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Il caso di Carlo Zauli a Faenza: un museo-laboratorio

LA VALORIZZAZIONE MUSEOGRAFICA DELLE DIMORE STORICHE E DEGLI STUDI D’ARTISTA

2.4. Conservazione dello studio originale dell’artista 1 Casa Morandi a Bologna

2.4.5. Il caso di Carlo Zauli a Faenza: un museo-laboratorio

Carlo Zauli (Faenza,1926 – 2002), scultore ceramista nato e cresciuto a Faenza, fin da ragazzo manifesta l’attitudine creativa che lo porta ad iscriversi nel 1937 all’Istituto d’Arte per la Ceramica. Nel 1944, sul finire della seconda guerra mondiale, l’artista è deportato nel campo di lavoro di Hulz da cui fortunatamente rientra qualche mese più tardi, non senza però portare con sé i segni di quella tragica esperienza, come osserva lo scrittore Cristiano Cavina «Chissà quanto c’è di quel periodo così duro in quelle sue opere ‘sconvolte’, o in quel cerchione gigantesco – quasi da trattore – spaccato da una parte dal troppo calore o dal destino».244

Dopo aver conseguito il diploma di “Magistero Tecnico” nel 1948 e aver concluso il corso speciale in decorazione ceramica nel 1949, inizia la carriera di scultore quando, nel 1950, rileva insieme agli amici Umberto Zannoni, Averardo Giovannini e Renato

243 L’artista e teorico dell’arte Daniel Buren fu il primo a interrogarsi sulla questione relativa alla funzione

dei musei all’interno del suo seminale saggio dal titolo Function of the Museum. Cfr D. Buren, "Function of the Museum”, in Artforum 12, no. 1, September 1973; D. Buren, The Museum that Did Not Exist, Prestel, Paris, 2010.

244 C. Chiavina, “La terra come destino”, in F. Gualdoni (a cura di), Carlo Zauli. Scritti e testimonianze,

Zama lo studio del ceramista Mario Morelli, in via della Croce a Faenza, nei locali dove oggi sorge il Museo Carlo Zauli.245

I suoi esordi sono all’insegna della tradizione ceramica faentina con le prime maioliche, i vasi asimmetrici e bivasici, che traggono origine dai modelli fittili mediterranei. Dalla metà degli anni Cinquanta inizia a sperimentare con il grès, producendo tra il 1956 e il 1957 i primi smalti bianchi a 1200 gradi, veri e propri precursori dei cosiddetti “Bianchi di Zauli”. 246 Durante la sua carriera artistica partecipa a numerosi concorsi in Italia e

all’estero, ottenendo importanti riconoscimenti da parte della critica e del pubblico tanto da essere considerato come uno dei massimi innovatori nel campo della ceramica.247

L’immobile di via della Croce che ospitava il laboratorio di Zauli viene nel tempo acquistato interamente dall’artista e, attraverso una serie di trasformazioni architettoniche, smette i panni della vecchia bottega artigiana per divenire un luogo operativo che ha il suo fulcro nella cosiddetta stanza dei forni, alla quale si aggiungono gli edifici moderni che oggi costituiscono parte degli spazi espositivi. Nel 2002, anno della morte dell’artista, lo studio di Faenza è infatti, per volontà della famiglia, trasformato nel “Museo Carlo Zauli”. Elementi fondamentali dell’attuale percorso espositivo, capaci di raccontare la vita e la produzione artistica di Zauli, sono le stanze per la smaltatura e la cottura, caratterizzate dalle pareti annerite dal fumo proveniente dal forno a legna, la cantina delle argille, in cui tuttora sono riposti i sacchi contenenti terre provenienti da tutta Europa, e la lunga sala per la foggiatura delle opere

245 M. Zauli (a cura di), Museo Carlo Zauli di Faenza, Collana del Sistema Museale della Provincia di

Ravenna, Ravenna, 2004, p. 15.

