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L’efficacia delle sentenze della corte di strasburgo in italia: i rifless

STRASBURGO IN ITALIA: I RIFLESSI SULL’EFFETTIVITÀ DEL DIRITTO DI DIFESA

Una questione strettamente connessa con quanto stiamo dicendo riguarda l’efficacia nell’ordinamento interno delle sentenze della Corte e.d.u.87

.

85 Corte e.d.u., 21 giugno 2016, Vasenin c. Russia. 86

R. CASIRAGHI, Monitoraggio corte edu giugno 2016, in https://www.penalecontemporaneo.it, 13 ottobre 2016.

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Questione diversa, ma correlata, è la valutazione del rango della CEDU nel sistema delle fonti interne: vedi F. VIGANÒ, L’impatto della CEDU e dei suoi protocolli sul sistema penale italiano, in G.UBERTIS-F.VIGANÒ (a cura di), Corte di Strasburgo e giustizia penale, Giappichelli, Torino, 2016, p.13 ss., il quale mette in evidenza le varie teorie che si sono contrapposte prima delle sentenze gemelle della Corte Costituzionale (le n. 348 e 349 del 2007). Per quel che qui interessa, con tali sentenze la Corte mette in risalto una peculiarità della Convenzione rispetto ad altri trattati di diritto internazionale, e cioè che quest’ultima attribuisce ad uno specifico organo giurisdizionale, la Corte e.d.u., la giurisdizione in materia di rispetto e violazione della Convenzione. A riprova di ciò il fatto che nella stessa sentenza 348 leggiamo «Poiché le norme

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Il tema è importante in quanto ci si deve chiedere se il legislatore italiano e il giudice interno debbano ritenersi obbligati a recepire ciò che viene statuito nelle sentenze della Corte in materia di effettività del diritto di difesa.

a) In caso di risposata affermativa al quesito, tre sarebbero le conseguenze sul nostro campo d’analisi.

Anzitutto, se l’atto processuale compiuto è considerato valido nell’ordinamento interno, ma lede l’effettività del diritto di difesa88

, applicando direttamente la CEDU89, così come interpretata dalla Corte europea, il giudice italiano90 dovrebbe

giuridiche vivono nell'interpretazione che ne danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza della Convenzione è che tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte di Strasburgo nella sua funzione di interpretazione eminente », e cioè le disposizioni della CEDU hanno valore di norme interposte, R.E. KOSTORIS, Diritto europeo e

giustizia penale, in R.E.KOSTORIS (a cura di), Manuale di procedura penale europea, 2ᵅ ed.,

Giuffrè, Milano, 2015, p.54 ss.

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Per esempio nei casi, affatto rari, di “girandola dei difensori d’ufficio” (vedi, in ottica problematica, Cass. Sez. II, 15 maggio 2013 n. 36625, in Cass.pen., 2014, p. 2180) o disinteresse di questi per la causa affidatagli.

In quest’ultima ipotesi, si sostiene, la sostituzione del difensore inoperoso, non solo sarebbe legittima, ma anche doverosa, in quanto l’inattività costituisce un “giustificato motivo” ex art 97 comma 5 c.p.p.

In questo senso perciò, secondo i fautori di questa tesi, andrebbe letto l’orientamento di Cassazione (Cass., Sez. I, 28 maggio 2009, n. 24582; Cass., Sez. III, 07 giugno 2005, n.25812.) in base al quale il principio di immutabilità del difensore d’ufficio viene meno quando questo si disinteressi totalmente della causa, senza attivarsi a favore del cliente.

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Invero, secondo un’altra impostazione, partendo dal presupposto che la CEDU sia fonte di diritto europeo a tutti gli effetti, si afferma che il giudice interno, nei casi in esame, dovrebbe disapplicare la norma interna incompatibile.

Si tratta però di una teoria che collide con quanto affermato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n.80, 2011: in ipotesi siffatte, asserisce la Corte, il giudice interno deve tentare un’interpretazione conforme e solo se ciò non è possibile, rimettere la questione alla Corte delle leggi.

