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3. Un breve excursus storico sulla difesa d’ufficio

3.3 La legge n 60 del 2001

Un passo in avanti si ebbe con la legge n. 60 del 200157.

La prima proposta di legge, la n. 3871 dell’On. Pisapia, era titolata «Disposizioni in tema di difesa d’ufficio e di patrocinio a spese dello Stato» evidenziandosi perciò lo stretto legame fra i due istituti, entrambi collegati all’artt. 3, 24, 111 Cost.

Correttamente la proposta n. 3871, voleva perseguire una sostanziale, e non solo formale58, equiparazione tra difesa d’ufficio e di fiducia.

Fu però con la proposta di legge n. 5476 dell’ On. Pecorella, che riprendendo in parte quelle precedenti59 (sancendo la parità di armi difensive e la necessità di una difesa d’ufficio effettiva), che si arrivò all’approvazione della legge.

Si puntò l’attenzione, da un lato sul tema dell’individuazione di criteri professionali specifici e nuovi per assumere l’incarico e dall’altro, sulla necessità

56 Per questi rilievi, D. ARCELLASCHI, op. cit., p. 19. 57 L. 6 marzo 2001, n. 60.

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Su questo versante vedi, Relazione dell’On. Pisapia nella seduta alla Camera dei deputati del 18 dicembre 2000: «Non vi può, e non vi potrà mai essere, «giusto processo» fino a quando a tutti non sarà garantita una difesa non solo virtuale o formale»; Relazione dell’On. Saponara, Camera dei deputati, 18 dicembre 2000: «Nel nuovo processo accusatorio […] c’è bisogno di un nuovo avvocato preparato, agguerrito, dinamico ed organizzato. Ovviamente, non si può più tollerare l’avvocato d’ufficio che si rimette alla clemenza del giudice».

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La n. 3781, 29 maggio 1997, dell’On. Pisapia e la n. 5268, del 30 settembre 1998, dell’On. Grimaldi. In particolare in quest’ultima si leggeva che «i difensori d’ufficio sono spesso nominati a caso e, cosa ancora più grave, esercitano con scarsa motivazione e a volte negligenza il mandato loro affidato», Relazione alla proposta di legge n. 5268, del 30 settembre 1998.

Ed ancora, critico sul sistema previgente alla riforma, l’intervento dell’On. Marino nella seduta n. 833 del 9 gennaio 2001, secondo cui «nel caso in cui un imputato non avesse nominato un difensore, potesse essere chiamato il primo avvocato che si trovava a passare, il quale, pur assumendo la difesa, si limitava, tuttavia, a dichiarare di rimettersi a giustizia o a chiedere il minimo della pena».

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della concessione del termine a difesa ex art 108 c.p.p., perché «il difensore d’ufficio deve essere come quello di fiducia e deve avere la sua stessa dignità»60

. Tuttavia la prassi mise in evidenza come le ampollose enunciazioni di principio contenute nella proposta di legge e nei lavori preparatori, si rivelarono tutt’altro che reali, anzi, si sottolineò come «l’attuale configurazione della difesa d’ufficio [fosse] ben lontana da “standard” di validità ed efficacia»61

Dunque, analizzando la difesa d’ufficio post riforma del 2001 le disposizioni in oggetto sono, nella parte codicistica gli artt. 97, 102, 108, 107, mentre nelle disposizioni di attuazione, nate per disciplinare aspetti più pratici, gli artt. 28, 29, 30,31,32,.

Parte della dottrina62, ha rilevato come la disciplina «fosse ben lontana dal rispetto del principio costituzionale della effettività del diritto di difesa penale, tante volte evocato […] mai attuato in concreto nelle aule giudiziarie» andando quasi a rievocarsi quel difensore d’ufficio inteso, come nel passato, quale soggetto meno nobile dell’avvocato di fiducia.

Anzitutto venne modificato l’art. 97 comma 2 c.p.p.: la nuova disciplina prevedeva che «I consigli dell’ordine forense di ciascun distretto di corte d’appello, mediante un apposito ufficio centralizzato, al fine di garantire l’effettività della difesa d'ufficio, predispongono gli elenchi dei difensori che a richiesta dell’autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria sono indicati ai fini della nomina. I consigli dell'ordine fissano i criteri per la nomina dei difensori sulla base delle competenze specifiche, della prossimità alla sede del procedimento e della reperibilità».