246 Sull’opera di Carlo Zauli si veda C. Vivaldi, Carlo Zauli, Grafis, Bologna, 1973; C. Marabini e F.

Donato, Matrici e radici in Carlo Zauli, CUEN, Napoli, 1989; F. Gualdoni, Carlo Zauli, scultore, Silvana Editore, Milano, 2009; F. Gualdoni, Carlo Zauli: terra che rivive, Danilo Montanari Editore, Ravenna, 2011; L. Fabbri (a cura di), Carlo Zauli: l’alchimia delle terre 1952-1991, MIC Faenza, 2002.

247 J. R. De Infante, “Carlo Zauli”, in M. Zauli (a cura di), Museo Carlo Zauli di Faenza, Collana del

monumentali, in cui si trova la grande parete attrezzata sulla quale venivano modellati, in verticale, i grandi altorilievi.

A Zauli si deve inoltre la capacità di unire alla fase di lavorazione e produzione ceramica anche quella espositiva e al contempo divulgativa del suo processo creativo. L’artista si è infatti sempre contraddistinto non solo per la sua produzione artistica ma anche l’impegno culturale, un vero e proprio lavoro intellettuale, come sottolinea il critico Flaminio Gualdoni che descrive l’operato di Zauli come «[…] impegno, militanza civile in favore di una cultura che si potesse dire condivisa, che fosse possesso comune: prospettiva, dunque, di politica culturale».248

In questo senso non risulta dunque scontata per l’epoca la decisione dell’artista di predisporre, già a partire dalla metà degli anni Ottanta, una sala in cui mettere in mostra alcune sue opere con l’intento di raccontare il suo percorso di scultore. L’obiettivo di Zauli era infatti quello di dare vita a un centro culturale, inteso come base di lancio di una nuova produzione artistica capace di permettere l’espressione di nuove visioni contemporanee.249

Lo studio ha da sempre rappresentato per Zauli un luogo costantemente aperto alle visite e alle sperimentazioni. È per questo, come ricordato da Matteo Zauli, che «Nanni Valentini, Giuseppe Spagnulo, Giò e Arnaldo Pomodoro, Antonio Tàpies e molti altri passavano e lasciavano un segno, consolidando la consapevolezza in mio padre che il confronto diretto fosse il metodo più potente per arricchire il proprio bagaglio culturale e maturare il proprio linguaggio espressivo».250 A tal proposito risultano significative le

248 F. Gualdoni, “Introduzione”, in F. Gualdoni (a cura di), Carlo Zauli. Scritti e testimonianze, Museo

Carlo Zauli, Faenza, 2012, p. 9.

249 M. Zauili, “Museo Zauli: un luogo tra memoria ed avanguardia” in M. Zauli (a cura di), Museo Carlo

Zauli di Faenza, Collana del Sistema Museale della Provincia di Ravenna, Ravenna, 2004, pp. 9-11.

250 M. Zauli, “In forma di ceramica. Dialogo a più voci” in In forma di ceramica. Arte contemporanea dal

Museo Carlo Zauli, cat. della mostra (3 aprile – 4 maggio 2014), Fondazione Bevilacqua La Masa,

impressioni riportate da Yoshiaki Inui: «E’ stato all’inizio dell’estate di qualche anno fa che ho visitato Carlo Zauli per la prima volta. Il suo atelier, che dà su un vicolo, poco distante dal centro della città, ha una porta semplice e, a prima vista, dall’esterno, sembra un magazzino. Dalla porta, un passaggio conduce al cortile piuttosto spazioso in fondo al quale si nota un cortile in mattoni. È questa la sala d’esposizione di Zauli. Indimenticabile è per me il momento in cui entrai nella sala per la prima volta: vi erano esposte tutte intorno varie opere, grandiose e minute, e ognuna di esse mi sembrò estremamente vivace e stimolante, in contrasto strano con l’ambiente interno in pieno silenzio. Non poteva essere dunque che il silenzio della grande natura, che si sente, con ritmo piacevole, nel fruscio delle foglie scosse dal vento o nelle increspature delle onde. Ricordo che mi diede un’impressione simile a quella dell’atelier di Brancusi, al Museo Nazionale d’Arte Contemporanea di Parigi.».251