Inoltre, per altro verso, è stato rilevato come questa tesi mostri delle affinità con le cd. prove incostituzionali, cioè ipotesi in cui quell’elemento di prova è acquisito senza il rispetto delle norme del c.p.p. ed è lesivo dei diritti fondamentali costituzionalizzati (nel nostro caso lesivo delle norme CEDU così come interpretate dalla Corte europea). Su quest’ultimo tema vi è dibattito, fra chi sostiene l’inutilizzabilità delle prove incostituzionali sulla base di una interpretazione estensiva

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dichiarare la violazione del diritto difesa con la conseguente comminatoria di nullità91 per violazione dell’art. 178 c.p.p., in quanto quest’ultimo deve ritenersi integrato direttamente con l’art. 6 CEDU92

. Ciò comporterebbe peraltro la

dell’art 191 c.p.p. e chi invece concorda sull’utilizzabilità delle stesse facendo leva sull’art. 189 c.p.p.; per un approfondimento vedi, C. CONTI, L’inutilizzabilità, in A.MIRANDOLA (a cura di),

Le invalidità processuali. Profili statici e dinamici, Giappichelli, Torino, 2015, p. 118 ss.

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Secondo altri invece, data la non immediata applicabilità della CEDU, dovrebbe intervenire, non il giudice interno, ma la Corte costituzionale, dichiarando l’incostituzionalità della norma interna nella parte in cui, non prevedendo una nullità, impedisce di dar seguito alla sentenza della Corte e.d.u. non assicurando così un pieno ripristino dell’equilibrio violato, R. E. KOSTORIS, Diritto

europeo e giustizia penale, cit., p. 65

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Già in passato era entrata in scena l’idea di qualificare l’ineffettività del diritto di difesa come una ipotesi di nullità. Una parte della dottrina (F. CORDERO, Procedura penale, Giuffrè, Milano, 1987, p. 1187) infatti, ha sostenuto che quando l’art. 179 comma 1 c.p.p. parla di «assenza del difensore», prevedendo una nullità assoluta, in realtà intenda anche il caso del difensore che, seppur presente, rimane muto. In quel periodo, tuttavia, la giurisprudenza teneva un orientamento molto rigido negando che una difesa insufficiente o carente potesse integrare una ipotesi di nullità (Ex multis Cass, Sez., III, 18 dicembre 1984, in Riv.pen., 1985, p. 1120). Altri (G. FOSCHINI, La

Discussione, in Riv.it.dir.proc.pen., 1964, p.27) invece rilevavano che, nell’ipotesi dell’art 468

c.p.p. abr., che prevedeva l’obbligo per il difensore dell’imputato di intervenire nella discussione finale a pena di nullità, se questi si fosse limitato a “rimettersi alla giustizia della corte”, ciò, pur integrando una violazione del dovere deontologico del difensore, non avrebbe potuto comportare una nullità.

A parere di chi scrive la prima teoria esposta è meno vaga rispetto alla qualificazione di una nullità per violazione solo della CEDU, in quanto il concetto di “assenza del difensore” è più circoscrivibile rispetto alla “manifesta inoperosità” cui fa riferimento la Corte di Strasburgo .

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Più specificatamente, ci troveremmo difronte ad una “validità lesiva” perché il processo è formalmente valido, ma sostanzialmente ingiusto; da ciò deriverebbe la creazione di« una nuova fattispecie processuale: nullità generali tipiche e lesive» derivanti appunto dall’unione del principio di offensività (art. 6 CEDU) e quello di tassatività (art. 178 c.p.p.), F. M. IACOVIELLO,

La Cassazione penale. Fatto, diritto e motivazione, Giuffrè, Milano, 2013, p. 147.

In senso contrario, R. E. KOSTORIS, La revisione del giudicato iniquo e i rapporti tra violazione

convenzionali e invalidità processuali secondo le regole interne, in Leg.pen., 2011, p. 480, il quale

sostiene che l’interpretazione qui discussa di «estendere l’ambito delle nullità a situazioni non tipiche purché concretamente lesive sembra invece colpire al cuore il principio di tassatività». Tuttavia l’autore sembra aprire alla possibilità di qualificare una nullità come tale solo se lesiva: in tal senso, si sostiene, non si lederebbe il principio di tassatività delle nullità.