In sostanza, vi era un ufficio centralizzato informatizzato presso il Consiglio dell’ordine forense di ciascun distretto che doveva predisporre un elenco e, al momento della richiesta da parte del giudice, pubblico ministero o polizia giudiziaria, indicare il difensore; in questo senso la nomina dell’avvocato

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D. ARCELLASCHI, op. cit., p.10, il quale riporta la citazione contenuta nella Relazione dell’Onorevole Saponara durante la seduta in Parlamento del 18 dicembre 2000.

61 D. ARCELLASCHI, op. cit., p.11 62 D. ARCELLASCHI, op. cit., p.17

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d’ufficio era rimessa alla discrezionalità dell’Ordine che però doveva scegliere sulla base di tre criteri: prossimità della sede, competenze specifiche e reperibilità. In relazione al primo criterio si è assistito ad una evoluzione giurisprudenziale: in precedenza la Suprema Corte63, analizzando l’iter processuale da seguire nell’ipotesi in cui, già nominato un difensore d’ufficio, vi fosse stato lo spostamento della sede del procedimento, ritenne che l’eventuale mutamento di sede non dovesse incidere, con effetto caducatorio, sul precedente difensore d’ufficio già nominato, il quale sarebbe dovuto rimanere in carica; tutto ciò, si sostenne, derivava dall’applicabilità del principio di immutabilità sia al difensore d’ufficio sia a quello di fiducia.

Più di recente la Suprema Corte, sembra però aver cambiato orientamento: con sentenza n. 42442 del 14 dicembre 2006 si è detto che è legittima la sostituzione del difensore d’ufficio originario se vi è stato lo spostamento della sede del processo in altro circondario o distretto di Corte d’Appello64

.

Circa il secondo parametro, si rilevava come la norma fosse in realtà lacunosa perché non specificava i criteri di giudizio per stabilire quando un difensore fosse competente o meno. Così alcuni avevano prospettato l’idea di supporre che la competenza derivasse dal tipo di reato commesso, con la conseguenza che, per esempio, se si fosse trattato di un grave reato, avrebbe dovrebbe scattare l’assistenza di un difensore “più anziano” ed esperto65

.

Inoltre, il nuovo articolo non prevedeva più che l’elenco fosse formato «d’intesa» fra Consiglio dell’ordine e Presidente del Tribunale: nell’ottica di rafforzare l’autonomia e l’indipendenza degli avvocati, la nuova disciplina attribuiva tale prerogativa al solo Consiglio dell’ordine .

La modifica della legge di cui trattasi ha inciso anche sull’art. 29 comma 2, primo capoverso, disp.att. c.p.p., che ancora oggi prevede che presso ciascun Consiglio dell’ordine di ogni capoluogo di distretto di Corte d’appello vi sia un ufficio con recapito centralizzato che, mediante linee telefoniche apposite, fornisca il nominativo del difensore d’ufficio quando questo venga richiesto. Si tratta di una

63 Cass., Sez. VI, 26 maggio 1997, in Giust.pen., 1999, p. 119. 64 In dottrina, A. RICCI, op. cit., p. 738.

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disposizione che ha l’obiettivo di ridurre quella discrezionalità nella scelta del difensore propria del sistema previgente.

Nel comma 4 vengono poi dettate alcune garanzie che il sistema informatico deve predisporre: «a) che l'indicazione dei nominativi rispetti un criterio di rotazione automatico tra gli iscritti nell'elenco di cui al comma 1; b) che sia evitata l'attribuzione contestuale di nomine, ad un unico difensore, per procedimenti pendenti innanzi ad autorità giudiziarie e di polizia distanti tra di loro e, comunque, dislocate in modo da non permettere l’effettività della difesa; c) l'istituzione di un turno differenziato, per gli indagati e gli imputati detenuti, che assicuri, attraverso un criterio di rotazione giornaliera dei nominativi, la reperibilità di un numero di difensori d'ufficio corrispondente alle esigenze». Pare opportuno chiedersi che cosa accada nell’ipotesi in cui venga nominato un difensore diverso da quello previsto in base al turno.

Se l’obiettivo della creazione dell’elenco e di un sistema così procedimentalizzato è quello di evitare una discrezionalità nella scelta e garantire una maggiore qualità e professionalità dei difensori d’ufficio, la logica imporrebbe che la violazione di tale regola, contrastando con la ratio della norma, comporti la nullità.

Di avviso contrario la giurisprudenza, secondo cui l’ipotesi in esame non configura un caso di nullità non essendo ciò espressamente previsto dalla disposizione66, salvo che non si dimostri che la scelta di un difensore diverso si sia riverberata sulla lesione del diritto di difesa67.

