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La prima legge sul patrocinio a spese dello Stato

5. Il patrocinio a spese dello stato: l’effettività legata all’art 3 cost

5.5 La prima legge sul patrocinio a spese dello Stato

I dibattiti parlamentari sul tema sfociarono nella legge 30 luglio 1990 n 217. Con essa si è previsto il passaggio al patrocinio a spese dello Stato: le spese per il procedimento sarebbero state a carico della collettività, facendo venir meno quel sistema che, basato su una logica solidaristica, imponeva agli avvocati di rendere gratuito patrocinio.

Oltre alle criticità che anche questa legge portava con sé e di cui diremo a breve, preme in questa sede porre l’accento sulla natura del nuovo istituto: si passò da un’idea di gratuità ed obbligatorietà del patrocinio per i non abbienti, all’assunzione in capo allo Stato dei costi sostenuti dalla parte nel processo, e fra questi la retribuzione del difensore. Con una formula riassuntiva possiamo dire che si è passati dal gratuito patrocinio al patrocinio a spese dello Stato: questo, com’è ovvio, si riflette sull’effettività del diritto di difesa.

È l’art. 4 della legge in commento che, nel disciplinare gli effetti dell’ammissione al beneficio, distingue, da un lato, le cd. spese gratuite, quali l’estrazione di copie di atti processuali necessari per l’esercizio della difesa, dall’altro, le cd. spese anticipate dallo Stato178.

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G. FRIGO, Sub art. 98 c.p.p., in Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da E.AMODIO-O.DOMINIONI, I, Giuffrè, Milano, 1989, p. 98.

178

Si parla di spese anticipate in quanto lo Stato può ripeterle in caso di revoca del beneficio concesso.

Circa gli effetti dell’ammissione vedi, l’art. 4 della legge n. 217 del 1990 e l’art. 107 del d.p.r. n. 115 del 2002. Cfr. V. COMI, op. cit., p. 7 ss.

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L’art. 3, nell’elencare i requisiti per l'ammissione al nuovo patrocinio, richiedeva un reddito imponibile, ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a 10.890.000 lire, dall’anno 1991.

Su questo versante è interessante riportare un’attenta critica mossa dalla dottrina, che metteva in luce come il beneficio potesse divenire, in maniera più facile del previsto, strumento di «beffa»179 dell’intera collettività. Ci si riferisce allo strumento dell’autocertificazione prevista all’art. 5 comma 1 lett. b, la quale «doveva attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell'articolo 3»: il soggetto che aveva cospicue entrate da attività illecite180, e perciò non dichiarate, avrebbe potuto, una volta ammesso al beneficio, scegliersi il difensore, che poi sarebbe stato remunerato dallo Stato.

Gli altri difetti che la novella potava con sé erano, essenzialmente, tre.

In primis, lo Stato non era tenuto a sostenere le spese relative ad eventuali

consulenti tecnici extraperitali o investigatori privati (art. 5 comma 2). Invero, l’attività di questi soggetti, come stabilito dalla Corte costituzionale nel dichiarare l’incostituzionalità dell’esclusione legislativa181

, risulta essere intimamente legata allo svolgimento dell’attività difensiva: il diritto alla prova scientifica nel processo accusatorio assume una fondamentale importanza, talché appare discriminatoria la

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Rileva questa criticità, G. LOCATELLI, Il reddito da attività illecita ostacolo al gratuito

patrocinio, in Dir.pen.proc., 1998, p. 1326 ss. Lo stesso autore evidenzia le soluzioni offerte, sia

dai giudici di merito, sia dalla Cassazione.

Ad oggi, la giurisprudenza ritiene che i proventi derivanti da attività illecite debbano essere considerati al momento della valutazione circa l’ammissibilità al patrocinio (ex multis Cass., Sez. IV, 11aprile 2007, n. 25044).

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Sulla non fondatezza della questione di legittimità costituzionale relativa alla parte in cui la legge in esame non prevedeva che si dovesse tener conto, ai fini dell’ammissione al patrocinio, anche dei redditi derivanti da attività illecite, vedi Corte cost., 30 marzo 1992, n. 144.

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Corte cost., 11 febbraio 1999, n. 33, con nota di A. BONSIGNORE, Nuovi orizzonti per il

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previsione che impone una differenza a seconda che il giudice abbia o meno disposto perizia182.

In secondo luogo l’inapplicabilità della disciplina era esclusa, ai sensi dell’art. 1, nei procedimenti penali concernenti le contravvenzioni183. I primi commentatori hanno rilevato come la deroga in esame non fosse conforme al dettato dell’art. 24 Cost., che non fa alcun riferimento ad un’ipotetica distinzione, nell’esercizio del diritto di difesa, fra delitti e contravvenzioni. Anzi, emerge come siano numerose le ipotesi, in legislazione speciale, di reati contravvenzionali. Paradossalmente, si è osservato, il sistema così come novellato dalla riforma del 1990 appariva, su questo versante, «più arretrato»184 rispetto a quello delineato nel 1923.