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necessità di una revisione in chiave sostanzialistica dell’intero sistema delle nullità93.

In secundis, se l’atto processuale è considerato nullo nell’ordinamento interno, ma

non ha comportato una lesione effettiva del bene giuridico tutelato, allora la Corte europea (e la CEDU), che opera proprio con lo strumento del cd. effettivo pregiudizio, impone al giudice interno di non dichiarare la nullità94: cioè vi è nullità solo se, oltre alla violazione di una norma processuale, vi è anche una concreta lesività dell’atto prodotto95

.

Infine, se vi è una lacuna normativa interna, cioè un’ipotesi in cui l’ordinamento nazionale non prevede nessuna disciplina a tutela del diritto di difesa96, e la giurisprudenza e.d.u. impone di colmarla, anche al fine di evitare condanne sistematiche nei confronti dell’Italia, il giudice interno sarebbe tenuto a dare una tutela effettiva, magari attraverso proprio una nuova ipotesi di nullità.

È evidente, da un’analisi delle conseguenze enucleate, come accogliere una teoria di questo tipo implichi la messa in discussione dell’intero sistema processuale (formale) delle nullità nel nostro Paese. Tant’è che i sostenitori di queste tesi auspicano, in quanto l’ordinamento italiano è ormai inserito in un sistema europeo di diritto e di giustizia penale, il passaggio «da una legalità prevalentemente normativa, tipica dei sistemi di civil law, a una legalità europea di stampo

93

Mostra di condividere questa necessità, R. APRATI, Il sistema delle nullità alla luce dell’art 6

C.E.D.U, in Dir.pen.proc., 2015, p.242.

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Ad esempio nel caso di abuso dello strumento processuali cui all’art. 108 c.p.p. . Per un approfondimento sul tema vedi Cap. IV.

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A ciò si replica asserendo che la Corte e.d.u. non giudica in base a fattispecie, bensì in base all’equità del processo nel suo complesso, cioè opera una valutazione ex post attraverso una «giustizia senza commi» (M. NOBILI, L’immoralità necessaria. Citazioni e percorsi nei mondi

della giustizia, Il Mulino, 2009, p. 288 ss.) e ciò comporta che il singolo atto (lesivo del diritto di

difesa), anche se nullo, poiché, sulla base di una valutazione di equità complessiva, non incide sul processo, allora non deve essere dichiarato tale.

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Come nell’ipotesi della concessione del termine ex art. 108 c.p.p. al difensore nominato ex art. 97 comma 4 c.p.p., che infatti viene negata fermamente dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.

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prevalentemente “giudiziale”» perciò «ad una legalità statica […] si verrebbe a sovrapporre una legalità dinamica, di tipo “teleologico”»97.

b) A questa prima tesi, altri commentatori replicano dicendo che, anzitutto l’applicazione diretta di una norma extranazionale presuppone il suo essere self

executing, come sono ad esempio i Regolamenti europei, ma la CEDU non è

dotata di tale carattere.

Inoltre, relativamente alla terza conseguenza di cui sopra, si replica negando la sussistenza di una “lacuna normativa”. In questo caso la mancanza di una norma che sanzioni espressamente il comportamento negligente del difensore, significa che il legislatore non ha voluto attribuire siffatto potere al giudice; anche perché, si prosegue, si tratterebbe di un potere quasi arbitrario: il giudice potrebbe infatti intervenire non solo quando vi sia stato un totale disinteresse del difensore, ma anche quando questo abbia tenuto una condotta negligente. Ma allora stabilire quando una condotta sia negligente o meno, finirebbe per essere del tutto arbitrario.

Perciò chi si oppone ad una diretta efficacia delle sentenze europee nell’ordinamento italiano, cerca di trovare altrove le soluzioni ai problemi posti dall’effettività del diritto di difesa, rimanendo ancorato a quei principi di legalità processuale98 e tipicità propri dell’ordinamento italiano, principi che in nessun caso dovrebbero essere messi in discussione99.

