difesa, a favore invece di esigenze di celerità processuale129.

Ecco allora che parte della dottrina130, ponendosi agli antipodi di questo filone giurisprudenziale fin qui delineato (ed avallato appunto dalla stessa Corte costituzionale), ritiene di poter giustificare la concessione del termine a difesa sostenendo che il difensore, sapendo dell’impedimento, dovrebbe comunicarlo tempestivamente. In caso contrario la sua condotta lascerà l’imputato privo di assistenza difensiva: si ratterebbe quindi di un’azione assimilabile a quella dell’avvocato rinunziante al mandato, integrando così la prima ipotesi indicata all’108 c.p.p. .

Una sentenza della Corte di Cassazione, in controtendenza rispetto all’orientamento maggioritario, e che pare invece mostrarsi più legata ad esigenze

128

Per una corretta interpretazione del principio della ragionevole durata del processo contenuto nell’art. 111 comma 2, Cost., vedi, E. AMODIO, Processo penale, diritto europeo e common law:

dal rito inquisitorio al giusto processo, Giuffrè, Milano, 2003, p. 153 ss., il quale peraltro

evidenzia come si vada «diffondendo tra gli interpreti un modo acritico e deformante di concepire la ragionevole durata del processo penale come strumento volto a limitare la garanzia del diritto di difesa».

129

Cfr. R. DONATIELLO, Sub art. 97 c.p.p., in Codice di procedura penale, diretto da S.BELTRANI, Giuffrè, Milano, 2017, p. 371.

130

G. DALIA, op. cit., p.63 ss. L’autore è ben consapevole dei rischi di un interpretazione siffatta, e cioè della possibilità che tale strumento venga utilizzato per «strumentalizzazioni dilatorie» dell’iter procedimentale, tuttavia controreplica affermando che, da un lato, non concedere il termine a difesa andrebbe contro la ratio che ha mosso la riforma del legislatore, minimizzando quell’effettiva partecipazione cui egli si è ispirato, dall’altro i rischi prospettati potrebbero essere evitati imponendo agli Ordini Forensi di «prescrivere norme comportamentali per indurre il difensore ad adempiere correttamente il mandato».

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di effettività del diritto di difesa, è il quella relativa al caso “Atzeni”131

: il giudice aveva ritenuto non fondata una richiesta di rinvio per impedimento del difensore e perciò si era provveduto alla nomina di un sostituto provvisorio, il quale non aveva richiesto il termine a difesa ex art. 108 c.p.p. . Ebbene, la Cassazione ha statuito che, in ossequio agli orientamenti della Corte e.d.u. (ed in particolare all’interpretazione che questa dà dell’art. 6 CEDU), il giudice deve concedere sempre il tempo necessario alla parte per preparare adeguatamente la propria difesa, anche se tale termine non viene espressamente richiesto132 (come nel caso in esame).

Conclude quindi, che l’omessa concessione del termine ex art. 108 c.p.p. al sostituto provvisorio integra una ipotesi di nullità generale intermedia.

Parte della dottrina133 ha valutato positivamente il punto di arrivo della decisione della Corte. Quello che non convince del tutto invece è l’iter logico in base al quale si è giunti a tale conclusione. La Corte ha statuito che la concessione del termine debba avvenire anche in assenza di una specifica richiesta; si è però rilevato come la stessa lettera della disposizione in esame richieda, per la sua operatività, la espressa «richiesta», talché appare eccessivamente forzosa un’interpretazione che consenta l’operatività della stessa in assenza di una domanda esplicita in tal senso.

Inoltre pare che la Corte non abbia effettuato un’interpretazione conforme alla