Infine, il sesto comma della norma, anch’esso modificato con la legge n. 60 del 2001, attribuisce al Presidente del Consiglio dell’Ordine o ad un suo delegato, il potere di vigilanza sul rispetto dei criteri per la designazione del difensore d’ufficio. Tuttavia la giurisprudenza appare consolidata nel ritenere che anche la violazione dei criteri di individuazione del difensore d’ufficio non comporti nullità, in quanto ciò non incide sui diritti di difesa dell’imputato68

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Cass., Sez. III, 4 novembre 2011, n. 2176; Cass., Sez. II, 23 ottobre 2001.

67

Cass., Sez. I, 10 luglio 2013, n. 3392.

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Cass., Sez. III, 11 marzo 2009, n. 20935 secondo cui «non configura nullità la nomina di un difensore d'ufficio che non sia iscritto all’apposito elenco, non essendo tale sanzione prevista espressamente dalla norma. Né può ritenersi che tale nullità derivi dalla violazione radicale del diritto di difesa, essendo stata in ogni caso garantita un’assistenza tecnica professionalmente

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Invero lo stesso art. 29 comma 2 disp.att. c.p.p., secondo capoverso, riformato, prevedeva e prevede tutt’ora, che non si debba ricorrere al sistema informatizzato cui si è fatto cenno, se il procedimento riguarda materie di «competenza specifica».

È indubbio che la ratio della norma sia quella di tutelare il soggetto destinatario della stessa69 (l’imputato); tuttavia non è irrilevante il rischio che quella discrezionalità nella scelta del difensore, che il legislatore si proponeva di eliminare, sussista ancora.

Il problema che si pone è quello di ricercare dei validi e stringenti criteri per capire quando la norma de qua possa operare: è logico che più elastici saranno tali parametri, maggiore sarà la discrezionalità dell’autorità procedente nel poter designare, in deroga al sistema informatizzato, un “altro“ difensore.

Invero, la necessità di prevedere un difensore d’ufficio ad hoc per i procedimenti che richiedono una competenza specifica trova la sua ratio nell’evitare che l’imputato si trovi assistito da un difensore d’ufficio inesperto, il quale peraltro non potrebbe, in seguito alla designazione, invocare la propria “mancata competenza” come giustificato motivo ai sensi dell’art. 97 comma 5 c.p.p. . Il problema in questi casi si pone a monte: garantire una qualità della difesa d’ufficio elevata attraverso corsi di formazione e requisiti stringenti per l’accesso all’elenco.

Data però l’assenza di una specificazione legislativa in materia, si tratta di capire cosa si debba intendere per «competenze specifiche».

Si è prospettata una soluzione sostanzialistica al problema: l’espressione in esame dovrebbe riferirsi a quelle ipotesi nelle quali si procede per reati previsti nella legislazione penale speciale, come per esempio i reati in materia di stupefacenti, reati ambientali o reati fallimentari70.

qualificata attraverso la nomina di un difensore abilitato all'esercizio della professione davanti al giudice»; in senso conforme Cass., Sez. V, 21 ottobre 2008, n. 1133; Cass., Sez. VI, 2 luglio 2008, n. 39010.

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Mostra di condividere la necessità della norma in esame, F. DELLA CASA, Soggetti, in G.CONSO-V.GREVI (a cura di), Compendio di procedura penale, Cedam, Padova Assago, 2016, p. 136.

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In realtà però, accogliendo una tesi di questo tipo, si finirebbe per rendere inapplicabile il sistema centralizzato, in quanto i reati previsti in legislazione speciale sono numerosissimi.

Ecco allora che altri hanno prospettato l’operatività della norma de qua nei casi di modelli differenziati di accertamento71, quali per esempio, procedimenti relativi alla criminalità organizzata o ai delitti sessuali.

In ogni caso, in una prospettiva de jure condendo, alcuni hanno auspicato la creazione di elenchi a sé stanti per le ipotesi di materie particolarmente complesse, le quali dovrebbero essere preventivamente individuate dal legislatore; ciò anche al fine di ridurre quella discrezionalità che la norma oggi in vigore, vuoi per la lacunosità della stessa, vuoi per le molteplici interpretazioni possibili cui dà adito, attribuisce all’autorità procedente e permette di derogare a quel sistema centralizzato ed informatizzato di designazione che invece ha l’obiettivo proprio di tutelare l’autonomia ed indipendenza della difesa d’ufficio72

.