97

R. E. KOSTORIS, Diritto europeo e giustizia penale, cit., p. 71.

Ovviamente affinché ciò avvenga vi è la necessità di un ripensamento del sistema delle fonti e un nuova collocazione del ruolo delle Corti di vertice e dei giudici interni.

98

Invero, questa dottrina evidenzia come sia la stessa Corte e.d.u. ad essere attenta al principio di legalità processuale, e cioè al fatto che si rispetti il sistema formale così come delineato, in maniera certo diversa, dai vari Stati (ad esempio, Corte e.d.u., 22 giugno 2000, Coeme e altri c. Belgio); a riprova di ciò, si dice, il ricorso alla Corte di Strasburgo è previsto solo ove siano esauriti i rimedi interni, P. SPAGNOLO, Il modello europeo delle garanzie minime e il regime

delle invalidità: un binomio conciliabile, in A. MARANDOLA (a cura di), Le invalidità processuali. Profili statici e dinamici, Giappichelli, Torino, 2015, p. 36.

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I sostenitori di questa tesi evidenziano una fondamentale differenza fra la costruzione del sistema processuale di uno Stato, compito che spetta al legislatore interno, il quale dovrà necessariamente basarsi su regole formali per evitare il rischio di un arbitro del giudice, e l’ assicurare, al livello internazionale, che tutti gli ordinamenti che aderiscono alla CEDU abbiano un

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In questo senso, allora, secondo questa interpretazione, la revisione europea, così come enucleata dalla sentenza n. 113 della Corte costituzionale100, nonostante i molteplici profili problematici101 che essa porta con sé, appare, ad oggi, in attesa di un intervento legislativo102, uno103 strumento idoneo a garantire ristoro nelle ipotesi di violazione dell’effettività del diritto di difesa.

sistema minimo di garanzie. È solo su quest’ultimo versante che agisce la Corte e.d.u.: l’obiettivo è del giudice convenzionale è far sì che le norme dettate dal legislatore interno, nella loro applicazione pratica, perseguano interessi di giustizia e tutela effettiva.

100

Corte cost., 7 aprile 2011, n. 113 con commento di M. GIALUZ, Una sentenza “additiva di

istituto”: la Corte costituzionale crea la “revisione europea”, in Cass.pen., 2011, p. 3309

101

Cfr., sul punto, R. M. GERACI, L’impugnativa straordinaria per violazione della Cedu

accertata da Strasburgo: le ipotesi, le procedure, gli effetti, in P.CORVI (a cura di), Le impugnazioni straordinarie nel processo penale, Giappichelli, Torino, 2016, p. 69 ss.

È stato evidenziato come il nuovo istituto preveda «un caso di revisione del tutto atipico, dissonante rispetto alla logica tradizionale» della revisione classica, così, R. E. KOSTORIS, Le

fonti, in R.E.KOSTORIS (a cura di), Manuale di procedura penale europea, Giuffrè, Milano,

2014, p. 58.

Altri autori hanno evidenziato come la criticità dell’intervento della Corte stia «nell’imperfezione del mezzo rispetto allo scopo» (M. L. BUSETTO, op. cit., p. 212), in quanto la competenza per la fase rescissoria è attribuita alla Corte d’appello, quando invece la violazione del giusto processo potrebbe aver riguardato anche il processo di primo grado, cosicché sarebbe auspicabile una soluzione in tal senso, in modo da far sì che l’imputato possa godere effettivamente dei suoi diritti in tutti i gradi del procedimento.

102

Per un’analisi delle bozze di riforma, anche precedenti alla sentenza della Corte costituzionale, mai andate in porto, vedi, F. CALLARI, La firmitas del giudicato penale. Essenza e limiti, Giuffrè, Milano, 2009, p. 340 ss; , R. M. GERACI, op. cit., p. 91.

103

Bisogna tuttavia constatare come, ancora oggi, il rimedio dell’art. 630 c.p.p., così come enucleato dalla sentenza della Corte costituzionale, resti solo una delle possibili soluzioni. Infatti con la Sentenza Ercolano (Cass., Sez. Un., 24 ottobre 2013, n. 18821), la Cassazione ha ritenuto di applicare il meccanismo dell’art 670 c.p.p. (incidente di esecuzione con conseguente ineseguibilità del giudicato) in luogo dell’art 630 c.p.p.: si tratta di una fra le varie soluzioni che la giurisprudenza aveva creato prima dell’intervento della Corte costituzionale.