Inoltre l’istituto non operava nei confronti dell’imputato per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Anche su quest’ultimo versante la dottrina aveva fin da subito evidenziato la frizione della disciplinare prevista col principio di presunzione di non colpevolezza: se davvero ognuno è innocente sino a sentenza definitiva, non si capisce perché il mero imputato di un reato di evasione non possa giovare del patrocinio a spese dello Stato. Peraltro la disciplina si riferiva al solo “imputato”, talché la dottrina aveva dato risposta negativa al quesito se l’esclusione del patrocinio dovesse applicarsi anche all’indagato185.

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Per la successiva evoluzione vedi infra par. 5.7. Si è tuttavia evidenziato come la ratio dell’assistenza del consulente tecnico non si rinvenga, come accade per il difensore, la cui partecipazione è infatti obbligatoria, in un’esigenza di garanzia oggettiva della funzione giurisdizionale, ma solo in una scelta soggettiva dell’imputato, così R. E. KOSTORIS, Consulente

tecnico exraperitale e gratuito patrocinio, in Cass.pen., 1999, p. 2789.

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In deroga a tale previsione, il patrocinio a spese dello Stato era assicurato anche relativamente alle contravvenzioni se si trattava di procedimenti riuniti a quelli per delitti o connessi a procedimenti per delitti ancorché non riuniti.

184

V. CAVALLARI, Sub art. 1, commento a L. 30/07/1990 n. 217-Istituzione del gratuito

patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, in Leg.pen., 1992, p. 459.

185

V. CAVALLARI, op. cit., p. 460, secondo cui si creava una strana situazione nella quale l’indagato poteva giovare del patrocinio, ma se poi fosse stato rinviato a giudizio, non ne avrebbe più avuto diritto.

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Invero ad oggi la prima delle due eccezioni è venuta meno residuando solo l’ipotesi dei reati fiscali186, ai sensi dell’art. 91 d.p.r. n. 115 del 2002.

Alcuni hanno criticato questa scelta sostenendo che «anche per gravissimi reati sanzionati con pene assai più severe di quelle previste per le violazioni finanziarie»187, il patrocinio è destinato ad operare. Tuttavia, la ragione che fonda l’eccezione non sta tanto nella gravità del reato, anzi, non sta affatto in quest’ultima, bensì si ritrova «nell’esigenza di non riconoscere il beneficio del patrocinio a spese dello Stato limitatamente a una categoria di reati, quelli concernenti l’evasione […] la cui commissione»188

incide sulla possibilità di verificare i requisiti oggettivi per l’accesso allo strumento.

A noi pare di poter aderire a quella dottrina che critica quest’ultima tesi sostenuta dalla Corte costituzionale e il dettato legislativo, non tanto sul piano della gravità dei reati, quanto più sul piano della violazione del principio di cui all’art. 27 comma 2 Cost.

Sebben vero, come affermato dalla Corte costituzionale189, che la limitazione è destinata ad operare solo con riferimento al procedimento penale che ha per oggetto il reato tributario, è altrettanto evidente che essa appare insuperabile anche se il processo si concluda con l’assoluzione. Ecco allora che, se la ratio della limitazione sta nell’evitare l’abuso del patrocinio a spese dello Stato da parte di chi non è non abbiente, una sopravvenuta sentenza di assoluzione che non permetta di giovare del beneficio, appare contrastare con l’art. 27 comma 2 Cost.190

186

La giurisprudenza ritiene che non si possa applicare analogicamente il limite de qua con riferimento ad altri reati contro l’interesse economico dello Stato diversi da quelli previsti, così Cass., Sez. IV, 15 gennaio 2003, n. 5994; conformemente L. DIPAOLA, op. cit., p. 821.

187

P. A. AIROLDI, La difesa dei non abbienti nel nuovo processo penale, in Quest.giust., 1991, p. 240.

188

Corte cost., ord. 22 marzo 1999, n. 94; conformemente Cass., Sez. I, 11 giungo 2004, n. 31177.

189

Corte cost., 4 aprile 2012, n. 95.

190

Peraltro la limitazione, ci dice la giurisprudenza di legittimità, opera anche in situazioni di imputazioni plurime per più reati, di cui almeno uno rientrante nella categoria tributaria prevista:

ex plurimis Cass., Sez. IV, 2 aprile, 2008, n. 20379, secondo cui «L'esclusione

dal patrocinio a spese dello Stato per chi debba rispondere di reati che attentano alle finanze pubbliche opera anche con riferimento ai reati non ostativi alla ammissione al beneficio, per i quali

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Una possibile soluzione proviene da chi crede di poter creare, nell’ipotesi di un indagato per reati fiscali, una sorta di «ammissione “provvisoria” al patrocinio»191, con la conseguenza che, in ipotesi di condanna definitiva, lo Stato potrebbe rivalersi sul condannato192.

Infine, l’aggravamento e la burocratizzazione delle forme per l’ammissione al patrocinio, si riflettevano inevitabilmente sull’effettiva possibilità per il singolo cittadino di usufruire dello strumento. Ci si riferisce in particolare all’art. 5 comma 2 della legge che prevedeva tutta una serie di allegazioni particolarmente stringenti per poter accedere all’istituto193

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5.6 La riforma costituzionale del 1999 e i riflessi sull’effettività del