Altro deficit della riforma in esame si rinviene nel fatto che la nomina del difensore d’ufficio poteva e può essere fatta solo se si deve compiere un atto garantito, viceversa il difensore di fiducia può essere nominato anche in via preventiva ex art. 391-nonies c.p.p. in materia di investigazione difensiva. La ragione di tale scelta sta nel fatto che altrimenti, si è detto, se si concedesse il medesimo diritto al difensore d’ufficio, si dovrebbe anticipare il momento dell’informazione di garanzia.

L’art 97 comma 3 c.p.p., peraltro, non trova applicazione in relazione agli atti a cui il difensore ha solo diritto di partecipare ma senza preavviso: nell’ipotesi di un atto a sorpresa voluto dal pubblico ministero, questi deve nominare un difensore d’ufficio ai sensi del terzo comma; al contrario se l’atto dev’essere compiuto dalla

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Si tratta di casi nei quali vi è «un iter procedimentale tarato sulla situazione giuridica protetta invece che sul tradizionale modus operandi del giudice», così, F. CERQUA, Il difensore d’ufficio:

guida alla riforma, Altalex editore, Montecatini Terme, 2015, p. 85. Lo stesso autore evidenzia,

concentrandosi sulle problematiche legate all’art. 40 del d.lgs. n. 231 del 2001 e alla nomina di un difensore di fiducia, come sia qualificabile quale «sistema differenziato» di accertamento anche il rito de societate.

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Nondimeno questa prospettiva non è esente da critiche: vi è più che da dubitare dell’effettiva possibilità, al livello pratico, di creare elenchi separati.

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polizia giudiziaria, ex art. 356 c.p.p., l’indagato ha facoltà di farsi assistere, ma senza preavviso, perciò l’art. 97 comma 3 c.p.p. non è destinato ad operare.

Viene poi modificato l’art. 29 comma 1: è il Consiglio dell’ordine che deve «predisporre ed aggiornare, con cadenza trimestrale [se non c’è l’aggiornamento non è prevista alcuna sanzione], l’elenco degli avvocati iscritto negli albi disponibili ad assumere la difesa d’ufficio».

Viene perciò eliminata l’espressione idonei, in quanto è aggiunto il comma 1-bis che detta una serie di criteri e parametri affinché il difensore possa qualificarsi come idoneo73

I requisiti, alternativi fra loro, sono i seguenti:

a) l’attestazione di idoneità rilasciata dal Consiglio dell’Ordine territoriale o dalla camera penale territoriale o dall’UCP, all’esito di un percorso di formazione. Tuttavia questo requisito è inidoneo a comprovare l’effettiva capacità del difensore ad assumere l’incarico poiché può essere agevolmente sostituito con autocertificazione che dimostri l’esercizio della professione per almeno 2 anni (oggi 5);

b) esercizio della professione in sede penale per almeno due anni, mediante la produzione di idonea documentazione.

Queste le critiche che sono state mosse: in primo luogo non si fanno precisazioni relative al merito «dei corsi di aggiornamento, al loro oggetto, alle materie, al modulo didattico, alla durata»74 né l’indicazione dei soggetti che avrebbero dovuto tenere i corsi di formazione. Non si prevede l’obbligo di verifiche né in

itinere né ex post; la conseguenza è una disomogenea disciplina sul territorio

nazionale.

Inoltre non si specifica se l’aggiornamento debba vertere solo su materie penali e processual-penalistiche o anche altre.

Secondo difetto: siamo davanti ad una lacuna perché il legislatore, nell’attribuire la competenza nell’organizzazione dei corsi alla Camera penale territoriale e al Consiglio dell’Ordine, non specifica se si «tratta di attribuzioni concorrenti od esclusive»; non si capisce cioè se vi sia una sorta di gerarchia o meno fra i

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G. DALIA, op. cit., p. 45-46, secondo cui l’aver eliminato l’espressione “idonei” dal comma 1 per poi reintrodurla nel comma 1-bis è un’operazione di poco senso.

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soggetti elencati. La dottrina riteneva che, coerentemente con lo spirito della riforma del 2001, si dovesse interpretare nel senso che tutti gli organismi nominati dalla legge possano predisporre tali corsi. In ogni caso l’assenza di soggetti legittimati ad effettuare i corsi e di specificazioni ulteriori, aveva come conseguenza una mancanza di uniformità a livello nazionale della preparazione del difensore d’ufficio.

In terzo luogo, si crea un’equiparazione tra corsi di aggiornamento ed autocertificazione di esercizio per almeno 2 anni, che pare essere il frutto di una “confusione legislativa” tra pratica e teoria: sembra cioè che i corsi siano stati creati di fatto solo per i giovani avvocati che non abbiano esercitato per almeno 2 anni.