Le altre soluzioni proposte sono essenzialmente due: ricorso straordinario per errore materiale o di fatto ex art. 625-bis c.p.p. (si tratta della soluzione utilizzata nel cd. “Caso Drassich”, Cass., Sez. VI, 12 novembre 2008, n. 45807) e restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p. Per un commento a questi orientamenti, qui sommariamente richiamati, vedi M. GIALUZ, Il riesame del processo a

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Dal punto di vista dell’operatività dello strumento nell’aerea che stiamo analizzando (violazione dell’effettività del diritto di difesa), due sono le soluzioni ipotizzabili.

Una prima interpretazione possibile sarebbe quella di qualificare la violazione dell’art. 6 CEDU sempre come un vizio gravissimo (abnormità o inesistenza), e in quanto tale insanabile. Da ciò deriverebbe l’obbligo per il giudice interno di celebrare un processo ex novo.

Si tratta però, a ben vedere, di un’interpretazione che in realtà confligge con ciò che è stato sancito dalla stessa Corte costituzionale104: il rimedio della nuova revisione deve essere modulato a seconda della tipologia di violazione riscontrata. Nondimeno un’interpretazione siffatta andrebbe contro la logica dell’effettività entro cui si muove la Corte e.d.u. .

Appare allora più corretta una seconda soluzione, che postula una differenziazione a seconda del momento in cui si è verificato il vizio.

Se la violazione è intervenuta ad inizio dibattimento, allora quest’ultimo105

dovrà essere rinnovato ab initio106 in quanto la violazione della convenzione si riverbera a cascata su tutto l’iter procedimentale. Non sarebbe perciò sufficiente, in questo caso, come forma di restitutio, la riapertura del processo.

Riv.it.dir.proc.pen., 2009, p. 1854 ss.; F. CALLARI, op. cit., p.356 ss; L. PARLATO, La revisione del processo iniquo: la Corte costituzionale “getta il cuore oltre l’ostacolo”, in Dir.pen.proc,

2011, p. 842 ss.

Si deve poi ricordare un orientamento dottrinale (G. UBERTIS, Argomenti di procedura penale III, Giuffrè, Milano, 2011, p. 122) che ha sostenuto che la violazione dei principi del giusto processo, vuoi ex art. 6 CEDU, vuoi ex art. 111 Cost., comporti una carenza di giurisdizione tale per cui non vi sarebbe più quel titolo legittimante la condanna (e l’esecuzione) della pena, che è costituito dalla sentenza: saremmo difronte ad una sentenza definitiva inesistente, un mero giudicato apparente (così, Cass., Sez. Un., 9 luglio 1997 n.11) con la conseguenza che il giudice dovrebbe emettere una ordinanza di sospensione dell’esecuzione della pena e la trasmettere gli atti al giudice ab inizio competente, nella stessa fase e grado antecedenti al momento in cui si è verificata l’invalidità.

104

Corte cost., 7 aprile 2011, n. 113

105 Cfr. M. L. BUSETTO, op. cit., p. 216 nota 22. 106

Lo stesso dovrebbe avvenire nel caso di violazione del diritto dell’imputato a partecipare al processo, così, GIALUZ M., Una sentenza “additiva di istituto”, cit., p. 3317.

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Viceversa se la violazione si è verificata nel corso del dibattimento, all’interno del giudizio rescissorio non si potrebbero far valere vizi quali ad esempio l’incompetenza, la nullità e l’inutilizzabilità, che si sono verificati nell’ormai cessato giudizio, chiusosi con sentenza definitiva. Da ciò la conseguenza che le prove già raccolte in quest’ultimo restano utilizzabili.

Tuttavia a favore dell’imputato giocherebbe l’art. 636 comma 2 c.p.p.107

: egli potrebbe, sulla base del diritto alla prova, chiedere l’assunzione di nuove elementi probatori108.

107

La norma stabilisce che «si osservano le disposizioni del titolo I [Atti preliminari al dibattimento, artt. 465-469 c.p.p.] e del titolo II [Dibattimento, artt. 470-524 c.p.p.] del libro VII in quanto siano applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta di revisione».

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CAPITOLO III

EVOLUZIONE STORICO-NORMATIVA DELLA DIFESA

D’UFFICIO E DEL PATROCINIO A SPESE DELLO STATO:

UNA LETTURA IN CHIAVE DI MANCATA EFFETTIVITÀ

Sommario: 1. Introduzione – 2. La differenza tra la difesa d’ufficio e il patrocinio a spese dello

stato – 3. Un breve excursus storico sulla difesa d’ufficio - 3.1 Il codice del 1930 – 3.2 Il codice del 1988 – 3.3 La legge n. 60 del 2001 – 3.4 Il decreto legislativo n. 6 del 2015 – 4. Due ipotesi emblematiche in relazione all’effettività della difesa d’ufficio – 4.1 La retribuzione del difensore d’ufficio: nodo centrale dell’effettività – 4.2 Il praticante avvocato quale difensore d’ufficio: un problema di competenza – 5. Il patrocinio a spese dello Stato: l’effettività legata all’art. 3 cost. – 5.1 Introduzione – 5.2 Il regio decreto n. 3282 del 1930 – 5.3 L’art. 24 comma 3 Cost. e i primi interventi della Corte costituzionale – 5.4 Il codice di rito del 1988 – 5.5 La prima legge sul patrocinio a spese dello Stato – 5.6 La riforma costituzionale del 1999 e i riflessi sull’effettività del patrocinio per i non abbienti – 5.7 La legge n. 134 del 2001 – 5.8 L’attuale disciplina del patrocinio per i non abbienti – il d.p.r. n. 115 del 2002 – 5.9 Brevi cenni sulla direttiva 2016/1919/UE in materia di patrocinio a spese dello Stato

1. INTRODUZIONE

Nel nostro sistema processual-penalistico vige il principio in base al quale l’imputato non può stare in giudizio senza un difensore1

(di fiducia o d’ufficio che sia).

Il necessario corollario è la presenza di norme che garantiscano l’effettività della difesa. Ci troveremmo davanti ad un legislatore incoerente se, dopo aver escluso

1

Cfr. sulla irrinunciabilità della difesa, già F. CARRARA, Programma del corso di diritto

criminale. Parte generale, IVᵅ ed., Giusti, 1871, p.692-693, secondo il quale «La difesa non è un

privilegio, né una concessione voluta dalla umanità. È un vero diritto originario dell’uomo, e perciò inalienabile», quindi da ciò consegue che «il reo non possa rinunziare alla propria difesa: e debba, anche suo malgrado, assegnarglisi persona capace di difenderlo».

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un’autodifesa esclusiva e imposto l’assistenza di un difensore, non garantisse l’effettività di quest’ultima. Lo Stato che accusa, imponendo l’assistenza di un difensore, dovrà preoccuparsi di garantire che questo sia realmente competente ed interessato alla causa, altrimenti saremmo davanti «ad una pratica sostanzialmente ipocrita di protezione del diritto [di difesa]»2.

Il legislatore perciò, come già detto, si pone come obiettivo quello di garantire, in ogni caso, la presenza, accanto all’imputato, di un soggetto qualificato dotato di conoscenze tecniche3.

Il codice di rito attuale, in tal senso, prevede l’obbligatorietà della nomina di un difensore4 ex art. 97 comma 1 c.p.p., che statuisce che «l’imputato che non ha nominato un difensore di fiducia o ne è rimasto privo è assistito da un difensore d’ufficio». Si tratta, a ben vedere, di una regola che si fonda sulla inderogabilità della difesa tecnica e che comporta perciò un potere sostitutivo attribuito allo Stato5, tutte le volte in cui l’imputato sia rimasto privo di un difensore di fiducia.

2

M. F. LÓPEZ PULEIO, Note sul modello di difesa pubblica in Argentina e in Guatemala, in

Quest.giust., 2001, p. 548.

3

In questo senso, peraltro, si giustifica il divieto di autodifesa esclusiva nell’ipotesi in cui imputato