Quarto difetto: nel punto relativo alla sostituzione del corso con l’esercizio della professione per almeno 2 anni, si indicava la necessità di depositare “idonea documentazione” senza però specificare in cosa dovesse consistere; nei fatti vi era una mera autocertificazione.

Per quanto concerne i corsi di aggiornamento la prassi post riforma 2001 mostra come una grossa responsabilità in relazione alla mancata preparazione dei difensori d’ufficio vada attribuita ai Consigli dell’Ordine ed alle Camere penali, che hanno istituito corsi di formazione ed aggiornamento in maniera disomogenea sul territorio nazionale, spesso permettendo la partecipazione anche dei praticanti avvocati non abilitati, e senza prevedere una prova finale75. Proprio su questo versante si è osservato come si trattasse di corsi che facevano prevalere la «forma sulla sostanza»76. Anche su questo versante è intervenuta la riforma del 2015.

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Cfr. A. DINELLI, op. cit., p. 18

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Così A. ARCELLASCHI, op. cit., p. 72. Lo stesso autore evidenzia come vi sia la necessità di creare corsi che offrano una preparazione più pratica che teoria, sul presupposto che l’aspirante difensore d’ufficio dovrebbe già avere una minima preparazione nozionistica derivante dagli studi universitari.

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Un ruolo importante è poi svolto dalle regole deontologiche: merita su questo versante un breve cenno l’art. 49 comma 1 dell’attuale cod.deont.for77

. La disposizione prevede l’obbligo in capo al difensore nominato d’ufficio di comunicare all’assistito l’avvenuta nomina, con l’avviso che questi può nominare un difensore di fiducia. In ipotesi di violazione consegue la sanzione dell’avvertimento78

.

La disposizione deontologica è più significativa di quanto si possa pensare. Il rispetto della stessa permette di evitare situazioni che nella prassi non sono affatto infrequenti: si pensi al caso in cui l’imputato non sia stato correttamente avvertito della possibilità di nomina di un difensore di fiducia e nel mentre l’avvocato ufficio designato, abbia posto in essere degli atti processuali difensivi; quest’ultimo, nonostante la probabile opposizione dell’imputato, che ignaro della designazione aveva nominato un difensore di fiducia, esigerà la retribuzione per l’attività svolta.

Ecco allora che per evitare il verificarsi di situazioni di questo tipo l’avvocato designato deve comunicare l’invito ex art. 49 cod.deont.for. al cliente con modalità recettizia79.

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Circa le ragioni che hanno portato alla nascita del nuovo codice deontologico nel 2014, si veda S. BORSACCHI, Presentazione: com’è nato il nuovo codice deontologico , in E. RANDAZZO (a cura di), Il penalista e il nuovo codice deontologico, Giuffrè, Milano, 2014, p. X ss.

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Peraltro accanto a tale obbligo specifico ve ne sono altri, quali, ad esempio, quello di comunicare al cliente l’emissione di una sentenza che lo riguarda; in tal senso il parere del Cnf, 24 settembre 2015, n. 147, secondo cui «Il dovere di correttezza e di diligenza, di cui il dovere di informazione esplicitamente previsto dall’art. 40 c.d. (ora, 27 ncdf) è espressione, impone, anche al difensore d’ufficio, di comunicare tempestivamente all’assistito l’avvenuta emissione di una sentenza, tanto più̀ se di condanna, mettendolo così in condizione di valutare l’opportunità̀ e la convenienza di proporre appello, altrimenti preclusagli in radice, a prescindere dalla inesistenza delle condizioni per proporre un’utile impugnazione, circostanza questa che può̀ rilevare sul diverso piano della responsabilità̀ professionale al fine di escluderla, ma non fa venire meno il dovere deontologico di informazione al cui adempimento il professionista è in ogni caso tenuto».

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Un esempio di comportamento che si pone al limite del deontologicamente corretto è quello del difensore d’ufficio che, dopo aver ricevuto l’avviso ex art. 415-bis c.p.p., compie un’attività complessa come la citazione di teste, senza aver prima preso contatto col cliente, il quale ha già nominato un difensore di fiducia. In questi casi deve essere l’avvocato d’ufficio ad avvertire il cliente della possibilità di nominare un difensore di fiducia: si deve esigere la trasparenza.

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Un’ultima notazione sugli effetti prodotti dalla legge n. 60 del 2001: è aumentato vertiginosamente il numero degli iscritto all’elenco dei difensori d’ufficio, elemento questo affatto negativo, se non fosse che oggi, come alcuni hanno osservato, «tanto è alto il numero dei difensori d’ufficio tanto è scarsa la loro partecipazione processuale»80.